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N. 78 - Giugno 2014 (CIX)

VINCENZO FOPPA
GLI ESORDI E I TRE CROCIFISSI

di Roberta Fameli

 

Vincenzo Foppa nacque a Brescia nel 1427, fu il più grande pittore lombardo del Quattrocento. Della sua formazione conosciamo veramente poco, ma sappiamo per certo che essa fu legata principalmente al mondo cortese «ben vivo nella prima metà del XV secolo in tutta la Lombardia».

 

Subì l’influenza di Donatello, Paolo Uccello e Filippo Lippi, alla cultura veneta, provenzale e fiamminga, oltre al gotico internazionale «che aveva in Milano uno dei centri più significativi d'Italia».

 

Le prime opere conosciute del Foppa sono San Bernardino e una Crocifissione ove appaiono evidenti i richiami a di Gentile da Fabriano e Jacopo Bellini. In particolare, la Crocifissione, datata (1456), «mostra un'architettura classica di origine padovana, con un arco di trionfo adorno di medaglioni antichi, dove si stagliano le tre figure prospetticamente scorciate mentre il paesaggio è legato ancora al gusto internazionale».

 

L’importanza di queste opere risiede nel fatto che in esse, notiamo il netto superamento «della geometria di matrice toscana» per dare maggiore attenzione alla resa della luce.

 

Tra il 1455 e il 1456 Foppa si stabilì con la famiglia a Pavia che all’epoca era sotto il dominio degli Sforza: in questo periodo egli realizzò i pannelli di un polittico di cui ci restano i mezzibusti dei Santi Siro e Paolo (1415).

 

I capolavori di questa fase sono la Madonna che abbraccia il bambino e la Madonna del Libro, entrambe conservate nella Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano. Nel 1463 Foppa fu chiamato a Milano da Francesco Sforza che gli commissionò la decorazione del portico dell'Ospedale Maggiore, oggi perduta: l’opera raffigura la Cerimonia della posa della prima pietra, avvenuta il 12 aprile 1457.

 

Nel 1465 Foppa alla Certosa di Pavia, dove dipinse diverse opere andate perdute. L’opera più significativa del periodo milanese è la decorazione della Cappella Portinari (1464-1468) nella basilica di Sant'Eustorgio, «in cui Foppa affrescò quattro tondi con Dottori della Chiesa nei pennacchi, otto Busti di santi negli oculi alla base della cupola, le lunette delle pareti laterali scene della Vita di san Pietro Martire, l'arco di trionfale con l'Annunciazione e la controfacciata con l'Assunzione».

 

Tra il 1470 e il 1485 Foppa raggiunge la piena maturità artistica dominando la scuola lombarda, ligure e piemontese. Nel 1475 eseguì a Brescia nella cappella Averoldi nella chiesa del Carmine dipinse gli Apostoli e Evangelisti entrambi «dotati di una rara efficacia plastica» e nel 1476 dipinge il Polittico di Santa Maria delle Grazie a Bergamo.

 

Del 1478, invece, è l'Adorazione del Bambino di Detroit che dopo un restauro troppo aggressivo è oggi in pessime condizioni. Nel 1489, a Savona, dipinse due polittici: uno per Manfredo Fornari, e l’altro, per Giuliano Della Rovere, il futuro Giulio II.

 

Con il passare del tempo il suo stile pittorico subì l'influsso di Leonardo da Vinci come si evince da opere come il San Sebastiano, nella Madonna fra i santi, nella Pala Bottigella e in San Francesco riceve le stimmate. Nel 1501 gli fu commissionato il polittico del Santissimo Sacramento per la basilica di San Pietro de Dom a Brescia, «in seguito trasferito in prestigiosa posizione sull'altare maggiore e infine smembrato probabilmente nel 1604 alla demolizione della basilica [...]».

 

Negli ultimi anni l'artista rientrò a Brescia dove visse in solitudine fino alla morte «dipingendo, insegnando e ponendo le premesse per lo sviluppo di una rigogliosa scuola locale». Tra le ultime opere ricordiamo l'Annunciazione e lo Stendardo Orzinuovi.
 

L'artista morì nel 1515-1516 circa. Nel corso della sua vita artistica Foppa dovette confrontarsi con un nuovo strumento di lavoro: la prospettiva. È proprio al Rinascimento italiano che si attribuisce l'invenzione «della prospettiva centrale, un procedimento di rappresentazione della figura basato su teoremi dell'ottica antica e della geometria euclidea».

 

Essa fu rielaborata in forma teorica da Leon Battista Alberti e da Piero della Francesca. Nel corso del Cinquecento i pittori adoperarono numerose tecniche per l’applicazione della prospettiva, per esempio, attraverso la vista dal basso o dall'alto, a volo d'uccello, illusioni spaziali e scenografiche. In questa ottica si colloca una delle opere più conosciute di Vincenzo Foppa: I Tre crocifissi, realizzata a soli vent’anni (datata 6 aprile 1450). Il dipinto, a tempera su tavola, conservato presso l’Accademia Carrara di Bergamo, è di piccole dimensioni facendoci ipotizzare la committenza di un privato e non la decorazione di una cappella.

 

Nell’opera «si intravedono i rapporti che l’artista aveva con la cultura veneta e padovana» infatti «in questo dipinto i tre crocifissi appaiono inquadrati in un'architettura che richiama quelle del Mantegna». L’artista colloca la Crocifissione in primissimo piano ed è costruita secondo «i rigidi canoni della prospettiva di cui riusciamo a scorgere le linee di fuga nella pavimentazione».

 

La rappresentazione dei borghi sullo sfondo è di tipo tardogotico mentre la raffigurazione del diavoletto - seduto sulla croce del ladrone alla sinistra di Gesù intento a tirare i capelli al ladrone che non si è pentito «per obbligarlo a girare la testa e non guardare in viso il Cristo col rischio di ravvedersi».

 

Il dipinto di Foppa offre quindi l’occasione per approfondire il tema del Rinascimento lombardo, di cui il pittore fu uno degli esponenti più importanti, mantenendo «una propria forte e orgogliosa identità».

 

 

Riferimenti bibliografici

 

AA.VV., Nel lume del Rinascimento, catalogo della mostra, Edizioni Museo diocesano di Brescia, Brescia 1997

Pier Virgilio Begni Redona, Quattrocento anni di storia dell'arte a Brescia - Pittura e scultura nel Duomo nuovo in Marco Taccolini (a cura di), Il Duomo nuovo di Brescia - Quattro secoli di arte, storia, fede, Grafo, Brescia 2004

Bruno Passamani, Guida della Pinacoteca Tosio-Martinengo di Brescia, Grafo, Brescia 1988

Vincenzo Foppa, catalogo della mostra (Brescia 2002) a cura di G. Agosti e G. Romano, Milano 2003.



 

 

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