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N. 73 - Gennaio 2014 (CIV)

IL CASO JEAN CALAS
LA CONDANNA CHE INDIGNÒ VOLTAIRE

di Silvia Mangano

 

“L’assasinio di Calas, commesso a Tolosa con la spada della giustizia, il 9 marzo 1762, è uno degli avvenimenti più singolari che meritano l’attenzione dell’età nostra e della posterità”. Con queste parole Voltaire apre il suo libello Trattato sulla tolleranza. Che cos’è la tolleranza? “È l’appannaggio dell’umanità. Siamo tutti impastati di debolezze e di errori: perdoniamoci reciprocamente le nostre sciocchezze, è la prima legge di natura” (Voce Tolleranza, Dizionario Filosofico - 1764).

 

Scorrendo tra le pagine del Dizionario Filosofico redatte da Voltaire, si nota che il concetto di tolleranza cammina di pari passo con quello della lotta al fanatismo religioso e di critica alle religioni “rivelate”.

 

Se si chiede a uno studente di storia, di pensare a un personaggio che descriva lo spirito di ogni secolo, giunto al diciottesimo lo scolaro pronuncerà senza tentennamenti “François-Marie Arouet”, conosciuto in arte col nome di Voltaire.

 

Con il suo razionalismo, portato alle estreme conseguenze dai rivoluzionari francesi, che innalzarono un altare alla dea Ragione, Voltaire contribuì con le sue idee e con i suoi scritti eleganti e taglienti alla condanna a morte di quel mondo descrivibile con il binomio “Trono e Altare”. Si può dire che fu lui a costruire il patibolo e ad affilare la ghigliottina che tagliò migliaia e migliaia di teste.

 

Al primo posto della sua polemica, spicca sempre il cristianesimo, soprattutto quello cattolico – chi non ha mai sentito il motto “écrasez l’Infâme”?

 

La Chiesa (l’Infame) rappresentava ai suoi occhi il massimo esempio di governo tirannico che esercita il proprio potere mantenendo il popolo dei fedeli nell’ignoranza e nell’irrazionalità.

 

Per cosa nasce allora il Trattato sulla tolleranza? Nasce dall’esigenza immediata di risvegliare la coscienza sopita dell’umanità. Nasce dall’intento del filosofo di istruire le menti degli uomini al libero pensiero. Nasce dall’utopia che gli uomini siano naturalmente portati a fare il bene e che per raggiungere un’armonia all’interno della società serva soltanto attivare i circuiti che collegano la logica con la ragione e la mente con il lato meno razionale che è in noi.

 

Voltaire viene a conoscenza della tragica storia della famiglia Calas e decide di utilizzare il caso per introdurre il pamphlet: “si trattava, in questo strano affare, di religione, di suicidio, di parricidio; si trattava di sapere se un padre e una madre avessero strangolato loro figlio per piacere a Dio, se un fratello avesse strangolato il fratello, se un amico avesse strangolato l’amico, e se i giudici dovessero rimproverarsi d’avere fatto morire sulla ruota un padre innocente, o di avere risparmiato una madre, un fratello, un amico colpevoli”.

 

Seguiamo Voltaire nello svolgimento dei fatti. Il 13 ottobre 1761 venne trovato il cadavere di un giovane, il suo nome era Marc-Antoine Calas, figlio maggiore del commerciante Jean Calas: il ragazzo era appeso a una corda “vicino al magazzino, […] in camicia, impiccato a una porta, e il suo vestito piegato sul banco; la camicia non era per nulla stropicciata, i capelli erano ben pettinati: non aveva sul corpo nessuna ferita, nessun livido”.

 

I primi a trovare il corpo furono i familiari: il fratello minore, Pierre Calas, la madre e un amico di famiglia, Gaubert Lavaisse, “giovane di diciannove anni, noto per il candore e la dolcezza dei costumi”. Pierre e Laivasse corsero a cercare un medico e a chiamare la polizia. Attorno alla casa cominciò a radunarsi la folla e “qualche fanatico della plebaglia” si mise a gridare che Jean Calas aveva impiccato il proprio figlio Marc-Antoine. “Questo grido, ripetuto, divenne unanime; altri aggiunsero che il morto avrebbe dovuto abiurare il giorno seguente; che la sua famiglia e il giovane Lavaisse l’avevano strangolato per odio contro la religione cattolica: un momento dopo nessuno più ne dubitava”.

