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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 158 / FEBBRAIO 2021 (CLXXXIX)


filosofia & religione

UN FILOSOFO DI NOME KAROL

WOJTYLA E L’INCONTRO CON MAX SCHELER

di Simonetta Satornino

 

Karol Wojtyla nasce a Wadowice (Kraców) nel 1920. Si iscrive nel 1938 alla Facoltà di Lettere e Filosofia, mentre lavora come operaio nelle cave di pietra a Zakrzówek, presso Cracovia, evitando cosi la deportazione nel Terzo Reich tedesco. Morto anche il padre e rimasto solo, nel 1941, viene trasferito dalla cava alla fabbrica Solvay.

 

Frequentò i corsi clandestini della facoltà di Teologia dell’Università Jagiellonica di Cracovia e, successivamente, si iscrisse all’Angelicum di Roma, conseguendo la licenza in Teologia. Fece ritorno in Polonia dove conseguì la libera docenza in Teologia. Abolita la Facoltà di Teologia dell’Università Jagellonica, venne istituita la Facoltà Teologica presso il seminario di Cracovia, dove il giovane Wojtyla continuò la docenza. Presso l’Università Cattolica di Lublino divenne titolare della Cattedra di Etica.

 

Durante gli anni dell’insegnamento ebbe modo di approfondire vari aspetti filosofici e divenne autore di vari scritti, di cui ricordiamo Valutazioni sulla possibilità di costruire l’etica cristiana sulle basi del sistema di Max Scheler, Amore e Responsabilità. Studio di morale sessuale e vita interpersonale”, “L’uomo nel campo della responsabilità.

 

L’opera filosofica più importante di Wojtyla è Persona e Atto, che fu pubblicata nel 1969 e in edizione definitiva (riveduta e corretta) nel 1994. Le fonti sono quelle della tradizione cristiana, ma non solo: amando profondamente Socrate, da cui apprese che «L’anima ci ordina di conoscere colui che comanda: “Conosci te stesso”» e traducendolo in invito per proseguire i suoi approfondimenti antropologici; da Agostino assorbì che la persona nel suo autentico spessore ontologico e assiologico nasce solo da un incontro fra Dio e l’uomo che nelle Confessioni fu tradotto in un nesso strutturale fra Dio come persona e uomo come persona; di Aristotele approfondì il principio della realtà, e quindi il problema dell’essere, in dimensione ontologica; ciò che viene chiamato in causa da Patočka il «mostrarsi delle cose» e il loro «venire portate a parola» e che, infine, Tommaso applica all’essere capovolgendone le affermazioni fatte con categorie desunte dalla stessa metafisica aristotelica e affermando che la persona, come realtà razionale, è «ciò che c’è di più perfetto in tutta la natura».

 

Wojtyla operò un continuo confronto col passato, e con~filosofò con i più importanti pensatori moderni, tra cui Hegel – che fu il fautore della fenomenologia dello Spirito, affermando che «il sapere che l’uomo ha di Dio e dell’Assoluto si realizza in un processo triadico che si attua attraverso l’arte (con l’intuizione estetica), la religione (con la rappresentazione connessa con la fede) e la filosofia (con il puro concetto)» – ma soprattutto con Scheler, precisando di esserne debitore soprattutto nell’interpretazione realistica della fenomenologia.

 

Wojtyla ebbe un metodo espositivo e argomentativo di tipo fenomenologico. Infatti, egli amava dire che «Avere un appropriato rapporto con l’esperienza significa anche servirsi di esempi (la dedizione materna ai figli, l’esperienza dell’innamoramento, le gesta di commilitoni in battaglia…) che i giovani possono comprendere perché per loro familiari».

