VIKTOR BOUT REDIVIVO
IL RITORNO DEL “TRAFFICANTE DI MORTE”
di
Gian Marco Boellisi
Ci sono alcune personalità che avranno
attorno a sé sempre un alone di mistero,
indipendentemente da quante indagini si
possano fare a riguardo o da quante
supposizioni o rumors fuoriescano
negli anni. Un esempio lampante è Viktor
Bout, noto trafficante di armi
recentemente tornato in libertà.
Ai più questo nome non dirà niente,
tuttavia egli rimane uno dei personaggi
che indirettamente ha contribuito a
plasmare il mondo in cui viviamo oggi. I
pochi che invece conoscono questo nome
sanno anche che sulla sua figura è stato
ispirato il noto film con Nicolas Cage
Lord of War, nome appunto
attribuitogli durante i suoi anni di
attività. Essendo ora Bout tornato in
libertà a seguito di uno scambio di
prigionieri tra Russia e Stati Uniti, è
estremanente interessante cercare di
comprendere chi sia questo personaggio e
di cosa potrebbe accadere se tornasse in
attività.
Partiamo da un quadro generale. A oggi
le informazioni che abbiamo su Viktor
Bout sono come i tasselli di un puzzle
di dimensioni variabili che cambiano
forma o colore in funzione di chi li
prenda in mano. Per quanto si sia
tentato, ancora oggi non si ha un’idea a
quanto ammontino le fortune accumulate
dal trafficante negli anni. Con tutta
probabilità si parla di centinaia di
milioni di dollari, ma non se ne può
essere certi.
Se anche solo metà delle accuse e delle
voci sul suo conto fossero fondate, Bout
avrebbe rifornito de facto tutti
i conflitti armati avvenuti tra i primi
anni ‘90 e la fine degli anni 2000 nel
globo, questo considerando ovviamente
che la sua attività abbia smesso di
esistere a seguito del suo arresto nel
2008.
Possessore secondo lo UN Security
Council Committee per la Liberia di
almeno quattro passaporti, Bout è
diventato famoso per aver esportato un
numero pachidermico di AK-47 in giro per
tutto il mondo, tanto da conferirgli
soprannomi come il “Signore della
Guerra” o il “Mercante di Morte”.
A seguito della presenza del Kalashnikov
nei maggiori teatri di conflitto, è
maturata negli anni la convinzione che
le vittime di AK-47 dal 1945 in poi
superino di gran lunga i morti provocati
da tutte le pestilenze, le carestie, le
guerre e i cataclismi naturali avvenuti
nella storia dell’umanità. Una tale
stima è impossibile da verificare
naturalmente, ma se quanto scritto sopra
fosse anche lontanamente verosimile è
molto probabile che Viktor Bout abbia
sulla propria coscienza un numero
cospicuo di queste vittime.
Viktor Anatolyevich Bout nasce nel 1967
a Dushanbe, la capitale del Tagikistan,
da madre contabile e padre meccanico.
Secondo l’intelligence inglese e
sudafricana la famiglia era di etnia
ucraina, tuttavia non si è mai riusciti
a stabilirlo con certezza. Cresce con il
fratello Sergei in una famiglia atea, il
che risultava normale durante i tempi
dell’Unione Sovietica sebbene i Bout si
trovassero in un paese a maggioranza
musulmana. Gli anni della gioventù sono
praticamente sconosciuti e da quel poco
che si sa, Bout, appassionato sin da
tenera età di lingue, decide di
frequentare l’Istituto Militare di
Lingue Straniere a Mosca.
Questa sua passione lo porta già da
giovanissimo a sapere un numero elevato
di idiomi, tra cui portoghese, inglese,
arabo, farsi, francese, esperanto,
uzbeko e alcune lingue africane. Proprio
grazie a questa sua profonda conoscenza
delle lingue, negli ’80 svolge attività
di interprete in Angola e Mozambico per
alcuni mesi a supporto delle forze
filo-sovietiche in loco. Si dice che fu
in questa occasione che conobbe Igor’
Sečin, all’epoca agente del KGB e oggi
uno dei maggiori consiglieri di Putin
nonché CEO di Rosneft, una tra le
principali, se non la principale,
compagnia petrolifera russa. Nel corso
degli anni infatti Sečin avrebbe coperto
e aiutato fortemente Bout nei suoi
traffici sponsorizzandolo con i suoi
contatti africani. Per quanto questa
ipotesi possa sembrare verosimile,
ancora oggi i due affermano di non
conoscersi e ovviamente è impossibile
provare un legame diretto.
