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N. 22 -
Ottobre 2009
(LIII)
LA ‘VERGINE DELLA RIVELAZIONE’ E LE ELEZIONI DEL 1948
TRA VEGGENTI E VOTANTI
di Cristiano Zepponi
La
storia
che
mi
accingo
a
raccontare
ha,
tra
le
tante,
una
caratteristica
ineguagliabile:
è
fondamentalmente
priva
di
una
documentazione
degna
di
questo
nome.
Nel
corso
degli
anni,
infatti,
l’interesse
per
la
grotta
delle
Tre
Fontane
è
andato
costantemente
scemando,
nonostante
l’afflusso
di
fedeli:
la
storia
locale
–
svolta
la
contabilità
della
fatica
e
del
guadagno
– ha
decretato
la
ritirata
dall’argomento
in
questione,
lasciandolo
in
pasto
ad
opuscoletti,
pamphlet
e
libretti
d’ispirazione
religiosa
(con
i
risultati,
celebrativi
e
banali,
che
si
possono
immaginare),
mentre
la
sociologia
marxista
l’ha
rispolverato
ogni
tanto,
quanto
basta
per
dimostrare
la
credulità,
la
superstizione
e la
faciloneria
dei
protagonisti,
senza
spendere
una
parola
sul
caso
specifico,
riconducendolo
ad
immutabili
assiomi
gramsciani
ed
insieme
squadrando
il
fiume
d’individui
che
dall’epoca
visita
la
grotta,
mentre
perdura
il
silenzio
delle
gerarchie
cattoliche
in
materia,
col
sopracciglio
levato
che
si
riserva
alle
inconsapevoli
comparse
d’una
religiosità
primordiale.
A
parer
nostro,
avrebbe
meritato
miglior
trattamento
di
quello
che
ora
proveremo
a
riservargli,
rinchiudendo
in
un
cassetto
le
nostre
convinzioni
religiose,
e
concentrandoci
invece
sulle
reazioni
della
stampa.
Ciò
non
toglie
che
quella
della
Vergine
della
Rivelazione
sia
indubbiamente
una
storia
strampalata,
e
non
sarò
io a
negarlo.
Il
protagonista
è un
anti-eroe
di
dubbio
gusto,
la
scenografia
è
squallida
e
desolata,
l’avvistamento
incerto,
la
testimonianza
è
individuale
e il
testimone
inattendibile:
meglio
metterlo
in
chiaro
fin
dall’inizio.
In
più,
il
confine
del
profano
e
del
degrado
è
varcato
in
forze;
ancora,
non
sarò
io
ad
imbellettarla
graziosamente,
a
tracciare
una
traiettoria
edificante
proiettata
dai
sampietrini
romani
alle
vette
della
santità.
Tuttavia,
le
circostanze
dell’avvenimento
ed
il
contesto
socio/politico
gli
conferiscono
un
titolo
di
nobiltà,
un’unicità
stuzzicante
che
lo
rende
appetibile
ai
nostri
occhi.
L’avvistamento
della
Madonna
da
parte
di
un
modesto
fattorino
dell’ATAC
dalla
storia
di
vita
problematica,
con
nebulosi
precedenti
politici
orientati
a
sinistra
e
altrettanto
confuse
tendenze
protestanti,
anti-clericali
e
specialmente
anti-mariane
racconta
molto,
dell’Italia
– e
della
Roma
– di
quegli
anni,
specie
sfogliando
i
giornali
di
quei
tempi
concitati.
Basti
la
data:
la
mariofanìa
risale
al
12
aprile
1947.
E’
contemporanea
dunque
all’intensificazione
dell’interesse
americano
verso
le
questioni
italiane,
di
poco
precedente
la
rottura
dell’alleanza
antifascista
e
l’eccidio
di
Portella
delle
Ginestre,
di
poco
successiva
all’elaborazione
della
teoria
del
‘contenimento’,
con
un
anno
preciso
d’anticipo
sulle
elezioni
più
importanti
del
dopoguerra.
Capita
dunque
a
cavallo
di
giorni,
e
mesi
cruciali
per
lo
Stato
italiano;
ma
anche
per
la
Chiesa,
impegnata
in
un
convinto
recupero
della
pietà
mariana,
in
una
fervente
mobilitazione
delle
sue
schiere,
dei
suoi
referenti
politici,
dei
suoi
giornali.
E’
forse
per
questo
motivo
se
una
vicenda
del
genere
-
che,
soprattutto
in
assenza
di
un
intervento
ecclesiastico,
sarebbe
stata
in
altri
tempi
relegata
nelle
cronache
locali
–
riuscì
a
sopravvivere
alla
marea
di
Madonne
lacrimanti,
Madonne
sanguinanti,
Madonne
sfavillanti
apparse
nello
stesso
periodo
a
bambini,
adulti,
vecchi,
da
un
capo
all’altro
della
penisola,
e
puntualmente
placatesi
una
volta
accertato
il
vittorioso
esito
delle
elezioni.
Ora,
la
domanda
che
ci
si
pone
è
semplice.
Approfittando
della
coincidenza
cronologica,
possiamo
supporre
che
anche
il
caso
dell’apparizione
alle
Tre
Fontane,
senza
dubbio
un
‘frammento’
di
storia,
abbia
riprodotto
– in
piccola
scala
–
quella
bipolarizzazione,
quella
ripartizione
in
blocchi
che
caratterizza
le
elezioni
del
1948?