 

In altri termini, Wojtyla non partì dal concetto metafisico di persona per dedurne gli atti, ma parte da una dettagliata analisi degli atti per giungere alla persona. E ancora egli non partì da una trattazione di carattere etico-sistematico, piuttosto prese le mosse dall’analisi dell’esperienza, che fa comprendere a fondo l’agire umano, che è il sommo grado rivelativo della persona. Si tratta quindi di un lavoro di carattere squisitamente antropologico, in senso non psicologico o sociologico, ma in senso fortemente filosofico.

 

Wojtyla avviò «uno studio analitico della fenomenologia di Max Scheler, di cui accetta il metodo, mentre ne critica le conclusioni». Wojtyla non si occupò di tutto il pensiero di Scheler – soprattutto perché non ne condivideva le conclusioni cui giungeva – ma ebbe modo di condividerne il metodo, quello fenomenologico, soprattutto attraverso l’analisi attenta e minuziosa dell’opera Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, che contiene una proposta positiva di come costruire l’etica dall’esperienza.

 

Certamente possiamo ipotizzare che Wojtyla abbia approfondito filosofi come Husserl – fautore della fenomenologia – e Heidegger, oltre a Scheler. Avrà, probabilmente, condiviso con loro che l’analisi fenomenologica altro non è che l’analisi approfondita dell’essere, ma al tempo stesso un metodo, mediante il quale s’intende tornare alle cose stesse.

 

Certamente il pensiero del filosofo Wojtyla sarà stato imperniato e stuzzicato, da un lato dall’ontologia (che studia le cose come sono) e dall’altro dalla fenomenologia (che studia le cose come appaiono). Mentre Husserl ha dato alla fenomenologia un carattere idealistico-trascendentale in senso sempre più marcato, Scheler, invece, ha piegato la fenomenologia in senso realistico, volgendo la sua analisi verso il disvelamento di valori che s’impongono come la luce all’occhio e il suono all’orecchio nell’intuizione emozionale.

 

«È stato detto da qualche fenomenologo, a giusta ragione, che l’uomo s’impone, proprio dal punto di vista strutturale, come “luogo del fenomeno”, ossia quel luogo in cui l’universo si mostra come “manifestazione”, e quindi s’impone come “custode del fenomeno». Wojtyla, in quanto «fenomenologo realista», ritiene che sussista un nesso strutturale irreversibile fra “essere” e “fenomeno”: ai fondamenti dell’essere si perviene partendo da un’attenta analisi dei fenomeni della coscienza, e la via migliore per giungere all’essere è proprio quella che passa attraverso l’uomo, attraverso l’atto della persona.

 

Dalla ricca analisi fenomenologica dell’atto, Wojtyla giunge alla “trascendenza” della persona e, quindi, a quell’elemento irriducibile dell’uomo, che s’impone come meta-fenomenologico, ossia come metafisico. L’esperienza dell’agire non presuppone le diverse mediazioni, né la persona, perché è proprio l’atto a svelare la persona nella sua dinamicità esistenziale, cioè la persona rivela se stessa nel suo agire.

 

Il metodo utilizzato da Wojtyla - come lui stesso lo definisce - transfenomenico, è una sorta di unione organica tra fenomenologia e metafisica aristotelico-tomistica. Egli ritenne che la metafisica, in quanto scienza dell’essere in generale, coincida con l’ontologia e che la definizione data ad essa da Aristotele, ossia “scienza dell’essere in quanto essere”, sia paradigmatica in senso assoluto; inoltre la metafisica come scienza del sovrasensibile è teologia filosofica, che presuppone la fede.

 

Scorrendo le pagine dello scritto che Wojtyla ha dedicato all’approfondimento di Max Scheler Valutazioni sulla possibilità di costruire l’etica cristiana sulle basi del sistema di Max Scheler, emerge chiaramente come egli abbia preso in considerazione tutto il sistema e il pensiero del filosofo contemporaneo.

