.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

.

arte


N. 79 - Luglio 2014 (CX)

Villa Torlonia, il polo museale
la famiglia torlonia- PARTE II

di Silvia Mattina

 

La famiglia Torlonia ha origine d'oltralpe con il fondatore di attività commerciali, Marino Torlonia che giunge a Roma nel 1750 presso il cardinale Acquaviva d'Aragona. 

 

A seguire le orme del creatore di questa fortuna, fu il figlio Giovanni Raimondo, con lui si ebbe un grosso sviluppo e grande quantità di guadagni, in coincidenza con gli anni di grandi trasformazioni che subì l'Europa facendo ingenti affari con i francesi durante l'occupazione napoleonica e offrendo prestiti vantaggiosi su proprietà immobiliari e fondiare alla nobiltà romana con il Banco Marino Torlonia.

 

Nel 1809 Giovanni conquistò lo status di nobile Romano, per gentile concessione di Pio V e a testimonianza della nuova posizione sociale, decise di fare tutta una serie di acquisizioni che coinvolsero tra le altre, Villa Colonna sulla Nomentana e Palazzo Cenci Bolognetti.

 

La ricchezza incamerata nel tempo permise a Giovanni l'acquisto di proprietà nel Lazio e titoli nobiliari: marchese di Romavecchia e Turrita e dai Pallavicini il principato di Civitella Cesi.

 

Questo enorme patrimonio poi fu diviso tra i figli Marino, Carlo e Alessandro. Il primo, già duca di Poli e Guadagnolo, divenne anche duca di Bracciano, Carlo fu invece, promotore di opere di beneficenza e ricoprì la carica di Guardia Civica Romana; per ultimo Alessandro, colui che prese il comando del banco dopo la morte del padre e fu principe di Civitella Cesi e marchese di Romavecchia e Turrita.

 

I Torlonia investirono tanto anche nell'edilizia della città di Roma, con l'acquisto di immobili romani e tra gli altri vanno ricordati: Villa Costaguti Torlonia, Palazzo Bolognetti Torlonia, Palazzo Giraud Torlonia, Palazzo Nunez Torlonia, Palazzo Torlonia a via della Lungara, Villa Albani Torlonia e Villa Torlonia sulla via Nomentana.

 

Agli anni '30 dell'Ottocento risale l'acquisto di Marino Torlonia della villa già Costaguti e poi del consigliere dell'Ambasciata austriaca il barone de Jannotte Mafrckenfeld alla fine della via Pia, oggi  Via XX Settembre  presso la Porta Pia. Questa villa aveva una duplice denominazione, infatti era conosciuta anche come Villa di Bracciano, dal ducato acquisito dal Torlonia in quegli anni e per distinguerla dalla villa sempre di famiglia sulla via Nomentana. Palazzina di tipo neoclassico   con volte a cassettoni purtroppo oggi scomparsa, infatti, fu distrutta durante un attentato degli israeliani e ricostruita come sede dell'Ambasciata di Gran Bretagna.

 

Sempre su idea di Marino, nel 1842 i Torlonia acquistarono il  Palazzo Nunez nel rione di Campo Marzio, dove attuano un imponente lavoro di ristrutturazione urbanistica che portò allargamento di via Bocca di Leone davanti il palazzo stesso e all'erezione di una fontana con sarcofago sullo slargo creatosi. Si affacciava su piazza Scossacavalli fino all'apertura di Via della Conciliazione, il Palazzo Giraud è un edificio che risale alla fine del Quattrocento con una struttura rinascimentale a due piani e sette finestre su ogni livello rimanendo intatta nella struttura fino ai Torlonia, passando per i banchieri francesi Giraud nel Seicento.

 

Nella zona tra Via Salaria e Viale Regina Margherita vi è una villa che reca sul prospetto principale una targa che recita in questo modo:

 

Alexander Albani vir eminentissimus instruxit et ornavit/

Alexander Torlonia vir principes in melius ristituit

 

Come si deduce da questa iscrizione la Villa del cardinale Alessandro Albani fu acquistata nel 1868 dal Principe Alessandro Torlonia e proprio a lui si devono i lavori di ristrutturazione che fecero affluire nuove sculture, dipinti e rilievi della già ricca collezione del cardinale.

