[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 153 / SETTEMBRE 2020 (CLXXXIV)


contemporanea

I GIOVANI E IL VIETNAM

LA “SPORCA GUERRA” NELLE PROTESTE GIOVANILI DEGLI ANNI SESSANTA

di Carlo Desideri

 

In Vietnam nel 1945 Ho Ci-Min, capo del movimento comunista Vietminh – la Lega per l’indipendenza del Vietnam –, proclama l’indipendenza dalla Francia e la costituzione della Repubblica Democratica del Vietnam. I francesi non riconoscono il nuovo Stato e occupano la parte meridionale del paese. Nel 1946 comincia una lunga guerra tra Francia e Vitminh che si conclude nel 1954 quando i francesi devono arrendersi. Con l’allontanamento dei francesi dall’Indocina la liberazione dell’Asia orientale e meridionale dal dominio europeo viene completata.

 

Nello stesso anno vengono siglati gli accordi di Ginevra, che decretano il ritiro delle truppe e dei funzionari francesi da tutta la Penisola indocinese, la divisione del Vietnam in due Stati: una repubblica comunista nel nord e una monarchia filoccidentale al sud: e la formazione dei due Stati indipendenti del Laos e della Cambogia.

 

Tuttavia tali accordi non riescono a stabilizzare la situazione. Le truppe del Vietnam del Nord avviano preso delle azioni di guerriglia contro il Vietnam del Sud e questo porta Kennedy a prendere in considerazione l’idea di intervenire sulla penisola indocinese, cosa che mette appunto in pratica aumentando i finanziamenti e l’aiuto tecnico al Vietnam del sud.

 

Lo scontro tra superpotenze in Vietnam non era stato cercato con grande fervore né da Mosca né da Washington, ma era stato innescato dall’atteggiamento interventista di entrambe in risposta alla rivoluzione vietnamita. Dopo la guerra di Corea, gli Stati Uniti avevano messo in chiaro che non avrebbero tollerato un Vietnam unificato a guida comunista, e che sarebbero intervenuti direttamente pur di impedire che Ho Chi Minh raggiungesse i suoi obiettivi.

 

Considerando il governo di Ho a Hanoi una protesi del potere sovietico e cinese in Asia, i governi Eisenhower e Kenndy ritennero che la caduta del debole stato sudvietnamita avrebbe generato un effetto domino per il quale non solo i confinanti Laos e Cambogia, ma anche paesi molto più importanti come la Thailandia, la Malesia britannica e l’Indonesia si sarebbero trovati a fronteggiare l’ascesa del potere dei locali partiti comunisti.

 

All’inizio degli anni Sessanta l’ipotesi di un intervento diretto degli americani era sempre più concreta, poiché il governo sudvietnamita sembrava da un lato poco intenzionato a seguire le riforme interne fornite dagli Usa, e dall’altro incapace di contenere l’insurrezione filocomunista che si stava diffondendo sul suo versante della linea di demarcazione individuata nel 1954 come soluzione temporanea.

 

L’antifascismo dei paesi occidentali sviluppati e l’antimperialismo delle loro colonie si trovarono a convergere su quello che consideravano un futuro postbellico di trasformazione sociale. Il comunismo sovietico e dei partiti comunisti locali contribuì a gettare un ponte sul fossato, poiché nel mondo coloniale esso significava appunto antimperialismo, mentre nel mondo europeo e occidentale significava impegno totale per la vittoria.

 

Ma, diversamente dalle scene politiche europee, quelle extraeuropee non riservarono ai comunisti grandi trionfi politici, a eccezione di casi particolari nei quali (come in Europa) l’antifascismo e la liberazione nazionale e sociale coincidevano: in Cina e in Corea, dove i colonialisti erano i giapponesi, e in Indocina (Vietnam, Cambogia, Laos) dove il nemico diretto della lotta per la libertà, rimasero i francesi, la cui amministrazione locale si era sottoposta ai giapponesi, quando costoro avevano invaso il Sudest asiatico.

