.

.

HOME                                                        PROGETTO                                                        redazione                                                        contatti

 

RUBRICHE

.

attualità

.

ambiente

.

ARTE

.

Filosofia, religione

.

Storia & Sport

.

Turismo storico



 

Periodi

.

Contemporanea

.

Moderna

.

Medievale

.

Antica



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

 

.

CONTEMPORANEA


N. 11 - Novembre 2008 (XLII)

WOODSTOCK, 1969
la seconda città dello stato di New York

di Cristiano Zepponi

 

“Tre giorni di pace e musica”, promettevano i manifesti che pubblicizzavano un festival di provincia da tenersi a Woodstock, nella contea di Ulster, stato di New York. Un concerto a pagamento come tanti, che però rischiò di tramontare quando le proteste della cittadinanza costrinsero le autorità a negare l’autorizzazione.


Un giovane fattore della zona, Sam Yasgur, convinse allora suo padre Max ad affittare agli organizzatori del Festival la sua enorme tenuta, situata appena più a sud-ovest di quello che avrebbe dovuto essere il luogo prescelto. Sam, tra tanti, pensava che la tre giorni – 15, 16 e 17 agosto del 1969 - avrebbe richiamato al massimo cinquantamila persone a Bethel, dove si estendeva la fattoria di famiglia.

Molto probabilmente, l’esperto Max dovette pentirsi – come spesso accade – di aver dato retta al progetto strampalato del figlio: già il 14 una marea umana cominciò a colare dalle colline, riversandosi sulla sua tenuta. Ma era il ’69, l’anno dei Beatles che suonano all’aria aperta sul tetto dell’edificio che ospitava gli uffici di ciò che rimaneva della Apple, della protesta allettata (bed-in) di John Lennon e della compagna Yoko Ono contro la guerra nel Vietnam, dell’Apollo 11 sulla Luna, della comparsa di Carl Wilson - il chitarrista dei Beach Boys - davanti alla Corte Federale di Los Angeles per rispondere dell’accusa di diserzione,
L’intera contea, che si lasciava vivere lentamente e rifuggiva il disordine, ne rimase comunque sconvolta; ma dovette capire che “dove tuona un fatto, statene certi, lì ha lampeggiato un’idea”, come diceva Nievo.

Inseguivano quest’idea in trecentomila, quattrocentomila, seicentomila, forse più. Chi se ne frega delle cifre, pensavano, che continuavano a gonfiarsi col passare delle ore, man mano che le colline partorivano giovani d’ogni origine, affluiti senza preavviso, e apparentemente senza ragion.

Il malessere di una generazione sbattè dunque contro il rassicurante immobilismo della campagna americana, individualista e ordinata, che sembrò uscirne sconvolta. Nessuno aveva previsto uno scenario del genere, nemmeno gli organizzatori, che confidavano nel prezzo del biglietto per potersi permettere le celebrate band invitate alla kermesse, nemmeno la polizia, che attraverso gli altoparlanti degli elicotteri tentava di scoraggiare l’afflusso prospettando il raggiungimento dei limiti di capienza.
La facilità con cui si poteva accedere al prato eludendo la (scarsa) sorveglianza, insufficiente per un’area così estesa e poco presidiabile, e la suddetta invasione di massa, costrinse allora i primi a rivedere l’idea di far entrare al festival solo chi aveva il biglietto: Woodstock divenne gratuito, mentre le speranze di pareggiare le spese si volsero alla produzione di un film e di un disco live.

Come previsto, la stampa ed i media in genere – decisamente più vicini allo sconforto della famiglia Yasgur e della contea tutta, che all’entusiasmo della neonata comunità di Woodstock – focalizzarono dapprima l’attenzione sul caos, il disordine, l’insicurezza ed i pericoli derivanti dall’inattesa associazione spontanea concentrata sui prati della zona. Strepitavano allora d’ingorghi di traffico e gabinetti mancanti, di un “incubo di fango e stagnazione” monopolizzato da “intrusi dall’aria di freaks” istintivamente dediti al consumo di droga, per usare le parole del New York Times.

Poi, col passare dei giorni, il fenomeno cominciò ad estrinsecarsi compiutamente, e divenne “un fenomeno di innocenza” al quale i ragazzi avevano partecipato “per avere il piacere di stare insieme, liberi di godere uno stile di vita che è in sé stesso una dichiarazione d’indipendenza”, parafrasando uno degli editoriali più equilibrati dello stesso giornale.

Rassicurò l’impressione che quella massa rifuggisse il conflitto e non volesse innescarlo, e venne fuori tutta l’ambivalenza di un’America che si scoprì scandalizzata e caritatevole, impaurita ma compiaciuta. Era evidente che i giovani non erano venuti per “passeggiare senza vedere grattacieli e semafori, lanciare aquiloni, abbronzarsi, respirare aria pura”, come celebravano – accentuando il carattere di ritorno alla natura, d’idillio pastorale – le pubblicità del festival, o almeno non solo.

I giovani stessi, peraltro, facevano propri senza accorgersene alcuni degli ideali della società che intendevano rifuggire, idealizzando un mondo rurale assurto ad unico antagonista possibile delle città moderne, artificiali prigioni dei sensi, volenterose fabbriche di maniere.

