N. 132 - Dicembre 2018
(CLXIII)
AI CONFINI DEL MONDO
I
VICHINGHI
DI
GROENLANDIA
-
PARTE
IiI
di
Roberto
Conte
Le
ricerche
archeologiche
sembrano
confermare
l’abbandono
dell’Insediamento
Occidentale
per
la
metà
del
XIV
secolo,
senza
tracce
evidenti
di
una
sua
fine
violenta:
pare
invece
che
sia
stato
abbandonato
gradualmente
dalla
gran
massa
degli
abitanti,
e
che
gli
ultimi
irriducibili
abbiano
infine
dovuto
soccombere
alle
peggiorate
condizioni
ambientali.
La
perdita
di
Vesterbygd
rappresentò
senz’altro
un
colpo
mortale
per
il
commercio
di
avorio
di
tricheco
con
l’Europa,
perché
veniva
a
tagliare
i
collegamenti
con
i
Nordrseta,
e di
conseguenza
essa
apportò
un
ulteriore
aggravamento
delle
già
traballanti
condizioni
economiche
di
Osterbygd.
La
situazione
precaria
della
lontana
colonia
sembrò
preoccupare
seriamente
Magnus
II,
che
nel
1354
autorizzò
un
certo
Paul
Knudson
a
organizzare
una
spedizione
per
portare
aiuto
ai
cristiani
Groenlandesi.
In
realtà
questo
potrebbe
anche
essere
stato
un
astuto
espediente
da
parte
del
monarca
scandinavo
per
ricavare
denaro
per
un’opera
pia,
con
il
quale
coprire
il
debito
accumulato
nei
confronti
della
Chiesa
(effettivamente,
egli
fu
scomunicato
nel
1358
proprio
per
non
aver
restituito
il
prestito).
Null’altro
viene
ricordato
dalle
fonti
coeve
riguardo
questa
presunta
spedizione,
che
dunque
potrebbe
non
aver
avuto
mai
luogo.
L’unico
possibile
aggancio
a
essa
potrebbe
essere
la
cosiddetta
“pietra
di
Kensington”,
una
roccia
ritrovata
sotto
le
radici
di
un
albero
nel
1898
nei
pressi
del
villaggio
di
Kensington,
in
Minnesota,
con
alcuni
caratteri
runici
incisi
sopra.
L’iscrizione
narra
dell’arrivo
in
zona,
nel
1362,
di
otto
gotlandesi
e
ventidue
norvegesi,
che
stavano
esplorando
la
regione
a
ovest
del
Vinland.
Dato
che
nel
periodo
in
questione
Norvegia
e
Svezia
formavano
un
unico
regno,
la
menzione
dei
Gotlandesi
potrebbe
essere
una
prova
della
autenticità
del
reperto,
ma
anche
dell’accuratezza
di
un
eventuale
falsificatore,
e in
effetti
la
maggior
parte
degli
studiosi
lo
ritiene
un
falso,
ponendo
l’accento
su
diversi
problemi
grammaticali
inerenti
al
testo.
Anche
il
fatto
che
la
scoperta
sia
avvenuta
a
opera
di
un
immigrato
svedese
non
ha
mancato
di
suscitare
sospetti.
In
ogni
caso,
se
davvero
ci
fu
un
certo
interesse
per
le
sorti
della
Groenlandia
da
parte
del
sovrano
norvegese,
questi
non
fu
in
grado
di
apportare
alcun
miglioramento
alla
tragica
situazione
dei
coloni,
che
anzi
continuò
a
peggiorare.
Nel
1368
il
Groenlands
knörr,
il
traghetto
garantito
dal
re
che
collegava
la
Norvegia
con
Osterbygd,
trasportò
il
vescovo
Alf,
l’ultimo
a
occupare
effettivamente
la
sede
attribuitagli,
ma
l’anno
seguente
affondò
e
non
fu
più
sostituito.
Da
allora
i
collegamenti
con
il
resto
del
mondo
cristiano
sarebbero
avvenuti
solo
tramite
imbarcazioni
che
avevano
perso
la
rotta
e
forse
altre
con
intenzioni
decisamente
ostili.
Nel
1381
l’Olafssudin,
una
nave
islandese,
approdò
a
Herjolfsnes
dopo
essere
incappata
in
una
tempesta,
e lì
il
suo
equipaggio
fu
costretto
a
commerciare
con
gli
abitanti.
