LA VERONA OTTOCENTESCA
PERNO DEL SISTEMA DIFENSIVO
IMPERIALE AUSTRIACO
di Raffaele Pisani
La sua posizione geografica, nel
punto in cui la Valle dell’Adige si
apre nella pianura padano-veneta
all’incrocio di importanti vie di
comunicazione tra nord e sud come
tra est e ovest, ha sempre conferito
alla città una notevole rilevanza
strategica. Se ne erano già accorti
i Romani, che ancora in età
repubblicana nel loro moto di
espansione verso il Settentrione ne
avevano fatto un avamposto
fortificato con un sistema di mura
difensive. Poi nei secoli della
stabilità imperiale queste si
riveleranno superflue, saranno le
incursioni barbariche che renderanno
necessario il ripristino del
perimetro difensivo,nel 265 d.C.,
con nuove e più ampie mura che
portano il nome dell’imperatore
Gallieno. Nell’Alto Medioevo il
sovrano ostrogoto Teodorico fece di
Verona una seconda capitale e si
distinse per le sue iniziative
edilizie sia in campo militare sia
in quello civile.
Dalla seconda metà del Duecento
grande rilevanza assunse la signoria
scaligera nell’unificazione della
cittadinanza. Se nel momento della
crisi dell’istituzione comunale
Verona era punteggiata di
torri-fortezze di potenti famiglie
in perenne reciproco contrasto, la
costruzione di imponenti cinta
murarie, con torrioni e superbi
castelli, a opera dei signori
scaligeri risulterà determinante
nell’opera di unificazione del
tessuto urbano, oltre che di
presidio del territorio circostante.
Quando si parla dei signori della
Scala nessuno mette in dubbio la
priorità di Cangrande, ed è
principalmente a lui che si deve
questa importante realizzazione. In
una lapide, proveniente dalla Porta
del Calzaro, che si trova ora nel
Museo di Castelvecchio, si dice che
nel gennaio del 1325 il
magnificus dominus Canisgrandis de
la Scala ha portato a termine le
nuove mura di Verona.
Dal 1405 fino alla fine del
Settecento, salvo il breve periodo
(1509-1516) di occupazione da parte
degli imperiali, Verona fece parte
dei territori veneziani di
terraferma; è di quest’epoca la
costruzione di robusti terrapieni
murati con baluardi poligonali che
si protendono verso l’esterno, di
torri massicce con aperture per le
artiglierie e di nuove e funzionali
porte per l’accesso alla città.
L’architetto veronese Michele
Sanmicheli è stato il principale
artefice di tali opere, nelle quali
l’aspetto militare si coniuga
felicemente con quello estetico e
urbanistico.
Il periodo napoleonico che interessò
Verona, dal 1796 al 1814, vide
grandi sconvolgimenti e, per quel
che riguarda il sistema murario
difensivo, grandi demolizioni. Anche
se le tecniche militari erano
cambiate, l’imponente sistema di
terrapieni e bastioni era ancora
considerato dai Francesi, memori
delle Pasque Veronesi, come una
limitazione al controllo della città
nel caso di una rivolta; furono
perciò aperte delle significative
brecce per renderla opportunamente
permeabile. Inoltre dal 1805 Verona
venne a trovarsi al centro del Regno
d’Italia, satellite della Francia, e
non c’erano oggettivi pericoli di
invasioni dall’esterno.
L’epilogo napoleonico portò a
ridisegnare la geografia politica
europea. Le disposizioni del
Congresso di Vienna videro
l’unificazione della Lombardia, già
austriaca nel Settecento, con i
territori veneto-friulani dell’ex
Repubblica di Venezia. In tale
situazione Verona nel nuovo Regno
Lombardo-Veneto assunse una
rilevante importanza militare,
peraltro destinata ad aumentare nei
decenni successivi.
Le decisioni venivano prese a
Vienna, a livello locale si poteva
intervenire con proposte di raggio
molto limitato. In ogni caso gli
studiosi italiani sono abbastanza
d’accordo nel ritenere che
l’intervento austriaco, certamente
rilevante, sulla cinta muraria e
sull’edificazione di importanti
strutture militari, sia stato
eseguito valorizzando con cura
l’esistente e con un occhio di
riguardo nell’accostare il nuovo con
il vecchio.
Nei primi anni della Restaurazione
il dominio austriaco nel
Lombardo-Veneto era ben saldo e la
stessa popolazione era abbastanza
soddisfatta della situazione di pace
di cui poteva godere. I moti del
biennio 1820-1821 non riguardarono
Verona e comunque non riuscirono a
sconvolgere l’assetto europeo, a
parte la questione spagnola. I
successivi congressi internazionali
di Troppau, Lubuiana e infine quello
decisivo di Verona del 1822, parvero
in grado di stabilizzare
l’ordinamento già scaturito nel 1815
a Vienna, intervenendo nella Spagna
per eliminare la Costituzione di
Cadice e ripristinare l’assolutismo.
Appena otto anni dopo, la
rivoluzione liberale del 1830 che in
tre giornate: Les trois
glorieuses, sostituì al trono di
Francia il sovrano reazionario Carlo
X con il liberale Luigi Filippo
d’Orléans, il tentativo di
costituirsi come stato indipendente,
riuscito in Belgio e soffocato in
Polonia, come il progressivo
affrancamento della Grecia dal
dominio ottomano, scardinavano il
vecchio ordine europeo.