 

La guerra in Vietnam viene vissuta all’interno delle proteste giovanili come una guerra contro l’imperialismo e ne diventa quindi un simbolo. In un articolo de L’Unità, datato 27 Dicembre 1967, Maurizio Ferrara scrive: «Il Vietnam continua a parlare alle donne, ai giovani, agli uomini di tutto il mondo. Raramente a un popolo è toccata in sorte una missione così universale, di parlare al mondo in nome di tutti gli esseri civili. […] La lezione del Vietnam parla a tutti: agli adoratori della forza che vedono la più potenza imperialista del mondo umiliata e bloccata, a coloro che vogliono la pace ma non intendono ancora che essa, oggi, si difende battendosi chiaramente contro l’aggressione americana in Vietnam. [..] Facciamo il nostro dovere», continua Ferrara, «per fare più forte il Vietnam, battendoci, giorno per giorno, ora per ora, perché gli aggressori diano sempre più isolati, perché le ragioni dell’umanità civile rappresentate dal Vietnam socialista e dal fronte di liberazione, trionfino e conquistino sempre più nuove coscienze».

 

La questione del Vietnam, in particolare, genererà un forte interesse all’interno dell’ambiente giovanile e delle proteste degli anni sessanta. Si sviluppò quindi una grande mobilitazione che portò la sinistra giovanile a porsi a favore dei guerriglieri del Terzo mondo e contro la coscrizione obbligatoria – negli Stati Uniti dopo il 1965 –, che li avrebbe costretti a combattere proprio contro quei ribelli. Questo porterà l’immagine dei guerriglieri Viet Cong nella vegetazione tropicale a divenire una fonte essenziale per la radicalizzazione estremistica degli anni ’60 nei paesi occidentali.

 

Durante la guerra contro gli Usa, il Vietnam non si lasciò mai coinvolgere in quel genere di internazionalismo socialista esterno alla propria regione come avvenne per Cuba. Motivo per il quale la rivoluzione vietnamita divenne una fonte di ispirazione indiretta anche per altri paesi del terzo mondo e nel contesto paneuropeo il Vietnam andò a simboleggiare una resistenza vincente contro gli Stati Uniti, una forma di eroismo rivoluzionario, lo scontro tra Davide e Golia.

 

Ma la resistenza vietnamita agli Usa non fu soltanto fonte d’ispirazione per gli estremisti del Terzo mondo, riuscì anche a rendere la Guerra Fredda un tema cruciale nella mobilitazione delle sinistre nel mondo paneuropeo. Gli europei occidentali e gli studenti americani che manifestavano nelle strade e occupavano le università alla fine degli anni Sessanta, consideravano l’atteggiamento della “vecchia sinistra” – socialista e comunista – troppo timido sul fronte delle riforme interne e troppo fiacco nell’affrontare tali problemi.

 

La guerra diventa quindi un argomento di primaria importanza all’interno dell’ambiente delle contestazioni giovanili, non solo negli USA, ma anche in Europa. In Italia nel Febbraio del ’65 si leggeva sui quotidiani come L’Unità – giornale particolarmente interessato alla situazione giovanile e alle proteste che la riguardavano 0 titoli come “Brutale Aggressione Aerea USA contro il Vietnam”.

 

Le proteste che nascono dal 1965 negli Stati Uniti, quindi, interesseranno e influenzeranno fortemente anche i giovani europei, i quali seguiranno l’esempio dei giovani hippies americani e si ritroveranno all’interno di movimenti di protesta per poter ottenere il ritiro delle forze militari dal Vietnam.

 

Diego Giachetti osserva: «Nella società a capitalismo avanzato, la protesta giovanile che accomunava i giovani appartenenti a classi sociali diverse, muoveva da motivazioni non riconducibili a modelli consolidati di conflitto di classe, sociale o politico. Questa protesta si presentava innanzi tutto come una ribellione a scarso contenuto progettuale e costruttivo, un rifiuto più che una tensione verso una società diversa, già costituita e definita almeno a livello di pensiero».

