N. 22 - Marzo 2007
VENTOTENE
L'antica Pandataria
di
Matteo Liberti
Storia e Bellezza.
è difficile capire, per chi non vi abbia mai messo piede, come
un luogo così piccolo possa racchiudere così tanto
dell’una e dell’altra. Pandotéira, colei
che dona più di ogni cosa: questo il nome che le
diedero i Greci, latinizzato poi dai Romani in
Pandataria.
Siamo nel cuore del Mar Tirreno, su
un’isola dell’Arcipelago Pontino che è meta
vacanziera, ma che non si è mai arresa alle regole
invasive del turismo di massa e della mondanità.
Siamo in un piccolo paradiso di tufo che
porta addosso i segni di epoche lontane e recenti,
un angolo di Mediterraneo privo di discoteche e
villaggi turistici, laddove un giorno Altiero
Spinelli immaginò l’Europa unita, dove Nanni Moretti
fece iniziare La messa è finita, e dove Paolo
Virzì ambientò Ferie d’agosto. Una terra
appartata, austera e gentile, che sa far innamorare
con semplicità chiunque vi si approcci.
Iniziò tutto oltre un milione di anni
fa, quando una serie di eruzioni vulcaniche
sputarono fuori dal mare l’odierna isola di
Ventotene con il piccolo isolotto di Santo Stefano.
L’uomo arrivò su questi lidi tra il XVI e il XVII
secolo a.C., in piena Età del bronzo. A dispetto
delle misure assai ridotte - nel punto più lungo non
raggiunge i tre chilometri e in quello più largo gli
800 metri - la sua colonizzazione fu un processo
costante, toccando l’apice in epoca romana.
La principale memoria architettonica
di questo periodo si mostra al visitatore già prima
dello sbarco sull’isola. Avvicinandosi al porto si
stagliano infatti sulla destra, sopra il suggestivo
promontorio di Punta Eolo, i resti di quella che è
nota come Villa Giulia, una residenza fatta
costruire dall’imperatore Augusto per ospitare la
figlia (che vi trascorse un lungo periodo di
esilio). Subito oltre il molo nuovo, ecco invece che
appare, immutato, l’antico Porto Romano, un
capolavoro di ingegneria completamente ricavato dal
tufo, dove anche le bitte per l’attracco delle
barche sono scavate nella roccia. Da qui, già
catapultati in una dimensione fuori dal tempo,
attraverso le caratteristiche “rampe” di epoca
borbonica si può accedere al paese.
Pandataria, dopo essere passata sotto
il dominio romano nel IV secolo a.C., fu per un
lungo periodo dimenticata, anche a causa della
valorizzazione della vicina Ponza. Tornò in auge nel
I secolo a.C., quando fu designata da Augusto quale
terra di confino per gli esponenti più
“indisciplinati” della famiglia imperiale. A
decretarne la nuova funzione ci pensò la Lex
Julia de adulteries, promulgata nel 18 a.C. Fu
così che molte donne si ritrovarono relegate nella
villa di Punta Eolo, da Agrippina Maggiore a
Ottavia, da Flavia Domitilla alla stessa Giulia, la
libertina figlia dell’imperatore. Un luogo
d’esilio particolarmente accogliente: la sola Giulia
aveva a disposizione piscine, servitù e addirittura
un teatro personale.
In epoca medievale Pandataria, il cui
nome era nel frattempo mutato in Pantatera e
poi in Ventatere, passando per Bentilem
(appellativo utilizzato dai pirati arabi), conobbe
un nuovo declino. Solo con l’arrivo dei Borboni si
crearono i presupposti per un secondo processo di
urbanizzazione dell’isola: il borgo attorno al Porto
Romano, la chiesa di Santa Candida, le rampe che
salgono dal porto verso piazza della Chiesa, il
maestoso carcere di Santo Stefano, sono tra i più
importanti lasciti di età borbonica presenti a
Ventotene (il cui attuale nome, dopo molte altre
mutazioni, si affermò solo nel XX secolo).
Di particolare importanza
architettonica è proprio la prigione, fatta
costruire dal re di Napoli Ferdinando IV. L’incarico
di progettare quest’ergastolo modello venne
dato all'architetto Francesco Carpi, e i lavori
furono ultimati il 26 settembre del 1795. Quel che
ne risultò fu un'imponente costruzione a struttura
circolare, con dei padiglioni quadrati alle
estremità e un cortile interno. Al centro vi era un
piccolo posto di guardia dal quale si poteva
osservare l'interno delle singole celle (secondo il
principio del
panopticon, "visione del tutto”),
disposte su tre piani.