Con la caduta dell’Unione Sovietica,
Bout viene congedato nel 1991,
verosimilmente con il grado di tenente
colonnello. Sulla carriera militare di
Bout vi sono varie teorie. Infatti c’è
chi afferma che il suddetto grado sia
stato ottenuto nell’esercito, chi invece
asserisce che fosse diventato un
maggiore nel GRU, altri ancora che sia
diventato un ufficiale nel KGB o
nell’aviazione. Tra le varie ipotesi, la
più verosimile è quella che
ricondurrebbe Bout ad aver militato
nelle forze aeree sovietiche, specie per
la profonda conoscenza di aerei che poi
avrebbe messo a frutto da imprenditore
del traffico di armi mondiale.
Nei primi anni ’90 i paesi che avevano
fatto parte dell’Unione Sovietica erano
completamente allo sbando da un punto di
vista amministrativo e militare, e Bout
sfrutta proprio questo fattore a suo
vantaggio. Centinaia di aerei rimasero
inutilizzati sulle piste di atterraggio,
senza uno stato centrale a mandarli in
missione o banalmente anche solo a
progammarne la manutenzione. Bout decide
così di comprarne diversi modelli a
prezzi stracciati, anche grazie ai suoi
contatti nelle sfere militari, arrivando
addirittura ad aggiudicarsi tre vecchi
Antonov per meno di 40.000 dollari ad
aereo.
Se ha facilità nel trovare aerei, è
ancora più facile trovare i piloti. Con
gli stipendi in arretrato di diversi
mesi, Bout riesce a ingaggiare un
discreto numero di piloti per condurre
la sua nuova costituita flotta di
aeromobili. Si ritiene che, all’apice
della sua carriera, Bout possiede tra i
40 e i 60 aerei disponibili in varie
parti del globo. Per evitare occhi
indiscreti, i velivoli vengono
registrati spesso in paesi dalle
normative lascive in fatto di
certificati di provenienza e origine,
come la Repubblica Centrafricana e la
Guinea Equatoriale. In tutti i suoi anni
di attività, l’unica società che sarà
riconducibile a Bout è la Air Cess,
registrata in Liberia nel 1995.
Oltre agli aerei, l’altra cosa che Bout
riesce a trovare completamente sguarnita
sono gli arsenali sovietici. Interi
depositi volti a una guerra con gli
Stati Uniti che non è mai arrivata
rimangono praticamente incustoditi, alla
mercè di chi può offrire di più per
riscattarli. Questa diverrà la base di
partenza del Bout trafficante: milioni
di proiettili, pistole, granate, razzi,
ma anche missili guidati, elicotteri
d’assalto e visori notturni. L’offerta
così è pronta a essere distribuita, ora
c’è bisogno solo della domanda.
Tramite i suoi piloti e alle dritte dei
suoi clienti, Bout riesce a tracciare
rotte aeree misteriose che lo portano a
fornire armi a tutti i maggiori
conflitti degli anni ’90 in Africa. Si
parla di rifornimenti a entrambi gli
schieramenti in Nigeria, al conflitto in
Angola o in maniera più estesa anche
alle guerre in Sudan e in Congo o al
regime di Gheddafi in Libia. È passato
alla storia lo stretto rapporto che Bout
ha intrattenuto per anni con il
dittatore liberiano Charles Taylor,
comprando addirittura una villa vicino
alla residenza presidenziale. Taylor ha
sempre pagato profumatamente il conto
delle sue armi in diamanti trafugati
illegalmente dalla Sierra Leone, in
quegli anni sotto stretto embargo.
Famosa è l’immagine di bambini soldato
ebbri di sostanze stupefacenti e con in
mano un AK-47 agli ordini delle forze di
Taylor. In questi anni molti dei paesi
coinvolti in conflitti sono ancora oggi
zone prolifiche di estrazione mineraria,
motivo per cui Bout si ritiene essere
stato spinto da potenze straniere e
occidentali a rifornire questa piuttosto
che quella parte nel conflitto, così da
poter trarre vantaggi a lungo termine
dall’estrazione delle risorse nei
relativi paesi.
