N°
173
/ MAGGIO 2022 (CCIV)
contemporanea
VIRTUAL ARCHEOLOGY
STRUMENTI PER LA RICERCA E LA FRUIZIONE ARCHEOLOGICA
di Mariangela Riggio
Con la locuzione Virtual Cultural Heritage si
indica “l’uso di sistemi di Realtà Virtuale per
generare, navigare ed esplorare ambienti storici
ricostruiti” (Guidazzoli, 2007). I vantaggi sono
ormai di gran lunga noti, essi vanno dalla
possibilità di esplorare virtualmente luoghi chiusi
al pubblico, alla ricollocazione virtuale di
manufatti nel loro contesto originale. La forza
espressiva di tali espedienti, in grado di rievocare
luoghi e atmosfere di un passato lontano, li rende
efficaci mezzi di comunicazione capaci di
coinvolgere soprattutto un pubblico di non esperti
del settore. Quando questi sistemi interessano il
mondo dell’archeologia si parla di Virtual
Archeology.
L’uso delle tecnologie digitali e di realtà virtuali
è ormai considerato fondamentale
non solo per la divulgazione dei risultati ottenuti
dalla ricerca archeologica, ma anche per lo stesso
percorso di analisi e studio.
Il primo a parlare di Virtual Archaeology fu
Paul Reilly: archeologo e informatico che nel 1991
indicò la possibilità di replicare gli scavi
mediante modelli tridimensionali e soluzioni
multimediali elaborate al computer, successivamente
il campo di applicazione venne ampliato ai sistemi
di visualizzazione e ricostruzione di ambienti del
passato facendone un veicolo di divulgazione
scientifica e didattica.
I sistemi di rilievi digitale restituiscono oggi
risultati sempre più precisi e realistici. Tra i più
diffusi nella ricerca archeologica vi sono: i
sistemi di fotogrammetria digitale aerea e
terrestre, la tecnologia Laser Scanning.
La fotogrammetria digitale è un metodo di rilievo
indiretto che permette di ottenere modelli digitali
con un elevato livello di dettaglio, buona
accuratezza geometrica e fotorealismo, attraverso il
sapiente uso di una fotocamera digitale. A partire
dalle fotografie dell’oggetto di interesse,
acquisite da punti di vista differenti ma con
lunghezza focale costante e con un adeguato grado di
sovrapposizione, è possibile ottenere la
restituzione tridimensionale, prima, dei punti nello
spazio 3D, poi, delle superfici di interpolazione (mesh).
Il processo avviene tramite appositi software
che applicano algoritmi derivati dai principi di
geometria proiettiva.
Il sistema Laser Scanning, invece, si basa
sull’emissione di raggi laser che colpiscono la
superficie da rilevare e il calcolo del tempo di
ritorno dei raggi riflessi. Per ciascun punto è
possibile rilevare le coordinate nello spazio
(ricavate da calcoli basati sulla lettura di angoli
azimutali, zenitali e distanze. Il risultato finale
di una “scansione” è un insieme digitale di migliaia
di punti riferiti a una terna cartesiana di
riferimento (x,y,z), detta “nuvola di punti”.
Infine, i software per la modellazione
tridimensionale, attraverso complessi calcoli
algoritmici, sono in grado di simulare in modo
sempre più accurato materiali e luce. In altre
parole, consentono di definire quei parametri
corrispondenti alle caratteristiche di riflessione,
rifrazione, colore, rugosità, tipiche di ogni
specifico materiale, quindi calcolare la luce che
consente di percepire forme e materiali esattamente
come nella realtà. Si tratta del cosiddetto processo
di rendering, con cui si ottengono immagini
dai modelli tridimensionali (simulando le tecniche
fotografiche).
La quasi perfetta resa fotorealistica, applicata ai
prodotti per la fruizione dei beni archeologici
potrebbe comportare il rischio di comunicare come
assolutamente certo ciò che invece può avere un
inevitabile margine di dubbio. Infatti, è bene tener
presente che lo studio del mondo antico è quasi
sempre frutto di ipotesi supportate dallo studio
della documentazione archeologica nonché dal
confronto con casi simili o coevi. È necessario,
pertanto, procedere sempre a una classificazione dei
vari elementi che compongono la ricostruzione
virtuale, scegliendo soluzioni che permettano di
distinguere gli elementi in base al grado di
affidabilità documentaria.
La disciplina della Virtual Archeology pone
l’archeologo di fronte a una nuova modalità di
indagare il passato: “la modellazione comporta la
messa a fuoco della forma originaria tramite i dati
forniti dal rilievo archeologico e la
formalizzazione di ipotesi da avvalorare e integrare
tramite confronti con altri contesti archeologici.
Il rapporto fra rilievo archeologico e modellazione
3D è quindi mediato da un atto di comprensione di
ciò che non esiste più e che va quindi, di fatto,
ricostruito” (Demetrescu, 2011).
Archeologo, architetto, informatico ed esperto di
sistemi per la visualizzazione tridimensionale e
interattiva dell’architettura spesso lavorano
insieme nella definizione di “realtà virtuali”. Esse
costituiscono di volta in volta l’astrazione di una
complessa vicenda architettonica, risultato
dell’alternarsi nel tempo di varie fasi costruttive
(distruzioni, ricostruzioni, modifiche) e deve
essere frutto di una scelta operativa che va fatta
preliminarmente e sotto la guida dell’archeologo.
