William Harvey e
la
circolazione
sanguigna
De motu cordis et sanguinis
di Andrea
Fatticcioni
L’interpretazione secondo cui la
scienza moderna avrebbe avuto
origine da un rifiuto generalizzato
delle concezioni aristoteliche ha
ricevuto impulso da studi sulla
rivoluzione nella fisica durante il
XVII secolo. Tuttavia, questa
visione non può essere estesa a
tutti i campi che sarebbero poi
confluiti nella concezione
contemporanea di sapere scientifico.
In particolare, risulta errata se
applicata alle discipline mediche,
biologiche e naturalistiche: i
progressi in botanica e zoologia di
aristotelici come Andrea Cesalpino
(1519-1603), Ulisse Aldrovandi
(1522-1605) e Guillaume Rondelet
(1507-1566) basterebbero a smentire
quest’idea. Il miglior esempio è
però quello dello scopritore della
circolazione sanguigna e fondatore
della moderna fisiologia: il medico
inglese, dichiaratamente
aristotelico, William Harvey
(1578-1657).
Nato da una famiglia agiata, potè da
subito dedicarsi agli studi e
conseguì la laurea in medicina nel
1602. Medico di corte sotto Giacomo
I, la sua vicinanza agli ambienti di
corte gli valse l’ostilità dei
rivoluzionari durante la guerra
civile inglese e nel 1642 la sua
abitazione fu saccheggiata. La
conseguente distruzione di molti dei
suoi scritti rende tutt’oggi
difficile la ricostruzione di una
sua biografia intellettuale.
La doxa medica nelle
università europee era, nel
Cinquecento, ancora largamente
basata sui testi di Galeno di
Pergamo, medico del II secolo d.C.,
la cui autorità aveva superato anche
quella del Corpus Hippocraticum.
Neppure l’apparizione negli atenei
italiani dell’anatomia – basata
sulla prodigiosa opera di Andrea
Vesalio (1514-1564) – aveva
intaccato la millenaria fisiologia
galenica. L’impostazione fisiologica
finalistica continuava a dominare
incontrastata. Per Galeno, il
funzionamento dell’organismo seguiva
una struttura triadica, dove al
fegato era deputata la funzione
ematopoietica, ovvero di produzione
del sangue, mentre cuore e cervello
servivano rispettivamente a generare
calore e spiriti animali. Centrale è
la distinzione tra sangue arterioso
e venoso, che potevano incontrarsi
solo all’interno del cuore (Galeno
ignora il transito polmonare del
sangue).
Quindi, il sistema cardio-vascolare
galenico era il seguente: il sangue
veniva prodotto nel fegato e
distribuito dalla vena cava a tutte
le parti del corpo. Passando dal
cuore, il sangue si carica di
spiriti vitali diventando sangue
arterioso e si riversa nuovamente in
tutto il corpo. In questo sistema
era assente l’idea di un apparato
circolatorio: il sangue veniva
continuamente consumato e sostituito
da sangue nuovo; d’altronde,
qualificando diversamente i due tipi
di sangue – venoso e arterioso – non
sarebbe stato possibile altrimenti.
Questa fisiologia fu legge fino
all’inizio dell’epoca moderna,
quando, non senza violente
resistenze per tutto il Seicento, fu
confutata da Harvey.
L’attacco alle posizioni galeniche
arrivò dalla filosofia, da una
ripresa di principi e metodi
aristotelici. Spesso, la difesa di
posizioni aristoteliche è associata
alla prevalenza dell’autorità sui
sensi e questo è sicuramente vero se
riferito al caso di Galileo, la cui
lotta contro la Chiesa può essere
letta in termini di una
rivendicazione dell’autonomia della
ragione e dell’esperienza. Tuttavia,
Harvey seppe unire le speculazioni
della filosofia aristotelica con gli
strumenti della nuova scienza:
l’osservazione anatomica, la
vivisezione, l’approccio
quantitativo. Harvey aderiva al
vitalismo naturalistico di
Aristotele ma questo non lo fermò
dall’adozione di una ricerca
sperimentale. L’Harvey “storico” è
insieme scienziato moderno e
filosofo aristotelico e riconoscere
la distanza con i suoi predecessori
non deve servire a collocarlo
pretestuosamente solo tra i primi.
Il trattato anatomico di Harvey,
De motu cordis et sanguinis, è
diviso in due parti: la prima
dedicata al moto del cuore, la
seconda a quello del sangue,
entrambe rivoluzionarie.