Con il tempo Bout diventò un esperto nel
violare gli embarghi delle Nazioni Unite
sul traffico di armi. Tra i suoi viaggi
si ritiene ve ne siano stati diversi
anche in Afghanistan, anche se a detta
di Bout stesso egli non avrebbe mai
intrattenuto rapporti con Al-Qaeda o
Osama bin Laden. È abbastanza verosimile
invece che abbia fornito armi al governo
immediatamente precedente a quello
talebano, andando così a rifornire anche
quella che sarebbe diventata l’Alleanza
del Nord comandata da Ahmad Shah Massoud,
ricevendo in questo senso un possibile
benestare da parte di Washington. Un
altro teatro in cui si ritiene che Bout
sia stato coinvolto è quello delle
guerre Jugoslave, dove avrebbe fornito
armi alle forze bosniache, anche se la
cosa è praticamente impossibile da
provare.
L’apice della carriera criminale di Bout
si ha alla fine degli anni ’90 e nei
primi anni 2000. Qui lo si vede
coinvolto ancora una volta in Congo,
così come con Hezbollah in Libano,
nuovamente con Gheddafi e anche nelle
guerre al terrore americane avviate in
Medio Oriente. In questi anni Bout vede
un incremento decisivo nelle sue
spedizioni e allo stesso tempo un
aumento dell’attenzione nei suoi
confronti da parte delle Nazioni Unite e
delle autorità americane. Nel 2000
infatti il nome Viktor Bout viene
menzionato per la prima volta presso il
Consiglio delle Nazioni Unite con
l’accusa di traffico illegale di armi.
La connessione con gli armamenti
proviene dal fatto che svariati suoi
aerei, o comunque riconducibili a lui
per vie traverse, sarebbero stati visti
numerose volte atterrare in zone di
guerra e scaricare armamenti.
Dal 2001 in poi le sue attività
sarebbero state ancor più tenute sotto
controllo, con un monitoraggio continuo
e con spedizioni più difficili da tenere
al sicuro. Bout si rifugia così in
Russia, dove sa che il governo
difficilmente concederebbe
l’estradizione in caso di cattura.
Tuttavia, per quanto le indagini su di
lui continuino, i vari governi e
istituzioni internazionli non riescono
(o non vogliono) formalizzare capi
d’accusa rilevanti nei suoi confronti,
portando così a un mero mandato per
riciclaggio di denaro sporco.
Per ironia della sorte, proprio quando
presso la Nazioni Unite e l’Interpol il
suo nome inizia a essere tra le
priorità, Bout inizia a collaborare con
il governo degli Stati Uniti per portare
armi a sostegno della guerra in Iraq. Si
stima che tra il 2003 e il 2004 Viktor
Bout abbia effettuato più di mille voli
su Baghdad portandovi qualsiasi genere
di armi. Nel 2007 un inchiesta del
Los Angeles Times riporta come Bout
sia stato pagato 60 milioni di dollari
dalle autorità americane per i suoi
trasporti in Iraq a supporto delle forze
della coalizione.
Nel 2005 però si ha un cambio di rotta,
infatti Viktor Bout viene inserito nella
lista nera dal governo americano, il
quale inizia a cercarlo attivamente per
arrestarlo e fermarne i traffici. Che
questo sia stato un tentativo di
sbarazzarsi di una personalità scomoda a
fine lavoro o che sia stata l’avidità di
Bout a renderlo troppo visibile sullo
scenario internazionale, non lo sapremo
mai. È simbolico però il fatto che per
un certo periodo della sua carriera,
Bout sia stato sia defense contrastor
per la Casa Bianca sia ricercato numero
1 dalle autorità federali. Ed è proprio
dal 2005 che Bout non si fa vedere più
fuori dalla Russia, ma solamente nei
ristoranti e negli hotel più rinomati di
Mosca.
