N. 36 - Dicembre 2010
(LXVII)
Il giro del mondo in 84 giorni
Storia della Vendée Globe e delle altre grandi regate veliche
di Simone Valtieri
84
giorni,
3
ore,
9
minuti
e 8
secondi.
È
questo
il
tempo
impiegato
dallo
skipper
francese
Michel
Desjoyeaux
nel
2008-09
per
portare
a
termine
la
sesta
edizione
del
giro
del
mondo
a
vela
in
solitaria
e
senza
scalo.
Sfruttando
il
vento
e le
correnti,
il
coraggioso
marinaio
transalpino
ha
fissato
un
nuovo
record,
migliorando
di
oltre
tre
giorni
il
precedente
primato,
stabilito
nel
2005
dal
compatriota
Vincent
Riou.
Sono
invece
solo
quattro
i
giorni
di
ritardo
sulla
celeberrima
impresa
letteraria
di
Phileas
Fogg
che
aveva
però
il
“vantaggio”
di
sorvolare
i
mari
in
tempesta
con
la
sua
mongolfiera
e di
contare
sulla
compagnia
del
fido
cameriere
Passepartout.
Il
nome
della
giovane
competizione,
Vendée
Globe,
viene
dalla
regione
di
partenza
della
prova,
idealmente
un’andata-ritorno
da
Les
Sables
d’Olonne,
nel
dipartimento
della
Vandea
in
Francia.
La
rotta
è
tanto
semplice
da
descrivere
quanto
incredibilmente
difficoltosa
da
compiere.
Si
chiama
Clipper
route,
dal
nome
dei
velieri
del
XIX
secolo
che
la
seguivano,
naturalmente
con
scalo.
Si
parte
da
nord,
in
questo
caso
da
Les
Sables
nella
baia
di
Biscay,
puntando
a
sud
attraverso
l’Oceano
Atlantico
fino
a
doppiare
Capo
di
Buona
Speranza,
poi
si
prosegue
verso
est
nei
gelidi
mari
antartici
passando
a
sud
di
Cape
Leewey
e di
Capo
Horn,
prima
di
risalire
l’Atlantico
e
tornare
al
porto
di
partenza.
Per
andare
alle
radici
di
questa
epica
competizione
bisogna
però
saltare
a
ritroso
nel
tempo
in
tre
tappe:
la
prima
è il
1989,
quando
Philippe
Jeantot,
navigatore
in
solitaria
francese,
si
inventa
la
Vendée
Globe.
Gli
viene
in
mente
in
quanto
aveva
già
preso
parte,
vincendole,
a
due
edizioni
della
Around
Alone,
una
regata
in
solitaria
a
tappe,
inaugurata
nel
1982,
che
oggi
sopravvive
con
il
nome
di
5
Oceans
Race,
la
gara
dei
cinque
oceani.
A
sua
volta
la
Around
Alone
mette
le
radici,
o
meglio,
affonda
l’ancora,
nella
Golden
Globe
Race,
la
madre
di
tutte
le
imprese
veliche
dell’ultimo
mezzo
secolo.
Siamo
nel
1968
e in
un
periodo
storico
di
rivoluzioni
sono
nove
i
coraggiosi
marinai
che
partono,
tra
il
giugno
e
l’ottobre
di
quell’anno
per
sconvolgere
la
storia
della
vela
tentando
l’impresa
in
solitaria,
senza
assistenza
e
senza
scalo.
In
molti
avevano
già
attraversato
l’Atlantico
da
soli;
uno,
l’inglese
Sir
Francis
Chichester,
aveva
anche
già
compiuto
il
giro
del
mondo
sulla
Clipper
route
appena
due
anni
prima,
ma
con
uno
scalo
a
Sydney.
Il
padre
e
predecessore
di
tutti
era
stato
però
Joshua
Slocum,
canadese
cresciuto
in
America
che
nel
1900
aveva
narrato
nel
libro
Sailing
Alone
Around
the
World
il
suo
viaggio,
compiuto
con
numerose
soste
tra
il
1895
e il
1898.
Dei
nove
temerari
navigatori
che
si
cimentarono
nell’impresa
ben
quattro,
tra
cui
l’italiano
Alex
Carozzo,
furono
costretti
al
ritiro
già
nell’Atlantico,
mentre
l’inglese
Chay
Bluth,
partito
senza
alcuna
esperienza
velica,
si
ritirò
poco
dopo
Città
del
Capo.