 

Wojtyla crede che il sistema di Scheler cerchi di escludere o almeno limitare al minino l’importanza del dovere, e di reintegrare invece il più possibile nella vita morale dell’uomo la sfera emozionale, cosa che è congeniale a chi come lui ha sempre messo al centro delle sue meditazioni filosofiche l’uomo in quanto tale: «Il pensiero scheleriano è stato sempre incentrato sul problema dell’uomo; egli è uno dei pensatori più travagliati del primo Novecento; il suo stesso temperamento non gli permetteva di trovare periodi di piena stabilità, portandolo verso una continua e instancabile ricerca».

 

La persona raggiunge la sua grandezza soltanto se esercita le facoltà dello spirito, mentre si annulla quando agisce in base alle funzioni vitali. La persona è nei suoi atti perché è in grado di esercitare i valori, è capace degli atti che hanno per oggetto i valori. Scheler non da una definizione precisa di persona che è inoggettivabile e dunque indefinibile; ma già nel testo Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori egli aveva trattato questo punto affermando che la persona non era né l’io penso kantiano, né il mondo, né la sostanza, né l’anima, né la ragione, ma l’uomo in quanto soggetto spirituale, in quanto si riferisce a dei valori. Egli «designa come persona quel centro di atti entro il quale lo spirito appare nelle sfere dell’essere».

 

A tal proposito possiamo rilevare una caratteristica del metodo fenomenologico scheleriano, ovvero la comprensione della persona scevra degli aspetti negativi. Così, nelle pagine del testo Posizione dell’uomo nel cosmo, egli giunge a trattare dell’essenza dell’uomo solo dopo aver detto che questi è in grado di trascendere la realtà: la sua essenza spirituale può essere “intuita” (metodo fenomenologico) solo dopo che sono stati asportati tutti i limiti che lo costringono alla realtà.

 

«Scheler ricava dalla sua “antropologia filosofica” conseguenze metafisiche ultime. Esse si riassumono nell’idea che l’uomo rappresenta l’apparizione e il disvelamento di un principio divino assoluto che conduce alla trascendenza assoluta della vita su se stessa e al di là di se stessa. L’antropologia filosofica che si richiama al suo pensiero non si pronuncia sugli esiti speculativi ultimi della filosofia di Scheler, perché preferisce limitarsi a una considerazione filosofico-scientifica intesa soprattutto a fornire un fondamento unificatore di carattere non semplicemente «naturalistico» a tutte le discipline che hanno per oggetto lo studio dell’uomo».

 

«L’antropologia filosofica – scheleriana – ha come oggetto l’uomo quale fautore e portatore dinamico di cultura. L’uomo con le sue motivazioni, le sue mete, i suoi sistemi di valori, la sua disponibilità verso il reale, i suoi atteggiamenti, l’uomo, in definitiva, come creatore di forme culturali e creatura culturalizzata».

 

«Scheler definisce l’antropologia filosofica come una scienza fondamentale dell’essenza e della struttura eidetica dell’uomo, del rapporto che essa ha con i diversi regni della natura e con il principio di tutte le cose; dell’origine metafisica della sua essenza, come delle sue origini nel mondo dal punto di vista fisico, psichico e spirituale; delle forze e potenze che agiscono sull’uomo e sulle quali l’uomo agisce».

 

Wojtyla, per contro, sviluppa il discorso cercando di analizzare le caratteristiche dell’uomo che spesso e volentieri sono ignorate dalle scienze naturali, giungendo pertanto a conclusioni differenti rispetto Scheler.

 

L’uomo non va considerato solo ed esclusivamente facente parte di una specie naturale, ma va innalzato ontologicamente a persona.

 

«Persona non al singolare ma al plurale, giacché ogni persona comunica con tutte le altre. Ciò si osserva sia nel fatto che la verità della persona contiene il bene di tutte le persone, sia nella sua apertura ad altre persone, come si evince dai fenomeni della partecipazione, della solidarietà e, soprattutto, dalla donazione».

