N. 127 - Luglio 2018
(CLVIII)
Vivere
nella
postmodernità
Il
non
concetto
di
"patria"
nel
villaggio
globale
di
Norberto
Soldano
La
sua
dottrina,
il
fervido
sentimento
risorgimentale
che
lo
contraddistinse
quando
nel
lontano
luglio
del
1831
fondò,
a
Marsiglia,
l’associazione
insurrezionale
Giovine
Italia,
le
sue
considerazioni,
rivelatesi
all’indomani
della
sua
dolorosa
scomparsa
oltremodo
profetiche,
raccolte
nel
suo
testamento
politico,
ci
sono
senz’altro
di
grande
aiuto
nel
comprendere
i
drammi
del
nostro
tempo.
È
uno
scritto,
il
saggio
di
cui
sopra,
dal
quale
riecheggia
il
suo
amore
verso
il
Paese,
il
prossimo,
condensato
di
ideali
nobili,
puri,
da
una
invidiabile
visione
politica
lungimirante
ed
una
prospettiva
perennemente
ispirata
al
Progresso,
che
sembra
quasi
non
recare
alcuna
traccia
dei
tormenti
depositati
in
fondo
al
suo
stato
d’animo,
dovuti
alle
tristi
vicende
giudiziarie
che
lo
afflissero
e
gli
costarono
l’esilio
negli
ultimi
anni
della
sua
esistenza.
«Senza
Patria»,
ammoniva
Mazzini,
«non
avete
nome,
né
segno,
né
voto,
né
diritti,
né
battesimo
di
fratelli
tra
i
popoli.
Siete
dei
bastardi
dell’Umanità.
Soldati
senza
bandiera,
israeliti
delle
Nazioni,
voi
non
otterrete
fede
né
protezione:
non
avrete
mallevadori.
Non
v’illudete
a
compiere,
se
prima
non
vi
conquistate
una
Patria,
la
vostra
emancipazione
da
una
ingiusta
condizione
sociale;
dove
non
è
Patria,
non
è
Patto
comune
al
quale
possiate
richiamarvi:
regna
solo
l’egoismo
degli
interessi,
e
chi
ha
predominio
lo
serba,
dacché
non
v’è
tutela
comune
a
propria
tutela».
Sembra
essere
perfettamente
consapevole
Mazzini
di
cosa
comporta
la
“debolezza”
degli
Stati
e la
“flessibilità”
dei
rispettivi
ordinamenti
giuridici:
assalti
della
criminalità
organizzata,
la
“violenza
sociale”
dell’economia
di
mercato
“deregolata”,
nonché
il
passaggio
dagli
“statisti”
alle
“politiche
di
esecuzione”
sempre
agli
ordini
di
forze
occulte
che
con
i
propri
strumenti
spostano
i
consensi
elettorali
come
pedine
su
una
scacchiera
per
soddisfare
i
propri
affari.
«Non
v’è
Patria
dove
l’uniformità
del
Diritto
è
violata
dall’esistenza
di
caste,
di
privilegi,
d’ineguaglianze,
dove
non
è
principio
comune,
accettato,
riconosciuto,
sviluppato
da
tutti:
v’è
non
Nazione,
non
popolo,
ma
moltitudine,
agglomerazione
fortuita
d’uomini
che
le
circostanze
riunirono,
che
circostanze
diverse
separeranno».
Ci
mette
poi
in
guardia
dalla
prassi
invalsa
«in
una
società
nella
quale
il
merito
è
pericoloso,
e la
ricchezza
è la
sola
base
della
potenza,
della
sicurezza,
della
difesa
contro
la
persecuzione
e il
sopruso»,
nella
quale
spesso,
«il
padre
è
trascinato
dall’affetto
a
dire
al
giovine
anelante
la
Verità:
“bada,
la
ricchezza
è la
tua
tutela,
la
Verità
sola
non
può
esserti
scudo
contro
l’altrui
forza,
contro
l’altrui
corruttela”».
Si
evince
chiaramente
dalle
sue
parole
quanto
tenga
a
cuore
la
“responsabilità
intergenerazionale”.
Dirige,
infatti,
a
più
riprese,
l’attenzione
verso
i
Figli:
«parlate
loro
di
Patria,
di
ciò
che
essa
fu,
di
ciò
che
deve
essere.
