N. 79 - Luglio 2014
(CX)
Villa Torlonia, il polo museale
la famiglia torlonia- PARTE II
di Silvia Mattina
La
famiglia
Torlonia
ha
origine
d'oltralpe
con
il
fondatore
di
attività
commerciali,
Marino
Torlonia
che
giunge
a
Roma
nel
1750
presso
il
cardinale
Acquaviva
d'Aragona.
A
seguire
le
orme
del
creatore
di
questa
fortuna,
fu
il
figlio
Giovanni
Raimondo,
con
lui
si
ebbe
un
grosso
sviluppo
e
grande
quantità
di
guadagni,
in
coincidenza
con
gli
anni
di
grandi
trasformazioni
che
subì
l'Europa
facendo
ingenti
affari
con
i
francesi
durante
l'occupazione
napoleonica
e
offrendo
prestiti
vantaggiosi
su
proprietà
immobiliari
e
fondiare
alla
nobiltà
romana
con
il
Banco
Marino
Torlonia.
Nel
1809
Giovanni
conquistò
lo
status
di
nobile
Romano,
per
gentile
concessione
di
Pio
V e
a
testimonianza
della
nuova
posizione
sociale,
decise
di
fare
tutta
una
serie
di
acquisizioni
che
coinvolsero
tra
le
altre,
Villa
Colonna
sulla
Nomentana
e
Palazzo
Cenci
Bolognetti.
La
ricchezza
incamerata
nel
tempo
permise
a
Giovanni
l'acquisto
di
proprietà
nel
Lazio
e
titoli
nobiliari:
marchese
di
Romavecchia
e
Turrita
e
dai
Pallavicini
il
principato
di
Civitella
Cesi.
Questo
enorme
patrimonio
poi
fu
diviso
tra
i
figli
Marino,
Carlo
e
Alessandro.
Il
primo,
già
duca
di
Poli
e
Guadagnolo,
divenne
anche
duca
di
Bracciano,
Carlo
fu
invece,
promotore
di
opere
di
beneficenza
e
ricoprì
la
carica
di
Guardia
Civica
Romana;
per
ultimo
Alessandro,
colui
che
prese
il
comando
del
banco
dopo
la
morte
del
padre
e fu
principe
di
Civitella
Cesi
e
marchese
di
Romavecchia
e
Turrita.
I
Torlonia
investirono
tanto
anche
nell'edilizia
della
città
di
Roma,
con
l'acquisto
di
immobili
romani
e
tra
gli
altri
vanno
ricordati:
Villa
Costaguti
Torlonia,
Palazzo
Bolognetti
Torlonia,
Palazzo
Giraud
Torlonia,
Palazzo
Nunez
Torlonia,
Palazzo
Torlonia
a
via
della
Lungara,
Villa
Albani
Torlonia
e
Villa
Torlonia
sulla
via
Nomentana.
Agli
anni
'30
dell'Ottocento
risale
l'acquisto
di
Marino
Torlonia
della
villa
già
Costaguti
e
poi
del
consigliere
dell'Ambasciata
austriaca
il
barone
de
Jannotte
Mafrckenfeld
alla
fine
della
via
Pia,
oggi
Via
XX
Settembre
presso
la
Porta
Pia.
Questa
villa
aveva
una
duplice
denominazione,
infatti
era
conosciuta
anche
come
Villa
di
Bracciano,
dal
ducato
acquisito
dal
Torlonia
in
quegli
anni
e
per
distinguerla
dalla
villa
sempre
di
famiglia
sulla
via
Nomentana.
Palazzina
di
tipo
neoclassico
con
volte
a
cassettoni
purtroppo
oggi
scomparsa,
infatti,
fu
distrutta
durante
un
attentato
degli
israeliani
e
ricostruita
come
sede
dell'Ambasciata
di
Gran
Bretagna.
Sempre
su
idea
di
Marino,
nel
1842
i
Torlonia
acquistarono
il
Palazzo
Nunez
nel
rione
di
Campo
Marzio,
dove
attuano
un
imponente
lavoro
di
ristrutturazione
urbanistica
che
portò
allargamento
di
via
Bocca
di
Leone
davanti
il
palazzo
stesso
e
all'erezione
di
una
fontana
con
sarcofago
sullo
slargo
creatosi.
Si
affacciava
su
piazza
Scossacavalli
fino
all'apertura
di
Via
della
Conciliazione,
il
Palazzo
Giraud
è un
edificio
che
risale
alla
fine
del
Quattrocento
con
una
struttura
rinascimentale
a
due
piani
e
sette
finestre
su
ogni
livello
rimanendo
intatta
nella
struttura
fino
ai
Torlonia,
passando
per
i
banchieri
francesi
Giraud
nel
Seicento.