 

Secondo la ricostruzione affrettata della folla, descritta da Voltaire come un’orda incontrollabile e spietata, il motore dell’assassinio sarebbe stato un motivo religioso. Tolosa era sempre stata una città cattolica, ma all’epoca della riforma protestante si era trasformata nel palcoscenico della sanguinosa guerra tra i fautori della fazione cattolica e quelli della fazione ugonotta.

 

Strage su strage, i morti del proprio schieramento venivano considerati martiri della fede. Sebbene a due secoli di distanza il clima si fosse stemperato, la folla – sempre secondo il racconto di Voltaire – non aveva perso quello spirito di rivalsa religiosa. In pochi secondi la situazione sembrò precipitare, si giunse persino a immaginare “che i protestanti di Linguadoca si fossero riuniti il giorno prima; che avessero scelto a maggioranza di voti uno della setta come carnefice; che la scelta fosse caduta sul giovane Lavaisse; che questo giovane, nel giro di ventiquattrore, avesse ricevuto la notizia della sua designazione, e fosse arrivato a Bordeaux per aiutare Jean Calas, sua moglie e loro figlio Pierre, a strangolare un amico, un figlio, un fratello”.

 

Il capitoul di Tolosa, un’antica magistratura, arrestò immantinente tutti i membri della famiglia e l’amico, accusandoli dell’omicidio del Marc-Antoine; mentre in città il morto veniva elevato agli onori dell’altare e fatto dichiarare martire.

 

Non abbiamo molte notizie sul processo, tranne ciò che ci racconta Voltaire, ma sappiamo che si svolse in maniera sommaria ed eludendo la corretta procedura.

 

Le deliberazioni dei giudici vennero espresse in due sentenze sbalorditive e contrastanti: il padre venne condannato a morte, mentre il resto della famiglia fu rilasciata. Il polemista francese si pone l’interrogativo di come abbia fatto Jean Calas, “vecchio di sessantotto anni, che aveva da tempo le gambe gonfie e deboli” a strangolare e impiccare il figlio di ventotto anni, giovane e forte.

 

La risposta segue spontanea: “bisognava assolutamente che fosse stato aiutato nel compiere questa azione dalla moglie, dal figlio Pierre Calas, da Lavaisse e dalla domestica”. Come potevano, allora, i giudici liberare tutti tranne il padre?

 

Secondo Voltaire, questa era la riprova dell’innocenza del padre. In definitiva non si doveva parlare di un omicidio, ma di un suicidio. Marc-Antoine viene descritto come un uomo di lettere dall’animo tormentato, affetto da una particolare forma di melanconia (sorta di malattia-categoria in cui si ascrivevano le persone colpite da ogni sorta di disturbo del comportamento, dalla depressione psichiatrica alla sindrome pre-mestruale).

 

Questo “spirito inquieto, cupo e violento”, non riusciva a trovare quella che noi, con linguaggio moderno, definiremmo la sua dimensione: non adatto al commercio del padre, non poteva nemmeno aspirare alla carriera d’avvocato perché bisognava possedere “certificati di cattolicità”. Così, dopo aver perso tutto il suo denaro al gioco, decise di uccidersi la sera in questione.

 

Non sappiamo quanto verità ci sia nelle parole del polemista, soprattutto perché i toni aspri e le pagine di critica esaltata lasciano presentire una non lieve alterazione dei fatti, che si riscontra anche in altre opere dell’autore.

 

Il figlio Pierre venne messo al bando, la figlia fu separata dalla madre e la povera vedova giunse fino a Parigi per “chiedere giustizia ai piedi del trono”.

 

Il caso Calas probabilmente non verrà mai risolto, ma il riscontro che ottenne nel popolo è uno specchio delle lacerazioni che, ancora all’epoca di Voltaire, infiammavano gli animi degli uomini e che si sarebbero esacerbate all’alba della Rivoluzione.



 

 

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