Quando,
la
sera,
dimenticate,
fra
il
sorriso
della
madre
e
l’ingenuo
favellio
dei
fanciulli
seduti
sulle
vostre
ginocchia,
le
fatiche
della
giornata,
ridite
ad
essi
i
grandi
fatti
dei
popolani
delle
antiche
nostre
repubbliche:
insegnate
loro
i
nomi
dei
buoni
che
amarono
l’Italia
e il
suo
popolo
e
per
una
via
di
sciagure,
di
calunnie
e di
persecuzioni,
tentarono
di
migliorarne
i
destini.
Instillate
nei
loro
giovani
cuori,
non
l’odio
contro
gli
oppressori,
ma
l’energia
di
proposito
contro
l’oppressione.
Imparino
dal
vostro
labbro
e
dal
tranquillo
assenso
materno,
come
sia
bello
il
seguire
le
vie
della
Virtù,
come
sia
grande
il
piantarsi
apostoli
della
Verità,
come
sia
santo
il
sacrificarsi,
occorrendo,
pei
propri
fratelli.
Fate
che
crescano,
avversi
egualmente
alla
tirannide
ed
all’anarchia,
nella
religione
della
coscienza
inspirata,
non
incatenata,
dalla
tradizione.
Senza
Educazione
Nazionale
non
esiste
veramente
Nazione».
Le
coordinate
attorno
alle
quali
ruota
la
società
postmoderna
sembrano
“lontane
anni
luce”
dal
pensiero
mazziniano;
eppure
la
postmodernità
non
è
l’oggetto
di
alcuna
trama
di
Ridley
Scott,
il
regista
del
film
Blade
Runner.
L’ideale
mazziniano
della
«Patria
fra
le
Patrie»
è
divenuto
utopia.
La
civiltà
Occidentale
ha
preso
semplicemente
direzioni
diverse
da
quelle
da
lui
auspicate,
talvolta
in
antitesi.
L’esito
di
questo
percorso
arzigogolato
è il
“villaggio
globale”.
In
questa
sede
ci
proponiamo
di
ripercorrerle.
La
politica
ha
rinunciato
alla
sua
vocazione
originaria,
non
determina
più
i
fenomeni,
si
sforza
soltanto
di
gestirli,
nella
vana
illusione
«di
poter
trovare
soluzioni
locali
a
problemi
globali»
per
usare
le
parole
di
Zygmunt
Bauman.
Come
bene
ha
sottolineato
Roberto
Casati,
la
«digitalizzazione
invade
il
mondo
della
scuola»
che
si
arrende
all’innovazione
tecnologica
subendola
passivamente,
piuttosto
che
cercare
di
dominarla.
La
“corsa
alle
professioni”
preannuncia
spiacevoli
sorprese.
La
permanente
transitorietà
è
divenuta
un
carattere
costitutivo
del
consueto
vivere
e
l’homo
migrans
si
vede
costretto
a
sacrificare
sull’altare
delle
“competenze
e
della
ricerca
occupazionale”
le
proprie
passioni
e
gli
affetti
che
non
può
portare
con
sé
nella
propria
valigia.
La
filosofia
dell’azione
ha
ceduto
così
il
passo
alla
generalizzata
“retorica
della
fuga”.
Le
colonne
sonore
del
compositore
tedesco
Hans
Zimmer
fungono
bene
da
sottofondo
musicale
al
nuovo
contesto
nel
quale
siamo
immersi.
I
diritti
“politici”
del
cittadino
si
contraggono
ai
minimi
storici,
il
suo
diritto
di
voto
assume
le
sembianze
del
“potere
di
zapping”
che
abbiamo
davanti
alla
tivù
quando
con
il
telecomando
decidiamo
quale
canale
guardare,
senza
poter
stabilire
né
l’ordine
di
successione,
tantomeno
il
contenuto
dei
programmi
che
vengono
trasmessi
in
onda.
Tutto
ciò
in
un
sistema
in
cui
le
preferenze
sono
state
sostanzialmente
abolite;
le
petizioni
e le
iniziative
legislative
popolari
non
sono
capaci
di
incidere;
i
referendum
si
trasformano
in
“plebisciti”
personali;
nella
cabina
per
le
elezioni
politiche
si
può
barrare
soltanto
un
simbolo
presente
sulla
scheda;
il
“favore”
al
politico
di
turno
diviene
l’unico
criterio
per
la
selezione
delle
assemblee
rappresentative
da
parte
delle
segreterie
di
partito.
La
povertà
culturale
dei
“talk
show”
e
dei
giornali,
mezzo
indispensabile
per
l’etero
direzione
delle
coscienze
e la
monopolizzazione
dei
contenuti
sui
quali
verte
il
dibattito
pubblico,
producono
un
senso
di
smarrimento,
narrazioni
senza
contradditorio
e
una
pochezza
di
argomentazioni
che
spinge
spesso
i
giovani
a
difendersi
“dal”
dibattito,
anziché
“nel”
dibattito.