 

L'immenso pregio di questo museo fu celebrato già dallo storico dell'arte Federico Zeri, definendolo "uno tra i più importanti di scultura antica esistenti al mondo": dal punto di vista artistico, dipinti di Tintoretto, Giulio Romano, Guercino, Perugino; mentre architettonicamente come esempio interessante dell'architettura tardo barocca a Roma. Questa villa ha anche un valore storico importante infatti, il 20 settembre 1870 dopo la breccia di Porta Pia, il generale Hermann Kanzler per conto del papa e il generale Raffaele Cadorna per l'Italia, firmarono la capitolazione e quindi la presa di Roma.

 

Se i Torlonia decisero di donare la Villa al pubblico piacere estetico e culturale, la stessa cosa non si può dire per Villa Albani, dove i ripetuti tentativi di esproprio da parte del Comune di Roma non hanno contribuito a rendere fruibile il parco di dieci ettari e la splendida collezione in essa custodita.

 

La Villa realizzata dal Carlo Marchionni, su consulenza di Winckelmann, era stata concepita per ospitare la collezione d'arte del cardinale nipote di Clemente XI e non come abitazione, anche se poi, in essa furono organizzati concerti e feste come centro di cultura. Tutto è rimasto quasi identico a questo assetto tranne alcune statue trasferite a Palazzo Torlonia su Via della Lungara. La struttura di quest'ultimo palazzo risale al Seicento con funzione originaria di un magazzino a mulino, con energia che proveniva dall'Acqua Paola al Gianicolo e sistemato poi a residenza dalla famiglia Torlonia.

 

Il casino a due piani di Villa Albani si articola tra il porticato e la balaustra mentre all'interno degno di nota è l'affresco del salone con la raffigurazione del Parnaso ad opera di Anton Raphael Mengs nel 1756. Nella stanza accanto è detta di Antinoo, infatti il Marchionni pose sul camino della stanza il celebre rilievo di Antinoo che si trovava in realtà a Villa Adriana.

 

L’atto di nascita di Villa Torlonia si ebbe con il contratto di vendita rogato dai notai Antonio Francesco De Rubeis e De Rossi 8 aprile 1795 nella residenza di Giovanni Torlonia, dove era stato trasferito anche il banco, ossia in Via del Corso in prossimità della Chiesa delle Convertite nell'area attualmente occupata dal Palazzo Marignoli. Giovanni si era impegnato in quest'atto a rispettare il contratto stipulato dai Colonna "per apoca privata" con Lorenzo Passeri, questi era succeduto al padre Domenico nella custodia e manutenzione della villa.

 

In questa prima fase, Giovanni affida i lavori di sistemazione della Villa sulla Nomentana all'architetto Giuseppe Valadier nell'arco di tempo tra il 1802 e il 1806.

 

I primi interventi interessarono: la conversione dell'edificio della Villa Colonna in un elegante palazzo, la realizzazione delle Scuderie e il monumentale portale d'ingresso alla villa e infine la ristrutturazione del Casino Abbati ora Casino dei Principi. Il parco fu adornato da alcune fontane ed era scandito da viali simmetrici, tra loro perpendicolari e all'incrocio vi era il prospetto settentrionale del palazzo in asse con uno degli ingressi sulla via Nomentana. Un maestoso viale di lecci conduceva al palazzo dalle scuderie, fino a costeggiare il Casino dei Principi ed è ancora oggi in loco.

 

L'intera collezione presente nello studio del Cavaceppi, finì nelle mani di Giovanni nel 1800 composta da calchi di sculture antiche, modelli, bozzetti e studi in terracotta, lavori in mosaico; ad essa si aggiunse quella proveniente dalla famiglia Giustiniani composta di circa 270 scultura.

 

Al momento dell'acquisto di Giovanni Torlonia, l'edificio del Casino Nobile o Palazzo, appariva ancora nelle dimensioni di quello del cardinale Benedetto Pamphilj, ossia una residenza dove si organizzavano eventi culturali e uno dei centri di prestigio per la vita mondana romana. Grazie alla tavola della pianta di Roma del Nolli è possibile ammirare la villa come si presentava nel 1748 , composta da una sola antica Palazzina dei Principi e da una parte a nord del palazzo, dalla quale poi si decise di realizzare una galleria con portici laterali.

