“WOMEN, LIFE, FREEDOM”
SUL PREMIO NOBEL a NARGES MOHAMMEDI
di Francesca Zamboni
“Women, Life, Freedom”: sono queste
le tre parole iniziali con cui la
presidente del comitato norvegese
Nobel Berit Reiss-Andersen ha
conferito l’onoreficenza a Narges
Mohammadi, laureata in Fisica,
attivista per i diritti umani e
detenuta nel carcere di Teheran dal
2016. Narges ha iniziato il suo
attivismo ai tempi dell’università
fondando il gruppo degli
“Studenti illuminati”. A partire
dagli anni
Novanta ha sostenuto la campagna del
riformista Mohammad Khatami,
sperando in riforme e diritti per le
donne e per i giovani, e ha fatto
della sua
lotta contro l’hijab obbligatorio
una delle grandi sfide che
l’ha
portata a scontrarsi con la
repressione del regime. Ma lei, a
differenza di altri attivisti che si
sono rifugiati all’estero, ha scelto
di rimanere in Iran, di vivere il
suo Paese in prima persona.
Una donna, Narges, che a distanza di
un anno dalla morte di Mahsa Amini,
ci ricorda l’importanza della lotta
delle donne iraniane, svelando i
loro volti e i loro sogni attraverso
l’arte di essere donna, vita e
libertà. Per questo motivo l’oblio
non ha preso il sopravvento sulla
morte. E ancora dopo un anno la
memoria di Mahsa ricorre nelle
manifestazioni, nelle proteste,
negli slogan e nel conferimento di
un premio che rafforza una
rivoluzione diventata resistenza.
Perché resistere significa opporsi
alle pressioni altrui; è la
battaglia che ti permette di
ri-esistere per esserci di nuovo
come donna anche quando si è state
rinchiuse in un carcere per i propri
ideali. Molto probabilmente Narges
Mohammadi non potrà ritirare il
premio, un premio, che torna a una
donna in Iran dopo venti anni e che
rappresenta uno forte stimolo per
continuare la battaglia contro
l’oppressione femminile, per la
promozione dei loro diritti e delle
loro libertà.
L’attivista ha appreso la notizia
del premio attraverso i messaggi
giunti dalla sezione maschile del
carcere, dal momento che gli uomini
hanno più facile accesso ai
telefoni. La gioia è stata
travolgente ed è stata condivisa e
celebrata con le compagne di cella.
Come ha detto il marito Taghi
Rahmani, anche lui attivista e
sostenitore della democrazia, il
Nobel per la Pace è “un premio per
tutti gli uomini e le donne che
lottano sotto lo slogan donna, vita,
libertà”, facendo un chiaro
riferimento alla morte di Mahsa,
uccisa perché dal velo le sfuggiva
una ciocca di capelli. Un premio
dunque che appartiene alla moglie,
ma soprattutto al popolo iraniano e
che renderà più forte Narges nel suo
percorso.
Arrestata 13 volte, condannata 5
volte per un totale di 31 anni di
carcere e frustata 154 volte, Narges
non si è mai arresa, pagando un
prezzo molto alto: la separazione
dai due figli ormai esiliati in
Francia insieme al marito e che non
vede da moltissimi anni. Nonostante
ciò ha continuato la sua battaglia
pensando alla sua famiglia e al suo
Paese sempre pronta a esserne
portavoce.
Per questo si è battuta contro le
torture e la violenza sessuale
praticata contro i prigionieri
politici nelle carceri iraniane e ha
condotto una coraggiosa campagna
contro la pena di morte. Fatti
concreti che l’hanno vista
fronteggiare il regime teocratico a
volto scoperto; avvenimenti che
l’hanno condotta in carcere
fisicamente fino alla sezione 209
riservata ai politici, ai
giornalisti e ai dissidenti
politici. Un isolamento tanto
prolungato da far peggiorare il già
precario stato di salute
dell’attivista affetta da una
patologia polmonare e da farle
scrivere il libro White Torture
proprio per denunciare le condizioni
dell’isolamento prolungato
attraverso le testimonianze di
tredici detenute.
Le
idee di Mohammadi hanno sempre avuto
il pregio di diffondersi liberamente
oltre i confini della teocrazia
velata. Il Nobel non è infatti il
primo riconoscimento per
l’attivista: nel 2009 vinse
il premio Alexander Langer
dedicato all’impegno civile,
culturale e politico. Tuttavia le fu
impedito di partecipare alla
cerimonia perché privata del
passaporto. Quindi fu rappresentata
a Città di Castello da Nargess
Tavassolian, figlia di Shirin Ebadi,
stretta collaboratrice di Narges e
premio Nobel 2003.
Speriamo che questa volta Narges
possa ritirare il premio
personalmente. La presidente del
comitato norvegese Nobel Berit
Reiss-Andersen ha dichiarato che
nominare Mohammadi vincitrice è
“prima di tutto un riconoscimento a
un intero movimento in Iran con la
sua leader indiscussa Narges
Mohammadi”. Inoltre si augura che il
governo iraniano “prenda la
decisione giusta” autorizzando
l’attivista a ricevere il Nobel
personalmente a dicembre. Sarebbe
effettivamente un riconoscimento che
prende forma. Un’idea di pace che si
concretizza.