contemporanea
I GIOVANI E IL VIETNAM
LA “SPORCA GUERRA” NELLE PROTESTE
GIOVANILI
DEGLI ANNI SESSANTA
di Carlo Desideri
In Vietnam nel 1945 Ho Ci-Min, capo del
movimento comunista Vietminh – la Lega
per l’indipendenza del Vietnam –,
proclama l’indipendenza dalla Francia e
la costituzione della Repubblica
Democratica del Vietnam. I francesi non
riconoscono il nuovo Stato e occupano la
parte meridionale del paese. Nel 1946
comincia una lunga guerra tra Francia e
Vitminh che si conclude nel 1954 quando
i francesi devono arrendersi. Con
l’allontanamento dei francesi
dall’Indocina la liberazione dell’Asia
orientale e meridionale dal dominio
europeo viene completata.
Nello stesso anno vengono siglati gli
accordi di Ginevra, che decretano il
ritiro delle truppe e dei funzionari
francesi da tutta la Penisola
indocinese, la divisione del Vietnam in
due Stati: una repubblica comunista nel
nord e una monarchia filoccidentale al
sud: e la formazione dei due Stati
indipendenti del Laos e della Cambogia.
Tuttavia tali accordi non riescono a
stabilizzare la situazione. Le truppe
del Vietnam del Nord avviano preso delle
azioni di guerriglia contro il Vietnam
del Sud e questo porta Kennedy a
prendere in considerazione l’idea di
intervenire sulla penisola indocinese,
cosa che mette appunto in pratica
aumentando i finanziamenti e l’aiuto
tecnico al Vietnam del sud.
Lo scontro tra superpotenze in Vietnam
non era stato cercato con grande fervore
né da Mosca né da Washington, ma era
stato innescato dall’atteggiamento
interventista di entrambe in risposta
alla rivoluzione vietnamita. Dopo la
guerra di Corea, gli Stati Uniti avevano
messo in chiaro che non avrebbero
tollerato un Vietnam unificato a guida
comunista, e che sarebbero intervenuti
direttamente pur di impedire che Ho Chi
Minh raggiungesse i suoi obiettivi.
Considerando il governo di Ho a Hanoi
una protesi del potere sovietico e
cinese in Asia, i governi Eisenhower e
Kenndy ritennero che la caduta del
debole stato sudvietnamita avrebbe
generato un effetto domino per il quale
non solo i confinanti Laos e Cambogia,
ma anche paesi molto più importanti come
la Thailandia, la Malesia britannica e
l’Indonesia si sarebbero trovati a
fronteggiare l’ascesa del potere dei
locali partiti comunisti.
All’inizio degli anni Sessanta l’ipotesi
di un intervento diretto degli americani
era sempre più concreta, poiché il
governo sudvietnamita sembrava da un
lato poco intenzionato a seguire le
riforme interne fornite dagli Usa, e
dall’altro incapace di contenere
l’insurrezione filocomunista che si
stava diffondendo sul suo versante della
linea di demarcazione individuata nel
1954 come soluzione temporanea.
L’antifascismo dei paesi occidentali
sviluppati e l’antimperialismo delle
loro colonie si trovarono a convergere
su quello che consideravano un futuro
postbellico di trasformazione sociale.
Il comunismo sovietico e dei partiti
comunisti locali contribuì a gettare un
ponte sul fossato, poiché nel mondo
coloniale esso significava appunto
antimperialismo, mentre nel mondo
europeo e occidentale significava
impegno totale per la vittoria.
Ma, diversamente dalle scene politiche
europee, quelle extraeuropee non
riservarono ai comunisti grandi trionfi
politici, a eccezione di casi
particolari nei quali (come in Europa)
l’antifascismo e la liberazione
nazionale e sociale coincidevano: in
Cina e in Corea, dove i colonialisti
erano i giapponesi, e in Indocina
(Vietnam, Cambogia, Laos) dove il nemico
diretto della lotta per la libertà,
rimasero i francesi, la cui
amministrazione locale si era sottoposta
ai giapponesi, quando costoro avevano
invaso il Sudest asiatico.