 

Il lavoro dell'architetto Giuseppe Valadier intervenne principalmente nell'ampliare e abbellire il vecchio edificio fino a diventare, tra il 1802 e 1806, un palazzo a tre piani.

 

La struttura del Valadier era molto semplice nella sua organizzazione, infatti, vi era un portico d'ingresso, un salone centrale affiancato da due sale per lato, una galleria e due stanze ai lati in posizione avanzata per attribuirgli la forma a U.

 

La sala da ballo era considerata il fulcro di tutto il palazzo con un portico dorico che conduce all'entrata e con una copertura a volta a botte e in parte a vela. L'illuminazione entrava soltanto da un'unica finestra semicircolare e l'effetto finale doveva dare l'impressione che lo spazio di ristrette dimensioni, fosse più vasto.

 

La decorazione era alternata tra stucchi e bassorilievi nelle pareti e affreschi sulla volta, a opera di Domenico del Frate e dieci bassorilievi in gesso di Antonio Canova. Accanto a questa sala vi era la Galleria Terrena, ambiente diviso da quattro coppie di colonne decorate a finti bassorilievi sempre da Domenico del Frate. La linea decorativa di questo edificio seguiva uno schema rigoroso e semplice.

  

Alla metà dell'Ottocento si sviluppa in architettura quella tendenza volta a un revivalismo di elementi provenienti dal passato, da manipolare in modo del tutto personale e in linea con il gusto e la storia delle famiglie nobili.

 

Il carattere fortemente programmatico dell'architettura di questa seconda fase è legata all'avvicendamento nella famiglia Torlonia del figlio più piccolo, Alessandro, che ebbe la parte più sostanziosa dell'eredità di Giovanni: Palazzo di Piazza Venezia, la Villa sulla Nomentana e il Banco.

 

Dotato di grande personalità,  Alessandro riuscì in poco tempo a divenire uno dei proprietari delle maggiori tenute delle campagna romana e di ricche residenze in città, portando avanti il nome della famiglia secondo la politica paterna.

 

Un ritratto intenso di questo uomo è anche celebrato dalla descrizione di Stendhal: "... è curioso sentir parlare il Torlonia quando racconta la storia della rivalità dei giovani romani che desideravano la mano delle sue figlie... Torlonia è il banchiere di tutti gli inglesi che vengono a Roma e guadagna benefici enormi pagando loro le lire  sterline in scudi romani.. In compenso Torlonia dà ai suoi clienti balli elegantissimi, la cui entrata sarebbe pagata troppo cara a quaranta franchi a persona: quel giorno egli non è più avaro...".

 

La conquista di un ruolo di primo piano nella vita mondana e culturale romana avviene grazie anche al matrimonio tra Alessandro e Teresa Colonna nel 1840,  importante incentivo per ampliare i possedimenti con l'acquisto di Palazzo Giraud a via della Conciliazione, Villa Albani e le tenute di Ceri, Tarquinia e Cerveteri. Dal re Vittorio Emanuele II ricevette inoltre, il titolo di principe di Mugnano, Cassino e Fucino, quest'ultimo fu bonificato nell'area del lago con interventi di prosciugamento voluti e promossi da Alessandro.

 

Quando il padre Giovanni morì, la famiglia aveva ormai una posizione economica del banco internazionalmente riconosciuta, anche grazie alla nuova acquisizione della vigna di Filippo Pozzi, che contribuì a dare all'intera villa quella forma irregolare che ancora oggi si può vedere.

 

L'acquisto nel 1828 di questo terreno agricolo confinante a sud, rientrò quindi perfettamente nel quadro di grandezza, che il principe cercava meticolosamente di tracciare per dare nuovo volto a questo importante sito.  Alessandro si ispirò alla grandiosità dell'ingresso di Villa Adriana a Tivoli e alla Villa suburbana della famiglia Borghese, di quest'ultima in particolare si rintracciano importanti similitudini : le False Rovine,e il tempio di Saturno dal Tempio di Antonino e Faustina e quello di Esculapio, Campo dei Tornei da Piazza di Siena, i mosaici, gli obelischi si rifacevano ai Propilei Egizi, che Luigi Canina aveva realizzato per i Borghese.

