filosofia & religione
UN FILOSOFO DI NOME KAROL
WOJTYLA E
L’INCONTRO CON MAX SCHELER
di Simonetta Satornino
Karol Wojtyla nasce a Wadowice (Kraców)
nel 1920. Si iscrive nel 1938 alla
Facoltà di Lettere e Filosofia, mentre
lavora come operaio nelle cave di pietra
a Zakrzówek, presso Cracovia, evitando
cosi la deportazione nel Terzo Reich
tedesco. Morto anche il padre e rimasto
solo, nel 1941, viene trasferito dalla
cava alla fabbrica Solvay.
Frequentò i corsi clandestini della
facoltà di Teologia dell’Università
Jagiellonica di Cracovia e, successivamente,
si iscrisse all’Angelicum di Roma,
conseguendo la licenza in Teologia. Fece
ritorno in Polonia dove conseguì la
libera
docenza in Teologia.
Abolita la Facoltà di Teologia
dell’Università Jagellonica, venne
istituita la Facoltà Teologica presso il
seminario di Cracovia, dove il giovane
Wojtyla continuò la docenza. Presso
l’Università Cattolica di Lublino
divenne titolare della
Cattedra di Etica.
Durante gli anni dell’insegnamento ebbe
modo di approfondire vari aspetti
filosofici e divenne autore di vari
scritti, di cui ricordiamo
Valutazioni sulla possibilità di
costruire l’etica cristiana sulle basi
del sistema di Max Scheler,
Amore e Responsabilità. Studio di
morale sessuale e vita interpersonale”,
“L’uomo nel campo della
responsabilità.
L’opera filosofica più importante di
Wojtyla è Persona e Atto, che fu
pubblicata nel 1969 e in edizione
definitiva (riveduta e corretta) nel
1994. Le fonti sono quelle della
tradizione cristiana, ma non solo:
amando profondamente Socrate, da
cui apprese che «L’anima ci ordina di
conoscere colui che comanda: “Conosci te
stesso”» e traducendolo in invito
per proseguire i suoi approfondimenti
antropologici; da Agostino
assorbì che la persona nel suo autentico
spessore ontologico e assiologico nasce
solo da un incontro fra Dio e l’uomo che
nelle Confessioni fu tradotto in
un nesso strutturale fra Dio come
persona e uomo come persona; di
Aristotele approfondì il principio
della realtà, e quindi il problema
dell’essere, in dimensione ontologica;
ciò che viene chiamato in causa da
Patočka il «mostrarsi delle cose» e il
loro «venire portate a parola» e che,
infine, Tommaso applica
all’essere capovolgendone le
affermazioni fatte con categorie desunte
dalla stessa metafisica aristotelica e
affermando che la persona, come realtà
razionale, è «ciò che c’è di più
perfetto in tutta la natura».
Wojtyla operò un continuo confronto col
passato, e con~filosofò con i più
importanti pensatori moderni, tra cui
Hegel – che fu il fautore della
fenomenologia dello Spirito, affermando
che «il sapere che l’uomo ha di Dio e
dell’Assoluto si realizza in un processo
triadico che si attua attraverso l’arte
(con l’intuizione estetica), la
religione (con la rappresentazione
connessa con la fede) e la filosofia
(con il puro concetto)» – ma soprattutto
con Scheler, precisando di
esserne debitore soprattutto
nell’interpretazione realistica della
fenomenologia.
Wojtyla ebbe un metodo espositivo e
argomentativo di tipo fenomenologico.
Infatti, egli amava dire che «Avere
un appropriato rapporto con l’esperienza
significa anche servirsi di esempi (la
dedizione materna ai figli, l’esperienza
dell’innamoramento, le gesta di
commilitoni in battaglia…) che i giovani
possono comprendere perché per loro
familiari».
In altri termini, Wojtyla non partì dal
concetto metafisico di persona per
dedurne gli atti, ma parte da una
dettagliata analisi degli atti per
giungere alla persona. E ancora egli non
partì da una trattazione di carattere
etico-sistematico, piuttosto prese le
mosse dall’analisi dell’esperienza, che
fa comprendere a fondo l’agire umano,
che è il sommo grado rivelativo della
persona. Si tratta quindi di un lavoro
di carattere squisitamente
antropologico, in senso non psicologico
o sociologico, ma in senso fortemente
filosofico.
Wojtyla avviò «uno studio analitico
della fenomenologia di Max Scheler, di
cui accetta il metodo, mentre ne critica
le conclusioni». Wojtyla non si occupò
di tutto il pensiero di Scheler –
soprattutto perché non ne condivideva le
conclusioni cui giungeva – ma ebbe modo
di condividerne il metodo, quello
fenomenologico, soprattutto
attraverso l’analisi attenta e minuziosa
dell’opera Il formalismo nell’etica e
l’etica materiale dei valori, che
contiene una proposta positiva di come
costruire l’etica dall’esperienza.
