N. 21 -
Settembre 2009
(LII)
I VESPRI SARDI
STORIA Di UN'INSURREZIONE
di Cristiano Zepponi
La
rivolta
popolare
passata
alla
storia
col
nome
di
“Vespri
Sardi”
costituisce
una
reminescenza
della
Storia
affiorata
solo
negli
tempi,
dopo
decenni
di
oblio;
eppure
ne
costituisce
una
delle
pagine
più
affascinanti
e
singolari,
d’un
unicità
suadente
e
romantica,
come
spesso
se
ne
incontrano
aggirandosi
nel
caleidoscopio
della
Storia
locale.
Tutto iniziò nel 1793, quando la popolazione sarda, sottoposta
al
dominio
piemontese,
si
oppose
all’invasione
delle
forze
francesi
sbarcate
a
Carloforte,
e
riuscì
ad
arrestarne
la
pressione
in
direzione
di
Cagliari.
Una manifestazione di fedeltà di questo genere avrebbe meritato
immediato
riconoscimento:
almeno,
si
sosteneva
da
più
parti
in
Sardegna,
la
convocazione
delle
corti
generali,
la
conferma
del
corpus
legislativo,
la
concessione
agli
isolani
d’una
parte
degli
impieghi
civili
e
militari,
oltre
ad
una
maggiore
autonomia
rispetto
alle
decisioni
della
classe
dirigente
occupante
e ad
un
ministero
distinto,
a
Torino,
per
gli
affari
dell’isola.
Invece il governo piemontese la liquidò in fretta, snobbando
le
aspirazioni
dei
sardi
e
porgendogli
le
briciole:
24
doti
da
60
scudi
da
distribuire
tra
le
zitelle
povere,
4
posti
gratuiti
per
i
Collegio
dei
Nobili
di
Cagliari,
2
posti
nel
Collegio
dei
Nobili
di
Torino,
1000
scudi
l’anno
per
l’Ospedale
civile
di
Cagliari,
l’amnistia
per
tutti
i
crimini
commessi
prima
della
guerra.
Gli animi, precocemente censurato l’entusiasmo della vittoria,
volsero
allora
le
precedenti
ebollizioni
contro
l’ingratitudine
dei
piemontesi
e
dei
loro
soddisfatti
compatrioti
di
stanza
in
Sardegna,
che
avevano
beneficiato
d’ogni
sorta
di
favoritismo.
Il
rancore
popolare
si
concentrò
in
particolare
intorno
alla
figura
del
Viceré
Vincenzo
Balbiano,
reo
d’aver
consigliato
al
re
Vittorio
Amedeo
III
di
rifiutare
le
richieste
dei
sardi,
oltre
ad
aver
tentato
di
corrompere
i
membri
della
delegazione
sarda
inviata
per
presentargliele.
La scintilla scoppiò a Cagliari nella notte tra il 28 ed il
29
aprile,
quando
un
drappello
di
miliziani
piemontesi,
giunti
a
Stempace
da
Castello,
tentò
di
arrestare
l'avvocato
Vincenzo
Cabras,
con
l'accusa
di
sedizione
contro
lo
stato,
bloccando
anche
Bernardo
Pintor,
scambiato
per
il
fratello
Efisio:
a
loro
si
era
rivolto
nei
mesi
precedenti
Girolamo
Pitzolo,
avvocato
e
patriota
sardo,
protagonista
della
difesa
di
Cagliari
dell’anno
precedente
e
poi
membro
della
sopracitata
delegazione
a
Torino,
per
incitare
una
rivolta
contro
gli
occupanti.
Alla notizia del fatto si coagulò d’un colpo una forza popolare
consistente,
richiamata
anche
dalle
campane
che
suonavano
a
distesa,
che
in
breve
cominciò
a
fluire
verso
Castello
e
quivi
disarmò
le
guardie
poste
a
difesa
della
porta
di
Sant’Agostino;
poco
dopo,
altri
rivoltosi
assaltarono
le
porte
della
Torre
dell'Elefante
e
della
Torre
del
Leone,
intenzionati
ad
arrestare
il
Viceré.
Lo
scovarono
infine
nel
palazzo
arcivescovile,
dove
si
era
rifugiato
insieme
alle
massime
autorità
piemontesi.
Il 7 maggio, lo stesso Balbiano – insieme a 514 soldati e
funzionari
piemontesi
–
furono
imbarcati
sulle
navi,
e
rispediti
in
Piemonte;
nei
giorni
seguenti,
le
città
di
Alghero
e
Sassari
seguirono
l’esempio
dell’odierno
capoluogo.
Molti anni dopo, Antonio Gramsci avrebbe ancora citato lo
slogan
“a
mare
i
continentali!”,
seppur
riferito
alle
esplosioni
congiunturali
di
furore
anti-istituzionale
che
continuavano
a
caratterizzare
la
storia
d’un
popolo
con
ambizioni
di
“Nazione
etnica”;
in
quel
confuso
1794,
invece,
le
moderate
aspirazioni
delle
varie
componenti
della
popolazione
sarda
si
ritrovarono
per
le
mani
la
possibilità
d’elaborare
la
forma
istituzionale
d’un
nuovo
stato
sardo;
e da
questo
sforzo,
cui
erano
impreparate,
quelle
stesse
aspirazioni
risultarono
ancora
una
volta
frustrate,
acuendo
le
difficoltà
d’una
“colonia”
indesiderata,
merce
di
scambio
tra
spagnoli
e
francesi
prima,
e
“ostaggio”
dei
Savoia
poi.
I nobili, in gran maggioranza, avversarono infatti la struttura
repubblicana
proposta
da
Giovanni
Maria
Angioj,
e la
stasi
che
ne
conseguì
si
risolse
solo
negli
anni
seguenti:
a
poco
a
poco
si
ricompose
quindi
la
frattura
con
la
corte
piemontese.
Presto sarebbe approdato un nuovo Viceré.
Con la legge regionale n. 44 del 14/9/1993, ad ogni modo,
il
28
aprile
–
“Sa
Die
de
sa
Sardigna”
– è
stata
dichiarata
la
giornata
del
popolo
sardo;
in
occasione
della
ricorrenza,
la
Regione
Autonoma
della
Sardegna
organizza
manifestazioni
ed
iniziative
culturali,
ed a
tal
fine
la
Giunta
regionale
approva
annualmente,
sentita
la
competente
Commissione
consiliare,
uno
specifico
programma
mirante
a
sviluppare
la
conoscenza
della
storia
e
dei
valori
dell'autonomia,
in
particolare
tra
le
nuove
generazioni