 

Quest'ultimo si occupò del decoro del Parco con numerose piccole fabbriche influenzate dallo stile dei giardini all'inglese, realizzando quindi Falsi Ruderi di Tempio e di Anfiteatro, un Coffee-house, la Cappella di Sant'Alessandro, Tempio di Saturno , la Tribuna con Fontana e Falsi Ruderi di Ninfeo.

 

Con il preciso compito di rendere maestosa l'intera villa, Caretti procede dal 1832, sia all'esterno che all'interno, a trasformarlo completamente partendo dall'ingresso sul fronte lato nord verso la via Nomentana, primo avamposto da notare per chi venendo fuori città si dirigeva verso il centro.

 

Gran parte degli elementi ideati da Valadier per  Casino Nobile o Palazzo  furono modificati:

- la facciata sul lato nord, dove fu installato un pronao di stampo palladiano, composta da un pianterreno a finti conci di travertino e da una loggia con dieci colonne ioniche in marmo di Carrara, a terminare con un frontone triangolare decorato da un altorilievo in terracotta  dell'allievo di Canova, Rinaldo Rinaldi;

- le due ali porticate furono sostituite da due portici con colonne doriche;

- l'edificio sopraelevato e in alcune coperture inseriti lucernari per illuminare meglio gli ambienti sottostanti. Questi lucernari furono mascherati da un finto attico con finestre e a cielo aperto;

- le logge del prospetto a sud furono invece sostituite da un mezzanino con finestre;

 

All'interno Caretti opera in modo incisivo più nelle decorazioni che nelle architetture, contribuendo a rendere la spazialità degli ambienti meno rigorosa rispetto all'impostazione neoclassica valaderiana.

 

La decorazione cambiava a secondo dell'uso dei vari piani e in accordo con il gusto eclettico del tempo, il piano terra e il piano nobile erano adibite a funzioni di rappresentanza, in virtù della destinazione a un uso abitativo molto limitato. Le cucine erano invece poste al semiterrato, da dove la servitù portava il cibo alla sala da pranzo al primo piano mentre al secondo piano pernottava il personale.

 

Risale a questo intervento anche l'Anfiteatro, un tempio dedicato a Minerva e una sorta di coffeehouse preceduta da un portico di 8 colonne di cipollino, altro tempio dedicato a Saturno con bassorilievo del Galassi.

 

All'Anfiteatro, oggi scomparso, si accedeva da una scala segreta nel piano nobile del casino dei Principi ed era caratterizzato da una forma ellittica, in bugnato e in opus reticulatum e i piedistalli del piano alto avevano la funzione di sostenere un candelabro.

 

 

Il Tempio di Saturno assumeva una certa rilevanza nell'ambito del richiamo all'antico tanto caro alla famiglia. Il Tempio si rifà a modelli dell'architettura antica, con un pronao sostenuto da colonne di granito d'ordine dorico su cui si regge una grande cornice e un frontone con il rilievo di Vincenzo Gaiassi; quest'ultimo descrive i piaceri e le attività della vita umana con al centro il dio del tempo.

 

Le Scuderie dalla forma neogotica, costituiscono l'ultima opera del Caretti infatti, ad Alessandro non convinceva il lavoro eseguito nella villa da questo architetto e quindi sposta l'incarico a Costantino Brumidi, che aveva lavorato sotto la direzione di Filippo Agricola nei restauri condotti nel Vaticano.

 

Per la nuova area appena acquisita, gli architetti in questo caso sono due: Quintiliano Raimondi e Giuseppe Jappelli. Il primo era diplomato all'Accademia di San Luca e aveva già lavorato nella Villa di Castelgandolfo del fratello Carlo e qui progetta Teatro e l'Araciera. Jappelli invece intervenne nell'area sud della villa e con difficoltà riuscì ad adattare la tipologia di un giardino raccolto ed elitario alle esigenze di rappresentatività e di grandezza della famiglia Torlonia.

