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N. 22 - Ottobre 2009 (LIII)

LA ‘VERGINE DELLA RIVELAZIONE’ E LE ELEZIONI DEL 1948

TRA VEGGENTI E VOTANTI
di Cristiano Zepponi

 

La storia che mi accingo a raccontare ha, tra le tante, una caratteristica ineguagliabile: è fondamentalmente priva di una documentazione degna di questo nome. Nel corso degli anni, infatti, l’interesse per la grotta delle Tre Fontane è andato costantemente scemando, nonostante l’afflusso di fedeli: la storia locale – svolta la contabilità della fatica e del guadagno – ha decretato la ritirata dall’argomento in questione, lasciandolo in pasto ad opuscoletti, pamphlet e libretti d’ispirazione religiosa (con i risultati, celebrativi e banali, che si possono immaginare), mentre la sociologia marxista l’ha rispolverato ogni tanto, quanto basta per dimostrare la credulità, la superstizione e la faciloneria dei protagonisti, senza spendere una parola sul caso specifico, riconducendolo ad immutabili assiomi gramsciani ed insieme squadrando il fiume d’individui che dall’epoca visita la grotta, mentre perdura il silenzio delle gerarchie cattoliche in materia, col sopracciglio levato che si riserva alle inconsapevoli comparse d’una religiosità primordiale.


A parer nostro, avrebbe meritato miglior trattamento di quello che ora proveremo a riservargli, rinchiudendo in un cassetto le nostre convinzioni religiose, e concentrandoci invece sulle reazioni della stampa.

Ciò non toglie che quella della Vergine della Rivelazione sia indubbiamente una storia strampalata, e non sarò io a negarlo. Il protagonista è un anti-eroe di dubbio gusto, la scenografia è squallida e desolata, l’avvistamento incerto, la testimonianza è individuale e il testimone inattendibile: meglio metterlo in chiaro fin dall’inizio. In più, il confine del profano e del degrado è varcato in forze; ancora, non sarò io ad imbellettarla graziosamente, a tracciare una traiettoria edificante proiettata dai sampietrini romani alle vette della santità.

Tuttavia, le circostanze dell’avvenimento ed il contesto socio/politico gli conferiscono un titolo di nobiltà, un’unicità stuzzicante che lo rende appetibile ai nostri occhi.


L’avvistamento della Madonna da parte di un modesto fattorino dell’ATAC dalla storia di vita problematica, con nebulosi precedenti politici orientati a sinistra e altrettanto confuse tendenze protestanti, anti-clericali e specialmente anti-mariane racconta molto, dell’Italia – e della Roma – di quegli anni, specie sfogliando i giornali di quei tempi concitati.


Basti la data: la mariofanìa risale al 12 aprile 1947. E’ contemporanea dunque all’intensificazione dell’interesse americano verso le questioni italiane, di poco precedente la rottura dell’alleanza antifascista e l’eccidio di Portella delle Ginestre, di poco successiva all’elaborazione della teoria del ‘contenimento’, con un anno preciso d’anticipo sulle elezioni più importanti del dopoguerra.


Capita dunque a cavallo di giorni, e mesi cruciali per lo Stato italiano; ma anche per la Chiesa, impegnata in un convinto recupero della pietà mariana, in una fervente mobilitazione delle sue schiere, dei suoi referenti politici, dei suoi giornali.

E’ forse per questo motivo se una vicenda del genere - che, soprattutto in assenza di un intervento ecclesiastico, sarebbe stata in altri tempi relegata nelle cronache locali – riuscì a sopravvivere alla marea di Madonne lacrimanti, Madonne sanguinanti, Madonne sfavillanti apparse nello stesso periodo a bambini, adulti, vecchi, da un capo all’altro della penisola, e puntualmente placatesi una volta accertato il vittorioso esito delle elezioni.