Si
veleggiava
per
il
gusto
dell’avventura
e
per
la
gloria;
non
a
tutti
interessava
il
premio
di
5.000
sterline
messo
in
palio
dal
British
Sunday
Times,
finanziatore
dell’evento.
A
testimoniare
ciò
l’esempio
portato
in
gara
dal
francese
Bernard
Moitissier,
contrario
alla
filosofia
di
una
competizione
subordinata
agli
interessi
degli
sponsor.
Una
volta
doppiato
Capo
Horn
in
buona
posizione,
invece
di
tornare
verso
la
Gran
Bretagna,
Moitessier
decise
di
proseguire
fino
a
passare
una
seconda
volta
a
sud
di
Capo
di
Buona
Speranza
e
del
continente
Australe
e di
fermarsi
a
vivere
a
Tahiti,
nel
Pacifico,
dopo
aver
compiuto
in
pratica
un
giro
e
mezzo
del
mondo
senza
scalo.
Gli
altri
tre
in
gara,
tutti
britannici,
erano
Robin
Knox-Johnston,
Nigel
Tetley
e
Donald
Crowhurst.
Quest’ultimo
era
un
ingegnere
elettronico
che
decise
di
partire
per
pubblicizzare
la
sua
attività
e le
sue
invenzioni
tra
cui
una
potente
radio
e un
rivoluzionario
sistema
auto-raddrizzante
per
imbarcazioni
basato
su
palloni
gonfiabili.
Pensava
di
risolvere
con
la
fama
derivante
dal
viaggio
i
suoi
guai
economici,
per
partire
era
stato
costretto
ad
ipotecare
la
casa
e la
stessa
imbarcazione,
ma
la
vicenda
non
si
concluse
nel
modo
auspicato.
Il
primo
a
giungere
all’arrivo
fu
Robin
Knox-Johnston
su
Suhaili,
un
ketch
a
due
alberi,
partito
il
14
giugno
1968
da
Falmouth
e
ritornato
al
punto
di
partenza
il
22
aprile
1969,
313
giorni
più
tardi.
Il
16
settembre
era
salpato
Nigel
Tetley
su
Victress,
un
trimarano
di
12
metri,
costretto
al
ritiro
il
21
maggio
1969
nei
pressi
delle
Azzorre,
quando,
a
poche
miglia
dall’arrivo,
fu
sorpreso
da
una
tremenda
tempesta.
A
contrastare
Knox-Johnston
restava
in
gara
solo
Crowhurst,
partito
il
31
ottobre
1968
e in
piena
corsa,
secondo
quanto
appuntato
nei
suoi
registri,
per
vincere
la
prova.
In
effetti
i
dati
registrati
durante
tutta
la
circumnavigazione
da
Crowhurst
apparivano
a
dir
poco
sospetti,
visto
che
in
alcune
trasmissioni
dichiarava
di
aver
compiuto
oltre
200
miglia
nautiche
(370
km)
in
un
solo
giorno
viaggiando
su
ritmi
ai
limiti
dell’impossibile.
La
spasmodica
attesa
del
previsto
arrivo
di
Crowhurst
sul
suo
trimarano
Teignmouth
Electron
pian
piano
scemò.
Saputo
del
ritiro
di
Tetley,
poco
prima
della
rottura
della
radio
di
bordo,
Crowhurst
comunicò
di
aver
rallentato
l’andatura.
Dopo
alcune
settimane
arrivarono
dalla
sua
imbarcazioni
delle
trasmissioni
in
Morse
ma
ormai
la
solitudine,
la
estenuante
durata
della
prova
e
forse
le
bugie
raccontate,
avevano
segnato
duramente
l’animo
dell’ingegnere
britannico.
Quando
la
Teignmouth
Electron
fu
ritrovata,
il
10
luglio,
sul
registro
di
bordo
si
lesse
una
nota
con
la
sua
decisione
di
suicidarsi
datata
1
luglio
1969,
come
conclusione
di
un
lungo
saggio
prosastico,
vagamente
ispirato
alla
Relatività
di
Einstein,
scritto
da
Crowhurst
nei
suoi
ultimi
schizofrenici
giorni
di
vita.
Il
vincitore
e
unico
a
completare
la
prova,
Robin
Knox-Johnston,
ottenne
il
Golden
Globe
Trophy
e
devolvette
l’intero
premio
alla
famiglia
dello
scomparso
Crowhurst,
che
beneficiò
anche
degli
aiuti
di
molti
degli
sponsor
della
manifestazione.
