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N. 22 - Ottobre 2009
(LIII)
dalla Grande Alleanza alla Guerra Fredda
parte iI - Verso la distensione
di Claudio Li Gotti
Il
1°
marzo
del
1954,
la
quiete
di
un
piccolo
atollo
delle
isole
Marshall,
in
pieno
Oceano
Pacifico,
fu
spezzata
da
una
devastante
esplosione
che
disintegrò
gran
parte
della
terraferma.
L’effetto
del
cosiddetto
test
“BRAVO”,
ossia
lo
scoppio
del
più
potente
ordigno
nucleare
mai
liberato
sulla
terra,
la
bomba
a
idrogeno,
risultò
addirittura
750
volte
superiore
alla
potenza
della
bomba
atomica
sganciata
dagli
stessi
americani
a
Hiroshima
il 6
agosto
di
nove
anni
prima.
In
quel
tempo,
gli
scienziati
americani
non
potevano
mai
immaginare
che
gli
unici
due
impieghi
militari
di
ordigni
nucleari
(Hiroshima
e
Nagasaki)
sarebbero
poi
risultati
anche
gli
ultimi
della
storia
fino
ai
giorni
nostri.
Harry
S.
Truman,
che
sarebbe
dunque
rimasto
a
oggi
l’unico
uomo
al
mondo
che
abbia
mai
ordinato
l’impiego
di
armi
nucleari
in
guerra,
aveva
concluso
il
suo
mandato
presidenziale
nel
gennaio
del
1953.
Il
suo
successore
alla
Casa
Bianca,
Dwight
D.
Eisenhower,
ereditò
una
condizione
di
inferiorità
numerica
rispetto
all’URSS
nella
dislocazione
delle
forze
militari
in
Europa
e
nel
settore
degli
armamenti
convenzionali,
alla
quale
faceva
però
da
correttivo
l’ampia
superiorità
nucleare;
su
di
essa,
gli
strateghi
americani
fondarono
la
cosiddetta
“dottrina
della
rappresaglia
massiccia”.
Difatti,
nonostante
i
sovietici
avessero
già
costruito
nel
1949
la
loro
prima
bomba
atomica,
essi
non
disponevano
ancora
di
adeguati
mezzi
per
poter
dirigere
le
armi
nucleari
sul
territorio
americano,
cosa
che
al
contrario
erano
perfettamente
in
grado
di
fare
i
bombardieri
americani
sugli
obiettivi
sovietici.
La
strategia
della
rappresaglia
massiccia
si
basava
proprio
sulla
maggiore
capacità
nucleare
degli
USA
e
doveva
bloccare
ogni
tentativo
di
aggressione
nei
confronti
degli
Stati
dell’Europa
occidentale
attraverso
la
minaccia
di
rappresaglie
nucleari
sul
territorio
sovietico.
La
stessa
NATO
avrebbe
adottato
ufficialmente
questa
teoria
nel
1956.
Di
lì a
breve,
però,
quando
nell’autunno
del
1957
l’URSS
utilizzò
un
missile
per
mettere
in
orbita
il
primo
satellite
artificiale
(lo
Sputnik),
divenne
chiaro
che
i
sovietici
ormai
disponessero
di
bombardieri
a
lungo
raggio
in
grado
di
raggiungere
le
città
americane
con
testate
nucleari.
Il
nuovo
leader
del
Cremlino,
Nikita
Krusciov,
avrebbe
più
volte
minacciato
il
loro
utilizzo
contro
l’Occidente,
arrivando
addirittura
ad
affermare
che
le
capacità
missilistiche
sovietiche
erano
ormai
nettamente
superiori
a
quelle
americane
(presunta
superiorità
che
poi
si
rivelò
un
bluff,
smascherato
nei
primi
anni
Sessanta
durante
la
presidenza
di
John
F.
Kennedy).