Ora, la domanda che ci si pone è semplice. Approfittando della coincidenza cronologica, possiamo supporre che anche il caso dell’apparizione alle Tre Fontane, senza dubbio un ‘frammento’ di storia, abbia riprodotto – in piccola scala – quella bipolarizzazione, quella ripartizione in blocchi che caratterizza le elezioni del 1948? E’ possibile che abbia giocato un suo ruolo nello scontro politico in atto, abbia ingenerato cautele e fanatismi, costituito una minuscola boa intorno alla quale prendere posizione? Divenne insomma, da avvenimento religioso, oggetto e strumento di lotta politica?


Tutto questo ci apprestiamo ad analizzare, scorrendo i principali quotidiani dell’epoca, ed oltre a questi le testate minori e le riviste; non prima, però, di aver brevemente accennato alla vicenda in questione, ed alla vita dell’uomo che denunciò l’apparizione.

Cenni sul veggente

Per conoscere il protagonista, Bruno Cornacchiola, dobbiamo affidarci ai suoi racconti: premesso, naturalmente, che si voglia accettare questo primo, e preliminare atto di fede.


Sappiamo di lui che nacque il 9 maggio 1913 sulla Cassia vecchia, in una stalla secondo qualcuno, di sicuro – al pari degli altri due fratelli e delle due sorelle - in condizioni di grande disagio; il padre, uscito di galera subito dopo la nascita del figlio, si presentò ubriaco al battesimo e, alla domanda del sacerdote, rispose che intendeva chiamarlo “Giordano Bruno, come quello che avete ammazzato voi a Campo dè Fiori”, prima di ripiegare controvoglia su un innocuo Bruno.


Naturalmente non sappiamo se, proiettando sul suo passato l’ombra del destino (la grotta, l’anticlericalismo), si volesse motivare i successivi atteggiamenti; ma tant’è, dobbiamo accontentarci delle notizie a nostra disposizione, e rilevare che con un inizio del genere, il resto non poteva essere da meno.


Il ragazzo crebbe, analfabeta come i genitori, scalzo e malvestito; a quanto pare dormiva spesso fuori casa, fin dalla tenera età, per sfuggire le ire del padre: spesso sulle scale della Basilica di S. Giovanni in Laterano, dove una mattina – intorno ai quattordici – fu avvicinato da una sconosciuta che si prese cura della sua crescita religiosa e lo spinse alla prima comunione.

Dopo una fuga di casa (ed un rapido ritorno) fu reclutato nell’esercito e mandato a Ravenna; qui – dopo gli stenti – dovette trovarsi tutto sommato bene, se al termine del servizio militare potè sposarsi con Iolanda Lo Gatto (il 7 marzo 1936) e poi arruolarsi come radiotelegrafista volontario nell’esercito italiano impiegato in Spagna per appoggiare gli sforzi dei franchisti. A questo punto, una delle incongruenze: le ricostruzioni - specie quelle cattoliche - lo riportano come “comunista” (anche se sembra aver piuttosto avuto contatti con membri del Partito d’Azione, che comunisti non erano) ma lo arruolano dalla parte opposta del fronte spagnolo, motivando la scelta chi con la paga (Cornacchiola era un disoccupato, in effetti) chi con una ‘naturale’ tendenza al doppiogiochismo (esplicatasi nell’incarico di ‘sabotare motori e altro materiale in dotazione alle forze armate italiane’).


Alla guerra di Spagna, ed in particolare all’incontro con un protestante tedesco, risalirebbe poi l’animosità nei confronti della Chiesa cattolica e del papa che – come detto – caratterizzava già il padre: nel 1938, a Toledo, Cornacchiola disse di aver comprato un pugnale sulla cui lama incise le parole “a morte il papa”.

Dopo la guerra di Spagna tornò a Roma, si sistemò in uno scantinato al quartiere Appio e fu assunto presso l’azienda tranviaria comunale, l’ATAC; al contempo, nel 1940, prese a frequentare – nonostante l’inevitabile opposizione della moglie, cui Cornacchiola non lesinava percosse e maltrattamenti vari – “una sala della chiesa Battista in via Urbana, dove si svolgevano riunioni il sabato presiedute dal pastore Veneziano”.

