N. 104 - Agosto 2016
(CXXXV)
VISITE GUIDATE NEI LUOGHI D’ARTE
Quale approccio con l’utenza?
di Maria Laura Corradetti
Le
visite
guidate
nei
luoghi
d’arte
rappresentano
l’occasione
ideale
dove
sperimentare
gli
insegnamenti
e le
tecniche
di
comunicazione
indicati
dagli
studi
specialistici
nel
settore
culturale.
In
questo
senso
anche
l’università
si è
messa
al
passo
coi
tempi
istituendo
corsi
di
studi
anche
post-laurea
in
tema
di
mediazione
culturale
nei
musei.
In
realtà
i
cosiddetti
«luoghi
d’arte»
includono
una
casistica
molto
ampia
che
non
si
esaurisce
nei
soli
musei,
ma
di
fatto
per
tutte
le
variabili
di
contesto
si
pone
sempre
il
problema
di
come
impostare
e
organizzare
la
visita
guidata.
Va
comunque
anticipato
che
in
realtà
niente
è
affidato
al
caso
e
all’improvvisazione.
Una
visita
guidata,
benché
possa
apparire
di
semplice
progettazione,
è la
risposta
concreta
a un
preciso
intento
didattico/divulgativo
che
si
può
delineare
in 3
passaggi:
che
cosa
si
intende
comunicare
e a
qual
fine
(quid
sit
tradendum
et
quo
fine),
chi
è il
destinatario
del
messaggio
(quis
accepturus),
e in
quale
modo
si
verifica
tale
comunicazione
(quomodo
quid
tradere
conveniat).
In
quest’ultimo
caso
subentrano
una
serie
di
variabili
inerenti
al
modo
di
comunicare
(per
esempio:
solo
verbale?
Verbale
con
supporti
multimediali?
Con
l’aiuto
di
figuranti
o
attori?
Etc.)
per
il
quale,
tra
l’altro,
sono
vincolanti
gli
spazi
a
disposizione,
le
risorse
economiche
e
umane,
il
tempo
a
disposizione
e la
collaborazione
con
le
istituzioni
scolastiche
o
con
chi,
in
generale,
intende
avvalersi
della
visita
guidata.
Qui
analizzeremo
i
requisiti
base
di
una
comunicazione
prettamente
verbale,
che
rimanda
immediatamente
alla
tipologia
di
pubblico
al
quale
si
rivolge.
In
questo
caso
la
visita
si
modula
nella
qualità
e
modalità
espositiva
a
seconda
delle
caratteristiche
del
gruppo
di
visitatori,
che
sono
riconducibili
a 3
profili
principali:
adulti/famiglie/scolaresche.
Tre
sono
le
variabili
attraverso
le
quali
si
può
adattare
la
visita
alle
esigenze
dei
turisti:
1.
Il
linguaggio
che
viene
calibrato,
orientativamente,
in
base
all’età
media
dei
visitatori
e al
loro
grado
di
istruzione
(che
non
è
assolutamente
consequenziale
al
loro
grado
di
scolarizzazione).
Ad
eccezione
delle
scolaresche,
per
le
quali,
se
non
altro,
sussistono
parametri
di
omogeneità
e di
orientamento
per
l’operatore
(età/
programma
e
indirizzo
scolastici),
il
discorso
si
complica
nel
caso
di
un
pubblico
di
soli
adulti
o
famiglie.
In
assenza
di
riferimenti
di
qualche
genere
si
può
tentare
di
ovviare
a
questo
inconveniente
chiedendo,
se
vi è
la
possibilità,
informazioni
di
carattere
generale,
come
ad
esempio
quali
siano
i
loro
interessi,
se
siano
soliti
partecipare
a
visite
turistiche,
con
che
frequenza,
ecc.
In
realtà
questo
è
l’aspetto
più
delicato
di
tutta
la
questione,
giacché
non
bisogna
invadere
la
privacy
delle
persone,
né
mortificare
in
alcun
modo
la
sensibilità
altrui
che
potrebbe
recepire
una
scelta
di
questo
tipo
come
inopportuna.