 

È certo che l’obiettivo principale di questi giovani fosse quello di distaccarsi il più possibile dalla società nella quale sono cresciuti e che percepivano come fortemente oppressiva e soffocante, indi per cui il loro atteggiamento mostra come fossero alla continua ricerca di elementi che potessero, come prima cosa, differenziarli il più possibile dalla società “adulta”, portandoli a una vera e propria emancipazione giovanile.

 

Partendo da questo presupposto, si potrebbe fornire una lettura delle proteste giovanili secondo la quale il vero fine fosse quello di creare una società diversa da quella passata, senza dei veri e propri obiettivi specifici, se non quello di mettere i giovani in primo piano rispetto alla sfera adulta. Tutto era quindi funzionale all’emancipazione giovanile, alla costruzione di una nuova concezione della società, nella quale i giovani potevano decidere per sé stessi e non erano più costretti a rispettare i programmi o i comportamenti imposti dalla società nella quale vivevano.

 

È doveroso analizzare la tematica della guerra in Vietnam anche dal punto di vista cinematografico – settore di forte impatto all’interno dell’ambiente giovanile, ma non solo –, essendo stata spesso riportata sul grande schermo, soprattutto nel periodo che va dal 1965 al 1985.

 

Nel 1965 esce il film 317º battaglione d’assalto, diretto dal regista francese Pierre Schoendoerffer. Il film è ambientato nel 1954, nella fase finale della guerra tra francesi e Vietminh, e si conclude con la sconfitta dei Francesi e la vittoria delle forze comuniste durante la battaglia di battaglia di Dien Bien Phu.

 

Nel 1968, invece, esce un film americano diretto e interpretato da John Wayne, Berretti verdi (The Green Berets), nel quale l’esercito dei vietcong viene rappresentato in maniera nettamente più negativa rispetto a quello nord vietnamita e americano.

 

Sempre nel 1968 esce il film Greetings – in Italia presentato con il titolo di Ciao America! –, del regista Brian De Palma e con protagonista un giovanissimo Rober De Niro. Il film, ambientato alla fine degli anni Sessanta, racconta in modo ironico le vicende di tre giovani ragazzi che si legano ai principali argomenti che hanno caratterizzato gli USA in quegli anni: da Lyndon Johnson che esalta la guerra in Vietnam presentandola come una guerra giusta da portare avanti, a giovani che cercano degli escamotage per non essere richiamati a prestare servizio per la guerra, fino a riportare, seppur sempre con forte ironia, ricerche da uno dei personaggi relative all’assassinio del presidente Kennedy.

 

Nel 1978 esce il film Hamburger Hill, dove i protagonisti, una squadra di soldati americani, deve portare a termine la missione di conquistare una zona strategica, chiamata “Collina 937”. Alla fine, soffrendo le atrocità della guerra, una manciata di uomini riesce a sopravvivere e a portare a termine l’impresa, ma a un costo di vite estremamente elevato.

 

Un altro film incentrato sul Vietnam è Apocalypse Now, uscito nel 1979 e diretto da Francis Ford Coppola. Il film, ispirato al romanzo Cuore di tenebra (Heart of Darkness) di Joseph Conrad, riporta una trama i parte simile al libro ma, anziché essere ambientato nelle colonie inglesi del XIX secolo è invece ambientato proprio durante la guerra in Vietnam. Il protagonista, Benjamin – interpretato da Martin Sheen – è un ufficiale dell’esercito americano che ha già avuto esperienze in Vietnam – il film è ambientato nel 1969 – e si ritrova in estrema difficoltà ad accettare la normalità della società americana, difficoltà che gli provocano delle vere e proprie crisi, visibili fin dai primi minuti del film. Riceve in ogni caso una missione speciale, quella di scovare il colonnello Kurts – il personaggio del colonnello è l’esatta trasposizione di quello del libro di Conrad –, interpretato da Marlon Brando, ex ufficiale il quale, a seguito di un crollo psicologico, ha disertato e preso il controllo di un gruppo d indigeni, nella foresta della Cambogia. Attraverso questo obiettivo, il protagonista è costretto ad attraversare territori alleati e nemici, mostrandoci la guerra, la sua crudezza e i vari effetti che può avere su coloro che la vivono.