Durante la guerra continuò a mantenere i contatti col Partito d’Azione, al quale era iscritto, si adoperò contro i tedeschi occupanti ed a favore degli “ebrei braccati”.


Dopo aver espletato la pratica dei nove venerdì del Sacro Cuore, che la moglie – senza successo – sperava potessero farlo recedere dai propositi protestanti, Cornacchiola passò nelle file degli “Avventisti del settimo giorno”, sostenendo il rito d’ingresso l’8 settembre 1945; e fu poi scelto come Direttore della Gioventù Missionaria Avventista per l’impegno ed il fervore dialettico.

Le ricostruzioni cattoliche, per la maggior parte, sottolineano con enfasi la fase precedente l’apparizione, tratteggiando l’immagine d’un Cornacchiola bambinesco e violento (o violento perché bambinesco?), blasfemo, sprovveduto, impulsivo, ambivalente e incontrollabile: “Non perde occasione di fare tutti i possibili dispetti ai preti, facendoli cadere sui mezzi pubblici e rubando loro la borsa”. Il tutto fino al 12 aprile del 1947, quando ricevette “dalla sua setta” l’incarico di preparare un discorso contro i dogmi mariani da tenere in Piazza della Croce Rossa, e per trovare il silenzio necessario decise di recarsi a Ostia, e di portare con sé figli - Isola, di undici anni, Carlo di sette e Gianfranco di quattro - e moglie.

La Vergine della Rivelazione

Sabato 12 aprile 1947, dunque, la famiglia Cornacchiola – tranne la signora, per motivi di salute – si diresse verso la stazione di Piramide, per prendere l’unico treno che all’epoca faceva la spola con Ostia. Intorno alle quattordici e trenta, appena arrivati alla stazione, i quattro si avvidero però che il treno era già partito e che per il successivo sarebbe stata necessaria un’attesa di un’ora circa.


Questo insieme di casualità spinse Bruno Cornacchiola a modificare l’itinerario verso la vicina abbazia delle Tre Fontane, dove, sotto il bosco di eucalyptus che la circondava, avrebbero potuto rispettare a grandi linee il programma della giornata.


Lì, dove i frati trappisti che presidiavano l’abbazia producevano l’ottimo “cioccolato di Roma” ed il liquore di eucalipto, la comitiva potè finalmente rilassarsi: i figli cominciarono a giocare a palla in una radura nei pressi di una piccola grotta, frequentata in effetti più dalle coppiette che dai frati, mentre il padre, disteso sotto un albero, provvedeva a compilare il suo intervento per l’indomani.


Fu la palla dei bambini a movimentare la giornata, rotolando verso il dirupo che conduceva alla fermata dell’autobus: nonostante Carlo e Isola provassero a ritrovarla, le ricerche si rivelarono infruttuose. Per questo intervenne il padre, portando con sé Carlo e affidando il più piccolo, Gianfranco, alle cure della sorella.

Poco dopo, però, Bruno Cornacchiola non ottenne risposta da Gianfranco, cui da sotto il dirupo si rivolse per verificare che non si fosse allontanato; e per questo, secondo il suo racconto, risalì in fretta la salita, trovando il figlioletto inginocchiato a circa due metri dall’ingresso della grotta. Bisbigliava, raccontò, le parole “Bella signora.. Bella signora.. Bella signora…”: “Ripeteva queste parole come una preghiera, un canto, una lode”, ricordò testualmente il padre.


Inizialmente il Cornacchiola pensò ad un gioco ed in questo senso si rivolse ad Isola, che raccoglieva fiori sopra la grotta: ma la ragazzina smentì. Subito dopo, però, anche gli altri due ragazzini – seguendo il racconto – caddero inginocchiati e intonarono ossessivamente il ritornello del più piccolo, impalliditi.


Cornacchiola non riuscì a scuoterli: provò con Carlo, tentò di rimetterlo in piedi, ma senza successo: “era come di piombo, come se pesasse quintali”, riferì poi.

