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N. 85 - Gennaio 2015 (CXVI)

Il torneo di Wimbledon
Tra storia e tradizione - parte I

di Francesco Agostini

 

Se doveste chiedere a un tennista quale torneo gli piacerebbe vincere un giorno, la maggior parte di essi vi risponderebbe senza esitazione: “Wimbledon!”.

 

I Championships inglesi, infatti, sono universalmente riconosciuti come i più prestigiosi a livello mondiale ed è solo quando un tennista si può fregiare di aver vinto questo titolo che si può veramente definire un campione.

 

Ma perché tutta quest’aura di sacralità intorno a questo Slam? Le ragioni sono molteplici e vediamo, riassumendo, di citarne le più importanti.

 

Senza ombra di dubbio un fattore che ha contribuito è stata sicuramente la superficie dove viene giocato, ossia l’erba. Al giorno d’oggi pochissimi tornei vengono disputati sull’erba, fra cui il Queens (sempre in Inghilterra) e Halle, che si tiene in Svizzera, fra i più conosciuti.

 

Giocare sull’erba sta diventando sempre più raro e le città che ospitano questi eventi sonno sempre più delle mosche bianche. Ciò che influisce a rendere l’erba un terreno poco praticabile è la cura dovuta e il sempre crescente costo che i campi richiedono per la manutenzione.

 

Man mano che si gioca, infatti, l’erba viene “rovinata” dai tennisti, tant’è che quando si arriva alla finale i campi sono ormai ridotti a terriccio, misto a qualche zona verde, solitamente quella meno battuta dai giocatori, ossia i corridoi laterali. È chiaro dunque che dover rinzollare completamente tutti i campi dopo appena due settimane o meno di torneo comporta dei costi che non tutti gli organizzatori possono permettersi.

 

Ma l’erba ha anche i suoi vantaggi. In primis, il gioco. Essendo una superficie veloce e con un rimbalzo irregolare, è difficile vedere scambi prolungati da fondocampo come sulla terra rossa; chiaramente quindi, i tennisti sono spinti a venire a prendersi il punto a rete, giocando uno spregiudicato serve and volley. In conclusione, scambi rapidi e spettacolari.

 

C’è dell’altro, ovviamente. Wimbledon, come tutta l’Inghilterra, è soggetta a frequenti e insistenti piogge. La più comune è quella che viene definita dai britannici “light rain”, pioggia leggera, fine e insistente, che può prolungarsi anche per una giornata intera, rendendo ovviamente impossibile giocare a tennis.

 

È in quel momento che scatta l’organizzazione perfetta dei Championships: appena cadono le prime gocce di pioggia, una squadra ben allenata si prodiga per coprire tutti i campi con un imponente telo verde, volto a non far bagnare l’erba.

 

Dunque, le interruzioni. La storia di Wimbledon è piena di partite (anche finali) che probabilmente senza l’arrivo della pioggia sarebbero finite in un altro modo: spesse volte è capitato che chi stesse perdendo, grazie alla pioggia ha avuto modo di fermarsi un attimo e schiarirsi le idee, per poi vincere agevolmente alla ripresa delle ostilità.

 

Accade anche negli altri tornei, è vero, ma mentre nelle altre realtà questo è un fattore molto raro, a Wimbledon la pioggia è la norma. Accade immancabilmente tutti gli anni.

 

Poi, il folklore. Fattore importantissimo nel torneo inglese sono i colori e, nello specifico, quelli ufficiali sono il verde e il viola. Tutti gli addetti ai lavori, uomini e donne, sono tenuti a indossare la classica tenuta verde; ognuno di loro, dal giudice di sedia, ai giudici di linea, ai raccattapalle fino ad arrivare ai semplici bigliettai, è tenuto a rimanere fedele alla tradizione indossando gli storici colori sociali di Wimbledon.

 

La stessa cosa avviene anche per i tennisti, e questa è la vera e propria eccezione.

 

Tutti loro, infatti, sono obbligati a vestirsi interamente di bianco. Questa restrizione sui colori è un fattore unico in tutto il circuito: da nessun’altra parte, infatti, vigono norme restrittive sull’abbigliamento dei giocatori. Esiste solo a Wimbledon.

 

Ed è un bene: nessun abbinamento strano pantaloncini-maglietta, nessuna fascetta o cappello di dubbio gusto. Il bianco, così classico ed elegante allo stesso tempo, dà un tocco d’importanza e tradizione al torneo inglese, rendendolo ancora più affascinante e magico.

 

Ma non è finita qui. Le donne vengono annunciate dagli altoparlanti con un arcaico “Mrs.” prima del cognome e sono tenute, all’inizio e alla fine di ogni match a fare il cerimonioso inchino, un vero e proprio unicum nel mondo del tennis e dello sport in generale.

 

Un’ultima curiosità sono le rinomatissime (e a quanto sembra deliziose) fragole di Wimbledon. Esse vengono coltivate in vista dei Championships, affinché, proprio durante le due settimane del torneo giungano alla loro piena maturazione; a quanto pare sono stati proprio i tennisti ad alimentare questa particolare tradizione, essendone ghiotti per la stragrande maggioranza.

 

Un ultimo accenno merita l’aspetto statistico del trofeo inglese. Nel singolare maschile a guidare la classifica ci sono tre atleti di grandissimo spessore come William Renshaw, Pete Sampras e Roger Federer che si sono aggiudicati ben sette vittorie a testa.

 

Fra le donne, invece, la regina incontrastata è la statunitense Martina Navrátilová con addirittura nove Wimbledon conquistati; appena dietro Helen Wills Moody con otto e la più attuale Steffi Graf con sette.

 

Ma il record più bello forse è quello stabilito da Boris Becker nel 1985, quando trionfò alla tenera età di diciassette anni e duecentoventisette giorni, facendo di se stesso il più giovane vincitore di sempre.

 

Ci sarà mai, un giorno o l’altro, qualcuno in grado di battere il record dell’asso tedesco?

 

Per il momento pare proprio di no ma siamo fiduciosi: con Wimbledon le sorprese sono sempre dietro l’angolo.



 

 

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