E’
possibile
che
abbia
giocato
un
suo
ruolo
nello
scontro
politico
in
atto,
abbia
ingenerato
cautele
e
fanatismi,
costituito
una
minuscola
boa
intorno
alla
quale
prendere
posizione?
Divenne
insomma,
da
avvenimento
religioso,
oggetto
e
strumento
di
lotta
politica?
Tutto
questo
ci
apprestiamo
ad
analizzare,
scorrendo
i
principali
quotidiani
dell’epoca,
ed
oltre
a
questi
le
testate
minori
e le
riviste;
non
prima,
però,
di
aver
brevemente
accennato
alla
vicenda
in
questione,
ed
alla
vita
dell’uomo
che
denunciò
l’apparizione.
Cenni
sul
veggente
Per
conoscere
il
protagonista,
Bruno
Cornacchiola,
dobbiamo
affidarci
ai
suoi
racconti:
premesso,
naturalmente,
che
si
voglia
accettare
questo
primo,
e
preliminare
atto
di
fede.
Sappiamo
di
lui
che
nacque
il 9
maggio
1913
sulla
Cassia
vecchia,
in
una
stalla
secondo
qualcuno,
di
sicuro
– al
pari
degli
altri
due
fratelli
e
delle
due
sorelle
- in
condizioni
di
grande
disagio;
il
padre,
uscito
di
galera
subito
dopo
la
nascita
del
figlio,
si
presentò
ubriaco
al
battesimo
e,
alla
domanda
del
sacerdote,
rispose
che
intendeva
chiamarlo
“Giordano
Bruno,
come
quello
che
avete
ammazzato
voi
a
Campo
dè
Fiori”,
prima
di
ripiegare
controvoglia
su
un
innocuo
Bruno.
Naturalmente
non
sappiamo
se,
proiettando
sul
suo
passato
l’ombra
del
destino
(la
grotta,
l’anticlericalismo),
si
volesse
motivare
i
successivi
atteggiamenti;
ma
tant’è,
dobbiamo
accontentarci
delle
notizie
a
nostra
disposizione,
e
rilevare
che
con
un
inizio
del
genere,
il
resto
non
poteva
essere
da
meno.
Il
ragazzo
crebbe,
analfabeta
come
i
genitori,
scalzo
e
malvestito;
a
quanto
pare
dormiva
spesso
fuori
casa,
fin
dalla
tenera
età,
per
sfuggire
le
ire
del
padre:
spesso
sulle
scale
della
Basilica
di
S.
Giovanni
in
Laterano,
dove
una
mattina
–
intorno
ai
quattordici
– fu
avvicinato
da
una
sconosciuta
che
si
prese
cura
della
sua
crescita
religiosa
e lo
spinse
alla
prima
comunione.
Dopo
una
fuga
di
casa
(ed
un
rapido
ritorno)
fu
reclutato
nell’esercito
e
mandato
a
Ravenna;
qui
–
dopo
gli
stenti
–
dovette
trovarsi
tutto
sommato
bene,
se
al
termine
del
servizio
militare
potè
sposarsi
con
Iolanda
Lo
Gatto
(il
7
marzo
1936)
e
poi
arruolarsi
come
radiotelegrafista
volontario
nell’esercito
italiano
impiegato
in
Spagna
per
appoggiare
gli
sforzi
dei
franchisti.
A
questo
punto,
una
delle
incongruenze:
le
ricostruzioni
-
specie
quelle
cattoliche
- lo
riportano
come
“comunista”
(anche
se
sembra
aver
piuttosto
avuto
contatti
con
membri
del
Partito
d’Azione,
che
comunisti
non
erano)
ma
lo
arruolano
dalla
parte
opposta
del
fronte
spagnolo,
motivando
la
scelta
chi
con
la
paga
(Cornacchiola
era
un
disoccupato,
in
effetti)
chi
con
una
‘naturale’
tendenza
al
doppiogiochismo
(esplicatasi
nell’incarico
di
‘sabotare
motori
e
altro
materiale
in
dotazione
alle
forze
armate
italiane’).
Alla
guerra
di
Spagna,
ed
in
particolare
all’incontro
con
un
protestante
tedesco,
risalirebbe
poi
l’animosità
nei
confronti
della
Chiesa
cattolica
e
del
papa
che
–
come
detto
–
caratterizzava
già
il
padre:
nel
1938,
a
Toledo,
Cornacchiola
disse
di
aver
comprato
un
pugnale
sulla
cui
lama
incise
le
parole
“a
morte
il
papa”.
Dopo
la
guerra
di
Spagna
tornò
a
Roma,
si
sistemò
in
uno
scantinato
al
quartiere
Appio
e fu
assunto
presso
l’azienda
tranviaria
comunale,
l’ATAC;
al
contempo,
nel
1940,
prese
a
frequentare
–
nonostante
l’inevitabile
opposizione
della
moglie,
cui
Cornacchiola
non
lesinava
percosse
e
maltrattamenti
vari
–
“una
sala
della
chiesa
Battista
in
via
Urbana,
dove
si
svolgevano
riunioni
il
sabato
presiedute
dal
pastore
Veneziano”.
Durante
la
guerra
continuò
a
mantenere
i
contatti
col
Partito
d’Azione,
al
quale
era
iscritto,
si
adoperò
contro
i
tedeschi
occupanti
ed a
favore
degli
“ebrei
braccati”.