La guerra in Vietnam viene vissuta
all’interno delle proteste giovanili
come una guerra contro l’imperialismo e
ne diventa quindi un simbolo. In un
articolo de L’Unità, datato 27 Dicembre
1967, Maurizio Ferrara scrive: «Il
Vietnam continua a parlare alle donne,
ai giovani, agli uomini di tutto il
mondo. Raramente a un popolo è toccata
in sorte una missione così universale,
di parlare al mondo in nome di tutti gli
esseri civili. […] La lezione del
Vietnam parla a tutti: agli adoratori
della forza che vedono la più potenza
imperialista del mondo umiliata e
bloccata, a coloro che vogliono la pace
ma non intendono ancora che essa, oggi,
si difende battendosi chiaramente contro
l’aggressione americana in Vietnam. [..]
Facciamo il nostro dovere», continua
Ferrara, «per fare più forte il
Vietnam, battendoci, giorno per giorno,
ora per ora, perché gli aggressori diano
sempre più isolati, perché le ragioni
dell’umanità civile rappresentate dal
Vietnam socialista e dal fronte di
liberazione, trionfino e conquistino
sempre più nuove coscienze».
La questione del Vietnam, in
particolare, genererà un forte interesse
all’interno dell’ambiente giovanile e
delle proteste degli anni sessanta. Si
sviluppò quindi una grande mobilitazione
che portò la sinistra giovanile a porsi
a favore dei guerriglieri del Terzo
mondo e contro la coscrizione
obbligatoria – negli Stati Uniti dopo il
1965 –, che li avrebbe costretti a
combattere proprio contro quei ribelli.
Questo porterà l’immagine dei
guerriglieri Viet Cong nella vegetazione
tropicale a divenire una fonte
essenziale per la radicalizzazione
estremistica degli anni ’60 nei paesi
occidentali.
Durante la guerra contro gli Usa, il
Vietnam non si lasciò mai coinvolgere in
quel genere di internazionalismo
socialista esterno alla propria regione
come avvenne per Cuba. Motivo per il
quale la rivoluzione vietnamita divenne
una fonte di ispirazione indiretta anche
per altri paesi del terzo mondo e nel
contesto paneuropeo il Vietnam andò a
simboleggiare una resistenza vincente
contro gli Stati Uniti, una forma di
eroismo rivoluzionario, lo scontro tra
Davide e Golia.
Ma la resistenza vietnamita agli Usa non
fu soltanto fonte d’ispirazione per gli
estremisti del Terzo mondo,
riuscì anche a rendere la Guerra Fredda
un tema cruciale nella mobilitazione
delle sinistre nel mondo paneuropeo. Gli
europei occidentali e gli studenti
americani che manifestavano nelle strade
e occupavano le università alla fine
degli anni Sessanta, consideravano
l’atteggiamento della “vecchia sinistra”
– socialista e comunista – troppo timido
sul fronte delle riforme interne e
troppo fiacco nell’affrontare tali
problemi.
La guerra diventa quindi un argomento di
primaria importanza all’interno
dell’ambiente delle contestazioni
giovanili, non solo negli USA, ma anche
in Europa. In Italia nel Febbraio del
’65 si leggeva sui quotidiani come
L’Unità – giornale particolarmente
interessato alla situazione giovanile e
alle proteste che la riguardavano 0
titoli come “Brutale Aggressione Aerea
USA contro il Vietnam”.
Le proteste che nascono dal 1965 negli
Stati Uniti, quindi, interesseranno e
influenzeranno fortemente anche i
giovani europei, i quali seguiranno
l’esempio dei giovani hippies americani
e si ritroveranno all’interno di
movimenti di protesta per poter ottenere
il ritiro delle forze militari dal
Vietnam.
Diego Giachetti osserva: «Nella
società a capitalismo avanzato, la
protesta giovanile che accomunava i
giovani appartenenti a classi sociali
diverse, muoveva da motivazioni non
riconducibili a modelli consolidati di
conflitto di classe, sociale o politico.