A quel punto, smarrito, constatando l’assoluta impossibilità di ricevere aiuto da chicchessia, alzò gli occhi al cielo: “Mio Dio, salvaci Tu!”, disse. E subito, raccontò di aver visto uscire dalla grotta due mani, che sfiorarono i suoi occhi, li tersero, facendo cadere da essi come delle squame, aprendoli ad una luce accecante, avvolgente, quasi dolorosa. Quindi, cadde in uno stato di rapimento estatico: “Il mio primo impulso fu quello di parlare, di alzare un grido, ma sentendomi quasi immobilizzato nelle mie facoltà, la voce mi moriva in gola”.


Quando riprese a vedere, disse, a circa quattro metri di distanza si stagliava la figura di una giovane donna in piedi su un masso di tufo, scalza e avvolta da una luce dorata, capelli lunghi e neri, età apparente trai 18 ed i 22 anni, snella, colorito bruno chiaro, all’orientale, veste bianca cinta da una fascia rosa, manto verde dal capo ai piedi, un'espressione di benignità materna, di delicata mestizia; nella mano destra un libretto color cenere, l’indice della mano sinistra indicava vicino ai suoi piedi un drappo nero, con a lato una croce spezzata in quattro parti.


Cornacchiola riferì come la sua bellezza fosse intraducibile in termini umani, e nella grotta si fosse al contempo diffuso un delizioso profumo floreale: “Chi ha avuto l'eccezionale gioia di posare gli occhi sopra una così celestiale bellezza, non può fare altro che desiderare la morte per poter godere dì tanta beatitudine in eterno...”, raccontò poi, riecheggiando il racconto della veggente di Lourdes, Bernadette Soubirous.


La figura cominciò poi a parlare, iniziando quella che si sarebbe rivelata una lunga rivelazione di un’ora e venti, con la sua voce “così melodiosa, sembrava una musica che entrava dentro gli orecchi; la sua bellezza nemmeno si può spiegare, la luce, smagliante, qualcosa di straordinario, come se il sole fosse entrato dentro la grotta”.
L’angelica immagine cominciò a parlare e disse, secondo Cornacchiola:

“Sono colei che sono nella Trinità Divina. Sono la Vergine della Rivelazione. Tu mi perseguiti, ora basta! Entra nell‘Ovile Santo, Corte Celeste in terra. Il giuramento di un Dio è e rimane eterno ed immutabile. I nove venerdì del Sacro Cuore di Gesù che tu facesti prima di entrare nella via della menzogna, ti hanno salvato ... Il mio Corpo non marcì, né poteva marcire, Mio Figlio e gli Angeli mi vennero a prendere al momento del mio trapasso... Si preghi assai e si reciti il rosario quotidiano per la conversione dei peccatori, degli increduli e per l’unità dei cristiani. Le Ave Maria del Rosario sono frecce d’oro che raggiungono il cuore di Gesù... Con questa terra di peccato opererò potenti miracoli per la conversione degli increduli... Sono la Calamita della Trinità Amore..”.

Il messaggio proseguì per oltre un’ora; gli argomenti toccati, e riferiti dall’impiegato dell’Atac, furono diversi: tra questi, la situazione della Chiesa, metaforicamente rappresentata da una veste talare e da una croce spezzata, apparsi nella grotta e indicati dalla figura, che a sua volta avrebbe aggiunto: “Ecco, questo è il segno che la Chiesa soffrirà, sarà perseguitata, spezzata; questo è il segno che i miei figli si spoglieranno... Tu, sii forte nella fede!...”.


Ma occorreva anche dare al veggente la certezza di non trovarsi di fronte ad un’allucinazione:
“Desidero darti una sicura prova della divina realtà che stai vivendo perché tu possa escludere ogni altra motivazione del tuo incontro, compresa quella del nemico infernale, come molti ti vorranno far credere. E questo è il segno: dovrai andare per le chiese e per le vie. Per le chiese al primo sacerdote che incontrerai e per le strade a ogni sacerdote che incontrerai, tu dirai: “Padre, devo parlarle!”. Se costui ti risponderà: ‘Ave Maria, figliolo, cosa vuoi’, pregalo di fermarsi, perché è quello da me scelto. A lui manifesterai ciò che il cuore ti dirà e ubbidiscilo; ti indicherà infatti un altro sacerdote con queste parole: ‘Quello fa per il caso tuo’” .