Nella
zona
tra
Via
Salaria
e
Viale
Regina
Margherita
vi è
una
villa
che
reca
sul
prospetto
principale
una
targa
che
recita
in
questo
modo:
Alexander
Albani
vir
eminentissimus
instruxit
et
ornavit/
Alexander
Torlonia
vir
principes
in
melius
ristituit
Come
si
deduce
da
questa
iscrizione
la
Villa
del
cardinale
Alessandro
Albani
fu
acquistata
nel
1868
dal
Principe
Alessandro
Torlonia
e
proprio
a
lui
si
devono
i
lavori
di
ristrutturazione
che
fecero
affluire
nuove
sculture,
dipinti
e
rilievi
della
già
ricca
collezione
del
cardinale.
L'immenso
pregio
di
questo
museo
fu
celebrato
già
dallo
storico
dell'arte
Federico
Zeri,
definendolo
"uno
tra
i
più
importanti
di
scultura
antica
esistenti
al
mondo":
dal
punto
di
vista
artistico,
dipinti
di
Tintoretto,
Giulio
Romano,
Guercino,
Perugino;
mentre
architettonicamente
come
esempio
interessante
dell'architettura
tardo
barocca
a
Roma.
Questa
villa
ha
anche
un
valore
storico
importante
infatti,
il
20
settembre
1870
dopo
la
breccia
di
Porta
Pia,
il
generale
Hermann
Kanzler
per
conto
del
papa
e il
generale
Raffaele
Cadorna
per
l'Italia,
firmarono
la
capitolazione
e
quindi
la
presa
di
Roma.
Se i
Torlonia
decisero
di
donare
la
Villa
al
pubblico
piacere
estetico
e
culturale,
la
stessa
cosa
non
si
può
dire
per
Villa
Albani,
dove
i
ripetuti
tentativi
di
esproprio
da
parte
del
Comune
di
Roma
non
hanno
contribuito
a
rendere
fruibile
il
parco
di
dieci
ettari
e la
splendida
collezione
in
essa
custodita.
La
Villa
realizzata
dal
Carlo
Marchionni,
su
consulenza
di
Winckelmann,
era
stata
concepita
per
ospitare
la
collezione
d'arte
del
cardinale
nipote
di
Clemente
XI e
non
come
abitazione,
anche
se
poi,
in
essa
furono
organizzati
concerti
e
feste
come
centro
di
cultura.
Tutto
è
rimasto
quasi
identico
a
questo
assetto
tranne
alcune
statue
trasferite
a
Palazzo
Torlonia
su
Via
della
Lungara.
La
struttura
di
quest'ultimo
palazzo
risale
al
Seicento
con
funzione
originaria
di
un
magazzino
a
mulino,
con
energia
che
proveniva
dall'Acqua
Paola
al
Gianicolo
e
sistemato
poi
a
residenza
dalla
famiglia
Torlonia.
Il
casino
a
due
piani
di
Villa
Albani
si
articola
tra
il
porticato
e la
balaustra
mentre
all'interno
degno
di
nota
è
l'affresco
del
salone
con
la
raffigurazione
del
Parnaso
ad
opera
di
Anton
Raphael
Mengs
nel
1756.
Nella
stanza
accanto
è
detta
di
Antinoo,
infatti
il
Marchionni
pose
sul
camino
della
stanza
il
celebre
rilievo
di
Antinoo
che
si
trovava
in
realtà
a
Villa
Adriana.
L’atto
di
nascita
di
Villa
Torlonia
si
ebbe
con
il
contratto
di
vendita
rogato
dai
notai
Antonio
Francesco
De
Rubeis
e De
Rossi
8
aprile
1795
nella
residenza
di
Giovanni
Torlonia,
dove
era
stato
trasferito
anche
il
banco,
ossia
in
Via
del
Corso
in
prossimità
della
Chiesa
delle
Convertite
nell'area
attualmente
occupata
dal
Palazzo
Marignoli.
Giovanni
si
era
impegnato
in
quest'atto
a
rispettare
il
contratto
stipulato
dai
Colonna
"per
apoca
privata"
con
Lorenzo
Passeri,
questi
era
succeduto
al
padre
Domenico
nella
custodia
e
manutenzione
della
villa.
In
questa
prima
fase,
Giovanni
affida
i
lavori
di
sistemazione
della
Villa
sulla
Nomentana
all'architetto
Giuseppe
Valadier
nell'arco
di
tempo
tra
il
1802
e il
1806.
I
primi
interventi
interessarono:
la
conversione
dell'edificio
della
Villa
Colonna
in
un
elegante
palazzo,
la
realizzazione
delle
Scuderie
e il
monumentale
portale
d'ingresso
alla
villa
e
infine
la
ristrutturazione
del
Casino
Abbati
ora
Casino
dei
Principi.