A
ogni
modo,
la
teoria
che
si
basava
soltanto
sulla
preponderanza
nucleare
americana
non
poteva
più
reggere
in
piedi
e fu
così
abbandonata,
dando
inizio
a
una
nuova
fase
della
guerra
fredda
caratterizzata
da
una
continua
e
massiccia
corsa
al
riarmo
da
parte
delle
due
superpotenze.
La
parità
nel
campo
della
“minaccia
atomica”
poneva
la
rivalità
sovietico-americana
in
una
condizione
del
tutto
nuova
nella
storia
delle
relazioni
internazionali,
quella
del
cosiddetto
“equilibrio
del
terrore”,
che
si
basava
sulla
strategia
della
“Mutual
Assured
Destruction”
(Distruzione
Reciproca
Garantita);
il
presupposto
della
strategia
era
la
consapevolezza
che
una
guerra
diretta
tra
le
due
superpotenze
avrebbe
causato
la
distruzione
di
entrambe
e
del
mondo
intero.
Questo
equilibrio
del
terrore
rappresentò,
dunque,
una
sorta
di
deterrenza
reciproca
che
avrebbe
dissuaso
i
due
rivali
dall’impiego
delle
loro
terribili
armi
di
distruzione
di
massa,
una
guerra
diretta
tra
le
due
superpotenze
non
ci
sarebbe
mai
stata
perché
sarebbe
risultata
talmente
distruttiva
da
essere
anche
inutile.
E fu
così
che
andò.
Senza
mai
sfociare
in
uno
scontro
effettivo
combattuto
con
le
armi,
il
conflitto
si
risolse
in
uno
stato
di
continua
tensione
diplomatica
tra
gli
stati
che
costituivano
i
blocchi
formatisi
attorno
a
USA
e
URSS,
nonché
in
una
serie
di
guerre
locali
combattute
soprattutto
nel
Terzo
Mondo
(basti
pensare
alle
guerre
in
Corea
e in
Vietnam
o
all’invasione
sovietica
dell’Afghanistan).
L’Europa
intera
conobbe
il
suo
più
lungo
periodo
di
pace
della
storia
contemporanea,
che
fu
paradossalmente
garantito
dal
potere
deterrente
(e
distruttivo)
delle
nuove
armi
e
quando
il
continente
era
rigidamente
diviso
in
due
blocchi
contrapposti.
Quella
dell’esclusione
dello
scontro
militare
diretto
tra
le
due
superpotenze
fu
una
vera
e
propria
regola
del
“gioco”
bipolare
stabilita
nel
corso
della
guerra
fredda.
In
base
a
tale
regola,
una
delle
due
potenze
doveva
evitare
di
intervenire
in
quei
territori
dove
già
si
trovavano
impiegate
le
forze
militari
della
potenza
rivale;
così
accadde
per
esempio
nel
1964,
quando
l’allora
presidente
americano
Lyndon
B.
Johnson
avviò
le
operazioni
militari
in
Vietnam,
che
si
sarebbero
poi
risolte
in
una
lunga
e
disastrosa
guerra
nella
quale
i
sovietici
si
astennero
dall’intervento
diretto.
Una
sola
volta
il
mondo
fu a
un
passo
dal
precipitare
in
una
terza
guerra
mondiale,
che
ne
avrebbe
provocato
il
suo
completo
annientamento.
Accadde
nel
1962,
l’anno
della
nota
crisi
dei
missili
di
Cuba:
approfittando
dell’appoggio
del
leader
comunista
Fidel
Castro,
i
sovietici
avevano
installato
nell’isola
dei
missili
a
gittata
intermedia
capaci
di
bombardare
il
territorio
degli
Stati
Uniti,
circostanza
che
spinse
il
presidente
americano
Kennedy
ad
imporre
un
blocco
navale
intorno
a
Cuba
per
una
probabile
invasione
dell’isola.