Particolarmente importante è la
spiegazione della pulsazione
cardiaca e arteriosa: all’idea
galenica di una «facoltà pulsante»
insita nel cuore e nelle pareti
delle arterie, Harvey sostituisce la
correlazione fisico-meccanica tra il
moto del sangue e la contrazione del
cuore. A loro volta, le arterie si
dilatano perché ospitano il sangue e
non perché sono dilatate da una
facoltà intrinseca. Per Harvey, il
sangue si accumulerebbe al centro
dell’organismo se non intervenisse
un impulso proporzionato in senso
centrifugo fornito dal cuore.
L’impostazione meccanicista della
circolazione è un aspetto in cui la
storiografia positivista ha
identificato la modernità
dell’autore inglese. Tuttavia, il
meccanicismo risulta marginale nel
contesto di un’opera spiccatamente
vitalista. Il cuore è fonte della
vita, non semplicemente un muscolo
“idraulico”.
Riprendendo, con diverse modifiche,
le intuizioni di autori come
Giordano Bruno e Michele Servedo,
Harvey descrive il principio del
transito polmonare del sangue dalle
vene alle arterie. Harvey si domanda
quindi quale sia la quantità e la
provenienza del sangue che,
attraverso il ventricolo sinistro,
si riversa nelle arterie. La
scoperta della circolazione fu
dapprima il risultato di
un’intuizione, che solo
successivamente trovò conferma
tramite prove sperimentali; non fu
quindi conseguente a osservazioni
anatomiche. Come si può descrivere
questa intuizione? Harvey ammette
senza problemi che il fascino
dell’ipotesi circolatoria derivi
dall’analogia con il principio,
prima aristotelico poi
rinascimentale, di un’analogia tra
macrocosmo e microcosmo, legati da
moti circolari: Harvey estendeva
intuitivamente aspetti della
cosmologia aristotelica sulla
fisiologia. Il cerchio è simbolo di
perfezione, ritorno e armonia, come
testimoniato dal moto dei pianeti e
dall’alternarsi delle stagioni.
A questa fase, caratterizzata da un
approccio coerente alle posizioni
dei suoi predecessori, segue però
una sistematica dimostrazione delle
sue tesi, che non è errato definire
scientifica e che costituisce parte
della modernità dell’autore. Anzi,
la fisiologia moderna nasce proprio
dall’integrazione del concetto
secolare di circolarità del vivente
con l’operatività sistematica e
scientifica.
Due prove fondamentali vengono
addotte da Harvey per dimostrare la
circolazione sanguigna. La prima
ricorre a un calcolo della quantità
di sangue spinta dal cuore
nell’aorta in una determinata unità
temporale. La cifra, calcolata sulla
base delle pulsazioni e della
velocità di scorrimento,
risulterebbe incompatibile con la
quantità che potrebbe essere
prodotta attraverso il cibo, oltre a
superare ampiamente le necessità di
nutrimento del corpo. La seconda
prova si basa sulle legature
vascolari e dimostra che il sistema
venoso costituisce il naturale
percorso di ritorno del sangue al
cuore. Ostruendo artificialmente le
vene sotto il cuore di serpenti e
pesci, si osserva un rapido
svuotamento del cuore; al contrario,
ostruendo le arterie si incorre in
una congestione del muscolo
cardiaco. In entrambi i casi l’esito
è la morte dell’animale, ma nel
primo caso per carenza di sangue nel
cuore, nel secondo caso per eccesso.
Il De motu cordis et sanguinis
ha una conclusione quasi
mistica, in cui sono celebrate la
centralità del cuore e il genio
aristotelico. Il cuore è il centro
dell’organismo perché, come
affermato dal filosofo stagirita, è
epigeneticamente il primo organo a
formarsi ed è già visibile
nell’embriogenesi. Il cuore si
configura come «il fondamento della
vita» e « il signore di tutto ciò
che è connesso alla vita», in
analogia con il Sole, centro
dell’Universo e con il Re, che
simboleggia e incarna l’unità del
corpo sociale.
Riferimenti bibliografici
Paolo Rossi [Ed.], Storia della
Scienza. Vol. 1. La Rivoluzione
Scientifica: dal Rinascimento a
Newton, Gruppo Editoriale
L’Espresso, Torino 1988.
Sherwin Nuland, I figli di
Ippocrate. Storia della medicina
dagli antichi greci ai trapianti
d’organo, Mondadori, Milano 1992.