Il
parco
fu
adornato
da
alcune
fontane
ed
era
scandito
da
viali
simmetrici,
tra
loro
perpendicolari
e
all'incrocio
vi
era
il
prospetto
settentrionale
del
palazzo
in
asse
con
uno
degli
ingressi
sulla
via
Nomentana.
Un
maestoso
viale
di
lecci
conduceva
al
palazzo
dalle
scuderie,
fino
a
costeggiare
il
Casino
dei
Principi
ed è
ancora
oggi
in
loco.
L'intera
collezione
presente
nello
studio
del
Cavaceppi,
finì
nelle
mani
di
Giovanni
nel
1800
composta
da
calchi
di
sculture
antiche,
modelli,
bozzetti
e
studi
in
terracotta,
lavori
in
mosaico;
ad
essa
si
aggiunse
quella
proveniente
dalla
famiglia
Giustiniani
composta
di
circa
270
scultura.
Al
momento
dell'acquisto
di
Giovanni
Torlonia,
l'edificio
del
Casino
Nobile
o
Palazzo,
appariva
ancora
nelle
dimensioni
di
quello
del
cardinale
Benedetto
Pamphilj,
ossia
una
residenza
dove
si
organizzavano
eventi
culturali
e
uno
dei
centri
di
prestigio
per
la
vita
mondana
romana.
Grazie
alla
tavola
della
pianta
di
Roma
del
Nolli
è
possibile
ammirare
la
villa
come
si
presentava
nel
1748
,
composta
da
una
sola
antica
Palazzina
dei
Principi
e da
una
parte
a
nord
del
palazzo,
dalla
quale
poi
si
decise
di
realizzare
una
galleria
con
portici
laterali.
Il
lavoro
dell'architetto
Giuseppe
Valadier
intervenne
principalmente
nell'ampliare
e
abbellire
il
vecchio
edificio
fino
a
diventare,
tra
il
1802
e
1806,
un
palazzo
a
tre
piani.
La
struttura
del
Valadier
era
molto
semplice
nella
sua
organizzazione,
infatti,
vi
era
un
portico
d'ingresso,
un
salone
centrale
affiancato
da
due
sale
per
lato,
una
galleria
e
due
stanze
ai
lati
in
posizione
avanzata
per
attribuirgli
la
forma
a U.
La
sala
da
ballo
era
considerata
il
fulcro
di
tutto
il
palazzo
con
un
portico
dorico
che
conduce
all'entrata
e
con
una
copertura
a
volta
a
botte
e in
parte
a
vela.
L'illuminazione
entrava
soltanto
da
un'unica
finestra
semicircolare
e
l'effetto
finale
doveva
dare
l'impressione
che
lo
spazio
di
ristrette
dimensioni,
fosse
più
vasto.
La
decorazione
era
alternata
tra
stucchi
e
bassorilievi
nelle
pareti
e
affreschi
sulla
volta,
a
opera
di
Domenico
del
Frate
e
dieci
bassorilievi
in
gesso
di
Antonio
Canova.
Accanto
a
questa
sala
vi
era
la
Galleria
Terrena,
ambiente
diviso
da
quattro
coppie
di
colonne
decorate
a
finti
bassorilievi
sempre
da
Domenico
del
Frate.
La
linea
decorativa
di
questo
edificio
seguiva
uno
schema
rigoroso
e
semplice.
Alla
metà
dell'Ottocento
si
sviluppa
in
architettura
quella
tendenza
volta
a un
revivalismo
di
elementi
provenienti
dal
passato,
da
manipolare
in
modo
del
tutto
personale
e in
linea
con
il
gusto
e la
storia
delle
famiglie
nobili.
Il
carattere
fortemente
programmatico
dell'architettura
di
questa
seconda
fase
è
legata
all'avvicendamento
nella
famiglia
Torlonia
del
figlio
più
piccolo,
Alessandro,
che
ebbe
la
parte
più
sostanziosa
dell'eredità
di
Giovanni:
Palazzo
di
Piazza
Venezia,
la
Villa
sulla
Nomentana
e il
Banco.
Dotato
di
grande
personalità,
Alessandro
riuscì
in
poco
tempo
a
divenire
uno
dei
proprietari
delle
maggiori
tenute
delle
campagna
romana
e di
ricche
residenze
in
città,
portando
avanti
il
nome
della
famiglia
secondo
la
politica
paterna.
Un
ritratto
intenso
di
questo
uomo
è
anche
celebrato
dalla
descrizione
di
Stendhal:
"...
è
curioso
sentir
parlare
il
Torlonia
quando
racconta
la
storia
della
rivalità
dei
giovani
romani
che
desideravano
la
mano
delle
sue
figlie...
Torlonia
è il
banchiere
di
tutti
gli
inglesi
che
vengono
a
Roma
e
guadagna
benefici
enormi
pagando
loro
le
lire
sterline
in
scudi
romani..