Se
si
tenta
di
avere
delucidazioni
che
possano
essere
utili
nella
scelta
di
come
procedere
nella
visita,
occorre
veramente
affinare
i
nostri
sensi
per
valutare
se
sia
il
caso
di
azzardare
domande
di
questa
natura,
e
comunque
solo
se
si
creano
le
condizioni
in
modo
del
tutto
naturale
e
spontaneo.
In
alternativa
l’addetto
procederà
con
un
modello
prestabilito
di
comunicazione
che
potrà
modificare
successivamente
secondo
le
esigenze
del
caso.
2. I
contenuti
che,
su
richiesta,
si
possono
personalizzare
con
particolari
approfondimenti.
Ad
esempio
relativamente
a
un’istituzione
museale,
ci
si
può
concentrare
sulla
storia
dell’edificio
che
accoglie
la
collezione,
o
sulle
creazioni
di
un
determinato
artista,
oppure
sull’analisi
storico-stilistica
di
specifiche
opere.
Ovviamente
si
mette
in
atto
una
scelta
di
questo
tipo
quando
in
generale
è
tutto
il
gruppo
dei
visitatori
a
nutrire
la
medesima
predilezione.
Per
quanto
riguarda
le
scolaresche,
per
assicurare
la
qualità
della
resa
comunicativa
è
preferibile
una
piena
collaborazione
con
i
professori,
con
i
quali
verificare
la
compatibilità
dei
contenuti
con
l’attività
scolastica
sino
a
quel
momento
svolta.
In
sostanza
si
tratta
di
inserire
l’esperienza
della
visita
in
maniera
funzionale
e
fruttuosa
all’interno
del
programma
scolastico,
correggendola
all’occorrenza
per
renderla
coerente
con
quelli
che
sono
i
prerequisiti
degli
alunni,
cioè
con
il
loro
repertorio
di
competenze
già
raggiunte,
indispensabili
per
poter
trarre
concreto
vantaggio
dalla
visita
guidata.
3.
La
tecnica
espositiva.
Gli
studi
del
settore
fanno
un
distinguo
tra
un
pubblico
di
adulti
per
il
quale
è
riservata
l’attività
di
divulgazione
attraverso
una
comunicazione
improntata
come
lectio
(ossia
come
comunicazione
unidirezionale)
da
parte
dell’operatore,
e un
pubblico
di
scolari
per
il
quale
è
riservata
una
comunicazione
didattica
impostata
come
quaestio
(cioè
di
tipo
bidirezionale
per
la
partecipazione
attiva
dei
ragazzi).
Però
l’esperienza
insegna
che
un’esposizione
interattiva
viene
molto
apprezzata
anche
dagli
adulti,
che
quindi
non
sono
intesi
come
semplici
uditori.
Infatti,
solitamente,
si
riceve
una
risposta
positiva
quando
i
visitatori
vengono
sollecitati
all’intervento
e al
ragionamento.
Naturalmente
questa
scelta,
in
ogni
caso,
viene
regolata
in
base
alla
reazione
di
tipo
emotivo
che
si
riceve,
in
altre
parole
al
grado
di
consenso
manifestato.
La
tecnica
dell’argomentazione,
però,
si
fa
più
decisa
con
gli
alunni
delle
classi
di
ogni
ordine
e
grado
proprio
per
mantenerne
sempre
viva
l’attenzione.
Catalizzare
l’attenzione
dei
bambini/ragazzi
significa
ottimizzare
la
qualità
dell’apprendimento.
Tra
l’altro
coinvolgere
in
prima
persona
le
scolaresche
fa
sì
che
la
visita
non
sia
percepita
come
tediosa,
anzi
si
stimola
un’affezione
a
questo
genere
di
esperienza.
Il
che
avrà
una
ricaduta
positiva
anche
a
distanza
di
molti
anni.
È
stato
infatti
accertato
che
questi
giovani
in
età
adulta,
in
qualità
di
genitori
o
comunque
nella
condizione
di
relazionarsi
con
dei
ragazzi,
con
molta
probabilità
tenderanno
a
ripetere
con
le
nuove
generazioni
l’esperienza
di
una
visita
museale
che
nei
loro
ricordi
d’infanzia
è
stata
tutt’altro
che
spiacevole.