 

L’elemento che gradualmente si fa sempre più presente, fino a esplodere letteralmente, non è tanto quello del dramma, né quello della violenza, ma quello della follia, follia che raggiunge il suo apice una volta trovato Kurts, il quale cattura Benjamin e durante una serie di monologhi esprime tutto il suo pensiero e la sua pazzia, causatagli dalle atrocità che ha vissuto in guerra. Questa ne è una citazione: «Ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei […]. Ricordo quando ero nelle forze speciali, sembra siano passati mille secoli. Siamo andati in un accampamento per vaccinare di bambini. Andati via dal campo, dopo averli vaccinati tutti contro la polio, un vecchio in lacrime ci raggiunge correndo, non riusciva a parlare. Allora tornammo al campo. Quegli uomini erano tornati e avevano mutilato a tutti i bambini il braccio vaccinato […]. Avrei voluto cavarmi tutti i denti, non sapevo neanche io cosa volevo fare, ma voglio ricordarmelo, non voglio dimenticarlo mai […] Ma poi ho capito e ho detto “Oh Dio, che genio c’era in quell’atto”.[…] Allora ho realizzato che loro erano più forti di noi, non erano mostri erano uomini. Quegli uomini avevano un cuore, avevano famiglia, avevano bambini, erano colmi d’amore, ma avevano la forza di farlo».

 

La follia causata dalla guerra che viene mostrata nel film diventa paradossalmente quasi logica, umana, riuscendo a fornire un forte senso di angoscia e disperazione.

 

Nel 1982 esce invece il famoso film First Blood – trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di David Morrel –, in Italia uscito con il nome di Rambo, che, seppur faccia dell’azione la sua componente principale, il protagonista, Rambo appunto, è direttamente legato al contesto della guerra in Vietnam. Rambo è un ex berretto verde, un reduce della guerra in Vietnam, facente parte di un battaglione del quale è l’unico sopravvissuto. Una volta tornato in patria, invece che essere trattato come un eroe viene schernito a seguito di alcuni pregiudizi nei suoi confronti – lo sceriffo è convinto sia un vagabondo –, viene arrestato e portato in centrale dove, a seguito di una serie di maltrattamenti, vengono rievocate alcune scene di torture subite in Vietnam. Rambo si ribella e fugge dalla prigione e i poliziotti danno inizio a una vera e propria caccia all’uomo.

 

La complessità del film risiede principalmente proprio nel protagonista, il quale fornisce spunti interessanti per la tematica qui trattata. Oltre alla tematica legata all’orrore fisico della guerra vi sono anche riferimenti ai danni psicologici da essa causati e all’emarginazione alla quale può portare, ampliati dal fatto che i personaggi secondari – rappresentati principalmente dalle forze dell’ordine –, non comprendono tali orrori e non cercano minimamente di capire il dramma vissuto dal protagonista, rimasto ormai solo a seguito della morte dei suoi compagni e senza uno scopo, essendo la guerra la sua unica ragione di vita, nonostante la sua brutalità e adesso costretto a vivere e ad adattarsi a una società che, quantomeno dal poco che riesce a vedere, lo rifiuta e lo ripudia.

 

Come ultimo esempio riporto il film Full Metal Jacket, del regista Stanley Kubrick, uscito nel 1987. Il film, seppur con ironia, affronta la tematica della drammaticità della guerra, ma non soltanto relativa al campo di battaglia. Una delle scene più famose è infatti legata alla prima parte del film, ambientata in un campo di addestramento reclute, nel quale si conoscono i vari protagonisti. Uno di essi, Leonard Lawrence, è costantemente messo sotto pressione dal sergente Hartman, istruttore e responsabile dell’addestramento, il quale lo attacca e lo punisce continuamente, aggiungendo spesso offese alla sua persona e dandogli il soprannome di “Palla di lardo” a causa della sua obesità.