Negli anni successivi Bout vede il
cerchio stringersi sempre più attorno a
lui, fino a quando nel 2007 la DEA (Drug
Enforcement Administration, agenzia
anti-droga statunitense) cerca di
mettere in trappola il trafficante a
Bucarest, attirandolo per una presunta
fornitura da 20 milioni di dollari alle
FARC colombiane. Bout annusa la trappola
e non si presenta all’incontro. Nel 2008
viene contattato per lo stesso affare e
in questo caso invece si dimostra
interessato e si sposta dalla Russia.
Atterra a Bangkok in Thailandia dove
effettua la trattativa con i compratori,
i quali tuttavia si rivelano agenti
sotto copertura della DEA e delle
autorità tailandesi che non perdono
tempo ad arrestarlo. In prima istanza
viene messo in carcere con i peggiori
criminali tailandesi, dove però resiste
alle provocazioni e alle condizioni
ambientali orribili dove si trova. Dopo
pochi mesi viene spostato in una cella
singola di pochi metri quadri e qui
rimane fino al 2010.
Alla notizia dell’arresto di Bout, le
diplomazie statali si sono mosse sin da
subito per ottenerne l’estradizione. Se
da un lato il Ministro degli Esteri
russo Lavrov ha additato l’arresto di
Bout come “motivato politicamente”,
dall’altro lato le autorità americane
hanno mantenuto un riserbo maggiore, ma
operando comunque attivamente per
estradarlo negli Stati Uniti. Durante le
trattative si dice che i russi fossero
pronti addirittura di tagliare il prezzo
del petrolio in cambio di un suo
rilascio, mentre gli americani dal loro
canto avrebbero rilanciato con un
accordo sugli armamenti. Si temeva
inoltre che Bout potesse essere
rilasciato improvvisamente a causa della
presenza di elementi corrotti, sia
all’interno delle autorità tailandesi
sia all’interno della DEA stessa, timori
avvalorati in parte da alcuni file
pubblicati da Wikileaks nel 2010.
Dopo numerose trattative, il 6 novembre
del 2010, Viktor Bout viene scortato da
50 agenti per essere estradato negli
Stati Uniti senza che la controparte
russa venisse avvisata. All’epoca molti
analisti pensarono che le pressioni di
Washington per avere Bout fossero
principalmente legate alla sua grande
conoscenza della macchina di
approvigionamento militare russa e che
quindi volessero cercare di estorcergli
quante più informazioni possibili.
D’altra parte vi è anche la teoria
secondo la quale gli Stati Uniti
avessero solo paura dei segreti
americani in possesso di Bout e che
quindi volessero essere sicuri che
questi non andassero nelle mani
sbagliate.
Una volta arrivato a New York inizia
subito il processo al più famoso
trafficante d’armi della storia. La
pubblica accusa chiede per Bout
l’ergastolo, imputandogli accuse di
cospirazione con l’intento di uccidere
cittadini statunitensi, terrorismo e
traffico di armi a favore delle FARC. Un
importante aspetto è che nessuno dei
reati sopra citati è stato virtualmente
commesso in territorio americano, motivo
per cui la difesa chiede il
proscioglimento da tutte le accuse per
insufficienza di prove.
Dopo 2 anni di processo Viktor Bout
viene condannato dalla corte di
Manhattan a 25 anni di reclusione, la
pena minima rispetto ai crimini
imputatigli. All’indomani del processo,
si dice che Vikor Bout abbia affermato «se
i criteri di giudizio che sono stati
applicati sul mio caso venissero
applicati a tutti i rivenditori e
negozianti statunitensi che commerciano
in armi, ognuno di essi dovrebbe essere
accusato dell’intento di uccidere
cittadini americani».
Nonostante la faccenda sembrasse ormai
chiusa, il Cremlino ha continuato a far
richiesta negli anni per ottenere
l’estradizione di Bout in Russia,
fallendo a ogni tentativo. A 10 anni
esatti della condanna però è avvenuto un
evento inaspettato, inatteso, che ha
permesso al Cremlino di liberare Bout:
la guerra in Ucraina.
