N. 131 - Novembre 2018
(CLXII)
AI CONFINI DEL MONDO
I
VICHINGHI
DI
GROENLANDIA
-
PARTE
II
di
Roberto
Conte
La prima menzione di un vescovo in loco (anche se la diocesi non era ancora stata istituita) si deve agli annali islandesi, che per l’anno 1121 (che dovrebbe essere in realtà il 1118), menzionano Eirik Gnupsson, che si sarebbe recato nel Vinland, forse nel tentativo di evangelizzare gli indigeni. Questa notizia dimostra tra l’altro che i contatti tra la Groenlandia e il continente nordamericano erano tutt’altro che cessati dopo l’abortito tentativo di colonizzazione.
Di
Eirik
non
si
sentì
più
parlare
e
nel
1123
Einar
Sokkason,
figlio
di
Sokki
Thorisson,
capo
della
comunità
groenlandese,
si
recò
in
Norvegia
presso
il
re
Sigurd
I,
al
quale
fece
dono
di
un
orso
polare
vivo,
per
richiedere
la
creazione
di
una
diocesi
e
l’invio
di
un
vescovo.
Venne
designato
un
certo
Arnaldur,
che
all’inizio
tentò
di
declinare
l’offerta,
definendo
i
Groenlandesi
“gente
difficile”,
ma
poi
raggiunse
la
sua
sede
al
termine
di
un
viaggio
piuttosto
periglioso
e
nonostante
un
naufragio,
nel
1125.
A
lui
fu
data
in
dotazione
la
fattoria
di
Gardar,
nell’Osterbygd,
una
di
quelle
più
ricche,
e
proprio
Gardar,
come
già
detto,
divenne
la
residenza
episcopale,
dove
venne
edificata
la
cattedrale
di
San
Nicola.
Per
diverso
tempo,
almeno
sino
all’inizio
del
XIII
secolo,
la
colonia
norrena
conobbe
un
periodo
piuttosto
felice,
ma a
un
certo
punto
sorsero
diversi
problemi
che,
nel
loro
insieme,
condussero
a
una
sua
crisi
irreversibile.
Intanto,
già
dalla
metà
del
XII
secolo,
i
Norreni
dovettero
rendersi
conto
di
non
essere
più
gli
abitatori
esclusivi
della
Groenlandia:
nei
territori
di
caccia
dei
Nordrseta
essi
iniziarono
a
avere
incontri
con
gruppi
di
“Skraeling”,
ma
stavolta
non
si
trattava
di
Algonchini,
bensì
di
Inuit
della
cultura
di
Thule,
che
dall’Alaska
avevano
percorso
tutto
l’Artico
canadese,
e
ora
tentavano
di
discendere
la
costa
groenlandese.
Un
indizio
di
questi
primi
contatti
potrebbe
trovarsi
nel
Nuzhat
al-Mushtak,
l’opera
di
geografia
scritta
dall’arabo
al-Idrisi
per
il
re
normanno
di
Sicilia
Ruggero
I
intorno
al
1150.
In
essa
l’autore
parla
degli
abitanti
delle
isole
interne
dell’Atlantico
settentrionale
che
usavano
le
ossa
dei
grandi
mammiferi
marini
per
costruire
case
e
utensili
vari,
come
era
costume
degli
Inuit.
In
questo
caso,
il
trasferimento
di
informazioni
sarebbe
stato
facilitato
dalla
comune
origine
scandinava
della
comunità
groenlandese
e
della
casa
regnante
siciliana.
Il
problema
della
concorrenza
nella
caccia
non
si
era
ancora
evidenziato
appieno,
che
un
progressivo
peggioramento
delle
condizioni
climatiche,
dopo
il
1200,
iniziò
a
rendere
più
problematici
i
contatti
con
l’Europa:
nel
1219
gli
annali
islandesi
registrarono
che
nessuna
nave
giunse
in
Islanda
(e
di
conseguenza
neanche
in
Groenlandia),
e il
vescovo
di
Gardar
consacrato
nel
1230,
Nicola,
non
raggiunse
il
suo
gregge
se
non
dieci
anni
dopo.
Il
suo
successore,
Olaf,
naufragò
per
ben
due
volte,
nel
1262,
nel
corso
di
un
viaggio
in
Norvegia
e
nel
1266,
mentre
tornava
a
Gardar.