Quest’ultima
circostanza
indica
che
ormai
non
esisteva
più
un
commercio
regolare
con
i
porti
europei,
e
che
i
Groenlandesi
dovevano
essere
costretti
a
basarsi
su
un’economia
di
puro
sostentamento.
L’anno
successivo
un’altra
imbarcazione
islandese,
il
Thorlakssudin,
naufragò
sulle
coste
dell’Osterbygd
e
anche
in
questo
caso
i
marinai
tratti
in
salvo
furono
costretti
a
scambiare
mercanzie
con
i
locali.
Finalmente,
nel
1383
l’Olafssudin,
che
trasportava
anche
i
superstiti
del
Thorlakssudin,
riuscì
a
raggiungere
la
Norvegia
con
un
ricco
carico.
Gli
Islandesi
informarono
della
morte,
avvenuta
intorno
al
1378,
del
vescovo
Alf,
ma
il
suo
successore,
Eirik,
non
raggiunse
mai
Gardar,
che
rimase
per
sempre
priva
del
suo
pastore.
Forse
questi
navigatori
riferirono
anche
la
notizia,
poi
riportata
dagli
Annali
Gottskalks,
di
un
attacco
di
Inuit
avvenuto
verso
il
1379
e
che
aveva
condotto
all’uccisione
di
diciotto
uomini
e
alla
cattura
di
due
ragazzi
e di
una
schiava.
Non
è
chiaro
se
questo
scontro
abbia
avuto
luogo
a
Osterbygd
o
più
a
nord,
nel
corso
di
una
battuta
di
caccia:
in
ogni
caso
è in
questo
periodo
che
sembra
esser
stato
abbandonato
anche
il
cosiddetto
Insediamento
di
Mezzo.
Nel
1385
giunse
a
Herjolfsnes
un
altro
visitatore
islandese
involontario,
Bjorn
Einarsson,
in
seguito
detto
Jerusalemfarer
per
essersi
recato
in
pellegrinaggio
a
Gerusalemme.
Aveva
con
sé
quattro
navi
e
anch’egli
fu
costretto
a
commerciare
con
gli
abitanti.
Restò
in
Groenlandia
per
due
anni,
durante
i
quali
ebbe
modo
di
salvare
dal
mare
due
“troll”,
sicuramente
due
bambini
inuit,
che
divennero
suoi
inseparabili
servitori.
Quando
ripartì,
tuttavia,
non
volle
portarli
con
sé,
e i
piccoli
si
lasciarono
morire
tra
le
onde.
L’ultimo
arrivo
documentato
di
una
nave
europea
a
Osterbygd
avvenne
nel
1406,
quando,
persa
ancora
una
volta
la
rotta
a
causa
di
una
fitta
nebbia,
Thorstein
Olafsson,
nipote
di
Bjorn
e in
viaggio
dalla
Norvegia
verso
l’Islanda,
approdò
in
Groenlandia
e vi
rimase
per
ben
quattro
anni.
Nel
1407
un
locale
di
nome
Kollgrim
fu
condannato
al
rogo
con
l’accusa
di
aver
sedotto
con
la
magia
nera
Steinunn,
moglie
di
Thorgrim
Solvason,
entrambi
membri
dell’equipaggio
di
Thorstein.
Quest’ultimo,
dal
canto
suo,
l’anno
successivo
prese
in
sposa
una
certa
Sigrid
Bjornsdottir
nella
località
di
Hvalsey,
sempre
nell’Osterbygd.
Il
matrimonio
fu
officiato
il
18
settembre
dal
prete
sir
Paul
Halvardsson
e il
certificato
dello
stesso
fu
emanato
il
19
aprile
1409
dallo
stesso
e da
sir
Eindridi
Andresson,
vescovo
in
officialis.
Infine,
gli
Islandesi
riuscirono
a
ripartire
nel
1410,
e
dopo
di
allora
non
esistono
ulteriori
accenni
all’arrivo
di
altri
europei
nel
lontano
insediamento.
Essi
lasciarono
una
comunità
che
versava
senza
dubbio
in
gravi
difficoltà,
ma
che
manteneva
ancora
salde
le
proprie
strutture
sociali,
nel
pieno
rispetto
dei
costumi
e
della
fede
tradizionali.
Gli
scavi
archeologici
sembrano
dimostrare,
inoltre,
che
almeno
a
Herjolfsnes
la
gente
del
luogo
godesse
ancora
di
una
certa
prosperità,
tanto
da
potersi
permettere
indumenti
che
in
Europa
non
erano
alla
portata
delle
classi
popolari,
ma
solo
di
quelle
borghesi.