Nel corso degli anni l'isola di Santo
Stefano vide la presenza di molti condannati
illustri, dall'anarchico Gaetano Bresci, attentatore
del re Umberto I, a Sandro Pertini, insieme a
moltissimi altri antifascisti. Tra questi vi fu
anche Altiero Spinelli, che il destino legò per
sempre al nome di Ventotene. Durante il suo confino,
Spinelli (proveniente dal Partito Comunista) elaborò
infatti, assieme a Ernesto Rossi, il cosiddetto
Manifesto di Ventotene, una fondamentale opera
per tutto il Movimento federalista europeo,
teoria d’una forma politica nuova, estranea ai
limiti degli Stati nazionali e delle ideologie.
Tornati sull’isola maggiore, la si
ritrova con la sua caratteristica vegetazione ricca
di acacie, agavi, fichi d'India e mirto. Flora
tipicamente mediterranea che fa da cornice alle
varie cale e calette disposte lungo la circonferenza
irregolare di Ventotene, che in poco spazio offre
un’ampia possibilità di scelta per chi vuole godere
del mare. Dagli scogli alla sabbia fine, le
opportunità non mancano, e farne un elenco completo
risulterebbe un’operazione sterile. Avviciniamoci,
dunque, solo ad alcune. Vicino al porto c’è la
spiaggia di Cala Rossano, dalla sabbia scura e
caratterizzata da un fondale molto basso. Oltre
questa appaiono le già citate rocce di Punta Eolo,
che si offrono come piattaforme naturali per i
tuffi.
Proseguendo invece attraverso il
Porto Romano, costeggiando le numerose grotte
scavate nel tufo (un tempo utilizzate dai pescatori
come magazzini per le reti), si può raggiungere la
zona del Faro, fronteggiante l’isola di Santo
Stefano e, a seguire, la splendida spiaggia di Cala
Nave. È questo, per molti, il posto più bello
dell’isola. La cala è contraddistinta dalla presenza
di un grande scoglio e un piccolo isolotto al centro
del suo bacino (lo Scoglitiello e la Nave
di fuori) e da un alto faraglione alla sua
sinistra (la Nave di dentro). Da qui,
proseguendo attraverso una piccola piana di tufo, si
può raggiungere un altro luogo ricco di fascino: si
tratta dei resti dell'antica peschiera romana (una
serie di vasche marine scavate nella roccia, che
garantivano il costante approvvigionamento di pesce
fresco agli abitanti dell'isola), tra i quali spicca
il Murenaio. In questo quadrilatero si può fare il
bagno come in una sorta di piscina archeologica,
godendo dell’assoluta trasparenza dell’acqua per
osservare quel che resta dell’ingegno architettonico
dei Romani.
La maggior parte delle spiagge si
raggiunge facilmente
a piedi, ma affittando una barca (se il mare è “in
buona” basta una canoa) ci si può spingere verso le
cale più nascoste. Per chi volesse passeggiare, si
segnalano la piccola insenatura di
Cala Battaglia (baia rocciosa e
apparentemente “inospitale”, ma forse tra le
suggestive),
la baia Moggio di Terra, disseminata
di ciottoli neri, e la splendida Parata
Grande, piccolo gioiello cui si accede da una
lunga e panoramica scalinata. È da qui che si godono
i tramonti migliori.
Di fronte a ognuno di questi luoghi,
un mare cristallino, dai fondali ricchi di varie
specie marine e di vecchi relitti. Un piccolo
paradiso dei sub, per dirla con frase fatta,
nonché meta prediletta da molti velisti. Tra le
tradizioni legate all’isola di Ventotene, ce ne sono
un paio che vale la pena segnalare. La prima è la
festa di Santa Candida (patrona dell'isola), che
cade il 20 di settembre e culmina nel caratteristico
lancio del Pallone, una mongolfiera costruita
ad hoc.
L'altra, sicuramente meno nota, è
quella delle dediche. Si possono infatti
trovare facilmente, sui muretti del Belvedere sopra
Cala Nave, oppure sulle banchine attorno al porto,
mischiate tra un ti amo e altre frasi di
circostanza, decine di dediche di amore all'isola…
Come fosse una bella donna, come fosse viva,
Ventotene sembra infatti capace di attrarre e far
innamorare chiunque la visiti. Il segno di questo
sentimento, oltre che nella memoria personale, si
trova sovente inciso sui suoi stessi muri. |