 

Il prodotto di questa trasformazione fu un parco disseminato di edifici ed arredi di gusto strabiliante: Capanna Svizzera (poi Casina delle Civette), Serra e Torre Moresca, Campo da Tornei e una Grotta artificiale e il Teatro.

 

Il Teatro Torlonia fu costruito per volere di don Alessandro agli inizi dell'Ottocento per avere un teatro all'interno del giardino, vicino al Casino Nobile, da usare per la famiglia ma anche per aprire al pubblico come luogo mondano di quel tempo.

 

Il progetto è di Quintiliano Raimondi che lo realizza tra il 1841 e il 1874, come riportano le date sulle lapidi all'interno del teatro, anche se già nel 1839 vi sono degli schizzi preliminari eseguiti dal precedente architetto Giuseppe Jappelli che presenta nella parte meridionale del parco una legenda con un edificio denominato: "Teatro ed Aranciera del sig. Raimondi".

 

Al precedente architetto Giovan Battista Caretti si deve attribuire l'idea originaria di un edificio destinato a spettacoli teatrali e caratterizzato da una tipologia a pianta semicircolare, molto simile al modello disegnato dallo Jappelli.

 

Questo edificio è tardivo rispetto alla storia delle altre costruzioni e infatti per questo motivo, è descritto in maniera sommaria e a volte inesatta nel testo di Giuseppe Checchetelli sulla villa. Checchetelli vide il Teatro in fase di costruzione iniziale quando ancora mancava l'apparato decorativo e già erano presenti alcuni elementi costruttivi: il prospetto meridionale a forma di semicerchio con una serra, le facciate laterali con i due porticati scanditi da pilastri di ordine ionico e quella settentrionale, semicircolare e nella veduta dell'incisione nel suo testo si scorge una copertura che non è quella realizzata successivamente.

 

La costruzione di Quintiliano Raimondi si caratterizza per un'architettura particolare e si rifà all'eclettismo ottocentesco, in particolare nelle due facciate che si sviluppano su due livelli differenti del terreno. Questo duplice sviluppo è caratterizzato da un lato, da tratti di un'impostazione accademica per quanto riguarda il prospetto nord posto in alto e dall'altro dagli elementi innovativi e tecnologicamente avanzati delle grandi architetture in ferro e vetro dei Paesi del Nord Europa  di questi anni.

 

La raffinatezza dell'uso dei materiali all'esterno si armonizza bene con la preziosità dell'apparato decorativo all'interno, dove sono presenti artisti famosi in quegli anni, come Costantino Brumidi e dove trionfa la cometa con la fascia di rose dei Torlonia con la colonna della famiglia Colonna a celebrare l'unione tra Alessandro Torlonia e Teresa Colonna, avvenuta proprio nel 1840.

 

L'edificio si sviluppa in un nodo di ambienti dalle funzioni anche diverse tra loro che lo rende particolare e vicino ai caratteri del teatro di corte, a tal proposito vi è il grande salone centrale, i due appartamenti laterali dai pavimenti con marmi antichi e rari, e il palcoscenico del teatro, caratterizzato da un meccanismo innovativo di salita dello stesso a raccordare i due appartamenti laterali durante le feste di ballo.

 

I due appartamenti sono rappresentati da due lucernai a vetri e ognuno di essi ha un salone centrale con pareti, che erano rivestite di broccato rosso, camini monumentali in marmo e pavimenti a mosaico "all'antica" e ancora con decorazioni a tempera sulla volta prensenti anche nele sale laterali e nel corridoio che divide i saloni dal palcoscenico.  Quest'ultimo è riccamente decorato con statue, quinte e architetture dipinte e oggi rimasti a testimonianza i due palchi laterali con spettatori dipinti ai lati del boccascena e allo sfondo tendaggi e statue raffigurate.

 

La platea è di forma semicircolare all'altezza del prospetto nord e si caratterizza per tre ordini di gallerie: al centro caratterizzato da colonne lignee con capitelli corinzi in bianco e nero con soffitto  a cassettoni trapezoidali con figure che danzano, vi erano gli spettatori mentre nella parte inferiore con colonne lignee di ordine dorico risiedeva l'orchestra. La decorazione del soffitto dell'intera sala si sviluppa in tredici riquadri con figure dipinte di Apollo e delle Ore.