Dopo
aver
espletato
la
pratica
dei
nove
venerdì
del
Sacro
Cuore,
che
la
moglie
–
senza
successo
–
sperava
potessero
farlo
recedere
dai
propositi
protestanti,
Cornacchiola
passò
nelle
file
degli
“Avventisti
del
settimo
giorno”,
sostenendo
il
rito
d’ingresso
l’8
settembre
1945;
e fu
poi
scelto
come
Direttore
della
Gioventù
Missionaria
Avventista
per
l’impegno
ed
il
fervore
dialettico.
Le
ricostruzioni
cattoliche,
per
la
maggior
parte,
sottolineano
con
enfasi
la
fase
precedente
l’apparizione,
tratteggiando
l’immagine
d’un
Cornacchiola
bambinesco
e
violento
(o
violento
perché
bambinesco?),
blasfemo,
sprovveduto,
impulsivo,
ambivalente
e
incontrollabile:
“Non
perde
occasione
di
fare
tutti
i
possibili
dispetti
ai
preti,
facendoli
cadere
sui
mezzi
pubblici
e
rubando
loro
la
borsa”.
Il
tutto
fino
al
12
aprile
del
1947,
quando
ricevette
“dalla
sua
setta”
l’incarico
di
preparare
un
discorso
contro
i
dogmi
mariani
da
tenere
in
Piazza
della
Croce
Rossa,
e
per
trovare
il
silenzio
necessario
decise
di
recarsi
a
Ostia,
e di
portare
con
sé
figli
-
Isola,
di
undici
anni,
Carlo
di
sette
e
Gianfranco
di
quattro
- e
moglie.
La
Vergine
della
Rivelazione
Sabato
12
aprile
1947,
dunque,
la
famiglia
Cornacchiola
–
tranne
la
signora,
per
motivi
di
salute
– si
diresse
verso
la
stazione
di
Piramide,
per
prendere
l’unico
treno
che
all’epoca
faceva
la
spola
con
Ostia.
Intorno
alle
quattordici
e
trenta,
appena
arrivati
alla
stazione,
i
quattro
si
avvidero
però
che
il
treno
era
già
partito
e
che
per
il
successivo
sarebbe
stata
necessaria
un’attesa
di
un’ora
circa.
Questo
insieme
di
casualità
spinse
Bruno
Cornacchiola
a
modificare
l’itinerario
verso
la
vicina
abbazia
delle
Tre
Fontane,
dove,
sotto
il
bosco
di
eucalyptus
che
la
circondava,
avrebbero
potuto
rispettare
a
grandi
linee
il
programma
della
giornata.
Lì,
dove
i
frati
trappisti
che
presidiavano
l’abbazia
producevano
l’ottimo
“cioccolato
di
Roma”
ed
il
liquore
di
eucalipto,
la
comitiva
potè
finalmente
rilassarsi:
i
figli
cominciarono
a
giocare
a
palla
in
una
radura
nei
pressi
di
una
piccola
grotta,
frequentata
in
effetti
più
dalle
coppiette
che
dai
frati,
mentre
il
padre,
disteso
sotto
un
albero,
provvedeva
a
compilare
il
suo
intervento
per
l’indomani.
Fu
la
palla
dei
bambini
a
movimentare
la
giornata,
rotolando
verso
il
dirupo
che
conduceva
alla
fermata
dell’autobus:
nonostante
Carlo
e
Isola
provassero
a
ritrovarla,
le
ricerche
si
rivelarono
infruttuose.
Per
questo
intervenne
il
padre,
portando
con
sé
Carlo
e
affidando
il
più
piccolo,
Gianfranco,
alle
cure
della
sorella.
Poco
dopo,
però,
Bruno
Cornacchiola
non
ottenne
risposta
da
Gianfranco,
cui
da
sotto
il
dirupo
si
rivolse
per
verificare
che
non
si
fosse
allontanato;
e
per
questo,
secondo
il
suo
racconto,
risalì
in
fretta
la
salita,
trovando
il
figlioletto
inginocchiato
a
circa
due
metri
dall’ingresso
della
grotta.
Bisbigliava,
raccontò,
le
parole
“Bella
signora..
Bella
signora..
Bella
signora…”:
“Ripeteva
queste
parole
come
una
preghiera,
un
canto,
una
lode”,
ricordò
testualmente
il
padre.
Inizialmente
il
Cornacchiola
pensò
ad
un
gioco
ed
in
questo
senso
si
rivolse
ad
Isola,
che
raccoglieva
fiori
sopra
la
grotta:
ma
la
ragazzina
smentì.
Subito
dopo,
però,
anche
gli
altri
due
ragazzini
–
seguendo
il
racconto
–
caddero
inginocchiati
e
intonarono
ossessivamente
il
ritornello
del
più
piccolo,
impalliditi.
Cornacchiola
non
riuscì
a
scuoterli:
provò
con
Carlo,
tentò
di
rimetterlo
in
piedi,
ma
senza
successo:
“era
come
di
piombo,
come
se
pesasse
quintali”,
riferì
poi.
A
quel
punto,
smarrito,
constatando
l’assoluta
impossibilità
di
ricevere
aiuto
da
chicchessia,
alzò
gli
occhi
al
cielo:
“Mio
Dio,
salvaci
Tu!”,
disse.
