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N. 35 - Novembre 2010 (LXVI)

IL VICINO DI CASA
Affollamento e incomunicabilità nell’antica Roma

di Miro Gabriele

 

Un condominio di Roma antica non era molto diverso da uno dei nostri tempi: anche allora esistevano caseggiati di quattro o cinque piani, divisi in tanti appartamenti, piccoli e grandi. Se ne può avere un’idea visitando gli scavi di Ostia antica, più che quelli di Pompei.

 

Questo perché nella città campana prevale la tipologia della domus, cioè la casa ad un piano, destinata ad una sola famiglia. Ad Ostia Antica invece si possono vedere edifici con più piani, l’edilizia popolare dell’epoca, talvolta integri fino al terzo livello.

 

Se si visita il quartiere dove c’è l’insula di Diana, nella strada del Thermopolium (un’antica tavola calda) si nota un ingresso, quasi di fronte al locale. Si possono salire gli alti scalini fino al pianerottolo del secondo piano, e da una finestrella ci si può affacciare sulla stradina sottostante.

 

Il poeta Marco Valerio Marziale, epigrammista del I secolo d.C., prima di entrare in possesso di una piccola domus, omaggio dell’imperatore Domiziano, abitava al terzo piano di uno di questi edifici, in via del Pero (ad Pirum), sul colle del Quirinale.

 

Nell’antica Roma le vie non avevano dei nomi precisi (a parte le poche, importanti, nel Foro e nei dintorni: la Via Sacra per esempio) e neppure numeri civici.

 

Si identificavano perché erano vicine a qualcosa di importante o di molto conosciuto: un tempio, un monumento, una fontana.

 

Nella strada di Marziale doveva esserci un grosso pero.

 

Dunque si arrivava in zona e si chiedeva in giro, a qualche negoziante, ai passanti, un po’ come si fa oggi a Tokio.

 

Sentite come il poeta ci parla del vicino di casa, e della vita condominiale del tempo, in un suo epigramma.

 

I LXXXVI

 

Vicinus meus est manuque tangi
de nostris Novius potest fenestris.
Quis non invideat mihi putetque

horis omnibus esse me beatum,

iuncto cui liceat frui sodale?
Tam longe est mihi quam Terentianus,
qui nunc Niliacam regit Syenen.
Non convivere, nec videre saltem,
non audire licet, nec urbe tota

quisquam est tam prope tam proculque nobis.
Migrandum est mihi longius vel illi.
Vicinus Novio vel inquilinus
sit, si quis Novium videre non volt.

 

I. 86

 

“È mio vicino e con la mano

Si può toccare Novio dalle mie finestre.

Chi non mi invidia e non mi reputa

beato ad ogni ora, potendo io

godere di un compagno così intimo?

Ma per me è lontano quanto Terenziano

che ora amministra Siene sul Nilo.

Non riesco a cenarci e nemmeno a vederlo,

non posso sentirlo, in tutta Roma non c’è

chi mi sia così distante e così accanto.

C’è da emigrare più lontano io o lui.

Vicino o coinquilino sia di Novio,

chiunque non ha voglia di vedere Novio”

 

(traduzione di Miro Gabriele)

  

Dunque era difficile incontrarsi con i vicini di casa in un condominio antico, ieri come oggi, anche se si abitava nell’appartamento accanto.

 

Sembra proprio di essere in uno di quegli enormi edifici che si incontrano lungo le strade dei nostri quartieri popolari e delle nostre sterminate periferie. Spazi enormi, spesso più caseggiati intorno a un grande cortile.

 

Quante esistenze nascoste, su per le innumerevoli scale, quante persone che vivono vite parallele alle nostre, che non incontreremo mai, e di cui non avremo mai conoscenza.

 

Talvolta ci giungono notizie, liete o tristi, di uomini e donne che hanno abitato accanto a noi per anni, qualcuno ci dice un nome, e noi, con meraviglia o con indifferenza, non riusciamo ad associarci neppure un volto.

 

Era così anche una volta.

 

I grandi imperi della storia hanno edificato le loro capitali, le loro metropoli, e in quel tempo che ormai è cenere, hanno vissuto, gli uni accanto agli altri, generazioni di persone.

 

Uomini che hanno visto crescere e prosperare le civiltà, che le hanno viste cadere nella polvere, e che hanno trascorso le loro semplici vite quotidiane attraverso i secoli, tutte uguali.

 

Il condominio dello scrittore è un pezzo di mondo antico (fisico e spirituale) che replica il nostro: anche qui sovraffollamento, incomunicabilità, invisibilità in mezzo alla massa.

 

Corsi e ricorsi, anelli del tempo, sempre la stessa in fondo la vita.

 

Ma uno di quegli uomini Marziale l’ha salvato, l’ha sottratto alla folla anonima e indistinta, ce ne ha dato testimonianza.

 

Si chiamava Novio, ha abitato a Roma duemila anni fa, al terzo piano di un caseggiato in via del Pero, sul Quirinale.

 

Era vicino di casa di un grande poeta.


 

 

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