 

Il Teatro, come gli altri edifici della Villa, fu strettamente legato alle vicende personali del loro proprietario. In ragione di ciò, i lavori per la realizzazione rallentarono in concomitanza alle condizioni cagionevoli di salute di Teresa Colonna, poi per un periodo interrotti dopo l'allontanamento dalla vita mondana, per poi terminare in coincidenza per festeggiare la celebrazione delle nozze della figlia Anna Maria Torlonia con Giulio Borghese. Testimonianza di questo lieto evento fu anche la fine dei lavori del Teatro, che risale proprio al 1874 come è riportata nel soffitto dell'arco ribassato che divide il palcoscenico dalla platea.

 

La Capanna Svizzera attraversò diverse fasi e trasformazioni durante gli anni e per il passaggio da un membro della famiglia all'altro. Il nucleo originario fu opera di Giuseppe Jappelli, rifacendosi  al modello del casino di villeggiatura, in forma di chalet rustico sottolineato dall'uso del tufo.

 

Tra i tratti degni di nota vi sono le decorazioni di porte e finestre realizzati in pregiati vetri policromi legati a piombo. Ai primi del Novecento risalgono le composizioni geometriche affiancate a moduli stilistici di tipo floreale, in voga in quel periodo ma anche inediti disegni e originali rappresentazioni con esecuzione affidata Duilio Cambellotti, Vittorio Grassi, Umberto Bottazzi e Paolo Pasquetto.

 

In seguito la sovraintenza al Comune di Roma decise di arricchire questo copioso campionario dell'evoluzione dell'arte di quel periodo, con altre vetrate degli stessi autori già menzionati in precedenza, con bozzetti e disegni che non sono stati mai trasformati in vetrate ma che erano destinati a questo luogo.

 

Risale a questa fase, l'interesse generale dei grandi nobili per un giardino romantico, in cui il culto delle rovine e la rivalutazione del mondo medievale avvengono in modo libero e lasciato alla fantasia e al sentire individuale. Il portavoce di spicco di questo nuovo tipo di giardino fu proprio l'architetto Giuseppe Jappelli. Reduce dai lavori in area veneta come il giardino di Saonara vicino Padova e nel Parco Treves  nella città stessa, Jappelli si esprime al meglio nella Villa creando un parco dal nulla in cui spinge agli estremi le sue fantasie medievaleggianti attraverso la trasposizione di allegorie sulla pietra. Significativo fu anche l'intervento nella serra moresca, dove vi era una coltivazione di piante esotiche, una grotta creata dalle rovine di un ipotetico castello e il campo dei tornei. Questa operazione di recupero di elementi desunti dall'Antico avveniva in modo assai palese ma non spesso l'esito era pienamente riuscito, ponendo questa villa all'apice di un processo iniziato dai papi del Rinascimento, in cui l'Antico era il deus ex macchina delle decorazioni. Citazione colta stava alla base della maggior parte delle arti figurative ed era  il carattere comune, che legava le diverse espressioni dell'architettura dei giardini delle ville romane.

 

Alessandro volle ribadire la grandiosità delle sue origini, facendo un omaggio ai genitori con due obelischi in granito rosa, che costituirono un evento mondano di grande risonanza con la partecipazione del pontefice Gregorio XVI, insieme al popolo romano ed esponenti di spicco dell'aristocrazia romana. I due obelischi su un piroscafo denominato Fortunato, provenienti da Baveno (vi è una stampa),  arrivarono nel 1839 a Ponte Nomentano nella zona denominata Saccopastore, una sorta di penisola formata dal fiume Aniene dopo aver passato il ponte.

 

Questa inaugurazione così fastosa non ebbe però quel seguito grandioso, al quale Alessandro ambiva per la sua residenza, la malattia della moglie e i vari lutti in famiglia contribuirono a una esistenza ritirata e pia verso opere di beneficenza, fino ad arrivare alla liquidazione del Banco nel 1872.