E
subito,
raccontò
di
aver
visto
uscire
dalla
grotta
due
mani,
che
sfiorarono
i
suoi
occhi,
li
tersero,
facendo
cadere
da
essi
come
delle
squame,
aprendoli
ad
una
luce
accecante,
avvolgente,
quasi
dolorosa.
Quindi,
cadde
in
uno
stato
di
rapimento
estatico:
“Il
mio
primo
impulso
fu
quello
di
parlare,
di
alzare
un
grido,
ma
sentendomi
quasi
immobilizzato
nelle
mie
facoltà,
la
voce
mi
moriva
in
gola”.
Quando
riprese
a
vedere,
disse,
a
circa
quattro
metri
di
distanza
si
stagliava
la
figura
di
una
giovane
donna
in
piedi
su
un
masso
di
tufo,
scalza
e
avvolta
da
una
luce
dorata,
capelli
lunghi
e
neri,
età
apparente
trai
18
ed i
22
anni,
snella,
colorito
bruno
chiaro,
all’orientale,
veste
bianca
cinta
da
una
fascia
rosa,
manto
verde
dal
capo
ai
piedi,
un'espressione
di
benignità
materna,
di
delicata
mestizia;
nella
mano
destra
un
libretto
color
cenere,
l’indice
della
mano
sinistra
indicava
vicino
ai
suoi
piedi
un
drappo
nero,
con
a
lato
una
croce
spezzata
in
quattro
parti.
Cornacchiola
riferì
come
la
sua
bellezza
fosse
intraducibile
in
termini
umani,
e
nella
grotta
si
fosse
al
contempo
diffuso
un
delizioso
profumo
floreale:
“Chi
ha
avuto
l'eccezionale
gioia
di
posare
gli
occhi
sopra
una
così
celestiale
bellezza,
non
può
fare
altro
che
desiderare
la
morte
per
poter
godere
dì
tanta
beatitudine
in
eterno...”,
raccontò
poi,
riecheggiando
il
racconto
della
veggente
di
Lourdes,
Bernadette
Soubirous.
La
figura
cominciò
poi
a
parlare,
iniziando
quella
che
si
sarebbe
rivelata
una
lunga
rivelazione
di
un’ora
e
venti,
con
la
sua
voce
“così
melodiosa,
sembrava
una
musica
che
entrava
dentro
gli
orecchi;
la
sua
bellezza
nemmeno
si
può
spiegare,
la
luce,
smagliante,
qualcosa
di
straordinario,
come
se
il
sole
fosse
entrato
dentro
la
grotta”.
L’angelica
immagine
cominciò
a
parlare
e
disse,
secondo
Cornacchiola:
“Sono
colei
che
sono
nella
Trinità
Divina.
Sono
la
Vergine
della
Rivelazione.
Tu
mi
perseguiti,
ora
basta!
Entra
nell‘Ovile
Santo,
Corte
Celeste
in
terra.
Il
giuramento
di
un
Dio
è e
rimane
eterno
ed
immutabile.
I
nove
venerdì
del
Sacro
Cuore
di
Gesù
che
tu
facesti
prima
di
entrare
nella
via
della
menzogna,
ti
hanno
salvato
...
Il
mio
Corpo
non
marcì,
né
poteva
marcire,
Mio
Figlio
e
gli
Angeli
mi
vennero
a
prendere
al
momento
del
mio
trapasso...
Si
preghi
assai
e si
reciti
il
rosario
quotidiano
per
la
conversione
dei
peccatori,
degli
increduli
e
per
l’unità
dei
cristiani.
Le
Ave
Maria
del
Rosario
sono
frecce
d’oro
che
raggiungono
il
cuore
di
Gesù...
Con
questa
terra
di
peccato
opererò
potenti
miracoli
per
la
conversione
degli
increduli...
Sono
la
Calamita
della
Trinità
Amore..”.
Il
messaggio
proseguì
per
oltre
un’ora;
gli
argomenti
toccati,
e
riferiti
dall’impiegato
dell’Atac,
furono
diversi:
tra
questi,
la
situazione
della
Chiesa,
metaforicamente
rappresentata
da
una
veste
talare
e da
una
croce
spezzata,
apparsi
nella
grotta
e
indicati
dalla
figura,
che
a
sua
volta
avrebbe
aggiunto:
“Ecco,
questo
è il
segno
che
la
Chiesa
soffrirà,
sarà
perseguitata,
spezzata;
questo
è il
segno
che
i
miei
figli
si
spoglieranno...
Tu,
sii
forte
nella
fede!...”.
Ma
occorreva
anche
dare
al
veggente
la
certezza
di
non
trovarsi
di
fronte
ad
un’allucinazione:
“Desidero
darti
una
sicura
prova
della
divina
realtà
che
stai
vivendo
perché
tu
possa
escludere
ogni
altra
motivazione
del
tuo
incontro,
compresa
quella
del
nemico
infernale,
come
molti
ti
vorranno
far
credere.
E
questo
è il
segno:
dovrai
andare
per
le
chiese
e
per
le
vie.
Per
le
chiese
al
primo
sacerdote
che
incontrerai
e
per
le
strade
a
ogni
sacerdote
che
incontrerai,
tu
dirai:
“Padre,
devo
parlarle!”.
