N. 82 - Ottobre 2014
(CXIII)
VIENNA 1815
LA REAZIONE DELLA CLASSE ARISTOCRATICA ALL’AVANZATA DELLA BORGHESIA
di Davide Galluzzi
Il 9
giugno
1815
si
concludeva,
a
Vienna,
il
noto
Congresso
che
avrebbe
dato
inizio
al
breve
periodo
noto
col
nome
di
“Restaurazione”.
Scopo
preciso
delle
nazioni
presenti
nella
capitale
asburgica
era
quello
di
riportare
indietro
le
lancette
dell’orologio
della
Storia,
restaurando
l’ordine
precedente
alla
cesura
rappresentata
dalla
Rivoluzione
francese
e
dalla
marea
napoleonica
che
investì
l’Europa
dal
1799
al
1814.
Il
processo
di
restaurazione
non
fu
totale,
non
fu
possibile
tornare
completamente
all’ordine
precedente
ai
fatti
dell’89.
Determinati
valori
e
determinate
situazioni
avevano
sedimentato
profondamente
nell’animo
delle
avanguardie
europee,
ma
di
questo
parleremo
più
avanti.
Proviamo
ora,
nel
breve
spazio
di
queste
poche
righe,
a
spiegare
perché
si
arrivò
al
Congresso
di
Vienna
ed
alla
Restaurazione.
Come
tutti
sanno
nel
1789
trionfò,
in
Francia,
la
Rivoluzione.
La
borghesia
in
ascesa
riuscì
a
rovesciare
la
monarchia
assoluta
e la
classe
aristocratica.
Nacque
così
la
prima
Repubblica
(o
embrione
di
Repubblica)
borghese,
pur
con
tutte
le
deviazioni
e
degenerazioni
insite
in
quello
che
possiamo,
a
ragione,
definire
un
primo,
grande
esperimento,
una
sorta
di
laboratorio
politico.
Passata
la
Rivoluzione
e il
Terrore
la
Repubblica
si
trasformò,
per
incapacità
del
proprio
ceto
dirigente,
in
Consolato
prima
ed
in
Impero
poi,
con
la
sfolgorante
avanzata
politica
e
militare
di
Napoleone
Bonaparte.
L’ordine
rivoluzionario,
seppur
degenerato
in
Impero,
avanzò
in
Europa
di
pari
passo
con
le
armate
francesi,
mettendo
in
ginocchio
le
monarchie
d’antico
regime.
La
Gran
Bretagna,
monarchia
costituzionale
evidentemente
allarmata
dall’egemonia
francese
sul
Continente,
si
alleò
con
quelle
che
dovevano
essere
sue
naturali
nemiche
(le
monarchie
assolute
ed
autocratiche
d’Europa)
per
sconfiggere
l’Impero
francese.
Crollato
l’apparato
creato
dal
Bonaparte
le
potenze
vincitrici
si
riunirono
quindi
a
congresso
per
decidere
le
sorti
della
Francia
e
dell’Europa.
Proviamo
ora
ad
analizzare
brevemente
l’evoluzione
dei
lavori
congressuali
e le
decisioni
prese
a
Vienna
quel
fatidico
9
giugno
dell’anno
1815.
Il
primo
aspetto
che
dobbiamo
analizzare
è
quello
rappresentato
dai
principali
attori
che
presero
parte
al
Congresso.
Credo
sia
pacifico
ritenere
entranti
in
questa
categoria
l’Impero
russo,
la
Gran
Bretagna,
l’Impero
austriaco
e la
Francia.
La
Prussia
ha
diritto
ad
entrare
nel
novero
delle
potenze
vincitrici,
ma
la
sua
posizione
all’interno
dell’assise
congressuale
non
fu
incisiva
come
quella
delle
potenze
appena
nominate.
Spiegherò
tra
poco
perché
ritengo
di
dover
inserire
nell’elenco
dei
principali
attori
pure
la
Francia,
potenza
sconfitta.
Analizziamo,
ora,
le
posizioni
delle
potenze
elencate.
La
Russia,
guidata
dallo
zar
Alessandro
I,
rappresentava
la
grande
vincitrice,
la
potenza
che
era
riuscita
a
fermare
la
marea
napoleonica
che
aveva
violato
i
suoi
confini.