La definizione della “realtà virtuale-ricostruttiva”
è a sua volta determinata da una continua
sperimentazione e
validazione interdisciplinare di ogni ipotesi. In
quest’ultimo aspetto la rappresentazione
tridimensionale offre, chiaramente, il grande
vantaggio di controllare agevolmente spazi e volumi.
Riguardo la possibilità di ottenere fedeli repliche
digitali per la fruizione, come su accennato, si
propone, ad esempio, il caso della grotta di
Chauvet, nel sito preistorico presso
Vallon-Pont-d’Arc, in Ardèche (Francia). Questa fu
scoperta nel 1994, essa custodisce al suo interno la
più importante testimonianza lasciata dall’uomo
circa 37.000 anni fa: disegni rupestri raffiguranti
425 figure di animali. Nel tempo la variazione della
temperatura interna della grotta, dovuta alla
presenza dell’uomo (studiosi e visitatori) nonché
l’esposizione a luci artificiali, rischiava di
danneggiare irrimediabilmente i dipinti. Pertanto,
la grotta venne chiusa al pubblico e nel 2011 fu
avviata una campagna di rilievo mediante tecnologia
laser scanning. Ciò, non solo ha consentito
di ottenere una fedele replica digitale che consente
di continuare a studiare i dipinti rupestri
semplicemente visualizzandoli sul computer,
ma è stata alla base della restituzione in scala
reale di una copia della grotta, inaugurata il 25
Aprile 2015.
Il Progetto “NEPTIS - Soluzioni ICT per la fruizione
e l’esplorazione aumentata di Beni culturali” è
stato realizzato nell’ambito del Programma Operativo
Nazionale “Ricerca e Competitività” 2007-2013
(Partners: Università degli studi di Palermo,
Università di Catania, Consiglio Nazionale delle
Ricerche, PITecnoBio, IDS&Unitelm). L’autrice,
insieme al Prof. Arch. Fabrizio Agnello e alla Dott.
ssa Archeologa Giusy Galioto, si è occupata dello
“Studio di modelli tridimensionali e ricostruzioni
virtuali del patrimonio architettonico da utilizzare
nelle ICT”, relativamente alla domus Casa B
dell’Isolato 8, nel sito archeologico di Eraclea
Minoa (Agrigento).
In entrambi i casi gli output finali sono stati dei
prodotti multimediali per la fruizione di reperti e
siti archeologici (video, sistemi di esplorazione e
navigazione 3D). Queste due attività di ricerca
menzionate sono frutto dell’esperienza
interdisciplinare che hanno visto coinvolti
principalmente un architetto esperto in tecniche di
modellazione 3D e visualizzazione interattiva
dell’architettura e un archeologo. Una
collaborazione che si è dimostrata efficace fin
dalle prime fasi della ricerca quando, durante i
sopralluoghi congiunti e le attività di rilievo, il
ruolo fondamentale dell’archeologo è stato
senz’altro quello di sapere interpretare e osservare
tracce di un costruito non facilmente riconoscibile.
Nella fase successiva di ricerca all’architetto
spettava il compito di dare forma alle ipotesi
ricostruttive formulate insieme all’archeologo; a
quest’ultimo il compito di comprendere le logiche di
strumenti estranei alla propria formazione e mettere
a frutto le loro potenzialità, nonché contribuire al
controllo delle scelte riguardanti i processi di
comunicazione virtuale e le soluzioni grafiche
proposte.
Si sottolinea, infine, che qualsiasi soluzione
ricostruttiva elaborata rappresenta, in ogni caso,
un punto di partenza, poiché essa va letta come il
tentativo di dare inizio a un dialogo tra gli
esperti, un invito a porsi ulteriori interrogativi e
a fornire altre soluzioni interpretative. Ciò,
coscienti del fatto che l’obiettivo di una
ricostruzione virtuale è quello di proporre
un’ipotesi plausibile ma non assoluta: “nessuno
studio ricostruttivo sarebbe tale se si conoscessero
tutti i particolari esecutivi e decorativi
originali. Non si tratterebbe più di ricostruzione,
ma di restituzione” (Gabellone, 2012).
Pertanto, nell’elaborare una ricostruzione virtuale
non devono mai mancare la giusta attenzione nella
scelta di soluzioni grafiche e la documentazione del
processo di ricerca e dei dati raccolti che hanno
permesso di avvalorare un’ipotesi piuttosto che
un’altra.
Riferimenti bibliografici:
E. Demetrescu, Modellazione 3D, visualizzazione
scientifica e realtà virtuale, in Atti del II
Archeologia virtuale – La metodologia prima del
software (Roma, 5-6 aprile 2011), a cura di S.
Gianolio, Roma 2011.
F. Gabellone, La trasparenza scientifica in
archeologia virtuale. Commenti al Principio N. 7
della Carta di Siviglia, 2012.
A. Guidazzoli, L’esperienza del CINECA nel campo
della Virtual Archaeology, in Colarini A.,
Scagliarini Corlàita D. (a cura di), UT NATURA
ARS. Virtual Reality e archeologia. Studi e Scavi,
Bologna 2007.