Se
costui
ti
risponderà:
‘Ave
Maria,
figliolo,
cosa
vuoi’,
pregalo
di
fermarsi,
perché
è
quello
da
me
scelto.
A
lui
manifesterai
ciò
che
il
cuore
ti
dirà
e
ubbidiscilo;
ti
indicherà
infatti
un
altro
sacerdote
con
queste
parole:
‘Quello
fa
per
il
caso
tuo’”
.
Lo
esortò
poi
ad
essere
“prudente,
ché
la
scienza
rinnegherà
Dio”
,
quindi
gli
affidò
un
messaggio
segreto
da
consegnare
personalmente
alla
“Santità
del
Padre,
supremo
pastore
della
cristianità”,
accompagnato
però
da
un
altro
sacerdote
(che
a
sua
volta
si
sarebbe
rivelato
pronunciando
le
parole
“Bruno,
io
mi
sento
legato
a
te”).
“Poi
la
Madonna”,
continuò
Cornacchiola,
“mi
parla
di
ciò
che
sta
avvenendo
nel
mondo,
di
quello
che
succederà
nell'avvenire,
come
va
la
Chiesa
,
come
va
la
fede
e
che
gli
uomini
non
crederanno
più...
Tante
cose
che
si
stanno
avverando
adesso...
Ma
molte
cose
si
dovranno
avverare...”,
confortandolo
in
anticipo
per
le
amarezze
cui
sarebbe
andato
incontro
raccontando
l’apparizione:
“Alcuni
a
cui
tu
narrerai
questa
visione
non
ti
crederanno,
ma
non
lasciarti
deprimere”
.
Alla
fine
dell’apparizione
sparì
attraverso
una
parete
posteriore
della
grotta,
consentendo
ai
quattro
(che
nel
frattempo
erano
finiti
tutti
in
ginocchio)
di
riappacificarsi
con
la
realtà:
i
figli,
però,
dissero
di
non
aver
sentito
nulla,
nonostante
avessero
visto
muoversi
le
labbra
della
giovane.
Insieme
a
loro,
comunque,
ripulì
la
grotta
–
che
come
detto
era
fin’allora
dedita
a
tutt’altri
scopi
– e
affisse
un
cartello
che
spiegava
per
sommi
capi
l’accaduto:
“In
questa
grotta,
il
12
aprile
1947,
la
Vergine
del
la
Rivelazione
è
apparsa
al
protestante
Bruno
Cornacchiola
e ai
suoi
figli”.
Riguardo
l’evidente
simbolismo
della
grotta,
Annabella
Rossi
ha
scritto
che
“Così
anche
in
una
cultura
urbana
la
Madonna
seguita
ad
apparire,
ancora
oggi,
nelle
grotte;
come
è
avvenuto
a
Roma
nel
1947,
quando
un
tranviere
ebbe
un’apparizione,
mai
accettata
e
mai
completamente
rifiutata
dalla
Chiesa,
in
una
grotta
che
si
trova
alla
periferia
della
città.
Evidentemente
anche
tale
apparizione
era
condizionata
dall’idea
stereotipa
fornita
dalle
leggende
cultuali,
per
cui
colui
che
ritiene
di
assistere
ad
una
apparizione
mariana,
la
deve
collocare,
inevitabilmente,
nell’ambiente
previsto
dalla
tradizione”.
Cornacchiola,
comunque,
trascrisse
il
messaggio
la
sera
stessa
in
casa
sua,
senza
sforzarsi
di
ricordare
un
messaggio
che
pure
si
caratterizzava
per
la
sua
prolissità
perché,
ebbe
a
dire,
le
parole
correvano
ordinatamente
nella
sua
mente
come
incise
su
un
nastro;
e
chiese
perdono
alla
moglie,
per
le
violenze
e i
tradimenti
(prolungatisi
fino
alla
notte
precedente,
come
ammesso
dal
Cornacchiola
stesso
trascorsa
in
femminile
compagnia).
Nei
giorni
seguenti
si
premurò
di
verificare
l’esattezza
delle
indicazioni
mariane;
ma
per
un
po’
nessun
sacerdote
rispose
nel
modo
prescritto,
esasperandolo
al
punto
da
minacciare
la
moglie:
“Se
non
incontro
il
sacerdote,
se
io
ritorno
e mi
vedi
con
il
pugnale
in
mano,
stai
pure
sicura
che
muori
tu,
i
bambini
e
poi
mi
uccido,
perché
non
ne
posso
più,
non
posso
più
vivere
così”.
Poi,
però,
Cornacchiola
raccontò
che
il
28
aprile,
nella
chiesa
d’Ognissanti,
ne
afferrò
uno
per
la
manica
della
cotta
e si
sentì
dire
proprio
la
formula
richiesta:
“Ave
Maria,
figliolo,
cosa
vuoi?”.
A
lui,
che
si
chiamava
Albino
Frosi,
il
tranviere
si
affrettò
a
spiegare
la
sua
vicenda;
e,
come
annunciato,
fu
da
questi
condotto
da
un
confratello
orionino,
don
Gilberto
Carniel,
che
ne
accompagnò
l’abiura
e
l’ingresso
nella
comunità
cattolica:
la
nuova
professione
di
fede
avvenne
il 7
maggio;
il
18
maggio,
sempre
nella
chiesa
d’Ognissanti,
Gianfranco
ricevette
il
Battesimo
ed
Isola
la
Cresima.