È
naturale,
quindi,
che
essa
rappresentasse
il
principale
candidato
a
successore
di
potenza
egemone
sul
continente
europeo.
E,
di
sicuro,
lo
zar
Alessandro
I
non
avrebbe
avuto
dispiacere
ad
assumere
questo
ruolo
di
gendarme
d’Europa,
di
garante
del
nuovo
ordine
che
sarebbe
scaturito
dall’assemblea
delle
potenze
vincitrici.
Proprio
questo
spaventava
la
Gran
Bretagna,
rappresentata
dal
Ministro
degli
Esteri
di
Sua
Maestà,
Lord
Castlereagh.
L’Inghilterra,
ben
lontana
dallo
“splendido
isolamento”
in
cui
si
rinchiuderà
successivamente,
guardava
con
attenzione
agli
sviluppi
continentali.
Pur
non
avendo
territori
controllati
direttamente
in
Europa
la
Gran
Bretagna
temeva
di
ricevere
grande
danneggiamento
dalla
presenza
di
una
nazione
egemone
continentale.
Proprio
per
questo
la
sua
azione
all’interno
del
Congresso
fu
volta
principalmente
al
contenimento
della
grande
sconfitta,
la
Francia,
e
della
grande
vincitrice,
la
Russia.
Analizzeremo
successivamente
come
l’abilità
di
Lord
Castlereagh
riuscì
(anche
se
solo
parzialmente)
nell’intento.
Veniamo
ora
al
terzo
vincitore,
l’Impero
asburgico,
rappresentato
dal
principe
di
Metternich.
L’Austria
era,
al
pari
della
Gran
Bretagna,
preoccupata
dalla
probabile
egemonia
russa.
Essa
vedeva
infatti
la
Russia
come
una
minacciosa
presenza
che
premeva
ai
confini
e,
in
prospettiva,
sapeva
che
lo
zar
sarebbe
stato
un
potente
rivale
nella
corsa
alla
superiorità
nell’area
centroeuropea
e
balcanica.
Tuttavia
ciò
che
preoccupava
forse
maggiormente
Metternich
non
era
la
crescita
del
colosso
russo,
ma
un’idea
che
si
stava
facendo
lentamente
strada,
anche
all’interno
dell’assemblea
viennese:
l’idea
di
nazione.
E
possiamo
capire
perché
Metternich,
rappresentante
di
un
grande
Impero
multietnico
che
si
reggeva
su
quello
che
potremmo
definire
un
precario
equilibrio,
fosse
un
grande
avversario
di
questa
idea.
Un
ultimo
aspetto
che
preoccupava
gli
Asburgo
era
una
possibile
unificazione
tedesca
guidata
dalla
Prussia.
Veniamo
ora
al
quarto
attore:
la
Francia.
La
grande
sconfitta
era
rappresentato
dall’inossidabile
Talleyrand.
Principale
obiettivo
della
delegazione
francese
era
quello
di
stemperare
la
sconfitta,
di
non
perdere
lo
status
di
potenza
continentale.
Vedremo
successivamente
come
Talleyrand
provò
a
riuscire
nell’obiettivo,
vediamo
ora
quali
erano
i
principî
“ideologici”
che
guidavano
i
vincitori
di
Napoleone
Bonaparte.
L’intento
principale
del
Congresso
di
Vienna,
lo
abbiamo
ricordato
all’inizio,
era
quello
di
riportare
indietro
le
lancette
della
Storia,
di
cancellare
la
potente
avanzata
della
borghesia
e
l’esperienza
giacobina
e
napoleonica.
Vedremo
poi
se i
vincitori
riuscirono,
quello
che
importa
ora
sottolineare
è il
come
essi
tentarono
l’impresa.
Gli
atti
di
forza
compiuto
in
sede
congressuale
necessitavano,
per
forza
di
cose,
di
una
legittimità
superiore,
di
una
legittimità
politica
e,
quindi,
ideologica.
I
principî
che
si
scontrarono
a
Vienna
furono
sostanzialmente
due:
il
principio
di
legittimità
ed
il
secolare
principio
dell’equilibrio.
Il
principio
di
legittimità
era
sostenuto
principalmente
da
Talleyrand,
il
quale
voleva
ergersi
a
difensore
degli
Stati
minori
per
i
motivi
visti
nel
precedente
paragrafo.