Questa protesta si presentava innanzi
tutto come una ribellione a scarso
contenuto progettuale e costruttivo, un
rifiuto più che una tensione verso una
società diversa, già costituita e
definita almeno a livello di pensiero».
È certo che l’obiettivo principale di
questi giovani fosse quello di
distaccarsi il più possibile dalla
società nella quale sono cresciuti e che
percepivano come fortemente oppressiva e
soffocante, indi per cui il loro
atteggiamento mostra come fossero alla
continua ricerca di elementi che
potessero, come prima cosa,
differenziarli il più possibile dalla
società “adulta”, portandoli a una vera
e propria emancipazione giovanile.
Partendo da questo presupposto, si
potrebbe fornire una lettura delle
proteste giovanili secondo la quale il
vero fine fosse quello di creare una
società diversa da quella passata, senza
dei veri e propri obiettivi specifici,
se non quello di mettere i giovani in
primo piano rispetto alla sfera adulta.
Tutto era quindi funzionale
all’emancipazione giovanile, alla
costruzione di una nuova concezione
della società, nella quale i giovani
potevano decidere per sé stessi e non
erano più costretti a rispettare i
programmi o i comportamenti imposti
dalla società nella quale vivevano.
È doveroso analizzare la tematica della
guerra in Vietnam anche dal punto di
vista cinematografico – settore di forte
impatto all’interno dell’ambiente
giovanile, ma non solo –, essendo stata
spesso riportata sul grande schermo,
soprattutto nel periodo che va dal 1965
al 1985.
Nel 1965 esce il film 317º
battaglione d’assalto, diretto dal
regista francese Pierre Schoendoerffer.
Il film è ambientato nel 1954, nella
fase finale della guerra tra francesi e
Vietminh, e si conclude con la sconfitta
dei Francesi e la vittoria delle forze
comuniste durante la battaglia di
battaglia di Dien Bien Phu.
Nel 1968, invece, esce un film americano
diretto e interpretato da John Wayne,
Berretti verdi (The Green Berets),
nel quale l’esercito dei vietcong
viene rappresentato in maniera
nettamente più negativa rispetto a
quello nord vietnamita e americano.
Sempre nel 1968 esce il film
Greetings – in Italia presentato con
il titolo di Ciao America! –, del
regista Brian De Palma e con
protagonista un giovanissimo Rober De
Niro. Il film, ambientato alla fine
degli anni Sessanta, racconta in modo
ironico le vicende di tre giovani
ragazzi che si legano ai principali
argomenti che hanno caratterizzato gli
USA in quegli anni: da Lyndon Johnson
che esalta la guerra in Vietnam
presentandola come una guerra giusta da
portare avanti, a giovani che cercano
degli escamotage per non essere
richiamati a prestare servizio per la
guerra, fino a riportare, seppur sempre
con forte ironia, ricerche da uno dei
personaggi relative all’assassinio del
presidente Kennedy.
Nel 1978 esce il film Hamburger Hill,
dove i protagonisti, una squadra di
soldati americani, deve portare a
termine la missione di conquistare una
zona strategica, chiamata “Collina 937”.
Alla fine, soffrendo le atrocità della
guerra, una manciata di uomini riesce a
sopravvivere e a portare a termine
l’impresa, ma a un costo di vite
estremamente elevato.
