N. 14 - Febbraio 2009
(XLV)
IL VITTORIALE
DEGLI ITALIANI
UN LIBRO DI PIETRE
VIVE
di Ginevra
Bentivoglio
Il Vittoriale degli
Italiani – così Gabriele d’Annunzio definì la Casa-Museo
che l’avrebbe ospitato negli ultimi anni della sua vita
- occupa un terreno molto vasto di nove ettari in cui si
trova un complesso di edifici, tra cui la Cittadella, il
Museo della Guerra, gli Archivi, le Biblioteche e il
Teatro, piazze, viali e fontane, nel comune di Gardone
Riviera, in provincia di Brescia.
Si affaccia sul lago di Garda, rappresentando non
semplicemente una dimora, ma un vero e proprio museo in
cui sono contenute reliquie, ricordi, cimeli e tracce
del ‘vivere inimitabile’ del poeta-vate: dedicato
all’Italia e donato agli Italiani, viene dichiarato
monumento nazionale nel 1925.
Reduce dall’impresa di Fiume, d’Annunzio è alla ricerca
di una dimora defilata; scrive a De Ambris, suo compagno
nell’impresa fiumana: « Sono avido di silenzio dopo
tanto rumore, e di pace dopo tanta guerra ».
La scelta cade dunque sulla villa di Cargnacco, sulla
costa del lago di Garda: immersa nel verde, su un colle
terrazzato, tra un uliveto e una limonaia, è di
proprietà di Heinrich Thode, illustre tedesco studioso
d’arte che, espropriato in base al decreto del 1918 sui
danni di guerra, è costretto ad abbandonare la sua
residenza italiana. Oltre alla villa, con i rustici
annessi, d’Annunzio entra in possesso anche dei circa
seimila volumi della sua biblioteca, mobili – tra cui un
pianoforte - quadri e suppellettili.
Hic manebimus optime
(« Qui starò ottimamente ») afferma il poeta che,
stipulato il contratto d’affitto, fa il suo ingresso
nella villa il 14 febbraio 1921.
L’intenzione iniziale è quella di un breve soggiorno,
necessario a trovare la concentrazione per la
composizione del Notturno, ma, poco dopo, si
delinea il proposito di acquistare la villa: d’Annunzio,
dall’indole irrequieta e itinerante, non ha mai abitato
una casa di proprietà, si rende dunque conto
dell’esigenza di avere un luogo dove conservare i resti
dei suoi naufragi.
Il 31 ottobre 1921, per la somma di 130.000 lire –
ottenute grazie a un prestito bancario -, entra in
possesso della casa, dei beni mobili custoditi
all’interno e di due ettari di terreno. Successivamente
acquisterà anche i terreni limitrofi, costituendo una
vera e propria cittadella fortificata.
L’aspetto della sua nuova residenza stride fortemente
con il lusso e le stravaganze tanto cari all’eccentrico
poeta: la villa del Cargnacco è una semplice casa di
campagna, che bisogna stodeschizzare e che ha
necessità di interventi di manutenzione. Dapprima
soprannominata Eremo, in seguito prenderà il nome
che conserva tuttora di Prioria, rimanendo sempre
il corpo centrale della residenza anche quando saranno
costruiti i corpi di fabbrica aggiuntivi.
Nei giardini della Prioria, d’Annunzio
allestisce, in un boschetto di magnolie, un luogo per le
riunioni con i legionari: scanni in pietra in circolo,
un trono e tra i fusti degli alberi diciassette colonne
simboleggianti le vittorie della guerra. Il poeta lo
battezza con il nome di ‘Vittoriale’ ma, ben presto, nei
primi mesi del 1923 - parallelamente all’accorgersi
della sua sconfitta politica - il luogo di raduno muta
il suo nome in Arengo.
Vittoriale degli
Italiani - il cui nome allude al ‘Vittoriano’,
l’altare della Patria dedicato a Vittorio Emanuele II –
sarà chiamato, per estensione, l’intero complesso.
D’Annunzio ha bisogno di denaro per compiere l’opera che
man mano prende corpo nella sua mente: costruire attorno
a sé una città-museo dove poter esaltare le proprie
ardite e valorose imprese, continuando a vivere
nell’agiatezza e nel lusso.
Informato della Marcia su
Roma a cose fatte e resosi conto di essere stato
politicamente messo da parte – tuttavia pensa che il
duce non reggerà a lungo, commettendo, come si vedrà, un
grave errore di valutazione - d’Annunzio gioca d’astuzia
con Mussolini esiliandosi volontariamente e pretendendo,
in cambio della sua accondiscendenza, che gli vengano
riconosciuti i meriti di guerra e decidendo di donare il
Vittoriale in cambio delle risorse necessarie alla sua
realizzazione: maggiori contributi avrà, più grandioso
sarà il dono.