Tuttavia
quando,
alla
fine
del
XV
secolo,
le
grandi
spedizioni
esplorative
portoghesi
e
inglesi
tornarono
a
frequentare
le
acque
dello
Stretto
di
Davis,
dell’insediamento
non
fu
più
trovata
alcuna
traccia.
Sono
state
avanzate
varie
ipotesi
per
spiegare
questa
completa
scomparsa
dei
Norreni
dalla
Groenlandia,
ma
nessuna
di
esse
è
stata
suffragata
da
prove
decisive.
Si è
parlato
di
una
progressiva
degenerazione
fisica
e
mentale
causata
dal
quasi
completo
isolamento
e
dal
mancato
afflusso
di
nuovo
sangue,
ma
gli
scheletri
ritrovati
nel
corso
degli
scavi
archeologici
smentiscono
questa
tesi.
Si è
supposto
che
l’intera
comunità
venisse
spazzata
via
dalla
Peste
Nera,
ma
anche
questa
teoria
è
stata
rigettata
dalle
evidenze
archeologiche,
in
particolare
dall’assenza
di
sepolture
di
massa,
tipiche
dei
periodi
di
pestilenza.
Si è
pensato
che
i
coloni
cercassero
di
ritornare
in
massa
in
Islanda
e
perissero
tutti
nel
corso
della
traversata,
ma
questa
sembra
una
soluzione
troppo
semplicistica,
e
non
è
suffragata
da
alcuna
prova.
Ancor
meno
sensata
appare
la
teoria
che
essi
migrassero
verso
il
Canada,
dove
non
erano
riusciti
a
fondare
insediamenti
stabili
neanche
nel
loro
massimo
periodo
di
successo.
Resta
naturalmente
l’ipotesi
di
un
attacco
esterno
come
causa
della
loro
scomparsa,
e
ovviamente
gli
Inuit
sono
in
questo
caso
i
principali
sospettati.
In
effetti,
nel
1875
fu
raccolto
un
racconto
orale
inuit,
secondo
il
quale,
dopo
un
periodo
di
convivenza
pacifica,
era
scoppiata
una
contesa
tra
il
capo
dei
Norreni,
Ungortoq
(Yngvar?)
e
quello
degli
Amerindi,
K’aissape,
terminato
con
un
assalto
di
quest’ultimo
contro
Hvalsey,
che
venne
distrutta.
Ungortoq
sarebbe
riuscito
a
fuggire
con
la
sua
famiglia,
ma
venne
inseguito
e
raggiunto
presso
Capo
Farvel.
Tuttavia
gli
scavi
archeologici
non
hanno
rilevato
tracce
evidenti
di
una
fine
violenta
e
subitanea
dell’Insediamento,
e
tutta
la
storia
su
Ungortoq
si
innesta
in
un’altra
molto
più
antica,
riguardante
una
donna
di
nome
Navaranak,
e
che
nella
sua
versione
originale
vedeva
come
antagonisti
degli
Algonchini.
Anche
una
lettera
risalente
al
1448
e
attribuita
a
papa
Niccolò
V,
ma
dall’autenticità
incerta,
che
a
prima
vista
sembra
avvalorare
l’ipotesi
di
un
attacco
da
parte
degli
Inuit,
pone
invece
qualche
problema.
In
essa
il
pontefice
afferma
che
circa
trenta
anni
prima
“i
barbari
pagani
hanno
invaso
la
Groenlandia
e
hanno
preso
molti
schiavi”,
ma
che
ora
questi
ultimi,
riacquistata
la
libertà,
si
preparano
a
tornare
nelle
loro
sedi
e
chiedono
l’invio
di
un
prete.
Tuttavia
è
piuttosto
strano
che
avvenimenti
accaduti
nell’ambito
di
una
comunità
extraeuropea
e
periferica
come
quella
inuit
potessero
giungere
sino
alle
orecchie
del
papa;
chi
mai
avrebbe
potuto
riferirli,
se i
collegamenti
con
il
Vecchio
Continente
erano
ormai
praticamente
perduti?
In
realtà
sembra
che
i
contatti
con
il
mondo
cristiano
non
si
siano
del
tutto
interrotti,
dato
che
diversi
indumenti
e
merci
ritrovati
a
Herjolfsnes
sono
stati
fatti
risalire
alla
metà
del
XV
secolo.