Lo esortò poi ad essere “prudente, ché la scienza rinnegherà Dio” , quindi gli affidò un messaggio segreto da consegnare personalmente alla “Santità del Padre, supremo pastore della cristianità”, accompagnato però da un altro sacerdote (che a sua volta si sarebbe rivelato pronunciando le parole “Bruno, io mi sento legato a te”).


“Poi la Madonna”, continuò Cornacchiola, “mi parla di ciò che sta avvenendo nel mondo, di quello che succederà nell'avvenire, come va la Chiesa , come va la fede e che gli uomini non crederanno più... Tante cose che si stanno avverando adesso... Ma molte cose si dovranno avverare...”, confortandolo in anticipo per le amarezze cui sarebbe andato incontro raccontando l’apparizione: “Alcuni a cui tu narrerai questa visione non ti crederanno, ma non lasciarti deprimere” .

Alla fine dell’apparizione sparì attraverso una parete posteriore della grotta, consentendo ai quattro (che nel frattempo erano finiti tutti in ginocchio) di riappacificarsi con la realtà: i figli, però, dissero di non aver sentito nulla, nonostante avessero visto muoversi le labbra della giovane. Insieme a loro, comunque, ripulì la grotta – che come detto era fin’allora dedita a tutt’altri scopi – e affisse un cartello che spiegava per sommi capi l’accaduto: “In questa grotta, il 12 aprile 1947, la Vergine del la Rivelazione è apparsa al protestante Bruno Cornacchiola e ai suoi figli”.


Riguardo l’evidente simbolismo della grotta, Annabella Rossi ha scritto che “Così anche in una cultura urbana la Madonna seguita ad apparire, ancora oggi, nelle grotte; come è avvenuto a Roma nel 1947, quando un tranviere ebbe un’apparizione, mai accettata e mai completamente rifiutata dalla Chiesa, in una grotta che si trova alla periferia della città. Evidentemente anche tale apparizione era condizionata dall’idea stereotipa fornita dalle leggende cultuali, per cui colui che ritiene di assistere ad una apparizione mariana, la deve collocare, inevitabilmente, nell’ambiente previsto dalla tradizione”.

Cornacchiola, comunque, trascrisse il messaggio la sera stessa in casa sua, senza sforzarsi di ricordare un messaggio che pure si caratterizzava per la sua prolissità perché, ebbe a dire, le parole correvano ordinatamente nella sua mente come incise su un nastro; e chiese perdono alla moglie, per le violenze e i tradimenti (prolungatisi fino alla notte precedente, come ammesso dal Cornacchiola stesso trascorsa in femminile compagnia).

Nei giorni seguenti si premurò di verificare l’esattezza delle indicazioni mariane; ma per un po’ nessun sacerdote rispose nel modo prescritto, esasperandolo al punto da minacciare la moglie: “Se non incontro il sacerdote, se io ritorno e mi vedi con il pugnale in mano, stai pure sicura che muori tu, i bambini e poi mi uccido, perché non ne posso più, non posso più vivere così”.


Poi, però, Cornacchiola raccontò che il 28 aprile, nella chiesa d’Ognissanti, ne afferrò uno per la manica della cotta e si sentì dire proprio la formula richiesta: “Ave Maria, figliolo, cosa vuoi?”. A lui, che si chiamava Albino Frosi, il tranviere si affrettò a spiegare la sua vicenda; e, come annunciato, fu da questi condotto da un confratello orionino, don Gilberto Carniel, che ne accompagnò l’abiura e l’ingresso nella comunità cattolica: la nuova professione di fede avvenne il 7 maggio; il 18 maggio, sempre nella chiesa d’Ognissanti, Gianfranco ricevette il Battesimo ed Isola la Cresima.
Il protestante s’era convertito, per l’ennesima volta in vita sua.

