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N. 104 - Agosto 2016 (CXXXV)

suL POPOLO DEI Veneti
la regio X augustea Venetia et Histria

di Paola Scollo

 

Le origini del popolo dei Veneti appaiono strettamente intrecciate con alcuni episodi della saga troiana e, più precisamente, con la serie dei cosiddetti nóstoi, i viaggi di ritorno degli eroi Achei reduci dalla guerra di Troia e le peregrinazioni dei sopravvissuti eroi Troiani.

 

Testimonianze riguardanti civiltà paleovenete percorrono sia la letteratura greca sia quella latina sin da Omero. Nel II libro dell’Iliade, per esempio, leggiamo (851 - 855): «Pilemene, cuore di eroe, conduceva i Paflagoni/ di tra gli Eneti, dond’è la stirpe delle mule selvagge,/ quelli che avevano Cìtoro e stavano intorno a Sèsamo,/ e intorno al fiume Partenio abitavano nobili case,/ e Cromna, Egialo e l’eccelsa Eritini».

 

L’analisi di questi versi consente di sviluppare riflessioni interessanti. In primo luogo il termine Eneti, νετοί, potrebbe essere ricondotto, secondo recenti studi linguistici, alla matrice indoeuropea *wen/*wen-h, quindi alla sfera semantica del desiderio nelle sue molteplici declinazioni di amore, conquista e vittoria, di cui peraltro in latino è custodita traccia sia nel sostantivo Venus, -eris sia nel verbo veneror, -ari. Sul filo di questo ragionamento, i Veneti (i.e. *wenetoi) sarebbero uomini degni di lode, amabili e amati, forse anche in considerazione della loro natura pacifica, ospitale e, più in generale, aperta.

 

Un ulteriore spunto degno di considerazione, che si ricava dalla lettura dei versi di Omero, è quello relativo alla presunta partecipazione degli Eneti alla guerra di Troia sotto la guida di Pilemene. Così poi Sofocle in Strabone (XIII 1. 539).

 

Questa testimonianza, che sembrerebbe confermare l’origine microasiatica del popolo veneto, riceve conferme anche da fonti storiografiche romane. Tito Livio nell’Ab Urbe Condita (I 1-3) narra che, dopo la presa di Troia, i Greci infierirono sui sopravvissuti Troiani, a eccezione di Enea e di Antenore, sia per antichi vincoli di ospitalità sia perché fautori della pace e della restituzione di Elena.

 

Successivamente gli Eneti, privati della loro guida Pilemene e allontanati dalla Paflagonia a causa di una rivoluzione, si rivolsero ad Antenore affinché li conducesse sulle coste occidentali del Mar Adriatico settentrionale, intimum maris Adratici sinum. Una volta respinta sui monti la popolazione locale degli Euganei, gli Eneti e i Troiani si stabilirono lungo la pianura. Per Livio, pertanto, non esisterebbero dubbi sull’origine degli Eneti dalla Paflagonia, regione costiera dell’Anatolia centro-settentrionale bagnata dal Mar Nero a nord e circondata dalla Bitinia a ovest, dal Ponto a est e dalla Galazia a sud.

 

È bene ricordare, a tal proposito, che Antenore viene ricordato anche da Virgilio quale fondatore della città di Padova (Aen. I 241-249): «Antenore poté, sfuggito agli Achivi,/ penetrare sicuro nei golfi illirici e nei più interni/ regni dei Liburni, e oltrepassare la fonte del Timavo/ di dove per nove bocche con vasto fragore fluisce/ una dirotta marea, e allaga i campi con flutto scrosciante./ Qui tuttavia fondò la città di Padova, e le sedi/ dei Teucri, e diede nome alla gente e appese le armi/ troiane, e ora riposa composto in tranquilla pace». Ed è interessante notare come l’autore latino instauri qui un’analogia tra le città di Padova e di Roma, fondate dagli eroi troiani Antenore ed Enea, soggetti però a sorte differente.

 

Anche Catone, stando alle parole di Plinio, considera i Veneti di stirpe troiana (Naturalis Historia III 130). Di contro, nelle Storie Erodoto colloca gli νετοί nei territori dell’odierna penisola balcanica, in quanto tribù di ceppo illirico (I 196. 1 e V 9. 3).

 

Tacito pone i Veneti in Europa centrale, lungo il corso del fiume Vistola al confine con i Bastarni, i Finni e i Sarmati. Così Claudio Tolomeo che, peraltro, definisce Venedicus sinus il golfo di Danzica. Pomponio Mela considera Venetus lacus il lago di Costanza. Cesare afferma poi di aver sottomesso i cosiddetti Veneti dell’Armorica, l’odierna Bretagna, popolazione della Gallia esperta nell’arte nautica. Successivamente, Strabone dichiara di conoscere i cosiddetti Veneti dell’Armorica. Di conseguenza, anche per lui i Veneti avrebbero origini celtiche.