In
compenso
Torlonia
dà
ai
suoi
clienti
balli
elegantissimi,
la
cui
entrata
sarebbe
pagata
troppo
cara
a
quaranta
franchi
a
persona:
quel
giorno
egli
non
è
più
avaro...".
La
conquista
di
un
ruolo
di
primo
piano
nella
vita
mondana
e
culturale
romana
avviene
grazie
anche
al
matrimonio
tra
Alessandro
e
Teresa
Colonna
nel
1840,
importante
incentivo
per
ampliare
i
possedimenti
con
l'acquisto
di
Palazzo
Giraud
a
via
della
Conciliazione,
Villa
Albani
e le
tenute
di
Ceri,
Tarquinia
e
Cerveteri.
Dal
re
Vittorio
Emanuele
II
ricevette
inoltre,
il
titolo
di
principe
di
Mugnano,
Cassino
e
Fucino,
quest'ultimo
fu
bonificato
nell'area
del
lago
con
interventi
di
prosciugamento
voluti
e
promossi
da
Alessandro.
Quando
il
padre
Giovanni
morì,
la
famiglia
aveva
ormai
una
posizione
economica
del
banco
internazionalmente
riconosciuta,
anche
grazie
alla
nuova
acquisizione
della
vigna
di
Filippo
Pozzi,
che
contribuì
a
dare
all'intera
villa
quella
forma
irregolare
che
ancora
oggi
si
può
vedere.
L'acquisto
nel
1828
di
questo
terreno
agricolo
confinante
a
sud,
rientrò
quindi
perfettamente
nel
quadro
di
grandezza,
che
il
principe
cercava
meticolosamente
di
tracciare
per
dare
nuovo
volto
a
questo
importante
sito.
Alessandro
si
ispirò
alla
grandiosità
dell'ingresso
di
Villa
Adriana
a
Tivoli
e
alla
Villa
suburbana
della
famiglia
Borghese,
di
quest'ultima
in
particolare
si
rintracciano
importanti
similitudini
: le
False
Rovine,e
il
tempio
di
Saturno
dal
Tempio
di
Antonino
e
Faustina
e
quello
di
Esculapio,
Campo
dei
Tornei
da
Piazza
di
Siena,
i
mosaici,
gli
obelischi
si
rifacevano
ai
Propilei
Egizi,
che
Luigi
Canina
aveva
realizzato
per
i
Borghese.
Quest'ultimo
si
occupò
del
decoro
del
Parco
con
numerose
piccole
fabbriche
influenzate
dallo
stile
dei
giardini
all'inglese,
realizzando
quindi
Falsi
Ruderi
di
Tempio
e di
Anfiteatro,
un
Coffee-house,
la
Cappella
di
Sant'Alessandro,
Tempio
di
Saturno
, la
Tribuna
con
Fontana
e
Falsi
Ruderi
di
Ninfeo.
Con
il
preciso
compito
di
rendere
maestosa
l'intera
villa,
Caretti
procede
dal
1832,
sia
all'esterno
che
all'interno,
a
trasformarlo
completamente
partendo
dall'ingresso
sul
fronte
lato
nord
verso
la
via
Nomentana,
primo
avamposto
da
notare
per
chi
venendo
fuori
città
si
dirigeva
verso
il
centro.
Gran
parte
degli
elementi
ideati
da
Valadier
per
Casino
Nobile
o
Palazzo
furono
modificati:
- la
facciata
sul
lato
nord,
dove
fu
installato
un
pronao
di
stampo
palladiano,
composta
da
un
pianterreno
a
finti
conci
di
travertino
e da
una
loggia
con
dieci
colonne
ioniche
in
marmo
di
Carrara,
a
terminare
con
un
frontone
triangolare
decorato
da
un
altorilievo
in
terracotta
dell'allievo
di
Canova,
Rinaldo
Rinaldi;
- le
due
ali
porticate
furono
sostituite
da
due
portici
con
colonne
doriche;
-
l'edificio
sopraelevato
e in
alcune
coperture
inseriti
lucernari
per
illuminare
meglio
gli
ambienti
sottostanti.
Questi
lucernari
furono
mascherati
da
un
finto
attico
con
finestre
e a
cielo
aperto;
-
le
logge
del
prospetto
a
sud
furono
invece
sostituite
da
un
mezzanino
con
finestre;
All'interno
Caretti
opera
in
modo
incisivo
più
nelle
decorazioni
che
nelle
architetture,
contribuendo
a
rendere
la
spazialità
degli
ambienti
meno
rigorosa
rispetto
all'impostazione
neoclassica
valaderiana.
La
decorazione
cambiava
a
secondo
dell'uso
dei
vari
piani
e in
accordo
con
il
gusto
eclettico
del
tempo,
il
piano
terra
e il
piano
nobile
erano
adibite
a
funzioni
di
rappresentanza,
in
virtù
della
destinazione
a un
uso
abitativo
molto
limitato.