L’invasione
non
ci
fu
ma,
dal
momento
che
avrebbe
potuto
scatenare
una
guerra
nucleare,
il
leader
sovietico
Krusciov
accettò
di
rimuovere
i
missili
in
cambio
dell’impegno
americano
a
non
invadere
Cuba
e a
smantellare
a
sua
volta
i
propri
missili
a
gittata
intermedia
in
Turchia.
La
crisi
di
Cuba
rese
ancor
più
evidente
agli
occhi
dell’opinione
pubblica
mondiale
che
nessuno
dei
due
avversari
avrebbe
mai
usato
le
nuove
armi
di
distruzione.
Il
riconoscimento
della
parità
strategica
nucleare
rappresentò
un’altra
regola
del
gioco
tra
le
due
potenze
rivali,
in
base
alla
quale
esse
si
trovarono
costrette
a
negoziare
norme
di
controllo
volte
a
stabilizzare
questo
precario
equilibrio
del
terrore.
Con
il
Trattato
di
Mosca
del
1968
sulla
non
proliferazione
dell’energia
nucleare
per
scopi
bellici,
USA
e
uRSS
trasformarono
questa
regola
in
una
norma
giuridica
dell’ordinamento
internazionale.
Il
Trattato
di
Mosca,
inoltre,
inaugurava
quell’importante
fase
storica
che
vide
una
maggiore
collaborazione
tra
Stati
Uniti
e
unione
Sovietica
per
allentare
e
regolamentare
le
tensioni
della
guerra
fredda
e
che
fu
comunemente
chiamata
Distensione.
Il
processo
di
dialogo
e
negoziato
tra
i
due
blocchi
fu
molto
più
incisivo
a
partire
dai
primi
anni
Settanta,
grazie
anche
all’abilità
geopolitica
del
nuovo
presidente
americano
Richard
M.
Nixon
e
del
suo
consigliere
per
la
sicurezza
(poi
segretario
di
Stato),
Henry
Kissinger.
L’apertura
dei
rapporti
nel
1971
con
l’altro
grande
paese
comunista,
la
Cina
di
Mao
Zedong,
rappresentava
un
primo
importante
passo
verso
la
coesistenza
pacifica
tra
Occidente
e
oriente;
ma
il
vero
punto
cruciale
della
distensione,
vale
a
dire
lo
sforzo
di
USA
e
uRSS
nel
limitare
la
corsa
agli
armamenti
nucleari,
sarebbe
arrivato
di
lì a
poco.
La
visita
di
Nixon
al
leader
sovietico
Leonid
Breznev,
a
Mosca
nel
maggio
del
1972,
era
la
prima
che
un
presidente
americano
avesse
mai
compiuto
nella
capitale
sovietica
e
sancì
la
conclusione
dei
Negoziati
SALT
(Strategic
Arms
Limitation
Talks,
ovvero
Negoziati
per
la
limitazione
di
armi
strategiche);
gli
accordi
di
Mosca
- in
seguito
chiamati
SALT
I,
per
distinguerli
dai
successivi
accordi
SALT
II
firmati
nel
1979
- in
realtà
non
accennavano
alla
riduzione
dei
missili
e
delle
testate
già
in
possesso
ma
soltanto
al
loro
“congelamento”
e
alla
regolamentazione
delle
forze.
Ma,
nondimeno,
si
trattava
di
una
presa
di
posizione
storica
da
parte
dei
due
leader.
La
Ostpolitik
di
Willy
Brandt,
Cancelliere
della
Repubblica
Federale
Tedesca,
e
gli
accordi
di
Helsinki
del
1975
furono
altri
due
importanti
processi
che
consolidarono
la
fase
di
distensione
e
stabilirono
principi
di
libertà
di
circolazione
e di
presa
di
coscienza
sul
continente
europeo.