Gli interrogatori

Cornacchiola raccontò anche d’altri incontri con quella che sarebbe divenuta nota come la “Vergine della Rivelazione”: il giorno prima dell’abiura, poi il 23 maggio - quando era salito alla grotta col sacerdote orionino don Mario Sfoggia -, infine il 30 maggio alle 10 di sera, sempre nella grotta, quando la Vergine gli disse: “Và dalle mie dilette figlie le Maestre Pie Filippini e dì loro che preghino molto per gli increduli e l’incredulità del rione”; un aneddoto che, secondo alcuni, dovrebbe suffragare la versione di Cornacchiola, il quale precisò di esser venuto solo allora a conoscenza – successivamente suffragata dalle indicazioni di una passante - del convento delle religiose di S. Lucia Filippini.


In seguito, per Cornacchiola cominciarono le audizioni: in primis del commissario di polizia di zona, interessato alla gestione dell’ordine pubblico turbato dalle processioni di fedeli, che dopo aver ammonito il tranviere riguardo le conseguenze di una testimonianza menzognera acconsentì ad inviare sul posto due uomini per il servizio di guardia (“Comunico che Cornacchiola Bruno di Antonio ha confermato visione Santissima Vergine ripetutasi il 12 aprile, 6 et 23 maggio. Ha dichiarato inoltre di non aver organizzato pellegrinaggi a grotta Tre Fontane ove sarebbe manifestatosi fenomeno”); e poi delle autorità ecclesiastiche.


Non mancarono, in questo senso, scene paradossali, specie quando davanti ai vicari si presentò il piccolo Gianfranco:
“Quando è avvenuta l'apparizione alle Tre Fontane, a Roma si è prodotto subito un certo movimento e allora noi - adesso non so, non ricordo se noi abbiamo avuto l'iniziativa oppure il Santo Uffizio ce l'ha indicato - abbiamo chiamato Bruno Cornacchiola che venisse in vicariato a parlare con noi, a parlarci di questo fatto di cui ormai i giornali e la gente parlavano. E così abbiamo incontrato Bruno e i suoi figli per me personalmente, devo distinguere le testimonianze di Bruno da quella di Gianfranco (il piccolo di quattro anni). Bruno ha raccontato un po' tutta la storia, che indubbiamente era molto interessante, molto accattivante, soprattutto per il contrasto tra il prima e il dopo, il Bruno Cornacchiola prima dell'apparizione e dopo l'apparizione. Però tutto questo poteva essere una favola. Quando abbiamo incominciato a interrogare i bambini, ripeto, non ricordo tanto quello che gli altri hanno detto ma quello che il bambino più piccolo, di quattro anni, diceva. Intanto era un problema grosso l'interrogarlo. Premetto che noi eravamo tre: mons. Mattioli che era il giudice, io promotore di giustizia, giustamente detto l'avvocato del diavolo, e poi il cancelliere. Ma l'interrogatorio di un bambino di quattro anni nelle forme richieste non si può fare. E questo bambino infatti non ci stava: correva qua e là. La cosa più ridicola era che mons. Mattioli, il giudice, un uomo ormai di una certa età, mio superiore, gli correva appresso con le caramelle e così, dandogli le caramelle, quando lui si fermava a prenderle per mangiarle, gli faceva qualche domanda”, ricordò mons. Giaquinta, uno dei tre principali incaricati dell'interrogatorio.