Un altro film incentrato sul Vietnam è
Apocalypse Now, uscito nel 1979 e
diretto da Francis Ford Coppola. Il
film, ispirato al romanzo Cuore di
tenebra (Heart of Darkness)
di Joseph Conrad, riporta una trama i
parte simile al libro ma, anziché essere
ambientato nelle colonie inglesi del XIX
secolo è invece ambientato proprio
durante la guerra in Vietnam. Il
protagonista, Benjamin – interpretato da
Martin Sheen – è un ufficiale
dell’esercito americano che ha già avuto
esperienze in Vietnam – il film è
ambientato nel 1969 – e si ritrova in
estrema difficoltà ad accettare la
normalità della società americana,
difficoltà che gli provocano delle vere
e proprie crisi, visibili fin dai primi
minuti del film. Riceve in ogni caso una
missione speciale, quella di scovare il
colonnello Kurts – il personaggio del
colonnello è l’esatta trasposizione di
quello del libro di Conrad –,
interpretato da Marlon Brando, ex
ufficiale il quale, a seguito di un
crollo psicologico, ha disertato e preso
il controllo di un gruppo d indigeni,
nella foresta della Cambogia. Attraverso
questo obiettivo, il protagonista è
costretto ad attraversare territori
alleati e nemici, mostrandoci la guerra,
la sua crudezza e i vari effetti che può
avere su coloro che la vivono.
L’elemento che gradualmente si fa sempre
più presente, fino a esplodere
letteralmente, non è tanto quello del
dramma, né quello della violenza, ma
quello della follia, follia che
raggiunge il suo apice una volta trovato
Kurts, il quale cattura Benjamin e
durante una serie di monologhi esprime
tutto il suo pensiero e la sua pazzia,
causatagli dalle atrocità che ha vissuto
in guerra. Questa ne è una citazione: «Ho
visto degli orrori, orrori che ha visto
anche lei […]. Ricordo quando ero nelle
forze speciali, sembra siano passati
mille secoli. Siamo andati in un
accampamento per vaccinare di bambini.
Andati via dal campo, dopo averli
vaccinati tutti contro la polio, un
vecchio in lacrime ci raggiunge
correndo, non riusciva a parlare. Allora
tornammo al campo. Quegli uomini erano
tornati e avevano mutilato a tutti i
bambini il braccio vaccinato […]. Avrei
voluto cavarmi tutti i denti, non sapevo
neanche io cosa volevo fare, ma voglio
ricordarmelo, non voglio dimenticarlo
mai […] Ma poi ho capito e ho detto “Oh
Dio, che genio c’era in quell’atto”.[…]
Allora ho realizzato che loro erano più
forti di noi, non erano mostri erano
uomini. Quegli uomini avevano un cuore,
avevano famiglia, avevano bambini, erano
colmi d’amore, ma avevano la forza di
farlo».
La follia causata dalla guerra che viene
mostrata nel film diventa
paradossalmente quasi logica, umana,
riuscendo a fornire un forte senso di
angoscia e disperazione.
Nel 1982 esce invece il famoso film
First Blood – trasposizione
cinematografica dell’omonimo romanzo di
David Morrel –, in Italia uscito
con il nome di Rambo, che, seppur
faccia dell’azione la sua componente
principale, il protagonista, Rambo
appunto, è direttamente legato al
contesto della guerra in Vietnam. Rambo
è un ex berretto verde, un reduce della
guerra in Vietnam, facente parte di un
battaglione del quale è l’unico
sopravvissuto. Una volta tornato in
patria, invece che essere trattato come
un eroe viene schernito a seguito di
alcuni pregiudizi nei suoi confronti –
lo sceriffo è convinto sia un vagabondo
–, viene arrestato e portato in centrale
dove, a seguito di una serie di
maltrattamenti, vengono rievocate alcune
scene di torture subite in Vietnam.
Rambo si ribella e fugge dalla prigione
e i poliziotti danno inizio a una vera e
propria caccia all’uomo.
La complessità del film risiede
principalmente proprio nel protagonista,
il quale fornisce spunti interessanti
per la tematica qui trattata. Oltre alla
tematica legata all’orrore fisico della
guerra vi sono anche riferimenti ai
danni psicologici da essa causati e
all’emarginazione alla quale può
portare, ampliati dal fatto che i
personaggi secondari – rappresentati
principalmente dalle forze dell’ordine
–, non comprendono tali orrori e non
cercano minimamente di capire il dramma
vissuto dal protagonista, rimasto ormai
solo a seguito della morte dei suoi
compagni e senza uno scopo, essendo la
guerra la sua unica ragione di vita,
nonostante la sua brutalità e adesso
costretto a vivere e ad adattarsi a una
società che, quantomeno dal poco che
riesce a vedere, lo rifiuta e lo
ripudia.