Le
cucine
erano
invece
poste
al
semiterrato,
da
dove
la
servitù
portava
il
cibo
alla
sala
da
pranzo
al
primo
piano
mentre
al
secondo
piano
pernottava
il
personale.
Risale
a
questo
intervento
anche
l'Anfiteatro,
un
tempio
dedicato
a
Minerva
e
una
sorta
di
coffeehouse
preceduta
da
un
portico
di 8
colonne
di
cipollino,
altro
tempio
dedicato
a
Saturno
con
bassorilievo
del
Galassi.
All'Anfiteatro,
oggi
scomparso,
si
accedeva
da
una
scala
segreta
nel
piano
nobile
del
casino
dei
Principi
ed
era
caratterizzato
da
una
forma
ellittica,
in
bugnato
e in
opus
reticulatum
e i
piedistalli
del
piano
alto
avevano
la
funzione
di
sostenere
un
candelabro.
Il
Tempio
di
Saturno
assumeva
una
certa
rilevanza
nell'ambito
del
richiamo
all'antico
tanto
caro
alla
famiglia.
Il
Tempio
si
rifà
a
modelli
dell'architettura
antica,
con
un
pronao
sostenuto
da
colonne
di
granito
d'ordine
dorico
su
cui
si
regge
una
grande
cornice
e un
frontone
con
il
rilievo
di
Vincenzo
Gaiassi;
quest'ultimo
descrive
i
piaceri
e le
attività
della
vita
umana
con
al
centro
il
dio
del
tempo.
Le
Scuderie
dalla
forma
neogotica,
costituiscono
l'ultima
opera
del
Caretti
infatti,
ad
Alessandro
non
convinceva
il
lavoro
eseguito
nella
villa
da
questo
architetto
e
quindi
sposta
l'incarico
a
Costantino
Brumidi,
che
aveva
lavorato
sotto
la
direzione
di
Filippo
Agricola
nei
restauri
condotti
nel
Vaticano.
Per
la
nuova
area
appena
acquisita,
gli
architetti
in
questo
caso
sono
due:
Quintiliano
Raimondi
e
Giuseppe
Jappelli.
Il
primo
era
diplomato
all'Accademia
di
San
Luca
e
aveva
già
lavorato
nella
Villa
di
Castelgandolfo
del
fratello
Carlo
e
qui
progetta
Teatro
e l'Araciera.
Jappelli
invece
intervenne
nell'area
sud
della
villa
e
con
difficoltà
riuscì
ad
adattare
la
tipologia
di
un
giardino
raccolto
ed
elitario
alle
esigenze
di
rappresentatività
e di
grandezza
della
famiglia
Torlonia.
Il
prodotto
di
questa
trasformazione
fu
un
parco
disseminato
di
edifici
ed
arredi
di
gusto
strabiliante:
Capanna
Svizzera
(poi
Casina
delle
Civette),
Serra
e
Torre
Moresca,
Campo
da
Tornei
e
una
Grotta
artificiale
e il
Teatro.
Il
Teatro
Torlonia
fu
costruito
per
volere
di
don
Alessandro
agli
inizi
dell'Ottocento
per
avere
un
teatro
all'interno
del
giardino,
vicino
al
Casino
Nobile,
da
usare
per
la
famiglia
ma
anche
per
aprire
al
pubblico
come
luogo
mondano
di
quel
tempo.
Il
progetto
è di
Quintiliano
Raimondi
che
lo
realizza
tra
il
1841
e il
1874,
come
riportano
le
date
sulle
lapidi
all'interno
del
teatro,
anche
se
già
nel
1839
vi
sono
degli
schizzi
preliminari
eseguiti
dal
precedente
architetto
Giuseppe
Jappelli
che
presenta
nella
parte
meridionale
del
parco
una
legenda
con
un
edificio
denominato:
"Teatro
ed
Aranciera
del
sig.
Raimondi".
Al
precedente
architetto
Giovan
Battista
Caretti
si
deve
attribuire
l'idea
originaria
di
un
edificio
destinato
a
spettacoli
teatrali
e
caratterizzato
da
una
tipologia
a
pianta
semicircolare,
molto
simile
al
modello
disegnato
dallo
Jappelli.
Questo
edificio
è
tardivo
rispetto
alla
storia
delle
altre
costruzioni
e
infatti
per
questo
motivo,
è
descritto
in
maniera
sommaria
e a
volte
inesatta
nel
testo
di
Giuseppe
Checchetelli
sulla
villa.
Checchetelli
vide
il
Teatro
in
fase
di
costruzione
iniziale
quando
ancora
mancava
l'apparato
decorativo
e
già
erano
presenti
alcuni
elementi
costruttivi:
il
prospetto
meridionale
a
forma
di
semicerchio
con
una
serra,
le
facciate
laterali
con
i
due
porticati
scanditi
da
pilastri
di
ordine
ionico
e
quella
settentrionale,
semicircolare
e
nella
veduta
dell'incisione
nel
suo
testo
si
scorge
una
copertura
che
non
è
quella
realizzata
successivamente.