 

La giovane recluta, nonostante le dure pressioni infertegli dal Sergente Hartman e dal duro addestramento, si rivela essere un eccellente tiratore, riuscendo alla fine a crearsi una buona reputazione. Ad addestramento concluso, però, il ragazzo manifesta una crisi psicologica causata probabilmente dallo stress legato a tutto ciò che ha dovuto sopportare durante quel periodo e, durante la notte, imbraccia il suo fucile e si reca in bagno recitando “la preghiera del fucile” insegnatagli dal sergente Hartman: «Questo è il mio fucile. Ce ne sono tanti come lui, ma questo è il mio. Il mio fucile è il mio migliore amico, è la mia vita. Io debbo dominarlo come domino la mia vita. Senza di me il mio fucile non è niente; senza il mio fucile io sono niente. Debbo saper colpire il bersaglio, debbo sparare meglio del mio nemico che cerca di ammazzare me, debbo sparare io prima che lui spari a me e lo farò. Al cospetto di Dio giuro su questo credo. Il mio fucile e me stesso siamo i difensori della patria, siamo i dominatori dei nostri nemici, siamo i salvatori della nostra vita e così sia, finché non ci sarà più nemico ma solo pace, Amen». Mentre recita tale preghiera con il fucile carico in mano, il sergente Hartman giunge a richiamarlo all’ordine e Leonard spara prima al suo superiore uccidendolo e in seguito a se stesso.

 

La filmografia relativa alla guerra del Vietnam è molto vasta ed esistono molti altri esempi come quelli dei film citati in questo paragrafo. L’elemento del Vietnam è rimasto molto radicato nelle menti degli americani e numerosi registi sono stati logicamente molto interessati a riportare l’argomento all’interno delle proprie produzioni. È da notare, come è logico che sia, che la maggior parte della filmografia critica sul Vietnam, nel quale quindi non vi siano semplicemente eroi Occidentali e nemici Vietcong da sconfiggere, ma dove l’elemento principale sia il dramma principale l’unico vero nemico sia la guerra stessa, è molto più facile individuarla tra gli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta, mentre nella seconda metà degli anni Sessanta è più facile individuare un elemento eroistico legato appunto alle truppe francesi o americane come in 317° Battaglione d’assalto o in Berretti Verdi.

 

Il dissenso verso la guerra e la crescente pretesa dei gruppi di protesta giovanili per il ritiro delle forze armate statunitensi dal Vietnam lo si ritrova facilmente anche all’interno del panorama musicale, specialmente nell’universo Rock degli anni Sessanta e Settanta, attraverso i gruppi che lo compongono, i quali diventano dei veri e propri rappresentanti della nuova società giovanile che si stava costruendo e dei pensieri a essa legati.

 

Nel 1967 Arlo Gauthrie pubblica la canzone Alice’s Restaurant, che con una forte dose ironica mette in ridicolo le funzioni di selezione per il servizio di leva. Il pezzo – molto più lungo della media – racconta le vicende del protagonista durante una sera nel giorno del Ringraziamento. Il ragazzo, con l’intento di fare un favore alla sua amica Alice, prende il suo sacco della spazzatura e si dirige verso la discarica comunale ma, trovandola chiusa, decide di gettare il sacco in un fosso, pensando di non fare niente di male. Viene così contattato dall’agente Obie, il quale lo arresta. A causa di questo precedente penale, il ragazzo non riuscirà a passare i test per il servizio di leva, venendo ritenuto non idoneo.

 

Un altro esempio è il pezzo War Pigs, del gruppo musicale Heavy Metal Black Sabbath, uscito nel 1970, questa è la prima parte del testo della canzone:

 

Generali raccolti nelle loro masse
come le streghe alle messe nere
menti malvagie che organizzano la distruzione
maghi nella costruzione della morte
nei campi i corpi bruciano
come la macchina da guerra continua a girare
morte e odio al genere umano
avvelenando le loro menti persuase... oh sì signore!