Il
fatto
che
le
acque
groenlandesi
non
fossero
ignote
almeno
ai
marinai
britannici
sembra
essere
confermato
da
quanto
affermato
in
un
antico
(se
autentico)
manoscritto,
secondo
il
quale
verso
il
1484
a
Bergen
alcuni
pescatori
di
merluzzo
inglesi
dichiararono
di
navigare
regolarmente
sino
a
quei
mari
e di
ritornarvi
con
roba
preziosa;
poco
dopo,
però,
furono
tutti
uccisi
dai
mercanti
dell’Hansa,
loro
rivali
nei
traffici
nordatlantici.
Questa
presenza,
però,
si
sarebbe
rivelata
più
dannosa
che
vantaggiosa
per
la
morente
colonia:
le
navi
britanniche
che
percorrevano
l’Atlantico
settentrionale
nel
Quattrocento
non
si
limitavano
a
commerciare
o a
pescare,
ma,
approfittando
della
debolezza
del
governo
danese
(dal
1397,
con
il
trattato
di
Kalmar,
le
tre
nazioni
scandinave
si
erano
unite
sotto
l’egida
di
Copenaghen),
non
esitavano
a
compiere
vere
e
proprie
razzie,
soprattutto
ai
danni
dell’Islanda.
Nel
1425
alcuni
di
questi
pirati
giunsero
a
catturare
lo
stesso
governatore
dell’isola,
e
negli
anni
successivi
ci
sono
diverse
notizie
di
bambini
e
ragazzi
islandesi
venduti
come
schiavi
a
Lynn
e a
Bristol.
Forse,
allora,
l’espressione
“barbari
pagani”
presente
nella
presunta
missiva
di
Niccolò
V
non
è da
interpretare
alla
lettera,
forse
è
riferita
a
individui
privi
di
scrupoli,
ma
non
estranei
al
mondo
della
Cristianità.
Qualcuna
delle
navi
britanniche
potrebbe
essere
riuscita
a
raggiungere
Osterbygd
e
anche
lì
aver
ridotto
in
schiavitù
una
parte
degli
abitanti,
che
poi,
dopo
molti
anni,
sarebbero
riusciti
a
ottenere
la
libertà
e
avrebbero
cercato
di
rientrare
in
patria.
Una
conferma
ancor
più
circostanziata
di
questo
scenario
deriva
dalla
storia
che
Niels
Egedes,
navigatore
danese,
ascoltò
da
alcuni
Inuit
nel
1723,
dunque
precedente
e
per
questo
considerata
più
veritiera
di
quella
su
Ungortoq.
Dopo
aver
negato
che
i
loro
antenati
fossero
stati
responsabili
dell’eccidio
dei
coloni
scandinavi,
costoro
raccontarono
che
tre
navi
straniere
giunsero
da
sud-ovest,
saccheggiando
e
uccidendo.
I
Norreni
nell’occasione
riuscirono
a
respingere
gli
aggressori
ed a
catturare
una
loro
nave,
ma
l’anno
seguente
arrivò
una
flotta
intera
di
pirati,
che
devastò
duramente
l’insediamento
prima
di
ripartire
per
il
sud.
Quando,
dopo
un
altro
anno,
essa
fu
vista
ancora
in
avvicinamento,
gli
Inuit
fuggirono
e
presero
con
loro
alcuni
dei
bambini
e
delle
donne
groenlandesi.
In
autunno
ritornarono
sul
posto,
ma
trovarono
solo
edifici
bruciati
e
ogni
cosa
portata
via.
Anche
in
questo
caso
mancano
prove
archeologiche
di
una
cesura
tanto
traumatica
della
colonia,
e
resta
da
stabilire
se i
Groenlandesi
che
nel
1448
avrebbero
riconquistato
la
libertà
siano
poi
riusciti
a
rientrare
in
patria,
come
era
nelle
loro
intenzioni.
Di
sicuro,
nessuno
in
Europa
considerava
ancora
perduta
la
lontana
colonia.
Verso
il
1476
una
flotta
danese,
guidata
dai
tedeschi
Didrik
Pining
e
Hans
Pothorst,
già
impegnati
nel
combattere
la
piaga
delle
navi
pirata
inglesi,
esplorò
le
coste
della
Groenlandia
orientale,
anche
nel
tentativo
di
ristabilire
i
contatti
con
Osterbygd,
ma
non
è
certo
che
l’abbia
mai
raggiunto;
avvistò
invece
alcuni
Inuit
a
est
di
Capo
Farvel,
il
che
stava
a
significare
che
essi
erano
già
passati
oltre
l’insediamento
scandinavo.