 

Nonostante le fonti spesso divergano, oggi si tende ad accogliere la teoria dell’originaria provenienza orientale dei Veneti. Ancora aperta è, in ogni caso, la questione di un’eventuale appartenenza di quella regione ad area di cultura greca.

 

Per lungo tempo, infatti, ha dominato la tesi, confermata anche dalle parole di Erodoto, della filiazione illirica dei Veneti. In tal senso, l’antico popolo veneto avrebbe rappresentato la componente più occidentale di quelle popolazioni di matrice indoeuropea. Tuttavia, recenti ricerche linguistiche hanno indotto a escludere tale filiazione, ponendo dapprima la lingua venetica all’interno delle lingue italiche osco-umbre e, in un secondo momento, all’interno della famiglia latino-falisca, di cui fa parte anche il latino.

 

Ma la possibilità di individuare una comune origine protostorica tra Veneti e Latini è un’idea che non va rigettata a priori. Va da sé che il legame dei Veneti con l’Antica Grecia, soprattutto con la città di Troia, non deve essere ricercato attraverso il mito di Antenore.

 

È preferibile, piuttosto, immaginare che una sorta di commistione veneto-latina abbia avuto origine in un’area dell’Europa centrale, forse entro i confini dell’odierna Germania, ponendosi quale continuum della componente indoeuropea presente in Europa centro-orientale fin dagli inizi del II millennio a.C.

 

Con ogni probabilità, nel corso del II millennio a.C., queste popolazioni si spostarono a più ondate verso occidente, spingendosi in parte a nord delle Alpi sino alla Bretagna, in parte sino alle coste dell’Adriatico, dando successivamente origine al popolo paleoveneto, a nord del Golfo di Venezia. I primi stanziamenti dei Veneti coprivano la zona che si estende tra il lago di Garda e i Colli Euganei. In particolare, a nord il territorio procedeva lungo il lago di Garda e i fiumi Adige, Brenta e Piave fino alle Alpi; a sud seguiva il corso del fiume Tartaro per poi giungere, attraverso il Po, ad Adria; a est seguiva il Tagliamento, oltre il quale sorgevano insediamenti di popolazioni di origine illirica; a ovest, infine, correva lungo il lago di Garda.

 

La storia del popolo veneto può essere riassunta in due periodi: quello antico, dalle origini fino al V secolo a.C., segnato da una spiccata originalità culturale e da rapporti con la civiltà villanoviana, con la Grecia, con l’Oriente e con gli Etruschi; quello più recente, che giunge sino al I secolo d.C., marcato da un’intensificazione dei rapporti con l’occidente, ossia con Galli, Galli Cenomani, Boi, Carni e popolazioni illiriche.

 

Di particolare rilevanza fu in questa ultima fase l’influsso culturale celtico, destinato a divenire sempre più dominante. Ma senza dubbio ancor più decisivo si configurò l’incontro con la civiltà romana, da cui la cultura veneta venne interamente assimilata in epoca tardo-repubblicana.

 

I Veneti intrattennero ottime relazioni con i Romani, forse anche in ragione della presunta comune origine troiana. Indubbiamente tali credenze servirono a incentivare, quindi a corroborare, il legame tra i due popoli. Narra Polibio (Storie II 18. 2-3) che, all’epoca dell’occupazione di Roma da parte dei Galli Senoni di Brenno agli inizi del IV secolo a.C., i Veneti offrirono il loro appoggio ai Romani, costringendo gli invasori a ripiegare verso nord. In seguito, i Romani avviarono relazioni diplomatiche con i Veneti.

 

Illuminanti in tal senso, ancora una volta, le parole di Polibio (Storie II 23. 2-3 e II 24. 7-8), secondo cui nel 225 a.C. i Romani inviarono ambasciatori presso i Veneti e i Galli Cenomani al fine di stringere un’alleanza contro i Galli Boi e gli Insubri che minacciavano le frontiere.

 

Sempre secondo Polibio (Storie II 23. 2), all’epoca dell’ultima invasione dei Galli in Italia e della successiva sconfitta nella battaglia di Talamone, i Veneti erano gli unici alleati di Roma. Ancora in qualità di alleati, presero parte alla battaglia di Clastidium nel 222 a.C., sconfiggendo i Galli Insubri. Questi episodi inducono a immaginare che Romani e Veneti fossero legati più che da mero patto, foedus, da un reale vincolo di amicitia.