Un avvistamento a Roma, capitale d’Italia e della cristianità, ma al contempo periferico, in un contesto di degrado ecologico e morale, non poteva che rivelarsi nel contrasto tra la genuina romanità del piccolo e l’ampollosa serietà dei tre inquisitori, espressa alla perfezione dal racconto di mons. Cecchi: “Io facevo il cancelliere, quindi dovevo scrivere tutto quello che veniva detto dalle persone che venivano interrogate. Il presidente del tribunale Mattioli dettava e io quindi scrivevo soltanto tutto quello che veniva appunto detto nell'interrogazione. E fu interrogato Bruno Cornacchiola, nessuno ricorda quante volte, ma certamente più di una volta, perché si volevano tutti i particolari del caso e poi si era giunti a interrogare i bambini, e interrogare i bambini era un po' un problemaccio, perché farli stare fermi, farli rispondere a tono alle domande che si facevano, cercare di far capire quello che noi volevamo sapere, qualche volta rispondevano un po' così, a vanvera. Insomma: allora si insisteva fino a che i bambini fossero più precisi nel riferire quanto avevano visto. C'era il bambino Gianfranco: ‘Di' un po': ma com'era quella statua là?’. Dice: ‘Ma, no, macché! Era de ciccia!’” (di carne, in romanesco).

Il culto popolare

A partire dalla fine di maggio, man mano che la notizia si diffuse e nonostante il silenzio della Chiesa “ufficiale”, cominciò il pellegrinaggio nel luogo dell’apparizione: il 3 giugno fu posta nella grotta una prima piccola statua in gesso della Madonna, a sostituire un’eterogenea collezione di santi precedentemente collocati, seguita in breve da fiori e candele e sostituita in luglio da una più grande, “offerta dal personale civile dell’Ospedale Militare del Celio”, a sua volta rimossa il 5 ottobre, quando vi fu collocata quella definitiva; inoltre si registrarono i primi episodi di intolleranza, come quando un frate domenicano che aveva invitato i presenti alla cautela, ricordando che “la Chiesa non aveva detta la sua parola a conferma dell’Apparizione”, fu difeso a fatica dall’agente di servizio, e come accaduto ad una giovane protestante che “inopportunamente credette accennare alle sue idee circa la Verginità di Maria”.


Dalla fine di giugno si cominciò a diffondere l’appellativo di “Vergine della Rivelazione”. Contemporaneamente decollarono le pubblicazioni sull’argomento (“Dagli Agenti di P.S. in servizio di vigilanza presso la Grotta è stato proceduto - d’intesa con i Frati Trappisti del Convento omonimo - al sequestro di 500 copie di uno stampato illustrato, inneggiante alla “Vergine della Rivelazione”, che veniva venduto, al prezzo di lire 10 alla copia, da alcune donne, senza alcuna autorizzazione”), l’afflusso di malati e le testimonianze di guarigioni e miracoli avvenuti nella grotta o per tramite di suoi frammenti (terra o schegge di roccia), al punto da costringere l'azienda tranviaria di Roma ad aumentare il numero delle corse in direzione del luogo delle apparizioni, per la richiesta massiccia; la grotta si riempì di fotografie, soprattutto di militari dispersi nel corso della guerra, ed al contempo si moltiplicarono gli avvistamenti mariani, riportati dai rapporti di polizia: “Stamane, verso le sette e trenta, circa un centinaio di persone, mentre sostavano presso la nota ‘Grotta dell’Apparizione’, hanno visto apparire, sulla parte soprastante ad essa, la Vergine, ricoperta di un manto azzurro. Le suddette persone hanno asserito che l’apparizione è durata circa 10 minuti e che la Vergine ha indicato con un dito il sole, nella cui direzione è scomparsa e poi brevemente riapparsa”.


In agosto sorse presso gli stessi locali del monastero cistercense, promosso dalla locale Associazione cattolica, il Comitato fra laici e cattolici pro Grotta delle Tre Fontane, creato per “compiere accertamenti sulle infermità di coloro che affermano di aver ottenuto la grazia, soccorrere gli infermi che si recano a visitare la Grotta, indire cerimonie e festeggiamenti in onore della Vergine della Rivelazione”: e per sua iniziativa s’avviò poi, a partire da settembre, la pubblicazione del bollettino ‘La Voce delle Tre Fontane’, foglio di notizie che per evitare contrasti con il Vicariato si definiva mensile di storia, archeologia, arte, cronologia locale; dal settembre 1947 fu poi organizzata la Via Crucis, predicata quasi sempre da laici, tra i quadri raffiguranti le varie stazioni appesi agli eucaliptus, ai lati dei sentieri scavati per l’afflusso del pubblico.