La
difficoltà
dei
viaggi
verso
la
Groenlandia
è
confermata
da
una
lettera
scritta
nel
1279
da
papa
Niccolò
III,
dove
si
afferma
che
la
sede
di
Gardar
è
visitata
raramente
a
causa
del
“crudele
oceano”.
Come
se
tutto
questo
non
bastasse,
il
suolo
coltivabile,
troppo
pesantemente
sfruttato
da
uomini
e
animali,
iniziò
a
degradarsi,
rendendo
sempre
più
difficoltose
le
attività
agricole.
Anche
i
prodotti
della
caccia
cominciarono
a
risultare
meno
appetibili
per
i
mercati
europei,
che
trovavano
più
convenienti
e
facili
da
reperire
le
zanne
di
elefante
provenienti
dall’Africa
rispetto
a
quelle
di
tricheco
e di
narvalo,
e le
pellicce
della
Russia
invece
che
quelle
dei
Nordrseta.
Di
fronte
a
tutte
queste
difficoltà,
i
Groenlandesi
decisero
di
rivolgersi
per
aiuto
alla
lontana
madrepatria:
nel
1261,
tramite
tre
Norvegesi
rimasti
bloccati
presso
di
loro
per
tre
anni,
fecero
sapere
a re
Haakon
IV
di
accettare
di
pagare
multe
per
omicidi
avvenuti
negli
insediamenti
o
anche
nei
Nordrseta,
il
che
equivaleva
a
riconoscere
la
sua
autorità
su
di
essi.
Purtroppo,
quel
periodo
non
era
troppo
favorevole
neanche
per
la
Norvegia:
Haakon
fu
l’ultimo
re a
tentare
di
ristabilire
l’egemonia
del
suo
stato
sull’Atlantico
settentrionale,
e
morì
nel
1263,
proprio
nel
vano
tentativo
di
riaffermare
il
suo
dominio
sulle
Ebridi
e
sulle
coste
occidentali
scozzesi,
durante
la
scaramuccia
di
Largs.
In
seguito,
i
Norvegesi
persero
la
loro
supremazia
sui
mari,
e
tutti
i
loro
commerci
finirono
nelle
mani
dei
mercanti
tedeschi
dell’Hansa.
In
questa
situazione,
essi
poterono
occuparsi
molto
poco,
e
poco
efficacemente,
dei
problemi
dei
loro
lontani
consanguinei.
Non
si
deve
pensare,
però,
che
i
Groenlandesi
si
arrendessero
passivamente
al
loro
triste
destino.
Proprio
nel
corso
del
XIII
secolo
essi
ripresero
le
esplorazioni
dei
mari
occidentali,
evidentemente
alla
ricerca
di
nuove
terre.
Nel
1266-1267
una
loro
spedizione
si
spinse
a
nord
oltre
i
Nordrseta,
dove
erano
stati
avvistati
degli
Skraeling,
raggiungendo
probabilmente
la
baia
di
Melville,
e le
coste
della
terraferma
nordamericana
non
cessarono
dall’essere
visitate,
soprattutto
per
raccogliervi
il
legname
necessario
per
la
costruzione
di
imbarcazioni,
ormai
praticamente
assente
dalla
Groenlandia
e
che
giungeva
sempre
più
di
rado
dall’Europa:
ancora
nel
1347
diversi
annali
(Skalholtbok,
Gottskalk’s
e
Flateyjarbok)
riportarono
la
notizia
dell’arrivo
in
Islanda
di
una
nave
groenlandese
con
a
bordo
diciassette
o
diciotto
uomini,
che
aveva
perso
la
rotta
mentre
cercava
di
rientrare
in
patria
dopo
aver
raccolto
appunto
della
legna
nel
Markland.
Inoltre,
diversi
ritrovamenti
archeologici
compiuti
durante
gli
scavi
diretti
dalla
dottoressa
Patricia
Sutherland
sull’isola
di
Baffin
hanno
portato
quest’ultima
a
ipotizzare
la
presenza
di
uno
stabile
posto
di
scambio
commerciale
norreno
nell’area,
sopravvissuto
almeno
sino
al
XIV
secolo,
per
quanto
questa
teoria
sia
stata
contestata
da
altri
studiosi.