Il
protestante
s’era
convertito,
per
l’ennesima
volta
in
vita
sua.
Gli
interrogatori
Cornacchiola
raccontò
anche
d’altri
incontri
con
quella
che
sarebbe
divenuta
nota
come
la
“Vergine
della
Rivelazione”:
il
giorno
prima
dell’abiura,
poi
il
23
maggio
-
quando
era
salito
alla
grotta
col
sacerdote
orionino
don
Mario
Sfoggia
-,
infine
il
30
maggio
alle
10
di
sera,
sempre
nella
grotta,
quando
la
Vergine
gli
disse:
“Và
dalle
mie
dilette
figlie
le
Maestre
Pie
Filippini
e dì
loro
che
preghino
molto
per
gli
increduli
e
l’incredulità
del
rione”;
un
aneddoto
che,
secondo
alcuni,
dovrebbe
suffragare
la
versione
di
Cornacchiola,
il
quale
precisò
di
esser
venuto
solo
allora
a
conoscenza
–
successivamente
suffragata
dalle
indicazioni
di
una
passante
-
del
convento
delle
religiose
di
S.
Lucia
Filippini.
In
seguito,
per
Cornacchiola
cominciarono
le
audizioni:
in
primis
del
commissario
di
polizia
di
zona,
interessato
alla
gestione
dell’ordine
pubblico
turbato
dalle
processioni
di
fedeli,
che
dopo
aver
ammonito
il
tranviere
riguardo
le
conseguenze
di
una
testimonianza
menzognera
acconsentì
ad
inviare
sul
posto
due
uomini
per
il
servizio
di
guardia
(“Comunico
che
Cornacchiola
Bruno
di
Antonio
ha
confermato
visione
Santissima
Vergine
ripetutasi
il
12
aprile,
6 et
23
maggio.
Ha
dichiarato
inoltre
di
non
aver
organizzato
pellegrinaggi
a
grotta
Tre
Fontane
ove
sarebbe
manifestatosi
fenomeno”);
e
poi
delle
autorità
ecclesiastiche.
Non
mancarono,
in
questo
senso,
scene
paradossali,
specie
quando
davanti
ai
vicari
si
presentò
il
piccolo
Gianfranco:
“Quando
è
avvenuta
l'apparizione
alle
Tre
Fontane,
a
Roma
si è
prodotto
subito
un
certo
movimento
e
allora
noi
-
adesso
non
so,
non
ricordo
se
noi
abbiamo
avuto
l'iniziativa
oppure
il
Santo
Uffizio
ce
l'ha
indicato
-
abbiamo
chiamato
Bruno
Cornacchiola
che
venisse
in
vicariato
a
parlare
con
noi,
a
parlarci
di
questo
fatto
di
cui
ormai
i
giornali
e la
gente
parlavano.
E
così
abbiamo
incontrato
Bruno
e i
suoi
figli
per
me
personalmente,
devo
distinguere
le
testimonianze
di
Bruno
da
quella
di
Gianfranco
(il
piccolo
di
quattro
anni).
Bruno
ha
raccontato
un
po'
tutta
la
storia,
che
indubbiamente
era
molto
interessante,
molto
accattivante,
soprattutto
per
il
contrasto
tra
il
prima
e il
dopo,
il
Bruno
Cornacchiola
prima
dell'apparizione
e
dopo
l'apparizione.
Però
tutto
questo
poteva
essere
una
favola.
Quando
abbiamo
incominciato
a
interrogare
i
bambini,
ripeto,
non
ricordo
tanto
quello
che
gli
altri
hanno
detto
ma
quello
che
il
bambino
più
piccolo,
di
quattro
anni,
diceva.
Intanto
era
un
problema
grosso
l'interrogarlo.
Premetto
che
noi
eravamo
tre:
mons.
Mattioli
che
era
il
giudice,
io
promotore
di
giustizia,
giustamente
detto
l'avvocato
del
diavolo,
e
poi
il
cancelliere.
Ma
l'interrogatorio
di
un
bambino
di
quattro
anni
nelle
forme
richieste
non
si
può
fare.
E
questo
bambino
infatti
non
ci
stava:
correva
qua
e
là.
La
cosa
più
ridicola
era
che
mons.
Mattioli,
il
giudice,
un
uomo
ormai
di
una
certa
età,
mio
superiore,
gli
correva
appresso
con
le
caramelle
e
così,
dandogli
le
caramelle,
quando
lui
si
fermava
a
prenderle
per
mangiarle,
gli
faceva
qualche
domanda”,
ricordò
mons.
Giaquinta,
uno
dei
tre
principali
incaricati
dell'interrogatorio.
Un
avvistamento
a
Roma,
capitale
d’Italia
e
della
cristianità,
ma
al
contempo
periferico,
in
un
contesto
di
degrado
ecologico
e
morale,
non
poteva
che
rivelarsi
nel
contrasto
tra
la
genuina
romanità
del
piccolo
e
l’ampollosa
serietà
dei
tre
inquisitori,
espressa
alla
perfezione
dal
racconto
di
mons.
Cecchi:
“Io
facevo
il
cancelliere,
quindi
dovevo
scrivere
tutto
quello
che
veniva
detto
dalle
persone
che
venivano
interrogate.
Il
presidente
del
tribunale
Mattioli
dettava
e io
quindi
scrivevo
soltanto
tutto
quello
che
veniva
appunto
detto
nell'interrogazione.