È il
tramonto
del
“cogito
ergo
sum”
cartesiano.
Il
G7
di
Ischia
sulla
“cybersicurezza”
ha
visto
quale
novità
assoluta
la
partecipazione
assieme
alle
supreme
autorità
statali
dei
rappresentanti
dei
Big
Provider
internazionali:
Google,
Twitter,
Facebook,
Microsoft.
La
rivoluzione
informatica
comincia
a
rivendicare
la
sua
rilevanza
anche
in
ambito
giuridico.
Nel
diritto
internazionale
classico,
con
l’espressione
“violazione
della
sovranità
territoriale”
si
allude
alla
presenza
“fisica”
e
“non
autorizzata”
di
un
organo
straniero
in
un
determinato
territorio.
Vi
sembra
che
alla
luce
dei
fatti
del
Russiagate
questa
definizione
possa
conservare
ancora
il
suo
carattere
esaustivo?
I
terremoti
“finanziari”
hanno
visto
protendere
sempre
di
più
la
bilancia
dei
“pesi
di
forza”
fra
economia
e
politica
a
favore
della
prima,
a
discapito
della
seconda.
Ci
sono
gli
estremi
perché
la
Grecia
possa
invocare
il
principio
all’autodeterminazione
dei
popoli
contro
le
ingerenze,
reiterate
oramai
allo
scoperto
da
diversi
anni,
dal
Fondo
Monetario
Internazionale
nella
sua
politica
interna
ed
estera?
Dal
“post
colonialismo”
siamo
precipitati
nel
“neocolonialismo
finanziario”.
Tanto
ha
fatto
discutere
l’estate
scorsa
il
Codice
di
Condotta
per
le
ONG.
Ad
innalzare
le
temperature
dell’autunno
poi
trascorso
è
bastata
la
“febbre
catalana”
inaugurata
gloriosamente
con
le
proteste
di
piazza
e
terminata
con
la
fuga
di
Puigdemont,
ribattezzato
“cuor
di
leone”.
In
un
mondo
in
cui
vanno
smarrendosi
le
“identità”,
esplodono
le
tendenze
centrifughe
e i
populismi
“etnici”
sono
pronti
a
cavalcarle.
Assomigliano
tutti
questi
avvenimenti
a
puntate,
con
annessi
colpi
di
scena,
di
una
fantomatica
serie
televisiva
su
Netflix,
i
cui
protagonisti
sono
gli
Stati
nazionali
che
resistono
con
tutte
le
forze
loro
a
disposizione
alla
globalizzazione
e
alle
degenerazioni
istituzionali
che
questa
produce.
I
cambiamenti
climatici
ci
impongono
infine
una
riflessione:
quanto
il
nostro
vissuto
incide
sull’esistenza
di
chi
nascerà
dopo
di
noi?
Un
bellissimo
segnale
giunge
dalla
Giurisprudenza
filippina.
Vedasi
la
Sentenza
della
Corte
Suprema
delle
Filippine
del
30.07.1993.
Un
gruppo
di
minorenni
filippini
aveva
agito
in
giudizio
contro
delle
concessioni
per
lo
sfruttamento
del
legno,
invocando
il
diritto
a
impedire
che
le
foreste
fluviali
filippine
fossero
danneggiate.
La
Corte
Suprema,
oltre
ad
aver
ribadito
il
principio
allo
“sviluppo
ecosostenibile”,
quale
preminente
valore
costituzionale,
ha
riconosciuto
il
diritto
di
azione
popolare
ai
minorenni
ritenuti
«rappresentanti
contestualmente
la
propria
generazione
e
quelle
non
ancora
nate».
Ci
si
interroga
su
quale
sia
il
ruolo
dei
giuristi
nella
postmodernità.
Ci
viene
in
soccorso
una
metafora
geniale.
Quando
i
carabinieri
trattengono
ai
posti
di
blocco
gli
autobus,
con
a
bordo
i
passeggeri,
per
effettuare
dei
controlli
sulla
velocità
percorsa
dal
mezzo,
estraggono
il
cronotachigrafo
per
fare
le
opportune
verifiche.
Immaginate
dunque
che
il
cronotachigrafo
sia
il
quadro
delle
relazioni
sociali,
i
chilometri
percorsi
dall’autobus
siano
i
continui
mutamenti
cui
è
esposta
la
società,
l’insieme
dei
rapporti
stilati
dai
carabinieri
la
“giurisprudenza”.
I
giuristi
come
“scienziati
sociali”.