 

Nel corso della seconda guerra punica, mentre le altre popolazioni galliche sostenevano Cartagine, i Veneti inviarono un contingente a sostegno delle truppe romane. Ma c’è di più.

Stando al racconto di Silio Italico (Punica VIII 602-604), durante la battaglia di Nola si distinse un giovane patavino di nome Pediano. Quest’ultimo riuscì a sottrarre ai nemici le armi del console Lucio Emilio Paolo, caduto nella battaglia di Canne, venendo apostrofato dal comandante e console romano Marco Claudio Marcello quale “discendente di Antenore”, quindi “erede del valore degli avi”: «[…] allora, riportando l’elmo fra il grande clamore degli alleati, spronava l’ardente destriero, che le briglie schiumanti insanguinava col morso crudele. Fiero in armi Marcello fra il travolgente tumulto gli venne incontro, ed esclamò, riconoscendo il trofeo: “O erede del valore degli avi, o discendente di Antenore, evviva! Ora cerchiamo di strappare l’elmo di Annibale: è quanto rimane da fare” […]».

 

Come risulta evidente, si tratta di un aneddoto estremamente significativo non soltanto perché il giovane patavino viene assimilato a un eroe autoctono e/o a una divinità, ma soprattutto perché sottolinea e, a un tempo, intensifica il profondo legame che univa il popolo dei Veneti a quello dei Romani mediante le vicende troiane.

 

Silio Italico narra poi che, fra i popoli alleati di Roma, i Patavini erano disposti in prima fila (VIII 602-604): «Poi una schiera troiana, da tempo antico - originaria della terra Euganea, profuga dai sacri lidi di Antenore. E ancora, con i Veneti, Aquileia fu prodiga di armati».

 

Successivamente, secondo Tito Livio (Ab Urbe Condita V 33. 10), fatta eccezione per la fondazione della città di Aquileia nel 181 a.C. all’estremità del territorio veneto, non si verificarono tentativi di conquista e di colonizzazione nei confronti del cosiddetto Venetorum angolus. E fu proprio tale periodo di stabilità a fungere da terreno fertile per la progressiva assimilazione del territorio veneto entro l’universo romano.

 

Nel 175 o 174 a.C. Livio (Ab Urbe Condita XLI 27. 3-4) riferisce di una seditio, scoppiata nella città di Padova, repressa con successo dal console o proconsole M. Emilio Lepido, il cui aiuto era stato invocato dagli stessi Patavini. Questo episodio giunge quale ulteriore prova del diffuso favore di cui godeva il governo di Roma presso il popolo veneto. Ma non si tratta di un unicum. Iscrizioni epigrafiche confermano l’influenza che il mondo romano esercitava sulla gestione e organizzazione del territorio veneto.

 

Il decisivo processo di “romanizzazione” del popolo dei Veneti giunse a compimento nel corso del I secolo a.C. Centrali, in tal senso, gli eventi legati alla cosiddetta guerra sociale, che sconvolse l’orizzonte romano nel 90-89 a.C. Le più influenti città venete divennero infatti colonie latine e ottennero lo ius commercium.

 

Tra il 100 e il 59 a.C. si costituì la provincia cisalpina sottoposta all’imperium di un magistrato romano. In tale contesto determinante fu l’azione di Cesare, chiamato a governare la Gallia Cisalpina per un decennio a partire dal 59 a.C. Il futuro dictator perpetuus di Roma sostenne, infatti, la causa Transpadanorum, che mirava alla concessione della cittadinanza romana alle popolazioni venete.

 

Attraverso un iter legislativo, di cui la Lex Rubria de Gallia Cisalpina, la Lex Roscia e la Lex Iulia Municipalis furono tappe fondamentali, le comunità venete ottennero la cittadinanza romana, acquisendo lo status di municipi retti da leges municipales. In seguito alla battaglia di Azio del 31 a.C. e all’inizio di un periodo di pacificazione grazie ad Augusto, il territorio del Veneto, che si estendeva sino alle Alpi comprendendo Friuli, Istria e parte della Lombardia, costituì la cosiddetta Decima Regio Venetia et Istria, la zona più florida dell’impero.

 

Il graduale processo di romanizzazione del popolo dei Veneti, innescato dalla plena romanitas, poteva ormai dirsi compiuto. Il Veneto era entrato definitivamente a far parte dell’orizzonte politico e culturale di Roma e, come più volte emerso nel corso di questa trattazione, non in modo violento e coercitivo, ma graduale e pacifico.



 

 

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