 

Il primo febbraio 1948 s’iniziò poi la pratica del “Rosario Perpetuo”, recitato a turno dai credenti anche nelle più tarde ore della sera : un’intera “cristianità del disagio”, lontana dalle adunate oceaniche ed alle prove di forza delle milizie cattoliche, si coagulò dunque intorno al luogo dell’apparizione, a malapena tollerata dalle autorità religiose, frammista a membri del patriziato romano, suore e singole personalità ecclesiastiche.

L’assalto alla grotta – nonostante l’intervento di Pio XII che alcuni mesi dopo, durante il discorso ai parroci romani e ai predicatori quaresimali del 10 marzo 1948, parlò di “visioni di meravigliosa grandezza, della confidenza e dell’amore che conduce le anime alla purissima e Immacolata Vergine Maria”, e nonostante si dicesse che lo stesso papa avesse provveduto, il 5 ottobre 1947, alla benedizione della statua raffigurante la ‘Vergine della Rivelazione’ trasportata insieme a decine di migliaia di fedeli da piazza san Pietro fino alla grotta delle Tre Fontane - rimase a malapena tollerato dalle autorità ecclesiastiche, ansiose di censurare la fame di meraviglioso rivelata dal successo di pubblico.


E che questo fenomeno non fosse comunque gradito dalle gerarchie, timorose di veder sbocciare devozioni irrazionali e incontrollabili, è dimostrato dall’intervento del parroco del Buon Pastore alla Montagnola, che – oltre a misurare l’afflusso di fedeli ed a depurare diligentemente la grotta da suore, religiosi, sacerdoti e finanche fiori deposti, affinché non si creassero illusioni al riguardo - decise di apporre un cartello all’ingresso della grotta per invitare i fedeli all’attesa del responso: “di prestare fede, si consigliano i fedeli ad attendere il parere delle Autorità Ecclesiastiche”.

Comunque sia, da quando – all’indomani dell’apparizione - Cornacchiola lasciò un avvertimento all’ingresso della grotta che era tornata ad ospitare gli incontri delle coppiette del quartiere, per nulla intimorite (o forse incuriosite) dal clamore che andava scatenandosi intorno al luogo dell’apparizione, cominciò l’iter che avrebbe portato un modesto fenomeno locale a giocare il suo ruolo nel concitato clima di quell’anno agitato.


Ciò accadde quando l’avvertimento (“Non profanate questa grotta con il peccato impuro! Chi fu creatura infelice nel mondo del peccato, rovesci le sue pene ai piedi della Vergine della Rivelazione, confessi i suoi peccati e beva a questa fonte di misericordia. È Maria la dolce madre di tutti i peccatori. Ecco che cosa ha fatto per me peccatore. Militante nelle file di Satana nella setta protestante avventista, ero nemico della Chiesa e della Vergine. Qui il 12 aprile a me e ai miei bambini è apparsa la Vergine della Rivelazione, dicendomi di rientrare nella Chiesa cattolica, apostolica, romana, con segni e rivelazioni che lei stessa mi ha manifestato. L'infinita misericordia di Dio ha vinto questo nemico che ora ai suoi piedi implora perdono e pietà. Amatela, Maria è la dolce madre nostra. Amate la Chiesa con i suoi figli! Ella è il manto che ci copre nell'inferno che si scatena nel mondo. Pregate molto e allontanate i vizi della carne. Pregate!”), che nessuno può testimoniare sia riuscito a dissuadere il traffico notturno, arrivò – grazie allo zelo di un brigadiere, che si era premurato di sequestrarlo - sul tavolo del commissariato di polizia di S. Paolo; e da qui, tramite l’interessamento di un redattore de “Il Popolo”, il dr. Guido Mari, raggiunse la stampa, che a sua volta se ne appropriò, diffuse la notizia e la plasmò, a volte, in motivo di scontro politico.


 

 

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