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N. 89 - Maggio 2015 (CXX)

War Films
Il cinema di guerra per riflettere sul senso della pace

di Vincenzo Grienti

 

A cento anni dallo scoppio della Grande guerra e a 70 anni dalla Liberazione, la Società italiana di storia militare (Sism) e l’editrice Acies di Milano scattano un ciak originale e inedito attraverso i maggiori storici militari italiani e gli esperti di cinema per approfondire un genere molto seguito non solo dagli appassionati ma anche dal grande pubblico. Il volume, dal titolo “War Films. Interpretazioni storiche del cinema di guerra”, è inserito nella collana di Quaderni della Sism (35 euro) e invoglia il lettore a riscoprire lo studio storico-militare di un genere cinematografico.

 

“L’obiettivo di questa pubblicazione è lo studio del binomio guerra-cinema con gli strumenti della ricerca scientifica, secondo una prospettiva fortemente multidisciplinare, vista la pluralità di approcci che tale accostamento consente – spiega il curatore Stefano Pisu -. Già di per sé, infatti, il cinema e la guerra costituiscono fenomeni trasversali alle scienze umane e sociali. Indagarle insieme apre ulteriori piste e interpretazioni, che riteniamo irriducibili a un esclusivo campo del sapere”.

 

Tuttavia, sostiene lo storico Virgilio Ilari, presidente della Società italiana di storia militare, bisogna constatare che “in Italia rispetto ad altri paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna gli studi scientifici sui complessi rapporti fra guerre e rappresentazione audiovisiva, cinematografica in primis, ma non solo, sono emersi più tardi, restando quantitativamente limitati.

 

Preceduti nel 1984 da un semplice repertorio, i contributi italiani allo studio del cinema di guerra si sono sviluppati solo dagli anni Novanta, dando al tema dignità accademica. Peraltro – prosegue Ilari – gli studiosi coinvolti in questi pochi lavori, anche quando collettanei, appartenevano spesso allo stesso macrosettore disciplinare, solitamente la storia del cinema, con la conseguenza di circoscrivere l’analisi nei confini del proprio terreno privilegiato di studio”.

 

La pubblicazione, che si inserisce nei Quaderni che ogni anno pubblica la Sism, ospita contributi di studiosi di diverse generazioni e di personalità riconosciute che nella loro carriera hanno aperto nuovi orizzonti di indagine.


Diverse le sezioni del volume, a partire da “studiare i war films” che si propone di fissare coordinate fondamentali per un approccio scientifico al cinema di guerra. Da questa sezione emerge la rilevanza primariamente sociale e politica, nonché economica, del documento audiovisivo di carattere bellico come fonte importante anche per una moderna storia militare.


La sezione “tempi di guerra” affronta il ruolo del cinema quale strumento per la mobilitazione nei regimi totalitari e nelle democrazie del Novecento, mentre la sezione “l’arma più forte” parte dal noto slogan mussoliniano per focalizzarsi sul caso italiano e in particolare sul periodo fascista per ripercorrere l’importanza accordata dal regime alla produzione filmica circa le tre principali guerre in cui fu coinvolto, dal punto di vista ideologico, quando non strettamente militare.

 

A parte, infatti, la guerra imperialista in Abissinia e il secondo conflitto mondiale, la sezione evidenzia come i documentari Luce tentarono di contribuire con le immagini in movimento al rafforzamento nella società italiana del culto della grande guerra, che era uno dei capisaldi del discorso ideologico e mitopoietico del regime.

 

I contributi mostrano poi gli interessi – talvolta divergenti – fra le istanze politiche, militari e cinematografiche quando si trattò di elaborare un’immagine socialmente accettabile, sia documentaria che di finzione, dell’Italia e degli italiani in guerra.


La sezione “autori e sottogeneri” riunisce delle categorie tradizionalmente antagoniste nella teoria del cinema, ma qui accomunabili dal medesimo oggetto di indagine. La sezione “cinema impero” mostra come il cinema sia una fonte privilegiata per una storia culturale del colonialismo su scala globale e dei processi di elaborazione memoriale del passato imperiale nelle ex potenze coloniali europee.

 

I diversi contributi coprono nel complesso una produzione filmica ultracentennale, che va dagli inizi del XX secolo – e dalle origini dello stesso cinema – fino agli anni più recenti. Una tale prospettiva aiuta a comprendere quali immagini e discorsi iconografici di quell’esperienza furono prodotti nei paesi coinvolti come (ex) colonizzatori e il loro evolversi.

 

La testimonianza postuma di Marcello Gatti (1924-2013), direttore della fotografia de “La Battaglia di Algeri”, arricchisce la sezione svelando la genesi di uno dei più importanti film non solo del filone post coloniale, ma dello stesso cinema di guerra.


La sezione “comparazioni e coproduzioni” rappresenta una prospettiva originale per un approccio alla storia culturale internazionale capace di allargare la tradizionale chiave politico-diplomatica: si indaga così la circolazione transnazionale di scritture filmiche delle guerre in grado di sedimentarsi nell’immaginario collettivo con una capacità di presa sul pubblico molto maggiore rispetto agli studi storici-militari specialistici.


La sezione “altri schermi” potrebbe essere un’anticipazione su come proseguire una ricerca ad ampio spettro sul ruolo dei media audiovisivi nel (ri)costruire le guerre. Un interessante campo d’indagine riguarda la rimediazione del materiale cinematografico preesistente operata dalla televisione e il suo contributo alla definizione di un nuovo immaginario bellico.

 

Il contributo di Philip Taylor (1954-2010) è importante sia perché scritto da uno dei principali studiosi mondiali dell’argomento, sia perché è esso stesso una testimonianza di come la novità rappresentata dalla copertura live della prima guerra del Golfo avesse stimolato anche una instant research a livello internazionale.

 

Sono studiate poi altre forme in cui la televisione ha espresso prodotti a tema bellico: dagli anime giapponesi – le cui radici affondano nel trauma atomico e che hanno modellato l’immaginario guerresco di intere generazioni di giovani, anche italiani, nei decenni precedenti – alle serie televisive attuali, che sono fra i prodotti di maggior successo dell’industria dell’entertainment televisivo e che nel caso di The Americans reinterpretano la ‘seconda guerra fredda’ sulla scia dei casi reali di spie illegals e delle rinnovate tensioni russo-americane degli ultimi anni.

 

Gli ultimi interventi riguardano il modo in cui i video prodotti dal fondamentalismo qaedista possano essere interpretati non solo come rappresentazioni del terrorismo jihadista ma come autentiche forme di rappresentanza di quello nell’arena mediatica, mentre la riflessione sulla piattaforma di YouTube mostra il suo ruolo al contempo di archivio ricchissimo delle guerre del XX secolo e di “teatro di guerra” multipolare dei conflitti più recenti.



 

 

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