Tale
principio
diceva
sostanzialmente
che
non
si
poteva
disporre
dei
troni
e
delle
nazioni
conquistate
senza
che
vi
fosse
manifesta
rinuncia
da
parte
dei
precedenti
regnanti.
In
sostanza
le
armi
non
creavano
diritto,
quindi
non
creavano
legittimità.
Il
principio
dell’equilibrio,
invece,
prevedeva
appunto
un
equilibrio
meccanico,
imposto,
tra
le
forse
degli
Stati
europei,
in
modo
che
nessuno
di
essi
poteva
ergersi
a
potenza
egemone.
Il
decisivo
intervento
di
Castlereagh
e di
Metternich
a
favore
di
quest’ultimo
principio
fece
in
modo
che
la
carta
d’Europa
venisse
ridisegnata
di
conseguenza.
Vediamo
come.
L’Impero
russo
vide
estendere
vertiginosamente
i
propri
confini
annettendo
la
Bessarabia,
la
Finlandia
e
una
ulteriore
parte
della
Polonia
(che
subì
una
ulteriore
ripartizione
cessando
definitivamente
di
esistere),
compresa
Varsavia.
La
Svezia
ottenne,
in
cambio
della
Finlandia,
la
Norvegia,
che
era
sotto
il
dominio
danese.
A
titolo
di
risarcimento
la
Danimarca
ottenne
lo
Schleswig-Holstein.
La
Gran
Bretagna,
dal
canto
suo,
si
vide
garantita
l’egemonia
marittima
ed
ottenne
diversi
vantaggi
territoriali
(precisamente:
le
ex
colonie
francesi,
spagnole
ed
olandesi
ottenute
nel
corso
delle
guerre
napoleoniche;
l’isola
di
Helgoland,
importantissima
per
una
posizione
preminente
nel
Mare
del
Nord;
l’isola
di
Malta,
importante
per
una
preminenza
nel
Mediterraneo).
Scrivevamo,
poco
sopra,
che
scopo
della
Gran
Bretagna
era
quello
di
contenere
la
Francia
sconfitta
e la
Russia
vittoriosa,
che
avrebbe
potuto
avere
velleità
egemoniche.
Proprio
con
la
riscrittura
della
carta
geopolitica
europea
l’Inghilterra
riuscì
(parzialmente)
nel
suo
intento.
Per
contenere
la
Francia
venne
imposto
un
ritorno
di
Parigi
alle
frontiere
del
1792
e,
inoltre,
vennero
rafforzati
gli
Stati
minori
con
essa
confinanti,
in
maniera
speciale
l’Olanda
che
ottenne
i
Paesi
Bassi
austriaci
(Belgio
e
Lussemburgo).
Per
contenere
l’Impero
russo,
invece,
la
Gran
Bretagna
si
dedicò
attivamente
ad
un
rafforzamento
degli
Stati
dell’Europa
centrale,
specialmente
della
Prussia
che
ottenne
metà
del
Regno
di
Sassonia
e
della
Pomerania
svedese,
parte
della
Vestfalia
e
parte
della
Renania.
Contemporaneamente
vi
fu
una
riduzione
della
miriade
di
staterelli
che
facevano
parte
dell’ormai
defunto
Sacro
Romano
Impero,
accorpati
in
unità
più
grandi
riunite
nella
Confederazione
germanica,
sotto
la
presidenza
dell’Asburgo
(credendo
così
di
aggirare
il
problema
di
una
possibile
unificazione
tedesca
sotto
gli
Hohenzollern).
E
l’Impero
austriaco?
Abbiamo
già
visto
che
dovette
cedere
(e
possiamo
supporre
ben
volentieri,
vista
la
turbolenza
della
regione)
i
Paesi
Bassi.
In
cambio
ottenne
le
ex
province
illiriche
create
da
Napoleone
Bonaparte,
assieme
al
Lombardo-Veneto
e
alla
egemonia
sulla
penisola
italiana,
ottenuta
mediante
sovrani
parenti
dell’imperatore
(o
comunque
ad
egli
vicini).
Come
già
sottolineato
all’inizio
di
questo
breve
articolo
con
la
Restaurazione
l’aristocrazia
voleva
respingere
la
borghesia,
fare
tornare
questa
classe
emergente
al
suo
posto,
sottomessa.