La
costruzione
di
Quintiliano
Raimondi
si
caratterizza
per
un'architettura
particolare
e si
rifà
all'eclettismo
ottocentesco,
in
particolare
nelle
due
facciate
che
si
sviluppano
su
due
livelli
differenti
del
terreno.
Questo
duplice
sviluppo
è
caratterizzato
da
un
lato,
da
tratti
di
un'impostazione
accademica
per
quanto
riguarda
il
prospetto
nord
posto
in
alto
e
dall'altro
dagli
elementi
innovativi
e
tecnologicamente
avanzati
delle
grandi
architetture
in
ferro
e
vetro
dei
Paesi
del
Nord
Europa
di
questi
anni.
La
raffinatezza
dell'uso
dei
materiali
all'esterno
si
armonizza
bene
con
la
preziosità
dell'apparato
decorativo
all'interno,
dove
sono
presenti
artisti
famosi
in
quegli
anni,
come
Costantino
Brumidi
e
dove
trionfa
la
cometa
con
la
fascia
di
rose
dei
Torlonia
con
la
colonna
della
famiglia
Colonna
a
celebrare
l'unione
tra
Alessandro
Torlonia
e
Teresa
Colonna,
avvenuta
proprio
nel
1840.
L'edificio
si
sviluppa
in
un
nodo
di
ambienti
dalle
funzioni
anche
diverse
tra
loro
che
lo
rende
particolare
e
vicino
ai
caratteri
del
teatro
di
corte,
a
tal
proposito
vi è
il
grande
salone
centrale,
i
due
appartamenti
laterali
dai
pavimenti
con
marmi
antichi
e
rari,
e il
palcoscenico
del
teatro,
caratterizzato
da
un
meccanismo
innovativo
di
salita
dello
stesso
a
raccordare
i
due
appartamenti
laterali
durante
le
feste
di
ballo.
I
due
appartamenti
sono
rappresentati
da
due
lucernai
a
vetri
e
ognuno
di
essi
ha
un
salone
centrale
con
pareti,
che
erano
rivestite
di
broccato
rosso,
camini
monumentali
in
marmo
e
pavimenti
a
mosaico
"all'antica"
e
ancora
con
decorazioni
a
tempera
sulla
volta
prensenti
anche
nele
sale
laterali
e
nel
corridoio
che
divide
i
saloni
dal
palcoscenico.
Quest'ultimo
è
riccamente
decorato
con
statue,
quinte
e
architetture
dipinte
e
oggi
rimasti
a
testimonianza
i
due
palchi
laterali
con
spettatori
dipinti
ai
lati
del
boccascena
e
allo
sfondo
tendaggi
e
statue
raffigurate.
La
platea
è di
forma
semicircolare
all'altezza
del
prospetto
nord
e si
caratterizza
per
tre
ordini
di
gallerie:
al
centro
caratterizzato
da
colonne
lignee
con
capitelli
corinzi
in
bianco
e
nero
con
soffitto
a
cassettoni
trapezoidali
con
figure
che
danzano,
vi
erano
gli
spettatori
mentre
nella
parte
inferiore
con
colonne
lignee
di
ordine
dorico
risiedeva
l'orchestra.
La
decorazione
del
soffitto
dell'intera
sala
si
sviluppa
in
tredici
riquadri
con
figure
dipinte
di
Apollo
e
delle
Ore.
Il
Teatro,
come
gli
altri
edifici
della
Villa,
fu
strettamente
legato
alle
vicende
personali
del
loro
proprietario.
In
ragione
di
ciò,
i
lavori
per
la
realizzazione
rallentarono
in
concomitanza
alle
condizioni
cagionevoli
di
salute
di
Teresa
Colonna,
poi
per
un
periodo
interrotti
dopo
l'allontanamento
dalla
vita
mondana,
per
poi
terminare
in
coincidenza
per
festeggiare
la
celebrazione
delle
nozze
della
figlia
Anna
Maria
Torlonia
con
Giulio
Borghese.
Testimonianza
di
questo
lieto
evento
fu
anche
la
fine
dei
lavori
del
Teatro,
che
risale
proprio
al
1874
come
è
riportata
nel
soffitto
dell'arco
ribassato
che
divide
il
palcoscenico
dalla
platea.
La
Capanna
Svizzera
attraversò
diverse
fasi
e
trasformazioni
durante
gli
anni
e
per
il
passaggio
da
un
membro
della
famiglia
all'altro.
Il
nucleo
originario
fu
opera
di
Giuseppe
Jappelli,
rifacendosi
al
modello
del
casino
di
villeggiatura,
in
forma
di
chalet
rustico
sottolineato
dall'uso
del
tufo.