Come ultimo esempio riporto il film
Full Metal Jacket, del regista
Stanley Kubrick, uscito nel 1987. Il
film, seppur con ironia, affronta la
tematica della drammaticità della
guerra, ma non soltanto relativa al
campo di battaglia. Una delle scene più
famose è infatti legata alla prima parte
del film, ambientata in un campo di
addestramento reclute, nel quale si
conoscono i vari protagonisti. Uno di
essi, Leonard Lawrence, è costantemente
messo sotto pressione dal sergente
Hartman, istruttore e responsabile
dell’addestramento, il quale lo attacca
e lo punisce continuamente, aggiungendo
spesso offese alla sua persona e
dandogli il soprannome di “Palla di
lardo” a causa della sua obesità.
La giovane recluta, nonostante le dure
pressioni infertegli dal Sergente
Hartman e dal duro addestramento, si
rivela essere un eccellente tiratore,
riuscendo alla fine a crearsi una buona
reputazione. Ad addestramento concluso,
però, il ragazzo manifesta una crisi
psicologica causata probabilmente dallo
stress legato a tutto ciò che ha dovuto
sopportare durante quel periodo e,
durante la notte, imbraccia il suo
fucile e si reca in bagno recitando “la
preghiera del fucile” insegnatagli dal
sergente Hartman: «Questo è il mio
fucile. Ce ne sono tanti come lui, ma
questo è il mio. Il mio fucile è il mio
migliore amico, è la mia vita. Io debbo
dominarlo come domino la mia vita. Senza
di me il mio fucile non è niente; senza
il mio fucile io sono niente. Debbo
saper colpire il bersaglio, debbo
sparare meglio del mio nemico che cerca
di ammazzare me, debbo sparare io prima
che lui spari a me e lo farò. Al
cospetto di Dio giuro su questo credo.
Il mio fucile e me stesso siamo i
difensori della patria, siamo i
dominatori dei nostri nemici, siamo i
salvatori della nostra vita e così sia,
finché non ci sarà più nemico ma solo
pace, Amen». Mentre recita tale
preghiera con il fucile carico in mano,
il sergente Hartman giunge a richiamarlo
all’ordine e Leonard spara prima al suo
superiore uccidendolo e in seguito a se
stesso.
La filmografia relativa alla guerra del
Vietnam è molto vasta ed esistono molti
altri esempi come quelli dei film citati
in questo paragrafo. L’elemento del
Vietnam è rimasto molto radicato nelle
menti degli americani e numerosi registi
sono stati logicamente molto interessati
a riportare l’argomento all’interno
delle proprie produzioni. È da notare,
come è logico che sia, che la maggior
parte della filmografia critica sul
Vietnam, nel quale quindi non vi siano
semplicemente eroi Occidentali e nemici
Vietcong da sconfiggere, ma dove
l’elemento principale sia il dramma
principale l’unico vero nemico sia la
guerra stessa, è molto più facile
individuarla tra gli anni Settanta e la
fine degli anni Ottanta, mentre nella
seconda metà degli anni Sessanta è più
facile individuare un elemento eroistico
legato appunto alle truppe francesi o
americane – come in 317°
Battaglione d’assalto o in
Berretti Verdi.
Il dissenso verso la guerra e la
crescente pretesa dei gruppi di protesta
giovanili per il ritiro delle forze
armate statunitensi dal Vietnam lo si
ritrova facilmente anche all’interno del
panorama musicale, specialmente
nell’universo Rock degli anni Sessanta e
Settanta, attraverso i gruppi che lo
compongono, i quali diventano dei veri e
propri rappresentanti della nuova
società giovanile che si stava
costruendo e dei pensieri a essa legati.
