[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

190 / OTTOBRE 2023 (CCXXI)


attualità

“WOMEN, LIFE, FREEDOM”
SUL PREMIO NOBEL a NARGES MOHAMMEDI

di Francesca Zamboni

 

“Women, Life, Freedom”: sono queste le tre parole iniziali con cui la presidente del comitato norvegese Nobel Berit Reiss-Andersen ha conferito l’onoreficenza a Narges Mohammadi, laureata in Fisica, attivista per i diritti umani e detenuta nel carcere di Teheran dal 2016. Narges ha iniziato il suo attivismo ai tempi dell’università fondando il gruppo degli “Studenti illuminati”. A partire dagli anni Novanta ha sostenuto la campagna del riformista Mohammad Khatami, sperando in riforme e diritti per le donne e per i giovani, e ha fatto della sua lotta contro l’hijab obbligatorio una delle grandi sfide che l’ha portata a scontrarsi con la repressione del regime. Ma lei, a differenza di altri attivisti che si sono rifugiati all’estero, ha scelto di rimanere in Iran, di vivere il suo Paese in prima persona.

 

Una donna, Narges, che a distanza di un anno dalla morte di Mahsa Amini, ci ricorda l’importanza della lotta delle donne iraniane, svelando i loro volti e i loro sogni attraverso l’arte di essere donna, vita e libertà. Per questo motivo l’oblio non ha preso il sopravvento sulla morte. E ancora dopo un anno la memoria di Mahsa ricorre nelle manifestazioni, nelle proteste, negli slogan e nel conferimento di un premio che rafforza una rivoluzione diventata resistenza. Perché resistere significa opporsi alle pressioni altrui; è la battaglia che ti permette di ri-esistere per esserci di nuovo come donna anche quando si è state rinchiuse in un carcere per i propri ideali. Molto probabilmente Narges Mohammadi non potrà ritirare il premio, un premio, che torna a una donna in Iran dopo venti anni e che rappresenta uno forte stimolo per continuare la battaglia contro l’oppressione femminile, per la promozione dei loro diritti e delle loro libertà.

 

L’attivista ha appreso la notizia del premio attraverso i messaggi giunti dalla sezione maschile del carcere, dal momento che gli uomini hanno più facile accesso ai telefoni. La gioia è stata travolgente ed è stata condivisa e celebrata con le compagne di cella. Come ha detto il marito Taghi Rahmani, anche lui attivista e sostenitore della democrazia, il Nobel per la Pace è “un premio per tutti gli uomini e le donne che lottano sotto lo slogan donna, vita, libertà”, facendo un chiaro riferimento alla morte di Mahsa, uccisa perché dal velo le sfuggiva una ciocca di capelli. Un premio dunque che appartiene alla moglie, ma soprattutto al popolo iraniano e che renderà più forte Narges nel suo percorso.

 

Arrestata 13 volte, condannata 5 volte per un totale di 31 anni di carcere e frustata 154 volte, Narges non si è mai arresa, pagando un prezzo molto alto: la separazione dai due figli ormai esiliati in Francia insieme al marito e che non vede da moltissimi anni. Nonostante ciò ha continuato la sua battaglia pensando alla sua famiglia e al suo Paese sempre pronta a esserne portavoce.

 

Per questo si è battuta contro le torture e la violenza sessuale praticata contro i prigionieri politici nelle carceri iraniane e ha condotto una coraggiosa campagna contro la pena di morte. Fatti concreti che l’hanno vista fronteggiare il regime teocratico a volto scoperto; avvenimenti che l’hanno condotta in carcere fisicamente fino alla sezione 209 riservata ai politici, ai giornalisti e ai dissidenti politici. Un isolamento tanto prolungato da far peggiorare il già precario stato di salute dell’attivista affetta da una patologia polmonare e da farle scrivere il libro White Torture proprio per denunciare le condizioni dell’isolamento prolungato attraverso le testimonianze di tredici detenute.

 

Le idee di Mohammadi hanno sempre avuto il pregio di diffondersi liberamente oltre i confini della teocrazia velata. Il Nobel non è infatti il primo riconoscimento per l’attivista: nel 2009 vinse il premio Alexander Langer dedicato all’impegno civile, culturale e politico. Tuttavia le fu impedito di partecipare alla cerimonia perché privata del passaporto. Quindi fu rappresentata a Città di Castello da Nargess Tavassolian, figlia di Shirin Ebadi, stretta collaboratrice di Narges e premio Nobel 2003.

 

Speriamo che questa volta Narges possa ritirare il premio personalmente. La presidente del comitato norvegese Nobel Berit Reiss-Andersen ha dichiarato che nominare Mohammadi vincitrice è “prima di tutto un riconoscimento a un intero movimento in Iran con la sua leader indiscussa Narges Mohammadi”. Inoltre si augura che il governo iraniano “prenda la decisione giusta” autorizzando l’attivista a ricevere il Nobel personalmente a dicembre. Sarebbe effettivamente un riconoscimento che prende forma. Un’idea di pace che si concretizza.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]