Tuttavia
le
spedizioni
artiche
non
portarono
a
nessun
risultato
positivo,
e la
pressione
degli
Inuit
sui
Nordrseta,
prima,
e
sugli
stessi
insediamenti,
poi,
iniziò
a
farsi
intollerabile.
Non
sembra
che
i
rapporti
tra
le
due
comunità
siano
sempre
stati
conflittuali:
nelle
loro
tradizioni
orali,
gli
Inuit
raccontavano
che
essi
tentarono
di
stabilirsi
nei
pressi
degli
insediamenti,
ma
che
questo
non
venne
loro
permesso:
comunque
essi
avrebbero
mantenuto
buone
relazioni
con
i
Norreni.
I
risultati
di
recenti
scavi
archeologici
nella
baia
di
Makkarneq,
poco
a
ovest
di
Herjolfsnes,
inoltre,
che
hanno
portato
alla
luce
abitazioni
inuit
e
norrene
risalenti
allo
stesso
periodo,
indurrebbero
a
ritenere
che
gli
Amerindi
fossero
in
qualche
modo
coinvolti
anche
nel
traffico
di
zanne
di
tricheco
con
l’Europa.
Sebbene
possano
esserci
stati
tentativi
di
convivenza
pacifica,
tuttavia,
pare
che
le
due
civiltà
non
siano
mai
riuscite
a
interagire
davvero
positivamente,
come
è
provato
dalla
mancanza
del
recepimento
di
elementi
dell’una
da
parte
dell’altra.
Si
potrebbe
ipotizzare
che,
fintanto
che
il
commercio
di
avorio
di
tricheco
con
l’Europa
si
rivelò
fruttuoso,
le
due
comunità
portarono
avanti
una
qualche
forma
di
collaborazione
conveniente
per
entrambe;
una
volta
però
che
i
contatti
con
il
Vecchio
Continente
si
fecero
più
radi,
sino
a
interrompersi
quasi
del
tutto,
come
purtroppo
avviene
in
tutti
i
periodi
di
crisi
presso
le
società
umane,
i
due
gruppi
etnici
iniziarono
a
considerarsi
reciprocamente
come
competitori
e
non
più
come
possibili
collaboratori,
aprendo
fatalmente
le
porte
allo
scontro
e,
con
il
peggiorare
del
clima,
il
vantaggio
andò
tutto
dalla
parte
degli
Inuit.
La
stessa
presenza
del
vescovato,
che
all’inizio
era
stata
vista
come
un
innalzamento
dello
status
della
colonia,
iniziò
a
rivelarsi
un
peso
difficile
da
sopportare
con
le
sopravvenute
difficoltà:
la
Chiesa
arrivò
a
possedere
i
due
terzi
dei
pascoli
dell’isola
e a
esigere
il
pagamento
di
decime
sempre
più
gravose
per
i
Norreni.
Probabilmente
proprio
il
mancato
arrivo
di
questi
tributi
e di
quelli
destinati
alla
corona
iniziò
a
interessare
finalmente
il
re
di
Norvegia
alla
situazione
della
Groenlandia:
nel
1341
il
prete
Ivar
Bardarsson,
nominato
difensore
civico
del
vescovo
di
Bergen,
fu
inviato
nella
lontana
isola
per
compiervi
una
nuova
registrazione
delle
chiese
e
reclamare
i
diritti
reali:
restò
sul
posto
quasi
venti
anni,
e
inviò
a re
Magnus
II
un
rapporto
davvero
allarmante.
Secondo
le
sue
parole,
Vesterbygd
era
ormai
stato
completamente
abbandonato
in
mano
agli
Skraeling,
che
però
lo
avevano
lasciato
deserto,
cosicché
gli
animali
domestici
si
erano
tutti
inselvatichiti.
Forse
nel
fraintendere
proprio
questa
relazione
il
vescovo
Gisli
Oddsson
ebbe
a
affermare
nel
suo
Skalholtbok,
cronaca
settecentesca,
per
l’anno
1342
che
“i
Groenlandesi
abbandonarono
volontariamente
la
vera
fede…
e
passarono
ai
popoli
d’America”.