Insomma,
l’aristocrazia
voleva
ristabilire
la
propria
supremazia.
Tuttavia
essa
sapeva
bene
di
non
poter
frenare
a
lungo
la
marea
montante,
così
decise
di
correre
ai
ripari
organizzandosi
militarmente
per
prevenire
o,
in
caso
peggiore,
sopprimere
le
quasi
sicure
insurrezioni
della
borghesia,
desiderosa
di
vedersi
riconosciuto
il
suo
status
di
classe
dominante.
Per
iniziativa
di
Russia,
Prussia
ed
Austria
(cui,
successivamente,
aderirono
Francia
ed
altri
Stati
minori,
ma
non
la
Gran
Bretagna)
nacque
la
cosiddetta
Santa
Alleanza,
il
cui
scopo
era
quello
di
impegnare
i
monarchi
e le
nazioni
firmatarie
in
una
politica
estera
di
pace
(in
nome,
ovviamente,
della
religione).
Inoltre
gli
aderenti
avrebbero
dovuto
prestarsi
aiuto
in
ogni
caso
e
circostanza
(soprattutto,
aggiungiamo
noi,
in
caso
di
rottura
della
pace
sociale
interna
alle
nazioni).
Come
abbiamo
già
sottolineato
la
Gran
Bretagna
non
aderì
mai
alla
Santa
Alleanza,
probabilmente
per
la
presenza
della
Francia.
Il
progetto,
quindi,
non
riuscì
ad
avere
la
concretezza
auspicata
dai
tre
regnanti
europei,
primi
firmatari.
Tuttavia
il
20
novembre
1815,
su
iniziativa
questa
volta
inglese,
nacque
la
Quadruplice
Alleanza
che
riuniva
Gran
Bretagna,
Impero
asburgico,
Impero
russo
e
Prussia.
È
evidente
la
connotazione
antifrancese
di
questa
alleanza,
ma
quello
che
a
noi
preme
sottolineare
è
che
essa
sanciva
il
principio
di
intervento
negli
affari
interni
delle
nazioni
europee.
Infatti
scopo
della
Quadruplice
era
far
sì
che
le
potenze
vincitrici
si
consultassero
ed
intervenissero
militarmente
ogni
volta
che
l’Europa
fosse
minacciata
da
una
potenza
che
desiderava
diventare
egemone
oppure,
più
importante,
ogni
volta
che
il
continente
fosse
minacciato
da
esperienze
rivoluzionaria.
La
Quadruplice,
al
contrario
della
Santa
Alleanza,
ebbe
una
concretezza
notevole
e fu
ben
presto
operativa,
come
dimostrano
gli
interventi
contro
le
insurrezioni
borghesi
che,
di
lì a
pochi
anni,
avrebbero
infiammato
l’Europa.
L’aristocrazia
opponeva
la
repressione
militare
alle
rivendicazioni
della
classe
in
ascesa.
Terminate
tutte
queste
considerazioni
la
domanda
che
dobbiamo
porci
è
una
sola:
fu
vera
Restaurazione?
L’aristocrazia
riuscì
nel
suo
intento
di
riportare
indietro
le
lancette
della
Storia?
La
risposta,
ovviamente,
è
no.
Quello
che
la
classe
aristocratica
ottenne
fu
un
precario
equilibrio.
Certo,
la
monarchia
fu
restaurata
in
tutta
Europa,
i
sovrani
tornarono
sul
trono
e
persino
le
monarchie
costituzionali
subirono
un
irrigidimento
con
l’eliminazione
delle
Costituzioni
per
volontà
del
popolo
in
favore
delle
Costituzioni
octroyées
(cioè
concesse
dal
sovrano).
Tuttavia
questo
equilibrio,
vuoi
per
la
mancanza
di
una
vera
e
propria
potenza
egemone,
vuoi
perché
la
classe
aristocratica
era
ormai
in
declino
e,
in
media
prospettiva,
impotente
davanti
ad
una
classe
borghese
forte
ed
in
ascesa,
questo
equilibrio,
dicevamo,
sarebbe
stato
rotto
da
lì a
breve.
Le
esperienze
rivoluzionarie
del
’20-’21,
del
’30-’31
e
del
1848
erano,
ormai,
alle
porte.
Il
destino
dell’aristocrazia
era
segnato.