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N. 88 - Aprile 2015 (CXIX)

Il torneo di Wimbledon
Tra storia e tradizione - parte IV

di Francesco Agostini

 

Come in tutti gli sport, anche nel tennis ciò che rende ancor più unica una competizione è la rivalità fra due campioni: è grazie ad essa che il pubblico riesce a trovare la forza per parteggiare per l’uno o per l’altro, chiunque esso sia. Odierà uno e amerà l’altro, come da tradizione. Il tennis e la sua storia è stracolma di rivalità del genere che il più delle volte ha avuto come scenario proprio la verde erba di Wimbledon.

 

A partire dalla metà degli anni ottanta una di queste fu rappresentata dal tedesco Boris Becker e dallo svedese Stefan Edberg. Esplosivo, tanto esuberante e potente il primo (a tal punto da essere soprannominato “Bum Bum” per la forza dei suoi colpi), quanto pacato, signorile ed elegante il secondo, un tipico gentleman svedese d’altri tempi.

 

I due avevano lo stesso sistema di gioco, aggressivo e d’attacco alla rete, particolarmente adatto all’erba inglese. Lo svedese e il tedesco duellarono a Wimbledon per tre anni consecutivamente, nel 1988, 1989 e 1990; lo svedese ne vinse due su tre, aggiudicandosi il torneo nel 1988 e nel 1990.

 

Nel campo femminile, invece, il pubblico inglese assistette a uno scontro in famiglia tra le sorelle Williams, Venus e Serena. Entrambe cresciute nelle “badlands”, nei cosiddetti ghetti, si dettero battaglia a lungo e spesso alla pari perché tutt’e due dotate di grande potenza fisica, un buon servizio e colpi da fondocampo molto solidi.

 

Venus, la più grande, si affacciò al tennis per prima ma, essendo meno intrisa di talento, fu costretta a vedere la sorella alzare coppe molto più spesso di lei, nonostante essa stessa fosse un’ottima giocatrice.

 

Nello specifico però, per quanto riguarda Wimbledon, le sorelle Williams vantano lo stesso numero di trofei, cinque a testa, vinti tutti negli anni duemila. In parole povere, le sorelle statunitensi hanno praticamente dominato l’inizio di un secolo.

 

Sempre in campo WTA, un’altra rivalità storica è stata quella fra la tedesca Steffi Graf e la spagnola Arantxa Sánchez Vicario. La Graf aveva dalla sua un diritto potentissimo e un rovescio liftato con cui destabilizzava le avversarie cambiandole il ritmo di gioco, mentre la spagnola aveva proprio nel ritmo e nella capacità di non sbagliare il suo punto di forza.

 

Si affrontarono a Wimbledon per due volte consecutive, nel 1995 e nel 1996 e in tutt’e due la Graf si dimostrò più forte. Anche se la Sánchez poteva vantare un coraggio e una tenacia unica, la tedesca le era semplicemente superiore e con la sua classe chiuse le porte dell’erba inglese alla coriacea spagnola.

 

Più recentemente, un acceso confronto si è visto fra quello che è considerato il più grande tennista di tutti i tempi, Roger Federer, e il suo più acerrimo rivale, il maiorchino Rafael Nadal. Classe pura il primo, potenza e ferocia agonistica il secondo.

 

I due si sono sfidati in innumerevoli finali ma le più belle sono sicuramente state quelle di Wimbledon del 2007 e del 2008.

 

La prima vide trionfare Federer dopo un’estenuante battaglia finita al quinto set. Ancor più dura quella del 2008, considerata dai massimi esperti di tennis come la più bella finale di tutti i tempi: una battaglia epica che durò addirittura quattro ore e quarantotto minuti, con continui cambi di fronte e incredibili colpi di scena. Alla fine trionfò Nadal, conquistando il suo primo Wimbledon in carriera.

 

Oltre alle rivalità, l’erba inglese negli ultimi anni ha avuto anche dei veri e propri dominatori e dei beniamini.

 

Tra i dominatori spiccano sicuramente l’americano Pete Sampras e il già citato Federer, entrambi vincitori di ben sette edizioni a testa. Sampras cancellò qualsiasi avversario negli anni novanta tranne che nel 1996, quando uscì prematuramente nel tabellone, lasciando la vittoria all’olandese Richard Krajicek.

 

Per il resto fu un dominio assoluto, come d’altronde per lo svizzero Roger Federer, capace di giocare bene sia a rete che a fondo campo, unendo il tutto con una classe e un’eleganza unica. Nessuno aveva mai giocato come Roger.

 

Infine, i beniamini di casa. Negli anni novanta l’idolo degli inglesi fu Tim Henman, un ottimo giocatore di volo, capace di arrivare a essere anche il numero quattro del ranking ATP.

 

Henman fu un vero e proprio mito per gli inglesi, tanto che gli spettatori che si trovavano appena fuori i campi di Wimbledon e che seguivano le sue gesta su un maxi schermo, ribattezzarono la collina dove erano seduti “Henman Hill”.

 

L’inglese, chiamato anche “Timbledon”, arrivò quattro volte in semifinale ma non andò mai oltre. L’altro beniamino, lo scozzese Andy Murray, riuscì invece a vincere il torneo nel 2013, rompendo anni e anni di digiuno britannico. Il pubblico inglese, così generoso e caldo, meritava davvero che qualcuno lo facesse sorridere di nuovo.



 

 

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