Nel
primo
caso,
si
trattò
di
una
politica
di
apertura
e di
normalizzazione
dei
rapporti
tra
le
due
Germanie
e
tra
i
tedeschi
occidentali
e
gli
altri
paesi
del
blocco
orientale;
nel
secondo
caso,
gli
accordi
firmati
a
Helsinki
comportavano
il
definitivo
riconoscimento
da
parte
degli
USA
e
dei
loro
alleati
della
spartizione
postbellica
dell’Europa
e,
quindi,
dell’influenza
dell’URSS
sul
blocco
orientale,
in
cambio
della
promessa
sovietica
di
un
maggior
rispetto
dei
diritti
umani
e
delle
libertà
fondamentali.
Nel
1979
l’invasione
dell’Afghanistan
da
parte
dell’Unione
Sovietica
ruppe
temporaneamente
la
situazione
di
stabilità
che
si
era
creata
nel
corso
del
decennio;
il
presidente
americano
Jimmy
Carter
ritirò
il
trattato
SALT
II
dal
Senato,
decretò
l’embargo
delle
forniture
di
grano
e di
tecnologia
e
dispose
il
boicottaggio
americano
delle
Olimpiadi
di
Mosca
dell’anno
successivo.
Partì
una
nuova
corsa
agli
armamenti
e
tutto
lasciava
presagire
che
la
situazione
internazionale
stesse
precipitando
verso
una
nuova
minaccia
di
guerra.
E
invece,
intorno
alla
metà
degli
anni
Ottanta,
si
aprì
una
nuova
e
decisiva
stagione
di
distensione.
Fu
il
giovane
leader
Michail
Gorbaciov,
fautore
di
una
politica
di
rinnovamento
e
trasparenza
in
Unione
Sovietica
(Perestrojka
e
Glasnost),
a
riprendere
il
dialogo
distensivo
con
gli
USA,
lanciando
ripetute
richieste
di
alleggerimento
delle
risorse
militari
che
vennero
accolte
dall’allora
presidente
americano
Ronald
Reagan.
Grazie
a
questi
due
leader,
fu
avviata
la
più
grande
fase
di
collaborazione
mai
avvenuta
tra
le
due
superpotenze;
Reagan
e
Gorbaciov
si
incontrarono
in
ben
quattro
vertici,
il
primo
a
Ginevra
nel
novembre
1985,
l’ultimo
a
Mosca
nel
maggio
1988.
In
mezzo,
i
vertici
di
Reykjavik
e
Washington
(1986-87),
i
cui
negoziati
portarono
alla
firma
di
un
Trattato
che,
per
la
prima
volta,
non
prevedeva
solo
la
riduzione
degli
armamenti
ma
bensì
lo
smantellamento
di
tutti
i
missili
nucleari
a
gittata
intermedia
presenti
in
Europa
(i
cd.
Euromissili).
La
svolta
nel
processo
di
disarmo
nucleare
era
arrivata.
Di
lì a
pochi
anni,
una
catena
di
eventi
avrebbe
portato
alla
fine
della
guerra
fredda.
Riferimenti
bibliografici:
Attinà
F.,
Il
sistema
politico
globale,
Laterza
1999
AA.
VV.,
Guerra
fredda
in
Storia
del
mondo
contemporaneo,
vol.
V,
Mondatori
1972
Bellabarba
M. –
Cerbone
A.,
“Il
trattato
ABM.
Il
rapporto
tra
le
due
superpotenze
dall’equilibrio
del
terrore
allo
scudo
spaziale
di
Bush”,
Pubblicazioni
del
Centro
italiano
Studi
per
la
pace,
settembre
2002
Cufaro
Petroni
N.,
Dopo
la
guerra
impossibile,
in
Sapere,
n.
5/1995
Di
Nolfo,
E.
Storia
delle
relazioni
internazionali,
Laterza
2000
Lewis
Gaddis
J,
La
guerra
fredda.
Cinquant’anni
di
paura
e di
speranza,
Mondadori
2007
Romero
F.,
Guerra
fredda
e
decolonizzazione
in
Storia
Contemporanea,
Donzelli
1997
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GBe
edita e pubblica:
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