Nell’atto di donazione, stipulato da d’Annunzio il 22
dicembre 1923 e poi perfezionato nel 1930, il poeta
dichiara e illustra i suoi intenti, sigillati nel motto
araldico, apparentemente paradossale, inciso sul
frontone all’ingresso del Vittoriale, tra due
cornucopie: Io ho quel che ho donato.
« Io donai allo stato le case e le terre da me possedute
nel comune di Gardone sul Garda […] così anche donai
tutte le mie suppellettili interamente, senza
eccettuarne veruna: e non soltanto quelle già collocate
nelle mie case ma pur quelle che di anno in anno io vado
scegliendo e disponendo e catalogando […] Io vivo e
lavoro, e faccio musica, nella solitudine del Vittoriale
donato; e dedico alle mie mura l’assiduo amore che mi
lega alle pagine de’ miei nuovi libri […] Non soltanto
ogni mia casa da me arredata […] non soltanto ogni
stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da
me scelto e raccolto nelle diverse età della mia vita fu
sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me
di rivelazione spirituale, come un de’ miei poemi, come
un de’ miei drammi, come un qualunque mio atto politico
e militare, come una qualunque mia testimonianza di
diritta e invitta fede. Per ciò m’ardisco io d’offrire
al popolo italiano tutto quel che mi rimane, e tutto
quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare
col mio rinnovato lavoro: non pingue retaggio di
ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito
[…] io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio
silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per
umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia
virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto infatti è
qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le
impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare
allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle
memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio
presentimento della Patria futura si manifestano qui in
ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di
colori. Non qui risànguinano le reliquie della nostra
guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti
delle città gloriose? Ogni rottame aspro è qui
incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica
della nave ‘Puglia’ è posta in onore e in luce sul
poggio […] E qui non a impolverarsi ma a vivere son
collocati i miei libri di studio, in così grande numero
e di tanto pregio che superano forse ogni altra
biblioteca di ricercatore e di ritrovatore solitario.
Tutto è qui dunque una forma della mia mente, un aspetto
della mia anima, una prova del mio fervore. Come la
morte darà la mia salma all’Italia amata così mi sia
concesso preservare il meglio della mia vita in questa
offerta all’Italia amata. Ma da poco la mia salma ha già
la sua arca sul colle denominato Mastio […] Anche da
poco ho fondato il Teatro aperto, e ordinato le scuole,
le botteghe, le officine a rimembrare e rinnovellare le
tradizioni italiane delle arti minori. Batto il ferro,
soffio il vetro, incido le pietre dure, stampo i legni
con un torchietto […], colorisco le stoffe, intaglio
l’osso e il bosso, interpreto i ricettarii di Caterina
Sforza sottilizzo i profumi. »
La stipula dell’atto che dichiara la donazione del
Vittoriale allo Stato, garantisce il finanziamento
necessario alla sua costruzione: prende dunque avvio la
Fabbrica, subito qualificata come Santa da d’Annunzio,
il quale si avvale del giovane architetto Gian Carlo
Maroni, battezzato ‘Maestro delle pietre vive’ che nel
1937, quando il Vittoriale diventerà una fondazione, ne
assumerà la soprintendenza.
Nascerà un sodalizio,
testimoniato da una fitto carteggio tra i due:
l’architetto è l’interlocutore principale del poeta, è
colui che è preposto a dare forma al suo progetto
ideale. « Chiedo a te l’ossatura architettonica, ma mi
riserbo l’addobbo […] Desidero di inventare i luoghi
dove vivo » è la premessa di d’Annunzio.
Nel 1926 si può considerare conclusa la ristrutturazione
della villa già esistente, la cosiddetta Prioria,
primo nucleo della casa e residenza del poeta, immersa
nel verde e divisa al suo interno in una serie di
stanze, ognuna delle quali chiamata in modi molto
singolari. È probabilmente l’itinerario più suggestivo
di tutto il Vittoriale.