Certamente possiamo ipotizzare che
Wojtyla abbia approfondito filosofi come
Husserl – fautore della
fenomenologia – e Heidegger,
oltre a Scheler. Avrà, probabilmente,
condiviso con loro che l’analisi
fenomenologica altro non è che l’analisi
approfondita dell’essere, ma al tempo
stesso un metodo, mediante il quale
s’intende tornare alle cose stesse.
Certamente il pensiero del filosofo
Wojtyla sarà stato imperniato e
stuzzicato, da un lato dall’ontologia
(che studia le cose come sono) e
dall’altro dalla fenomenologia
(che studia le cose come appaiono).
Mentre Husserl ha dato alla
fenomenologia un carattere
idealistico-trascendentale in senso
sempre più marcato, Scheler, invece, ha
piegato la fenomenologia in senso
realistico, volgendo la sua analisi
verso il disvelamento di valori che
s’impongono come la luce all’occhio e il
suono all’orecchio nell’intuizione
emozionale.
«È stato detto da qualche fenomenologo,
a giusta ragione, che l’uomo s’impone,
proprio dal punto di vista strutturale,
come “luogo del fenomeno”, ossia quel
luogo in cui l’universo si mostra come
“manifestazione”, e quindi s’impone come
“custode del fenomeno». Wojtyla, in
quanto «fenomenologo realista», ritiene
che sussista un nesso strutturale
irreversibile fra “essere” e “fenomeno”:
ai fondamenti dell’essere si perviene
partendo da un’attenta analisi dei
fenomeni della coscienza, e la via
migliore per giungere all’essere è
proprio quella che passa attraverso
l’uomo, attraverso l’atto della persona.
Dalla ricca analisi fenomenologica
dell’atto, Wojtyla giunge alla “trascendenza”
della persona e, quindi, a
quell’elemento irriducibile dell’uomo,
che s’impone come meta-fenomenologico,
ossia come metafisico. L’esperienza
dell’agire non presuppone le diverse
mediazioni, né la persona, perché è
proprio l’atto a svelare la persona
nella sua dinamicità esistenziale, cioè
la persona rivela se stessa nel suo
agire.
Il metodo utilizzato da Wojtyla - come
lui stesso lo definisce -
transfenomenico, è una sorta di
unione organica tra fenomenologia e
metafisica aristotelico-tomistica. Egli
ritenne che la metafisica, in quanto
scienza dell’essere in generale,
coincida con l’ontologia e che la
definizione data ad essa da Aristotele,
ossia “scienza dell’essere in quanto
essere”, sia paradigmatica in senso
assoluto; inoltre la metafisica come
scienza del sovrasensibile è teologia
filosofica, che presuppone la fede.
Scorrendo le pagine dello scritto che
Wojtyla ha dedicato all’approfondimento
di Max Scheler Valutazioni sulla
possibilità di costruire l’etica
cristiana sulle basi del sistema di Max
Scheler, emerge chiaramente come
egli abbia preso in considerazione tutto
il sistema e il pensiero del filosofo
contemporaneo.
Wojtyla crede che il sistema di Scheler
cerchi di escludere o almeno limitare al
minino l’importanza del dovere, e di
reintegrare invece il più possibile
nella vita morale dell’uomo la sfera
emozionale, cosa che è congeniale a chi
come lui ha sempre messo al centro delle
sue meditazioni filosofiche l’uomo in
quanto tale: «Il pensiero scheleriano
è stato sempre incentrato sul problema
dell’uomo; egli è uno dei pensatori più
travagliati del primo Novecento; il suo
stesso temperamento non gli permetteva
di trovare periodi di piena stabilità,
portandolo verso una continua e
instancabile ricerca».
La persona raggiunge la sua grandezza
soltanto se esercita le facoltà dello
spirito, mentre si annulla quando agisce
in base alle funzioni vitali. La persona
è nei suoi atti perché è in grado di
esercitare i valori, è capace degli atti
che hanno per oggetto i valori. Scheler
non da una definizione precisa di
persona che è inoggettivabile e dunque
indefinibile; ma già nel testo Il
formalismo nell’etica e l’etica
materiale dei valori egli aveva
trattato questo punto affermando che la
persona non era né l’io penso kantiano,
né il mondo, né la sostanza, né l’anima,
né la ragione, ma l’uomo in quanto
soggetto spirituale, in quanto si
riferisce a dei valori. Egli «designa
come persona quel centro di atti entro
il quale lo spirito appare nelle sfere
dell’essere».