Dialogare
con
i
ragazzi
è
anche
una
strategia
per
ottenere,
con
tutti
i
limiti
del
caso,
una
verifica
della
loro
comprensione
in
tempo
reale,
consentendo
alla
guida
una
correzione
della
modalità
comunicativa
nel
momento
in
cui
accerta
una
difficoltà
degli
scolari
a
rispondere
positivamente
agli
stimoli.
Certo
è,
però,
che
altri
fattori
possono,
in
ogni
caso,
inficiare
il
successo
della
visita.
Si
tratta
in
particolare
delle
cosiddette
variabili
affettive.
Queste
fanno
riferimento
alle
motivazioni
che
possono
aver
indotto
la
persona
a
visitare
un
museo
o
qualsiasi
altro
luogo.
Infatti
se
le
scolaresche,
da
una
parte,
possiedono
un
profilo
riconoscibile
in
base,
come
detto,
all’età
e
alla
scuola
di
appartenenza,
nel
dettaglio
ogni
singolo
alunno
è un
individuo
con
proprie
caratteristiche
e
inclinazioni.
E
statisticamente
sarebbe
ingenuo
credere
che
tutti
i
ragazzi
abbiano
un
identico
interesse
per
la
visita
e
che
in
ugual
misura
gradiscano
trovarsi
lì.
Se
poi
le
scolaresche
provengono
da
altre
città
o
regioni,
non
è
raro
che
nell’arco
di
una
sola
giornata
visitino
più
luoghi
d’arte
o di
rilevanza
culturale,
tanto
che
spesso
e
volentieri
gli
alunni
accusano
un’inevitabile
stanchezza
e
disattenzione.
Bisogna
invece
ricordare
che
le
visite
sono
estenuanti
da
un
punto
di
vista
mentale
e
fisico.
Insistere
oltremodo
in
questa
direzione
non
è
una
scelta
felice
in
termini
di
resa.
Per
quanto
riguarda
gli
adulti,
in
prima
battuta
verrebbe
da
pensare
che,
perlomeno,
sia
da
ritenere
scontata
l’idea
che
la
visita
sia
la
risposta
a un
interesse
sincero
per
la
materia.
Tuttavia
non
è da
escludere
che
si
inneschino
dinamiche
meno
lineari.
Talvolta
c’è
il
desiderio
di
offrire
alla
collettività
un’immagine
di
sé
di
persona
intellettuale
e
culturalmente
curiosa
e
competente;
oppure,
più
banalmente,
si
può
partecipare
a
una
visita
come
semplici
accompagnatori
di
parenti,
amici
o
quant’altro
e
ritrovarsi
in
un
ambiente
che
in
realtà
non
corrisponde
ai
nostri
gusti
e
preferenze.
Molto
spesso,
però,
simili
resistenze
non
derivano
da
un
effettivo
disinteresse,
ma
da
un’istintiva
reazione
a
una
situazione
che,
per
similitudine,
richiama
alla
memoria
esperienze
negative
magari
vissute
in
età
scolare
e
per
questo
non
più
ripetute.
Alla
luce
di
tutto
ciò
si
comprende
per
quale
motivo
una
visita
non
sarà
mai
uguale
alle
altre.
Pur
nella
riproposizione
del
medesimo
itinerario,
ogni
visita
(in
virtù
anche
dell’obiettivo
che
si
vuole
perseguire
e
dei
contenuti
ritenuti
idonei
a
tal
fine)
dà
spunto
a
osservazioni
diverse,
può
porre
maggiore
attenzione
su
certe
opere
anziché
su
altre,
e
avrà
sempre
un
ritmo
diverso
soprattutto
quando
si
opta
per
un’esposizione
che
preveda
un’interazione
con
il
gruppo
di
ascolto.
È
senz’altro
un
lavoro
di
responsabilità
e,
per
certi
versi,
di
sfida,
ma
proprio
per
questo
entusiasmante
e
avvincente.