Non importava, quindi, che la strada 17B – diretta al festival – s’ingorgasse clamorosamente in un modo che avrebbe fatto impallidire Manhattan, che si impiegassero ore per percorrere metri, che le lacune organizzative emergessero in pieno, che si affogasse tra “pioggia, fango e piscio”. Importava invece il sentimento di coesione generato in una comunità che si scopriva capace di reggere il peso delle emergenze e delle necessità, e mostrava di sapersi stringere, e di saperle affrontare.
Nella zona si ammassavano tonnellate di rifiuti e sporcizia, mancava l’acqua, le condizioni igieniche apparivano compromesse, le comunicazioni si facevano difficili.
Il servizio d’ordine, neanche a dirlo, era numericamente insufficiente, il personale inadeguato, i servizi quasi nulli.
Ma Woodstock era anche, e soprattutto, motivo d’orgoglio per i suoi abitanti, affezionati indigeni di quella che dicevano essere diventata “la seconda città dello stato di New York”.

Fu questa fuggevole sensazione a radicarsi nelle menti dei “reduci”, che il più delle volte avrebbero passato il resto della vita ad inseguirne il fantasma; fu il brivido d’emozione che accompagnò la notizia della nascita di un bambino, genuino simbolo della comunità, fu l’ascolto dei bisogni primari e dei desideri altrui, fu la comunione d’intenti e la tensione collettiva. La fuga dalla società dei padri ne aveva generata un’altra, compatta e volenterosa, cementata dal baratro dell’ingovernabilità e dalla certezza d’essere osservata attentamente.

L’assenza di qualsiasi forma d’autorità generò commoventi esperimenti di collaborazione tra i “portavoce” ed i giovani che si offrivano spontaneamente; la mancanza di qualsiasi forma d’amministrazione centralizzata, che provvedesse alle necessità individuali, li spinse a farsi carico dei problemi più disparati.
Per questo fu spontaneamente prestata l’assistenza necessaria a limitare le emergenze principali; per questo – contrariamente alle previsioni – il crimine e la violenza furono ridotti quasi a zero, in quei giorni. L’autodisciplina e la cooperazione costituivano l’unica soluzione possibile, ed i “capelloni” mostrarono di averlo compreso.

L’improvvisazione del momento non potè certamente annullare alcune storture derivanti dalla massiccia concentrazione di ormoni, e desideri, in un fazzoletto di terra così ristretto: “...s’affacciarono alla ribalta mille problemi, incrinando la certezza della libera festa. Woodstock non era affatto il regno della creatività, la confusione la faceva da padrona”, riferì ad esempio Bertoncelli.
Alcune macchine – abbandonate dagli occupanti esasperati dalle file - rimasero ad ostruire gli ingressi, l’acqua circolò per lo più al “mercato nero”, i punti di vendita furono oggetto di sporadiche “riappropriazioni”, è vero.
Ma non “c’è stato solo quel tanto di disagio collettivo, quel soffio di pericolo, che era necessario per sentirsi uniti e in pace” che lamentava a posteriori il solito NY Times; o almeno, non solo.

Per tre giorni, invece, tra la sperimentazione d’ogni tipo di droga e d’esperienza lisergica, tra libero amore e pioggia battente, si provò a costruire “la nostra cultura e la nostra comunità, con la nostra musica, la nostra stampa, i nostri valori, miti e leggende”, per creare “una pazzia che sia autenticamente nostra!”, come scisse Jerry Rubin.
In questo senso vanno valutate le performances degli artisti: dopo un emozionatissimo Richie Havens che, afferrato il microfono, intonò con voce tremante la sua “Freedom”, s’alternarono Richie Havens, Sweetwater, Bert Sommer, Tim Hardin, Ravi Shankar, Melanie, Arlo Guthrie, Joan Baez, Quill, Country Joe McDonald, John Sebastian, Keef Hartley Band, Santana, Incredible String Band, Canned Heat, Grateful Dead, Creedence Clearwater Revival, Janis Joplin, Sly and the Family Stone, The Who, Jefferson Airplane, Joe Cocker, Country Joe and the Fish, Leslie West, Mountain, Ten Years After, The Band, Johnny Winter, Blood, Sweat and Tears, Crosby Stills Nash & Young, Paul Butterfly Blues Band, Sha Na Na, Jimi Hendrix affabularono quella moltitudine giovane e determinata, che sembrava capace di superare le inumanità cittadine mantenendosi pura, e di confrontarsi apertamente con i concetti problematici di modernità e gerarchia.

Woodstock costituì un esperimento, ed una brutale presa di coscienza: per questo il suo valore supera di gran lunga il ricordo di Hendrix e della Fender Stratocaster destrorsa rovesciata, del manico e della tastiera in acero, del grosso anello dorato sull’indice della mano sinistra e dell’altro sul mignolo della destra, per quanto emozionante sia quell’immagine. Ha dato ai suoi figli “un’immagine dell’interno di quella realtà personale e sociale da cui i loro genitori temono che stiano fuggendo. La profondità e umanità della loro reazione a questa immagine dovrebbe essere motivo di riflessione, e di orgoglio”, come scrisse Michael Firsch all’indomani degli eventi.
Anche in un periodo come quello attuale, aggiungiamo noi.

 

 

 

Collabora con noi

.

Scrivi per InStoria



 

Editoria

.

GB edita e pubblica:

.

- Edizioni d’Arte

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Manoscritti inediti

.

- Tesi di laurea

.

Catalogo

.

PUBBLICA...



 

Links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]

.

.