A tal proposito possiamo rilevare una
caratteristica del metodo fenomenologico
scheleriano, ovvero la comprensione
della persona scevra degli aspetti
negativi. Così, nelle pagine del testo
Posizione dell’uomo nel cosmo,
egli giunge a trattare dell’essenza
dell’uomo solo dopo aver detto che
questi è in grado di trascendere la
realtà: la sua essenza spirituale può
essere “intuita” (metodo fenomenologico)
solo dopo che sono stati asportati tutti
i limiti che lo costringono alla realtà.
«Scheler ricava dalla sua “antropologia
filosofica” conseguenze metafisiche
ultime. Esse si riassumono nell’idea che
l’uomo rappresenta l’apparizione e il
disvelamento di un principio divino
assoluto che conduce alla trascendenza
assoluta della vita su se stessa e al di
là di se stessa. L’antropologia
filosofica che si richiama al suo
pensiero non si pronuncia sugli esiti
speculativi ultimi della filosofia di
Scheler, perché preferisce limitarsi a
una considerazione
filosofico-scientifica intesa
soprattutto a fornire un fondamento
unificatore di carattere non
semplicemente «naturalistico» a tutte le
discipline che hanno per oggetto lo
studio dell’uomo».
«L’antropologia filosofica – scheleriana
– ha come oggetto l’uomo quale fautore e
portatore dinamico di cultura. L’uomo
con le sue motivazioni, le sue mete, i
suoi sistemi di valori, la sua
disponibilità verso il reale, i suoi
atteggiamenti, l’uomo, in definitiva,
come creatore di forme culturali e
creatura culturalizzata».
«Scheler definisce l’antropologia
filosofica come una scienza fondamentale
dell’essenza e della struttura
eidetica dell’uomo, del rapporto che
essa ha con i diversi regni della natura
e con il principio di tutte le cose;
dell’origine metafisica della sua
essenza, come delle sue origini nel
mondo dal punto di vista fisico,
psichico e spirituale; delle forze e
potenze che agiscono sull’uomo e sulle
quali l’uomo agisce».
Wojtyla, per contro, sviluppa il
discorso cercando di analizzare le
caratteristiche dell’uomo che spesso e
volentieri sono ignorate dalle scienze
naturali, giungendo pertanto a
conclusioni differenti rispetto Scheler.
L’uomo non va considerato solo ed
esclusivamente facente parte di una
specie naturale, ma va innalzato
ontologicamente a persona.
«Persona non al singolare ma al plurale,
giacché ogni persona comunica con tutte
le altre. Ciò si osserva sia nel fatto
che la verità della persona contiene il
bene di tutte le persone, sia nella sua
apertura ad altre persone, come si
evince dai fenomeni della
partecipazione, della solidarietà e,
soprattutto, dalla donazione».
In conclusione possiamo affermare che
sia Scheler che Wojtyla abbiano sempre
rivolto uno sguardo attento verso
l’uomo. La loro antropologia si è
rivolta all’approfondimento di temi che
sono sempre attuali, quali l’amore, la
sequela, la condivisione. Il filo
tematico che ha legato i due filosofi si
è spezzato, ben presto, pur mantenendo
al centro l’uomo: per Scheler la persona
è l’uomo nella sua totalità e
individualità, nell’unità di tutti i
suoi atti e ha per correlato costitutivo
il mondo e la partecipazione emotiva
alla vita delle altre persone; per
Wojtyla non può esistere l’uomo senza il
Creatore.
Wojtyla cercò dei punti d’incontro con
Scheler, così come si evince dall’opera
Valutazioni sulla possibilità di
costruire l’etica cristiana sulle basi
del sistema di Max Scheler, ma ben
presto si rese conto che nulla poteva
essere costruito, poiché le due strade
erano destinate a seguire percorsi
diversi. Wojtyla con la sua profonda
visione evangelica ribalta completamente
il pensiero scheleriano. Per
l’interprete di Scheler Dio altro non è
che il Maestro e l’uomo il suo
discepolo, che si affida e confida in
Lui e che lo sprona al miglioramento e
al bene.
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culture e delle civiltà, estratto da
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cura di Francesco Bellino, Editrice
“Abelardo”, Roma, 1996.
Acta Philosophica - rivista
internazionale di filosofia, fascicolo I
- volume 15 - anno 2006, Pisa * Roma,
Istituti editoriali e poligrafici
internazionali MMVI.
M. Scheler, Il formalismo nell’etica
e l’etica materiale dei valori,
Prima versione italiana integrale, San
Paolo, 1996. |