Politici che si nascondono

hanno solo iniziato la guerra
perché dovrebbero andare fuori a combattere?
loro lasciano quel ruolo ai poveri.

 

Qui, oltre che a riportare una situazione spaventosa e terrificante legata al campo di battaglia, il gruppo decide anche di avanzare critiche alla sfera politica, ritenuta la causa principale, non solo della guerra in Vietnam, ma in generale di tutte le guerre.

 

Nello stesso anno esce uno dei pezzi più famosi dei Rolling Stones, Gimme Shelter, nel quale viene sempre ripetuta la frase “War, children, it’s just a shot away “- La guerra, bambini, è solo a uno sparo di distanza -. Questo ne è un estratto:


Stupro, omicidio!

È solo a uno sparo di distanza.

È solo a uno sparo di distanza.

Le alluvioni minacciano

La mia stessa vita oggi

Dammi, dammi rifugio

O io svanirò.

 

Ma all’interno dei testi musicali è possibile notare non soltanto l’avversione per la guerra nel Vietnam, ma un vero e proprio movimento per l’emancipazione giovanile, attraverso il quale i giovani esprimevano il loro disappunto, la loro rabbia e il loro desiderio di mettere la loro immagine, i propri desideri e i propri pensieri in primo piano rispetto a quello degli adulti. Attraverso questa nuova cultura che si stava delineando, gli elementi che precedentemente formavano i pilastri della vita quotidiana del mondo occidentale, diventano i principali avversari di questi giovani. Tutto ciò su cui si basava la quotidianità della vita delle generazioni precedenti diventa il principale nemico su cui scagliarsi.

 

Ciò che i ragazzi pensano, lo ascoltano nello spazio rituale dei concerti, poiché i musicisti rock sanno dar voce con grande tempestività e con altrettanto grande lucidità a queste profonde linee di frattura.

 

Uno dei testi più famosi e più rappresentativi per questa generazione è appunto The times they are a changin’, composto da Bob Dylan e pubblicato nel 1964. Queste sono alcune strofe:

 

Venite madri e padri
Da ogni parte del Paese
E non criticate
Quello che non riuscite a capire
I vostri figli e le vostre figlie
Sfuggono dai vostri comandi
La vostra vecchia strada
Sta rapidamente diventando obsoleta
Per favore andate via dalla nuova
Se non potete dare una mano
Perché i tempi stanno cambiando.

 

Nella canzone di Dylan si percepisce appunto l’entusiasmo per un nuovo universo giovanile che sta nascendo e che i giovani stanno costruendo tramite le loro proteste e le loro prese di coscienza, diffondendo il loro pensiero e il loro dissenso e attraverso cui cercano di costruire una nuova società nella quale possono raggiungere l’emancipazione, che risulta essere il principale obiettivo che raggruppa e lega tutte le proteste giovanili degli anni sessanta.

  

 

Riferimenti bibliografici:

 

Banti Alberto Mario, L’età contemporanea. Dalla grande Guerra a oggi, Laterza & Figli, Bari-Roma 2009.

Banti Alberto Mario, Wonderland, La cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd, Laterza, Roma-Bari 2017.

Giachetti Diego, Anni sessanta comincia la danza: Giovani, capelloni, studenti ed estremisti negli anni della contestazione, BFS edizioni, Pisa 2002.

Giuseppe Boffa, Brutale aggressione aerea U.S.A contro il Nord Vietnam, L’Unità, Lunedì 8 Febbraio, 1965 in L’Unità 1924–1974. Con trenta editoriali di Palmiro Togliatti, Editori riuniti, Dicembre 1973.

Hobsbawn Eric.J., Il Secolo Breve 1914-1991, Mondadori, Milano 2018.

Maurizio Ferrara, Gli aggressori non passano, L’Unità, 17/12/1927.

Romero Federico,Storia della guerra fredda: L’ultimo conflitto per l’Europa, Einaudi editore, Torino 2009.

Westad Odd A., La guerra fredda globale. L’Unione Sovietica e il mondo. Le relazioni internazionali del XX secolo, Il Saggiatore, Milano 2015.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]