Visitabile in piccoli
gruppi, si percorrono le stanze abitate dal poeta e sono
due le cose che colpiscono maggiormente: la luce del
mondo esterno non arriva se non filtrata da tendaggi
decorati e da vetrate variopinte e ogni cosa, in un
horror vacui di oggetti di tutti i tipi, è lì come
d’Annunzio l’ha lasciata…
Si vedono i suoi occhiali poggiati su uno scrittoio, i
libri impilati, le foto appese, la tavola da pranzo
apparecchiata, gli oggetti da toilette - pettini,
spazzole, bottiglie di unguenti e di profumo - allineati
nella stanza da bagno…
Rivestito da legno di noce, l’ingresso della Prioria
è occupato da una scala di sette gradini che porta a un
pianerottolo con due porte che conducono entrambe a due
stanze d’attesa, speculari ma con significati
contrapposti: l’Oratorio Dalmata (a sinistra) per
gli ospiti intimi e la Stanza del Mascheraio (a
destra) per gli ospiti indesiderati.
La stanza è chiamata così
per la scritta, su marmo verde, incorniciata sopra lo
specchio: « Al visitatore: Teco porti lo specchio di
Narciso? / Questo è piombato vetro, o mascheraio. /
Aggiusta le tue maschere al tuo viso / Ma pensa che sei
vetro contro acciaio».
La scritta viene collocata
nel maggio del 1925, in occasione della seconda visita
di Mussolini, con chiara vena polemica. In questa stanza
d’Annunzio è solito far aspettare tutti gli ospiti poco
graditi, anche per diverse ore.
A seguire la Stanza della Musica, completamente
rivestita, dalle pareti al soffitto, di stoffe scure e
preziose per garantire una migliore acustica, realizzata
per i concerti tenuti da Luisa Baccara, l’amata pianista
del poeta, e la Stanza del Mappamondo, già biblioteca
del precedente proprietario.
Proseguendo nel percorso c’è la stanza di servizio che
introduce alla zona notte della casa, la Zambracca,
da zambra in provenzale, intesa come donna di
servizio. Usata come studiolo, il poeta vi morì sullo
scrittoio - di fronte ai calchi dei cavalli del
Partenone e della testa dell’Aurora di Michelangelo
dorata – colpito da un’emorragia celebrale, il 1 marzo
1938.
Sull’architrave che porta
da questa stanza alla stanza da letto, o Stanza della
Leda – prende nome dalla favola mitologica della
Leda che si accoppia con Giove trasformato in Cigno – si
legge Genio et voluptati (Al genio e al piacere).
Tra i molti oggetti preziosi spicca una coperta persiana
di seta, il calco dello Schiavo morente di Michelangelo,
numerosi idoli orientali, gli elefanti regalati al poeta
dalla moglie e i libri lasciati sul tavolino da notte.
La Veranda dell’Apollino
viene aggiunta alla struttura originaria della casa con
lo scopo di illuminare indirettamente la camera da
letto. Prende il nome dal calco del piccolo Apollo posto
al centro della stanza. Vi sono numerosi animali in
miniatura, alle pareti i calchi delle metope del
Partenone e varie riproduzioni fotografiche di celebri
dipinti.
Nel 1931 d’Annunzio trasforma il bagno, arricchendolo di
oggetti e mattonelle e scegliendo i sanitari di colore
blu. La stanza da bagno, contiene circa novecento
oggetti disseminati ovunque. Le pareti sono ornate da
mattonelle persiane, sul soffitto è ripetuto il motto di
Pindaro Ottima è l’acqua e il pavimento è
ricoperto da tappeti orientali.
Attraverso uno stretto corridoio si giunge alla
Stanza del Lebbroso, forse la più ricca di simboli,
dove il poeta si reca a meditare nelle solenni
ricorrenze. Il letto, detto ‘delle due età’ perché
‘quasi culla e quasi bara’ – allestito per esporvi la
sua salma - è sovrastato dal dipinto raffigurante San
Francesco che abbraccia d’Annunzio lebbroso, basandosi
sulla credenza medievale che il lebbroso è signatus,
toccato da Dio, e quindi sacro.
Attraversati il Corridoio della Via Crucis e la
Stanza delle Relique, superata la Cucina, la
Stanza delle Marionette e la Stanza del Giglio
(con alle pareti circa tremila volumi, specialmente di
letteratura e storia italiana) si arriva allo
Scrittoio del Monco, lo studiolo adibito alla
gestione della corrispondenza.
La scritta sull’architrave
d’ingresso Recisa quescit (Tagliata riposa)
insieme all’immagine di una mano sinistra mozzata,
significano che il poeta è impossibilitato o non vuole
rispondere alle numerose lettere che riceve.
Per entrare nel luogo dove il poeta lavora, nella sua
Officina, bisogna inchinarsi: alla stanza si accede
salendo tre alti scalini sormontati da un architrave –
su cui è scritto Hic opus, hic labor est (Qui è
l’opera, qui è il lavoro) – talmente basso che chi vi
entra è costretto ad abbassare il capo, per rendere
omaggio all’arte che, in quella stanza, nasce. Vi sono
ancora allineati sui vari tavoli di lavoro e sugli
scaffali i manoscritti, i documenti e i volumi
consultati dal poeta.