Nel contesto delle relazioni tesissime
tra Stati Uniti e Russia, all’indomani
dell’invasione, Washington ha continuato
a lavorare per la liberazione di
Brittney Griner, cestista americana
arrestata nel febbraio 2022 con l’accusa
di utilizzo e detenzione di
stupefacenti. Ad agosto dello stesso
anno la Griner è stata condannata a 9
anni di reclusione, con pochissime
speranze di rilascio anticipato. Ed è
stato proprio in questo frangente che
l’amministrazione Biden è entrata in
trattativa con il Cremlino per il
rilascio della propria concittadina. La
richiesta russa è stata semplice: la
liberazione di Viktor Bout. Ed è stato
così che l’8 dicembre 2022 Bout è
tornato in libertà con un volo verso
Mosca. A detta di alcuni analisti, dopo
questo scambio gli Stati Uniti sarebbero
diventati più ricattabili.
A oggi il destino di Bout è ignoto e
difficilmente se ne sentirà parlare nei
prossimi anni. Tuttavia è importante
sottolineare come, per quanto possa
sembrare ininfluente oggi, per decenni
potenze di tutto il mondo hanno provato
a guadagnarsi i suoi favori, i suoi
servizi e le sue informazioni. Con
grande probabilità ancora oggi parte
della rete da lui costituita negli anni
’90 è ancora in piedi e parzialmente
operativa, cosa che ogni Stato che ha
interessi geopolitici a carattere
globale non può ignorare. Da qui a
ritenere che Viktor Bout possa tornare
in attività vi è un abisso enorme,
tuttavia è importante considerare che
uomini come lui difficilmente vanno in
pensione a tempo pieno. Come la sua
attività potrà influenzare le dinamiche
dei conflitti di domani, questo è ancora
da vedere.
Se si vuole inquadrare la figura di Bout
con una maggiore prospettiva, egli può
essere visto come la quintessenza del
capitalismo moderno. Lasciando da parte
per un istante la merce da lui trattata,
ha fornito servizi in tutto il mondo non
distinguendo i propri clienti per
schieramento politico, etnia di
provenienza, religione o nazione di
origine. I suoi aerei hanno raggiunto
dittatori, combattenti per la libertà,
ribelli antigovernativi e forze
gorvernative, dall’Angola
all’Afghanistan, dalla Sierra Leone al
Guatemala, con un rate di
soddisfazione rasente il 100% nell’arco
di 20 anni.
Per quanto le attività di Bout siano
ormai abbastanza note, trovare delle
prove a suo carico ancora oggi non
risulta essere un compito semplice.
Questo sia per una sua quasi maniacale
attenzione ai dettagli sia poiché, con
quantitativi di armi così grandi in giro
per il mondo, è illusorio pensare che
non vi sia stata una protezione ad
altissimi livelli che abbia permesso a
Bout di operare per decenni senza che
venisse mai toccato. E per protezione
non si intende il magnate X piuttosto
che l’oligarca Y, ma parliamo di veri e
propri Stati. Val la pena ricordare che
le cinque nazioni che commerciano
legalmente e trafficano illegalmente
armi di più di tutti gli altri stati al
mondo fanno parte tutte e cinque del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite. Una profittevole fatalità
direbbero alcuni.
In conclusione, figure come quelle di
Viktor Bout rimarranno sempre avvolte da
una coltre spessa di nebbia oltre la
quale i contorni delle immagini non
saranno mai chiare. Bout ha subìto nel
corso degli anni anche una certa
romanticizzazione, visto come
l’esponente di quella innominabile
cerchia di trafficanti di armi che
segretamente domina il mondo.
In verità, come già accennato sopra, il
traffico di armi è controllato tra l’80%
e il 90% del suo totale direttamente
dagli Stati sovrani. Vi è poi il
rimanente 10% che vede questi terzisti,
o trafficanti che dir si voglia,
comprare o ricettare armi dagli stessi
Stati per poi rivenderle dove gli Stati
non potrebbero per posizioni politiche
consolidate. Vi è quindi un’enorme
contraddizione in questo mondo, e Viktor
Bout le rappresenta tutte. Rimane il
fatto che il commercio di armi rimane
una delle piaghe che affligge questo
globo e causa un numero incalcolabile di
morti ogni anno.
Finchè tuttavia ci saranno nel mondo
persone come Bout e Stati disposti a
finanziarlo, il sangue nelle strade non
potrà che continuare a scorrere.