Tra
i
tratti
degni
di
nota
vi
sono
le
decorazioni
di
porte
e
finestre
realizzati
in
pregiati
vetri
policromi
legati
a
piombo.
Ai
primi
del
Novecento
risalgono
le
composizioni
geometriche
affiancate
a
moduli
stilistici
di
tipo
floreale,
in
voga
in
quel
periodo
ma
anche
inediti
disegni
e
originali
rappresentazioni
con
esecuzione
affidata
Duilio
Cambellotti,
Vittorio
Grassi,
Umberto
Bottazzi
e
Paolo
Pasquetto.
In
seguito
la
sovraintenza
al
Comune
di
Roma
decise
di
arricchire
questo
copioso
campionario
dell'evoluzione
dell'arte
di
quel
periodo,
con
altre
vetrate
degli
stessi
autori
già
menzionati
in
precedenza,
con
bozzetti
e
disegni
che
non
sono
stati
mai
trasformati
in
vetrate
ma
che
erano
destinati
a
questo
luogo.
Risale
a
questa
fase,
l'interesse
generale
dei
grandi
nobili
per
un
giardino
romantico,
in
cui
il
culto
delle
rovine
e la
rivalutazione
del
mondo
medievale
avvengono
in
modo
libero
e
lasciato
alla
fantasia
e al
sentire
individuale.
Il
portavoce
di
spicco
di
questo
nuovo
tipo
di
giardino
fu
proprio
l'architetto
Giuseppe
Jappelli.
Reduce
dai
lavori
in
area
veneta
come
il
giardino
di
Saonara
vicino
Padova
e
nel
Parco
Treves
nella
città
stessa,
Jappelli
si
esprime
al
meglio
nella
Villa
creando
un
parco
dal
nulla
in
cui
spinge
agli
estremi
le
sue
fantasie
medievaleggianti
attraverso
la
trasposizione
di
allegorie
sulla
pietra.
Significativo
fu
anche
l'intervento
nella
serra
moresca,
dove
vi
era
una
coltivazione
di
piante
esotiche,
una
grotta
creata
dalle
rovine
di
un
ipotetico
castello
e il
campo
dei
tornei.
Questa
operazione
di
recupero
di
elementi
desunti
dall'Antico
avveniva
in
modo
assai
palese
ma
non
spesso
l'esito
era
pienamente
riuscito,
ponendo
questa
villa
all'apice
di
un
processo
iniziato
dai
papi
del
Rinascimento,
in
cui
l'Antico
era
il
deus
ex
macchina
delle
decorazioni.
Citazione
colta
stava
alla
base
della
maggior
parte
delle
arti
figurative
ed
era
il
carattere
comune,
che
legava
le
diverse
espressioni
dell'architettura
dei
giardini
delle
ville
romane.
Alessandro
volle
ribadire
la
grandiosità
delle
sue
origini,
facendo
un
omaggio
ai
genitori
con
due
obelischi
in
granito
rosa,
che
costituirono
un
evento
mondano
di
grande
risonanza
con
la
partecipazione
del
pontefice
Gregorio
XVI,
insieme
al
popolo
romano
ed
esponenti
di
spicco
dell'aristocrazia
romana.
I
due
obelischi
su
un
piroscafo
denominato
Fortunato,
provenienti
da
Baveno
(vi
è
una
stampa),
arrivarono
nel
1839
a
Ponte
Nomentano
nella
zona
denominata
Saccopastore,
una
sorta
di
penisola
formata
dal
fiume
Aniene
dopo
aver
passato
il
ponte.
Questa
inaugurazione
così
fastosa
non
ebbe
però
quel
seguito
grandioso,
al
quale
Alessandro
ambiva
per
la
sua
residenza,
la
malattia
della
moglie
e i
vari
lutti
in
famiglia
contribuirono
a
una
esistenza
ritirata
e
pia
verso
opere
di
beneficenza,
fino
ad
arrivare
alla
liquidazione
del
Banco
nel
1872.
Il
periodo
di
fasto
arrivò
invece
con
il
matrimonio
nel
1872
tra
la
figlia
Anna
Maria
e
Giulio
Borghese,
quest'ultimo
acquisì
il
cognome
Torlonia
per
far
perpetuare
la
dinastia.
I
ricchi
ricevimenti
e i
grandi
spettacoli
durarono
solo
per
un
breve
periodo
quando
sopraggiunse
la
morte
della
moglie
di
Alessandro,
Teresa
nel
1875
e
poi
quella
del
principe
stesso
nel
1886.
Tutto
nei
vari
edifici
di
questa
dimora
principesca
descrive
l'ammirazione,
tipica
degli
anni
'30
e
'40
del
secolo
XIX,
per
il
mondo
antico
e il
fascino
delle
rovine;
si
noti
gli
obelischi
dedicati
dal
principe
ai
genitori
oppure
con
gli
elementi
a
sorpresa
creati
dallo
Jappelli
per
la
Torre
Moresca.