L’Austria ancora legata a un sistema
che conservava caratteri medievali
si sentiva minacciata da queste
novità che cercava di frenare. Il
Quarantotto e le due guerre per
l’indipendenza italiana diedero
ulteriore motivazione al procedere
delle opere. Per difendere il
Lombardo-Veneto, che costituiva una
delle zone più ricche e produttive
del vasto e multiforme impero, mise
in atto un’imponente struttura
difensiva che costituirà il
Quadrilatero (Verona, Peschiera,
Mantova, Legnago) oltre a una serie
di fortificazioni su posizioni
strategiche nella Val dell’Adige e a
Nord di Bressanone con il grande
sbarramento di Fortezza (Franzenfeste).
Venne incaricato della complessa
realizzazione il maggiore generale
Franz von Scholl, che per ciò che
riguarda Verona mantenne le vecchie
mura veneziane e scaligere
restaurando e aggiungendo qualche
nuovo elemento difensivo come le
mura Carnot. Del resto con le nuove
tecniche di combattimento i vecchi
terrapieni pur rinforzati non
sarebbero stati sufficienti. La
difesa si doveva attuare nell’anello
circostante la città, con zone
libere da vegetazione arborea e
senza costruzioni; un eventuale
aggressore doveva essere rallentato
su queste spianate e bersagliato dal
fuoco dell’artiglieria e della
fucileria per neutralizzarlo prima
che arrivasse nei pressi delle mura.
A tale scopo fu costruita extra
moenia una serie di forti
disposti via via più distanti in
modo da definire una fascia
difensiva di 5-6 chilometri;
collegati con un sistema ottico per
trasmettere ordini e informazioni,
costituivano un insieme ben
strutturato. Le vicende storiche ci
dicono che funzionò come deterrente
evitando scontri di truppe intorno
alla città.
Nella parte collinare la
disposizione delle fortificazioni
doveva tener conto dell’orografia;
anche il fiume Adige e le principali
strade influivano nella scelta della
relativa collocazione. In generale
le costruzioni erano poco emergenti
dal piano del terreno e munite di
spesse pareti capaci di attutire
eventuali colpi d’artiglieria
nemica.
Una città piazzaforte richiede anche
altre strutture, le caserme in primo
luogo ma non solo. Degno di
particolare attenzione è l’arsenale,
costruito nel territorio a quel
tempo extra-urbano della Campagnola.
Era il secondo dell’impero, dopo
quello di Vienna, edificato in uno
stile che ben si adatta al contesto
architettonico della città.
All’interno delle mura nei pressi di
Porta Palio venne costruito
l’imponente ospedale militare di
Santo Spirito, Garnisons Spital:
aveva una capienza di 1.400 posti,
2.000 in situazioni di emergenza.
Nella zona di Veronetta nella
caserma Santa Marta funzionava la
provianda: un panificio e
gallettificio che produceva
giornalmente 52.000 razioni di pane
e 20 quintali di gallette, servendo
per la sussistenza delle truppe di
un comprensorio molto vasto.
Anche l’attuale sede municipale
cittadina: Palazzo Barbieri, era
stata progettata negli anni Trenta
dell’Ottocento come caserma,
denominata Gran Guardia Nuova, sede
dell’I.R. Comando di Città e
Fortezza. Di notevole mole, posta a
fianco dell’anfiteatro, chiudeva
l’ultimo lato ancora mancante di
Piazza Bra, l’attuale salotto
cittadino.
Il sistema di città fortezza, con
all’interno o nelle immediate
vicinanze un numero di soldati che
in certi periodi arrivava a 35.000
su una popolazione di poco meno di
70.000 abitanti, condizionava
fortemente l’economia. Se conferiva
un certo benessere economico a chi
lavorava nell’ambito dei
rifornimenti e dei servizi, le
servitù sui terreni e tante altre
limitazioni comprimevano quelle
attività che non erano strettamente
legate all’aspetto militare.
Le imponenti opere costruttive
davano lavoro ai cavatori e ai
trasportatori di pietre, perlopiù
reperite nei dintorni collinari, e
anche ad artigiani come falegnami e
carpentieri. L’annessione al Regno
d’Italia, nel 1866, creò sul
principio problemi di esubero di
manodopera e un conseguente
malcontento. Alcuni cittadini
illuminati capirono l’urgenza di una
trasformazione radicale, Verona
restava una città militarizzata, era
pur sempre posta al confine con
l’Impero d’Austria, Austro-Ungarico
dal 1867, ma non più nella misura di
prima. Con il tempo vennero meno i
vincoli militari e nella periferia
si poté procedere alla escavazione
di canali che sarebbero serviti per
l’agricoltura e per la nascente
industria.
Ora ciò che resta delle
fortificazioni austriache, ma anche
veneziane e scaligere, rimane un
prezioso patrimonio per la città e
la provincia; i vecchi bastioni
costituiscono ancora un anello verde
che avvolge il centro storico.
Abbiamo già detto del municipio;
l’arsenale è diventato un luogo di
mostre d’arte e manifestazioni
varie, la caserma Santa Marta fa ora
parte del Dipartimento di Economia
dell’Università. Castel San Pietro,
conosciuto anche come Castello di
Teodorico, era una caserma
austriaca, recentemente è stato
restaurato per una destinazione
museale. Infine, Forte San Leonardo,
sulla collina a nord-ovest della
città, è divenuto un santuario
mariano.
Dei forti posti fuori dell’area
urbana pochi si sono salvati, ma
alcuni sapientemente restaurati e
aperti al pubblico hanno trovato
modo di funzionare, naturalmente con
scopi ben diversi rispetto ai quali
erano stati edificati.
Riferimenti bibliografici: