N. 79 - Luglio 2014
(CX)
VITE SREGOLATE
PARTE I - GARRINCHA
di Francesco Agostini
Normalmente
un
atleta
dovrebbe
vivere
secondo
un
certo
rigore
morale,
non
certo
spinto
da
un
valore
o
sentimento
religioso
ma,
più
concretamente,
da
una
visione
utilitaristica.
Quale
sportivo,
infatti,
potrebbe
rendere
al
meglio
delle
proprie
possibilità
se
passasse
le
notti
sveglio
fino
all’alba,
dedito
al
fumo
e
all’alcol?
Ebbene,
qualcuno
c’è
riuscito.
Qualcuno
il
cui
Dio
ha
dotato
di
un
talento
talmente
grande
da
poter
sopperire
anche
a
questo;
anche
a un
corpo
non
allenato
e
spesso
fuori
forma.
Il
primo
di
questa
piccola
serie
è il
brasiliano
Garrincha,
un
totem
del
mondo
calcistico
brasiliano
al
pari
di
Didì,
Vavà
e
Pelè,
peraltro
suoi
compagni
di
squadra
per
molti
anni
in
nazionale.
La
storia
di
Garrincha
parte
da
lontano
e
affonda
le
proprie
radici
nella
travagliata
e
singolare
infanzia.
Nemmeno
fosse
il
più
classico
degli
stereotipi
per
un
brasiliano,
Garrincha
nacque
nella
povertà
più
assoluta,
passando
un’infanzia
che,
usando
un
eufemismo,
definiremmo
“selvaggia”:
stando
a
quanto
ci è
pervenuto,
il
piccolo
passò
i
primi
anni
girando
scalzo
per
le
strade,
a
farsi
il
bagno
nei
fiumi
e a
caccia
di
piccoli
uccelli.
Proprio
a
questi
ultimi
si
deve
il
suo
soprannome,
Garrincha,
che
poi,
visti
i
suoi
movimenti
“saltellanti”
sul
campo,
si
adattò
alla
perfezione
anche
alle
sue
caratteristiche
calcistiche.
Questi
suoi
movimenti,
però,
avevano
in
realtà
uno
sfondo
drammatico.
Erano
dovuti,
infatti,
a
delle
gravissime
menomazioni
fisiche
che
il
calciatore
riuscì
miracolosamente
a
volgere
a
suo
vantaggio.
Nello
specifico,
erano:
un
lieve
strabismo,
la
spina
dorsale
deformata,
una
differenza
di
ben
6 cm
fra
una
gamba
e
l’altra,
il
ginocchio
destro
affetto
da
varismo
e il
sinistro
da
valgismo.
Difetti
gravissimi
per
uno
che
voleva
fare
il
calciatore.
Fino
a
qui
però,
nulla
di
particolarmente
eclatante
o di
sregolato.
La
dolce
vita
di
Garrincha
iniziò
grazie
al
gentil
sesso
e,
per
un
brasiliano
che
si
rispetti,
non
potrebbe
essere
altrimenti.
A
soli
diciannove
anni
(quindi
nel
1952)
Garrincha
convolò
a
nozze
con
Nair
Marques,
sposata
non
per
amore
ma
perché
gravida.
L’esperienza
si
ripeté
con
un’incredibile
frequenza,
tanto
che
nacquero
in
serie
ben
otto
figli;
un
evento
di
grande
portata
ma
non
straordinario
per
il
Brasile
dell’epoca.
Non
contento
però
di
questa
situazione,
Garrincha
intrecciò
parallelamente
una
relazione
adulterina
con
Irachi
Castilho
che
gli
darà
alla
luce
altri
due
figli,
portando
il
totale
a
dieci.
Ancora
non
pago
di
queste
fertili
relazioni,
la
formidabile
ala
destra
brasiliana
generò
altra
prole
con
una
cameriera
svedese,
amata
in
una
relazione
di
passaggio
a
cavallo
del
mondiale
in
Svezia
del
1958
che
vide
il
Brasile
trionfatore.
Il
vero
scandalo
che
fece
tremare
la
terra
brasiliana
fu
invece
il
rapporto
che
il
giocatore
intraprese
con
Elza
Soares,
famosa
cantante
dell’epoca.
La
relazione
iniziò
nel
1961,
ma
fu
solo
nel
1966
che
i
due
convolarono
a
nozze.
Presi
di
mira
dal
conservatore
ambiente
di
Rio
de
Janeiro,
la
coppia
fu
costretta
a
trasferirsi
a
San
Paolo;
erano
diventati,
infatti,
il
bersaglio
continuo
dell’opinione
pubblica
che
non
approvava
quella
relazione.