 

In conclusione possiamo affermare che sia Scheler che Wojtyla abbiano sempre rivolto uno sguardo attento verso l’uomo. La loro antropologia si è rivolta all’approfondimento di temi che sono sempre attuali, quali l’amore, la sequela, la condivisione. Il filo tematico che ha legato i due filosofi si è spezzato, ben presto, pur mantenendo al centro l’uomo: per Scheler la persona è l’uomo nella sua totalità e individualità, nell’unità di tutti i suoi atti e ha per correlato costitutivo il mondo e la partecipazione emotiva alla vita delle altre persone; per Wojtyla non può esistere l’uomo senza il Creatore.         

 

Wojtyla cercò dei punti d’incontro con Scheler, così come si evince dall’opera Valutazioni sulla possibilità di costruire l’etica cristiana sulle basi del sistema di Max Scheler, ma ben presto si rese conto che nulla poteva essere costruito, poiché le due strade erano destinate a seguire percorsi diversi. Wojtyla con la sua profonda visione evangelica ribalta completamente il pensiero scheleriano. Per l’interprete di Scheler Dio altro non è che il Maestro e l’uomo il suo discepolo, che si affida e confida in Lui e che lo sprona al miglioramento e al bene.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

G. Reale, Socrate. Alla scoperta della sapienza umana, Rizzoli, Milano 2000 (Il passo citato è tratto da Platone, Alcibiade maggiore, 130 E).

Agostino, Le Confessioni, Città Nuova, 2000.

J. Patočka, Platone e l’Europa, a cura di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano 1997.

Tommaso d’Aquino, Summa Theologica (ed. italiana La Somma teologica: testo latino dell’edizione leonina, trad. e commento a cura di Domenicani Italiani, 33 voll., Salani Firenze - Ed. Studio Domenicano, Bologna 1972-1992.

L’Universale, Filosofia, Le Garzantine.

K. Wojtyla, Persona e Atto, prima traduzione italiana a cura di A-T. Tymieniecka, traduzione di S. Morawski, R. Panzone, R. Liotta, introduzione all’edizione italiana di A. Rigobello, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1982.

P. Terenzi, “Kant, se tu, Husserl, San Tommaso ed Io” Dall’Università Jagellonica di Cracovia alla soglia di Pietro: debiti e originalità di una filosofia morale a volte incompresa”.

E. Husserl, Die Idee Phänomenologie. Fünf Vorlesungen, 1907; trad. a cura di C. Sini, Laterza, Roma-Bari, 1992.

M. Heidegger, Il concetto di tempo, Adelphi.

G. Reale – D. Antiseri, La Filosofia nel suo sviluppo storico, vol. 3 Dal Romanticismo ai giorni nostri, Ed. La Scuola, Brescia1994.

M. Scheler, Il formalismo nell’etica, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1913.

G. Reale, Saggio Introduttivo, Karol Wojtyla Metafisica della Persona, Bompiani, Milano 2003.

K. Wojtyla, Perché l’uomo. Scritti inediti di Antropologia e Filosofia, Invito alla lettura di M. Serretti, Leonardo, Milano, 1995.

Aristotele, Metafisica, a cura di G. Giannantoni, Roma-Bari, Laterza, 1973.

K. Wojtyla, Valutazioni sulla possibilità di costruire l’etica cristiana sulle basi del sistema di Max Scheler, prima traduzione italiana di Sandro Bucciarelli, Logos, Roma 1980.

M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo, a cura di G. Cusinato, FrancoAngeli, 1928.

A. Escher Di Stefano, Max Scheler moralista e sociologo, CUECM 1990.

F. Bosio, Natura e cultura nell’antropologia filosofica contemporanea. Il pluralismo delle culture e delle civiltà, estratto da Atti dei Convegni annuali “Il problema della diversità: Natura e cultura” a cura di Francesco Bellino, Editrice “Abelardo”, Roma, 1996.

Acta Philosophica - rivista internazionale di filosofia, fascicolo I - volume 15 - anno 2006, Pisa * Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali MMVI.

M. Scheler, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, Prima versione italiana integrale, San Paolo, 1996.

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