Non mancano anche in
questa stanza, insieme alle immagini fotografiche della
Cappella Sistina e del Trionfo di Cesare di Mantegna,
fra disegni anatomici e modelli di aeroplano, i calchi -
della Nike di Samotracia e delle metope equestri del
Partenone, fra i quali risalta il busto di Eleonora Duse
coperto da un velo dallo stesso d’Annunzio, che non
voleva essere distratto dalla bellezza della sua musa
ispiratrice.
Attraverso un corridoio detto del Labirinto, si
arriva alla sala da pranzo, in stile déco, ultimata solo
nel 1929. La Stanza della Cheli prende il nome
dalla tartaruga (in greco Khélys) - dono di un’amica del
poeta, morta per un’indigestione di tuberose nei
giardini del Vittoriale - che troneggia a capotavola
come monito alla sobrietà.
Questa stanza congiunge la
Prioria con Schifamondo, la nuova ala
avviata nel 1926 che, oltre ai nuovi ambienti
d’abitazione – dove d’Annunzio avrebbe dovuto
trasferirsi, ma che saranno ultimati solo dopo la sua
morte – nei quali, dal 2000, è allestito il Museo
della Guerra, contiene un grande Auditorium
per mostre, conferenze e concerti, coperto con una
cupola alla quale è sospeso il famoso aereo SVA 10 con
il quale il poeta sorvolò Vienna, gettando i volantini
per annunciare la vittoria italiana.
Dall’ala dello Schifamondo si accede al Viale
di Aligi, che prende il nome dal personaggio
dell’opera teatrale La Figlia di Iorio,
rappresentata, nel 1927, nei giardini del Vittoriale.
Salendo, incrociando
sentieri, fontane, ruscelli e cascate vi è una rimessa
che contiene in bella mostra il MAS 96, motoscafo
anti-sommergibile, protagonista di numerose imprese di
d’Annunzio, tra le quali la Beffa di Buccari del 1918.
Continuando il percorso si incontra il più suggestivo e
spettacolare allestimento degli esterni del Vittoriale.
Donata a d’Annunzio dalla Marina Militare nel 1923, la
prua della nave Puglia giunge a Gardone Rivera nel
gennaio del 1925 smontata e trasportata con decine di
vagoni ferroviari. è un omaggio alla memoria di Tommaso
Gulli, capitano della Regia Nave Puglia, e ad Aldo
Rossi, due eroi dell’epopea fiumana, che morirono nelle
acque di Spalato nel 1920. La prua è incastonata nel
promontorio, rivolta verso il lago in direzione
dell’Adriatico, quasi fosse pronta a salpare per
riscattare la costa Dalmata.
La sommità dell’altura che sovrasta il parco del
Vittoriale, è dominata dal Mausoleo, monumento
funebre allestito dall’architetto Maroni dopo la morte
del poeta, nel luogo in cui d’Annunzio aveva sistemato
le antiche arche, risalenti all’epoca romana, dono della
città di Vicenza.
L’arca con le spoglie del poeta è collocata,
sopraelevata, al centro del monumento - ispirato ai
tumuli funerari di tradizione etrusco-romana - e
sovrasta quelle con le salme di dieci legionari di
Fiume, disposte tutte intorno.
Tra le numerose attrazioni, degno di nota è senz’altro
il Teatro, che si affaccia sul lago ed è
concepito alla stregua di un antico anfiteatro greco –
tant’è che l’architetto Maroni fu inviato varie volte a
Pompei per studiare dal vivo la struttura. I lavori,
iniziati nel 1934, si concluderanno nel 1952 e da allora
ospiterà rassegne teatrali.
Allo stesso tempo, di
notevole valore culturale sono gli archivi (divisi in
Archivio Personale, Archivio Generale, Archivio Fiumano
e Archivio Iconografico) e la biblioteca, composta dalla
collezione privata dello scrittore e ampliata negli anni
grazie a acquisti, scambi e donazioni di ammiratori e
collezionisti, aperti alla consultazione.
Gabriele d’Annunzio concepisce il Vittoriale degli
Italiani, come un monumento non solo a se stesso, ma
anche alla grande guerra.
Al declino di una
prodigiosa avventura letteraria, il poeta fa della sua
ultima dimora un sacrario monumentale destinato a
raccogliere e a trasmettere ai posteri i cimeli della
letteratura e della sua vita d’eccezione. |