E fu
interrogato
Bruno
Cornacchiola,
nessuno
ricorda
quante
volte,
ma
certamente
più
di
una
volta,
perché
si
volevano
tutti
i
particolari
del
caso
e
poi
si
era
giunti
a
interrogare
i
bambini,
e
interrogare
i
bambini
era
un
po'
un
problemaccio,
perché
farli
stare
fermi,
farli
rispondere
a
tono
alle
domande
che
si
facevano,
cercare
di
far
capire
quello
che
noi
volevamo
sapere,
qualche
volta
rispondevano
un
po'
così,
a
vanvera.
Insomma:
allora
si
insisteva
fino
a
che
i
bambini
fossero
più
precisi
nel
riferire
quanto
avevano
visto.
C'era
il
bambino
Gianfranco:
‘Di'
un
po':
ma
com'era
quella
statua
là?’.
Dice:
‘Ma,
no,
macché!
Era
de
ciccia!’”
(di
carne,
in
romanesco).
Il
culto
popolare
A
partire
dalla
fine
di
maggio,
man
mano
che
la
notizia
si
diffuse
e
nonostante
il
silenzio
della
Chiesa
“ufficiale”,
cominciò
il
pellegrinaggio
nel
luogo
dell’apparizione:
il 3
giugno
fu
posta
nella
grotta
una
prima
piccola
statua
in
gesso
della
Madonna,
a
sostituire
un’eterogenea
collezione
di
santi
precedentemente
collocati,
seguita
in
breve
da
fiori
e
candele
e
sostituita
in
luglio
da
una
più
grande,
“offerta
dal
personale
civile
dell’Ospedale
Militare
del
Celio”,
a
sua
volta
rimossa
il 5
ottobre,
quando
vi
fu
collocata
quella
definitiva;
inoltre
si
registrarono
i
primi
episodi
di
intolleranza,
come
quando
un
frate
domenicano
che
aveva
invitato
i
presenti
alla
cautela,
ricordando
che
“la
Chiesa
non
aveva
detta
la
sua
parola
a
conferma
dell’Apparizione”,
fu
difeso
a
fatica
dall’agente
di
servizio,
e
come
accaduto
ad
una
giovane
protestante
che
“inopportunamente
credette
accennare
alle
sue
idee
circa
la
Verginità
di
Maria”.
Dalla
fine
di
giugno
si
cominciò
a
diffondere
l’appellativo
di
“Vergine
della
Rivelazione”.
Contemporaneamente
decollarono
le
pubblicazioni
sull’argomento
(“Dagli
Agenti
di
P.S.
in
servizio
di
vigilanza
presso
la
Grotta
è
stato
proceduto
-
d’intesa
con
i
Frati
Trappisti
del
Convento
omonimo
- al
sequestro
di
500
copie
di
uno
stampato
illustrato,
inneggiante
alla
“Vergine
della
Rivelazione”,
che
veniva
venduto,
al
prezzo
di
lire
10
alla
copia,
da
alcune
donne,
senza
alcuna
autorizzazione”),
l’afflusso
di
malati
e le
testimonianze
di
guarigioni
e
miracoli
avvenuti
nella
grotta
o
per
tramite
di
suoi
frammenti
(terra
o
schegge
di
roccia),
al
punto
da
costringere
l'azienda
tranviaria
di
Roma
ad
aumentare
il
numero
delle
corse
in
direzione
del
luogo
delle
apparizioni,
per
la
richiesta
massiccia;
la
grotta
si
riempì
di
fotografie,
soprattutto
di
militari
dispersi
nel
corso
della
guerra,
ed
al
contempo
si
moltiplicarono
gli
avvistamenti
mariani,
riportati
dai
rapporti
di
polizia:
“Stamane,
verso
le
sette
e
trenta,
circa
un
centinaio
di
persone,
mentre
sostavano
presso
la
nota
‘Grotta
dell’Apparizione’,
hanno
visto
apparire,
sulla
parte
soprastante
ad
essa,
la
Vergine,
ricoperta
di
un
manto
azzurro.
Le
suddette
persone
hanno
asserito
che
l’apparizione
è
durata
circa
10
minuti
e
che
la
Vergine
ha
indicato
con
un
dito
il
sole,
nella
cui
direzione
è
scomparsa
e
poi
brevemente
riapparsa”.
In
agosto
sorse
presso
gli
stessi
locali
del
monastero
cistercense,
promosso
dalla
locale
Associazione
cattolica,
il
Comitato
fra
laici
e
cattolici
pro
Grotta
delle
Tre
Fontane,
creato
per
“compiere
accertamenti
sulle
infermità
di
coloro
che
affermano
di
aver
ottenuto
la
grazia,
soccorrere
gli
infermi
che
si
recano
a
visitare
la
Grotta,
indire
cerimonie
e
festeggiamenti
in
onore
della
Vergine
della
Rivelazione”:
e
per
sua
iniziativa
s’avviò
poi,
a
partire
da
settembre,
la
pubblicazione
del
bollettino
‘La
Voce
delle
Tre
Fontane’,
foglio
di
notizie
che
per
evitare
contrasti
con
il
Vicariato
si
definiva
mensile
di
storia,
archeologia,
arte,
cronologia
locale;
dal
settembre
1947
fu
poi
organizzata
la
Via
Crucis,
predicata
quasi
sempre
da
laici,
tra
i
quadri
raffiguranti
le
varie
stazioni
appesi
agli
eucaliptus,
ai
lati
dei
sentieri
scavati
per
l’afflusso
del
pubblico.