Nel 1967 Arlo Gauthrie pubblica la
canzone Alice’s Restaurant, che
con una forte dose ironica mette in
ridicolo le funzioni di selezione per il
servizio di leva. Il pezzo – molto più
lungo della media – racconta le vicende
del protagonista durante una sera nel
giorno del Ringraziamento. Il ragazzo,
con l’intento di fare un favore alla sua
amica Alice, prende il suo sacco della
spazzatura e si dirige verso la
discarica comunale ma, trovandola
chiusa, decide di gettare il sacco in un
fosso, pensando di non fare niente di
male. Viene così contattato dall’agente
Obie, il quale lo arresta. A causa di
questo precedente penale, il ragazzo non
riuscirà a passare i test per il
servizio di leva, venendo ritenuto non
idoneo.
Un altro esempio è il pezzo War Pigs,
del gruppo musicale Heavy Metal
Black Sabbath, uscito nel 1970,
questa è la prima parte del testo della
canzone:
Generali raccolti nelle loro masse
come le streghe alle messe nere
menti malvagie che organizzano la
distruzione
maghi nella costruzione della morte
nei campi i corpi bruciano
come la macchina da guerra continua a
girare
morte e odio al genere umano
avvelenando le loro menti persuase... oh
sì signore!
Politici che si nascondono
hanno solo iniziato la guerra
perché dovrebbero andare fuori a
combattere?
loro lasciano quel ruolo ai poveri.
Qui, oltre che a riportare una
situazione spaventosa e terrificante
legata al campo di battaglia, il gruppo
decide anche di avanzare critiche alla
sfera politica, ritenuta la causa
principale, non solo della guerra in
Vietnam, ma in generale di tutte le
guerre.
Nello stesso anno esce uno dei pezzi più
famosi dei Rolling Stones,
Gimme Shelter, nel quale viene
sempre ripetuta la frase “War,
children, it’s just a shot away “- La
guerra, bambini, è solo a uno sparo di
distanza -. Questo ne è un estratto:
Stupro, omicidio!
È solo a uno sparo di distanza.
È solo a uno sparo di distanza.
Le alluvioni minacciano
La mia stessa vita oggi
Dammi, dammi rifugio
O io svanirò.
Ma all’interno dei testi musicali è
possibile notare non soltanto
l’avversione per la guerra nel Vietnam,
ma un vero e proprio movimento per
l’emancipazione giovanile, attraverso il
quale i giovani esprimevano il loro
disappunto, la loro rabbia e il loro
desiderio di mettere la loro immagine, i
propri desideri e i propri pensieri in
primo piano rispetto a quello degli
adulti. Attraverso questa nuova cultura
che si stava delineando, gli elementi
che precedentemente formavano i pilastri
della vita quotidiana del mondo
occidentale, diventano i principali
avversari di questi giovani. Tutto ciò
su cui si basava la quotidianità della
vita delle generazioni precedenti
diventa il principale nemico su cui
scagliarsi.
Ciò che i ragazzi pensano, lo ascoltano
nello spazio rituale dei concerti,
poiché i musicisti rock sanno dar voce
con grande tempestività e con
altrettanto grande lucidità a queste
profonde linee di frattura.
Uno dei testi più famosi e più
rappresentativi per questa generazione è
appunto The times they are a changin’,
composto da Bob Dylan e pubblicato
nel 1964. Queste sono alcune strofe:
Venite madri e padri
Da ogni parte del Paese
E non criticate
Quello che non riuscite a capire
I vostri figli e le vostre figlie
Sfuggono dai vostri comandi
La vostra vecchia strada
Sta rapidamente diventando obsoleta
Per favore andate via dalla nuova
Se non potete dare una mano
Perché i tempi stanno cambiando.
Nella canzone di Dylan si percepisce
appunto l’entusiasmo per un nuovo
universo giovanile che sta nascendo e
che i giovani stanno costruendo tramite
le loro proteste e le loro prese di
coscienza, diffondendo il loro pensiero
e il loro dissenso e attraverso cui
cercano di costruire una nuova società
nella quale possono raggiungere
l’emancipazione, che risulta essere il
principale obiettivo che raggruppa e
lega tutte le proteste giovanili degli
anni sessanta.
Riferimenti bibliografici:
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