 

Il periodo di fasto arrivò invece con il matrimonio nel 1872 tra la figlia Anna Maria e Giulio Borghese, quest'ultimo acquisì il cognome Torlonia per far perpetuare la dinastia.

I ricchi ricevimenti e i grandi spettacoli durarono solo per un breve periodo quando sopraggiunse la morte della moglie di Alessandro, Teresa nel 1875  e poi quella del principe stesso nel 1886.

 

Tutto nei vari edifici di questa dimora principesca descrive l'ammirazione, tipica degli anni '30 e '40 del secolo XIX, per il mondo antico e il fascino delle rovine; si noti gli obelischi dedicati dal principe ai genitori oppure con gli elementi a sorpresa creati dallo Jappelli per la Torre Moresca.

 

Il trionfalismo di Alessandro iniziato con il perduto Palazzo Torlonia in Piazza Venezia, qui è al culmine, infatti ogni riferimento nella decorazione o nel tema rappresentato nei vari edifici è volto a mostrare il principe all'altezza della grandezza delle suntuose residenze romane imperiale e addirittura delle divinità. La tesi che supporta questa considerazione è l'esempio della scena del Trionfo di Bacco nel fregio del casino e in una sala dedicata allo stesso dio.

 

La proprietà dapprima passo all'unica figlia, che trasformò il Bagno del Palazzo Torlonia in Cappella spinta da uno spirito profondamente religioso, e successivamente al primogenito Giovanni. Egli avviò una gestione completamente diversa delle proprietà puntando a far rinascere il nome della famiglia.

 

Legate al nome di Giovanni risalgono: il Villino Medievale, muro di cinta, il nuovo ingresso sulla via Nomentana, il Villino Rosso e Villino del Portiere all'ingresso di Via Spallanzani e la Capanna Svizzera, quest'ultima divenne quella che oggi è la Casina delle Civette. Questo cambiamento portò però, a uno stravolgimento per colpa anche dell'ampliamento della sede stradale di 20 metri con conseguente distruzione delle false rovine di Tempio e Acquedotto, del Coffee-House e del maestoso Anfiteatro.

 

Con il tempo la funzione di rappresentanza della villa si affievolì e così in parte gli edifici furono abbandonati o ridimensionati e tra i motivi da imputare a questo è facilmente rintracciabile nello stile di vita solitaria di Giovanni.

 

Il figlio di Alessandro  non si sposò mai e viveva con la servitù sempre nella Casina delle Civette, da dove si sentiva in pieno spirito di meditazione, in relazione al parco all'esterno e ai motivi simbolici disseminati all'interno.

 

L'aspetto in stile liberty come è visibile ancora oggi, si deve ai lavori eseguiti dall'architetto Vincenzo Fasolo per il prospetto sud-est con l'aggiunta di un altro corpo di fabbrica e all'originaria copertura a cuspide, ne realizza una dalla quale ricava all'interno anche un salottino interamente decorato.

 

In questo casino le forme in stile liberty ben si integrano con il motivo esteso della civetta e in generale si sposa bene con una decorazione rigogliosa e con la natura circostante della villa. Dal tema della civetta, così preminente, deriva quindi la nuova denominazione di Casina delle Civette, infatti questo animale notturno si impone in tutti gli elementi decorativi di diversa natura dalle maioliche, agli stucchi e alle vetrate, come anche nell'arredo delle molteplici stanze.

 

La simbologia di questo rapace nel tempo fu sempre rappresentata con una valenza positiva, come è facilmente rintracciabile nella mitologia antica dagli antichi egizi agli aztechi. Per quest'ultimi la morte e l'oscurità doveva sempre essere accompagnata dal sole a figurare l'uscita dalle tenebre, mentre secondo la mitologia greco-romana, la civetta era considerata sacra da Atena-Minerva.

 

Giovanni era un appassionato di studi esoterici, quindi la comparsa di questo motivo si  inseriva perfettamente nei paradigmi della mitologia del passato e rispecchiava il suo duplice significato: da un lato la Casina era pervasa da una costante oscurità, data dalla murature aggiunte con i mascheroni grotteschi, anfore e vasi e dall'altro l'entrata della luminosità era resa grazie all'ideazione di numerose aeree loggette e dalle colorate vetrate.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.