Ancora
nel
1492,
a
pochi
mesi
dal
viaggio
di
Colombo
in
America,
papa
Alessandro
VI
affermava
in
una
lettera,
forse
indirizzata
al
monaco
benedettino
Matthias
Knudsson,
al
quale
voleva
offrire
la
sede
vescovile
di
Gardar,
che
i
Groenlandesi,
abbandonati
da
troppo
tempo
dalla
Chiesa,
erano
tornati
a
pratiche
pagane.
Quel
che
è
certo
è
che,
nel
corso
delle
loro
esplorazioni
dell’Artico
canadese
e
dello
Stretto
di
Davis,
né i
portoghesi
Pedro
Pinheiro
e
Joao
Fernandes
verso
il
1495,
né
l’italiano
al
servizio
dell’Inghilterra
Giovanni
Caboto
nel
1497
trovarono
traccia
di
Norreni
in
quell’area;
successivamente,
nel
1516
e
nel
1520,
i
Danesi
tentarono
di
organizzare
spedizioni
per
cercare
eventuali
sopravvissuti,
ma i
loro
tentativi
naufragarono
prima
ancora
di
iniziare.
In
conclusione,
si
può
ipotizzare
che
la
scomparsa
della
colonia
groenlandese
fu
dovuta
a
una
concomitanza
di
quasi
tutte
le
cause
proposte:
i
Norreni
non
ebbero
l’elasticità
mentale
di
adeguarsi
alle
mutate
condizioni
climatiche
e di
adottare
alcune
tecniche
di
caccia
degli
Inuit,
come
gli
arpioni
a
alamaro,
restando
legati
a
quelle
tradizionali
e
ormai
inefficaci
e
alla
coltivazione
di
una
terra
sempre
più
sterile.
I
collegamenti
con
l’Europa
si
fecero
più
difficoltosi
e,
quando
il
commercio
dell’avorio
di
tricheco
divenne
svantaggioso,
i re
di
Norvegia,
prima,
e di
Danimarca,
poi,
non
si
sentirono
incentivati
a
cercare
di
rafforzarli.
Di
fronte
alle
crescenti
difficoltà
alcuni
coloni
(probabilmente
molto
pochi)
possono
essersi
uniti
alle
comunità
inuit,
e
altri
possono
essersi
trasferiti,
finché
fu
loro
possibile,
in
Islanda,
ma
comunque
non
si
trattò
di
un
fenomeno
migratorio
tanto
notevole
da
meritare
una
qualche
menzione
negli
annali
o in
qualche
altra
fonte
dell’epoca.
In
verità,
l’arrivo
di
Groenlandesi
sull’isola
scandinava
sembra
essere
avvalorato
da
recenti
indagini
genetiche,
che
hanno
riscontrato
in
alcuni
islandesi
esaminati
la
presenza
dell’aplogruppo
mitocondriale
C1,
tipico
delle
popolazioni
amerinde:
forse
qualcuno
dei
migranti
groenlandesi
discendeva
per
parte
materna
dagli
Inuit,
o
portava
con
sé
una
schiava
o
una
compagna
appartenente
a
quel
popolo.
Così
indebolita,
la
comunità
norrena
rimase
più
vulnerabile
agli
attacchi
degli
Inuit
o
anche
dei
pirati
europei
che
infestavano
l’Atlantico
settentrionale,
e
alla
fine
anche
gli
ultimi
irriducibili
dovettero
cedere
all’inevitabile.
Il
possibile
ultimo
incontro
di
Europei
con
un
rappresentante
degli
antichi
insediamenti
avvenne
verso
il
1540,
in
circostanze
casuali
e
piuttosto
drammatiche:
una
nave
in
rotta
tra
Amburgo
e
l’Islanda
naufragò
sulle
coste
groenlandesi,
e lì
i
membri
dell’equipaggio
trovarono
il
corpo
di
un
uomo
vestito
di
una
cappa,
indumenti
di
lana
e
pelli
di
foca.
Uno
dei
naufraghi,
Jon
“Greenlander”
(così
soprannominato
proprio
in
virtù
di
questa
vicenda),
prese
come
ricordo
un
coltello
consunto
appartenuto
al
defunto.
Forse
si
trattava
dell’ultimo
norreno
di
Groenlandia,
morto
(non
si
sa
bene
quanto
tempo
prima
del
ritrovamento)
senza
che
nessuno
potesse
dargli
una
degna
sepoltura,
recando
con
sé
il
mistero
della
scomparsa
di
un’intera
comunità.