Con
Elza
Soares
Garrincha
sembrò
aver
messo
finalmente
la
testa
a
posto.
Il
rapporto
fra
i
due
ebbe
il
suo
apice
con
la
scelta
di
mettere
al
mondo
un
figlio,
l’ennesimo
per
l’ala
destra
brasiliana.
Purtroppo
però
il
bambino
visse
solamente
nove
anni,
perché
stroncato
da
un
incidente
d’auto:
questa
fu
sicuramente
la
peggiore
delle
tante
disgrazie
di
Garrincha.
Qualche
anno
dopo,
nel
1969,
anche
la
madre
di
Elza
Soares
perse
la
vita
in
un
incidente
automobilistico
e
questa
volta
alla
guida
c’era
proprio
il
calciatore
brasiliano.
A
causa
di
un
suo
sorpasso
azzardato
urtò
contro
un
camion
che
trasportava
patate:
la
macchina
del
giocatore
si
girò
su
se
stessa
tre
volte,
catapultando
la
donna
fuori
dal
parabrezza.
Inutile
dire
che
morì
sul
colpo.
A
seguito
di
questo
drammatico
evento,
Garrincha
entrò
in
uno
stato
di
profonda
depressione
che
ne
aggravò
i
già
evidenti
segni
di
un
alcolismo
in
stato
avanzato.
Basti
pensare
che
già
durante
il
mondiale
del
‘58
il
giocatore
brasiliano
aveva
usato
tutti
i
soldi
che
aveva
guadagnato
per
saldare
i
debiti
che
aveva
contratto
presso
un
bar
di
Pau
Grande;
dopo
la
morte
della
suocera
continuò
a
scivolare
sempre
più
giù
e
arrivò
al
punto
di
tentare
il
suicidio.
Per
cercare
di
ritrovare
gli
stimoli
e un
senso
alla
propria
vita,
Garrincha
si
trasferì
in
Italia
e
visse
per
un
certo
periodo
a
Torvaianica,
al
riparo
dalle
tentazioni
brasiliane.
Qui
cercò
addirittura
di
riprendere
con
il
calcio,
arrivando
a
giocare
con
parecchie
squadre
amatoriali
del
posto:
un
bel
salto
indietro
per
un
campione
come
lui
che
era
stato
il
pilastro
assieme
a
Pelé
della
sua
nazionale.
Nel
1972
però,
Garrincha
tornò
in
patria
e da
lì
il
declino
fu
inarrestabile.
Il
problema
con
l’alcol
s’intensificò
enormemente
ed
ebbe
un
effetto
così
drammatico
sulla
sua
mente
da
indurlo
a
picchiare
sua
moglie;
proprio
lei,
Elza
Soares,
la
donna
per
cui
aveva
sfidato
l’opinione
pubblica
dell’intero
Brasile.
Lei
allora
lo
lasciò
e
quest’evento
fu
il
colpo
di
grazia.
Numerose
testimonianze
ci
dicono
che
Garrincha
passasse
le
sue
giornate
nei
bar
a
bere,
spesso
contraendo
debiti
perché
oramai
a
secco
di
denaro.
I
bei
tempi
della
nazionale
brasiliana
e
delle
vittorie
erano
oramai
lontani.
Lo
scrittore
Telmo
Zanini
disse
di
lui:
"Mané
Garrincha
visse
i
suoi
ultimi
venti
anni
totalmente
avulso
dalla
società.
Affondò
nell’alcolismo,
restò
incapace
di
rapportarsi
con
ognuno
dei
quattordici
figli
che
lasciò
sparsi
per
il
mondo.
Bistrattato
dalle
compagne,
sveniva
per
le
porte
delle
osterie,
dormiva
per
i
marciapiedi,
era
accolto
da
omosessuali
e
sopravviveva
solamente
grazie
ai
favori
e
alla
filantropia
del
potere
pubblico".
Chiara
dunque
la
sua
situazione
e
tutti
sapevano
che
non
sarebbe
potuta
durare
a
lungo.
Infatti,
nel
1978
si
affacciò
una
brutta
cirrosi
epatica
che,
lentamente,
lo
portò
alla
morte
nel
1983
a
soli
cinquant’anni.
Nonostante
la
sua
follia
e la
sua
(estrema)
sregolatezza,
Garrincha
resta
in
ogni
caso
un’icona
nel
mondo
del
calcio
destinata
a
rimanere
nel
tempo.
L’uomo
che
fu
un
tempo
l’eroe
del
Botafogo
e di
una
nazione
intera,
che
sconfisse
miriadi
di
avversari
ma
che
non
riuscì
a
sconfiggere
il
suo
peggior
nemico:
se
stesso.