Il
trionfalismo
di
Alessandro
iniziato
con
il
perduto
Palazzo
Torlonia
in
Piazza
Venezia,
qui
è al
culmine,
infatti
ogni
riferimento
nella
decorazione
o
nel
tema
rappresentato
nei
vari
edifici
è
volto
a
mostrare
il
principe
all'altezza
della
grandezza
delle
suntuose
residenze
romane
imperiale
e
addirittura
delle
divinità.
La
tesi
che
supporta
questa
considerazione
è
l'esempio
della
scena
del
Trionfo
di
Bacco
nel
fregio
del
casino
e in
una
sala
dedicata
allo
stesso
dio.
La
proprietà
dapprima
passo
all'unica
figlia,
che
trasformò
il
Bagno
del
Palazzo
Torlonia
in
Cappella
spinta
da
uno
spirito
profondamente
religioso,
e
successivamente
al
primogenito
Giovanni.
Egli
avviò
una
gestione
completamente
diversa
delle
proprietà
puntando
a
far
rinascere
il
nome
della
famiglia.
Legate
al
nome
di
Giovanni
risalgono:
il
Villino
Medievale,
muro
di
cinta,
il
nuovo
ingresso
sulla
via
Nomentana,
il
Villino
Rosso
e
Villino
del
Portiere
all'ingresso
di
Via
Spallanzani
e la
Capanna
Svizzera,
quest'ultima
divenne
quella
che
oggi
è la
Casina
delle
Civette.
Questo
cambiamento
portò
però,
a
uno
stravolgimento
per
colpa
anche
dell'ampliamento
della
sede
stradale
di
20
metri
con
conseguente
distruzione
delle
false
rovine
di
Tempio
e
Acquedotto,
del
Coffee-House
e
del
maestoso
Anfiteatro.
Con
il
tempo
la
funzione
di
rappresentanza
della
villa
si
affievolì
e
così
in
parte
gli
edifici
furono
abbandonati
o
ridimensionati
e
tra
i
motivi
da
imputare
a
questo
è
facilmente
rintracciabile
nello
stile
di
vita
solitaria
di
Giovanni.
Il
figlio
di
Alessandro
non
si
sposò
mai
e
viveva
con
la
servitù
sempre
nella
Casina
delle
Civette,
da
dove
si
sentiva
in
pieno
spirito
di
meditazione,
in
relazione
al
parco
all'esterno
e ai
motivi
simbolici
disseminati
all'interno.
L'aspetto
in
stile
liberty
come
è
visibile
ancora
oggi,
si
deve
ai
lavori
eseguiti
dall'architetto
Vincenzo
Fasolo
per
il
prospetto
sud-est
con
l'aggiunta
di
un
altro
corpo
di
fabbrica
e
all'originaria
copertura
a
cuspide,
ne
realizza
una
dalla
quale
ricava
all'interno
anche
un
salottino
interamente
decorato.
In
questo
casino
le
forme
in
stile
liberty
ben
si
integrano
con
il
motivo
esteso
della
civetta
e in
generale
si
sposa
bene
con
una
decorazione
rigogliosa
e
con
la
natura
circostante
della
villa.
Dal
tema
della
civetta,
così
preminente,
deriva
quindi
la
nuova
denominazione
di
Casina
delle
Civette,
infatti
questo
animale
notturno
si
impone
in
tutti
gli
elementi
decorativi
di
diversa
natura
dalle
maioliche,
agli
stucchi
e
alle
vetrate,
come
anche
nell'arredo
delle
molteplici
stanze.
La
simbologia
di
questo
rapace
nel
tempo
fu
sempre
rappresentata
con
una
valenza
positiva,
come
è
facilmente
rintracciabile
nella
mitologia
antica
dagli
antichi
egizi
agli
aztechi.
Per
quest'ultimi
la
morte
e
l'oscurità
doveva
sempre
essere
accompagnata
dal
sole
a
figurare
l'uscita
dalle
tenebre,
mentre
secondo
la
mitologia
greco-romana,
la
civetta
era
considerata
sacra
da
Atena-Minerva.
Giovanni
era
un
appassionato
di
studi
esoterici,
quindi
la
comparsa
di
questo
motivo
si
inseriva
perfettamente
nei
paradigmi
della
mitologia
del
passato
e
rispecchiava
il
suo
duplice
significato:
da
un
lato
la
Casina
era
pervasa
da
una
costante
oscurità,
data
dalla
murature
aggiunte
con
i
mascheroni
grotteschi,
anfore
e
vasi
e
dall'altro
l'entrata
della
luminosità
era
resa
grazie
all'ideazione
di
numerose
aeree
loggette
e
dalle
colorate
vetrate.