Il
primo
febbraio
1948
s’iniziò
poi
la
pratica
del
“Rosario
Perpetuo”,
recitato
a
turno
dai
credenti
anche
nelle
più
tarde
ore
della
sera
:
un’intera
“cristianità
del
disagio”,
lontana
dalle
adunate
oceaniche
ed
alle
prove
di
forza
delle
milizie
cattoliche,
si
coagulò
dunque
intorno
al
luogo
dell’apparizione,
a
malapena
tollerata
dalle
autorità
religiose,
frammista
a
membri
del
patriziato
romano,
suore
e
singole
personalità
ecclesiastiche.
L’assalto
alla
grotta
–
nonostante
l’intervento
di
Pio
XII
che
alcuni
mesi
dopo,
durante
il
discorso
ai
parroci
romani
e ai
predicatori
quaresimali
del
10
marzo
1948,
parlò
di
“visioni
di
meravigliosa
grandezza,
della
confidenza
e
dell’amore
che
conduce
le
anime
alla
purissima
e
Immacolata
Vergine
Maria”,
e
nonostante
si
dicesse
che
lo
stesso
papa
avesse
provveduto,
il 5
ottobre
1947,
alla
benedizione
della
statua
raffigurante
la
‘Vergine
della
Rivelazione’
trasportata
insieme
a
decine
di
migliaia
di
fedeli
da
piazza
san
Pietro
fino
alla
grotta
delle
Tre
Fontane
-
rimase
a
malapena
tollerato
dalle
autorità
ecclesiastiche,
ansiose
di
censurare
la
fame
di
meraviglioso
rivelata
dal
successo
di
pubblico.
E
che
questo
fenomeno
non
fosse
comunque
gradito
dalle
gerarchie,
timorose
di
veder
sbocciare
devozioni
irrazionali
e
incontrollabili,
è
dimostrato
dall’intervento
del
parroco
del
Buon
Pastore
alla
Montagnola,
che
–
oltre
a
misurare
l’afflusso
di
fedeli
ed a
depurare
diligentemente
la
grotta
da
suore,
religiosi,
sacerdoti
e
finanche
fiori
deposti,
affinché
non
si
creassero
illusioni
al
riguardo
-
decise
di
apporre
un
cartello
all’ingresso
della
grotta
per
invitare
i
fedeli
all’attesa
del
responso:
“di
prestare
fede,
si
consigliano
i
fedeli
ad
attendere
il
parere
delle
Autorità
Ecclesiastiche”.
Comunque
sia,
da
quando
–
all’indomani
dell’apparizione
-
Cornacchiola
lasciò
un
avvertimento
all’ingresso
della
grotta
che
era
tornata
ad
ospitare
gli
incontri
delle
coppiette
del
quartiere,
per
nulla
intimorite
(o
forse
incuriosite)
dal
clamore
che
andava
scatenandosi
intorno
al
luogo
dell’apparizione,
cominciò
l’iter
che
avrebbe
portato
un
modesto
fenomeno
locale
a
giocare
il
suo
ruolo
nel
concitato
clima
di
quell’anno
agitato.
Ciò
accadde
quando
l’avvertimento
(“Non
profanate
questa
grotta
con
il
peccato
impuro!
Chi
fu
creatura
infelice
nel
mondo
del
peccato,
rovesci
le
sue
pene
ai
piedi
della
Vergine
della
Rivelazione,
confessi
i
suoi
peccati
e
beva
a
questa
fonte
di
misericordia.
È
Maria
la
dolce
madre
di
tutti
i
peccatori.
Ecco
che
cosa
ha
fatto
per
me
peccatore.
Militante
nelle
file
di
Satana
nella
setta
protestante
avventista,
ero
nemico
della
Chiesa
e
della
Vergine.
Qui
il
12
aprile
a me
e ai
miei
bambini
è
apparsa
la
Vergine
della
Rivelazione,
dicendomi
di
rientrare
nella
Chiesa
cattolica,
apostolica,
romana,
con
segni
e
rivelazioni
che
lei
stessa
mi
ha
manifestato.
L'infinita
misericordia
di
Dio
ha
vinto
questo
nemico
che
ora
ai
suoi
piedi
implora
perdono
e
pietà.
Amatela,
Maria
è la
dolce
madre
nostra.
Amate
la
Chiesa
con
i
suoi
figli!
Ella
è il
manto
che
ci
copre
nell'inferno
che
si
scatena
nel
mondo.
Pregate
molto
e
allontanate
i
vizi
della
carne.
Pregate!”),
che
nessuno
può
testimoniare
sia
riuscito
a
dissuadere
il
traffico
notturno,
arrivò
–
grazie
allo
zelo
di
un
brigadiere,
che
si
era
premurato
di
sequestrarlo
-
sul
tavolo
del
commissariato
di
polizia
di
S.
Paolo;
e da
qui,
tramite
l’interessamento
di
un
redattore
de “Il
Popolo”,
il
dr.
Guido
Mari,
raggiunse
la
stampa,
che
a
sua
volta
se
ne
appropriò,
diffuse
la
notizia
e la
plasmò,
a
volte,
in
motivo
di
scontro
politico.
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