Sulla
base
di
questa
epica
esperienza
nel
decennio
successivo
si
svolsero
numerose
circumnavigazioni
in
solitaria
del
globo;
lo
stesso
Knox-Johnston
fu
autore
di
altri
tre
viaggi,
ma
fino
al
decennio
dopo
non
furono
più
pianificate
competizioni
ufficiali.
Nel
1982
fu
organizzata
una
regata
in
solitaria
divisa
in
quattro
tappe,
con
partenza
da
Newport
e
scalo
a
Città
del
Capo,
Sydney
e
Rio
de
Janeiro.
Si
chiamava
BOC
Challenge,
dal
nome
della
compagnia
industriale
che
la
sponsorizzava,
ma
prese
ben
presto
il
nome
di
Around
Alone.
Girare
“Intorno”
al
mondo
“da
soli”
era
quello
che
gli
iscritti
alla
regata
dovevano
fare.
Due
erano
le
classi
originariamente
previste,
la
Class
1
con
imbarcazioni
dai
45
ai
56
piedi
ed
la
Class
2
per
scafi
più
piccoli
(32-44
piedi).
A
vincere
la
prima
edizione
conquistando
il
primato
in
tutte
le
tappe
nella
Class
1 fu
il
navigatore
africano
di
nascita
(Antananarivo,
Madagascar)
ma
francese
di
nazionalità
Philippe
Jeantot.
Il
giovane
Philippe
si
appassionò
alla
vela
dopo
aver
letto
il
libro
di
Bernard
Moitessier,
The
Long
Way,
in
cui
il
navigatore
raccontava
il
suo
viaggio
soprattutto
spirituale
e
metafisico
che
lo
aveva
portato
a
Tahiti.
Terminò
la
gara
in
159
giorni
e
due
ore,
ben
11
giorni
prima
del
sud
africano
Bertie
Reed,
secondo.
Nell’edizione
del
1986-87
Jeantot
bissò
il
successo
di
quattro
anni
prima
migliorando
il
record
di
quasi
un
mese
(134
giorni
il
totale)
e
precedendo
il
connazionale
Titouan
Lamazou
di
circa
3
giorni.
Il
tempo
era
maturo
per
una
riedizione
della
Golden
Globe
Race,
un’idea
che
Jeantot
meditava
ormai
da
anni.
Trovati
i
finanziatori
fu
egli
stesso
in
prima
persona
il
promotore
e
organizzatore
di
una
nuova
regata:
e
siamo
alla
Vendée
Globe.
La
gara
in
solitario
ricalca
per
lunghi
tratti
la
Golden
Globe,
ma
non
manda
in
pensione
la
Around
Alone,
anzi.
Le
due
competizioni
diventeranno
il
punto
di
riferimento
per
i
navigatori
in
solitario
e
continueranno
a
crescere
in
parallelo.
Saranno
spesso
frequentate
dagli
stessi
concorrenti:
lupi
di
mare
solitari
tra
cui
l’italiano
Giovanni
Soldini,
vincitore
dell’edizione
1998-99
ma
noto
al
mondo
più
per
il
salvataggio
eroico
dell’amica
e
collega
francese
Isabelle
Autissier,
compiuto
in
quell’edizione,
che
per
il
notevole
risultato
finale.
Il
doppio
successo
di
Jeantot
nella
Around
Alone
sarà
eguagliato
anche
dal
connazionale
Christophe
Auguin
(1990-91
e
1994-95)
e
dallo
svizzero
Bernard
Stamm.
L’edizione
inaugurale
della
Vendée
Globe
parte
con
il
successo
di
Titouan
Lamazou,
complici
i
guai
allo
scafo
di
Jeantot
che
terminerà
quarto.
Un
altro
francese,
Loïck
Peyron,
giunto
secondo
a
circa
16
ore
dal
vincitore,
avrebbe
probabilmente
vinto
la
corsa
se
non
si
fosse
attardato
nei
mari
del
sud
per
prestare
soccorso
al
ketch
del
connazionale
Philippe
Poupon.
L’Everest
del
mare,
così
è
oggi
conosciuta
tale
competizione
transoceanica,
si
corre
dal
1992
a
cadenza
quadriennale
come
la
sorella
Around
Alone,
è
riassumibile
in
poche
ma
significative
norme:
la
gara
è
aperta
ad
ogni
imbarcazione
che
rientra
nei
parametri
della
classe
60
piedi
(prima
del
2004
si
gareggiava
anche
con
la
classe
50)
con
caratteristiche
stabilite
per
quanto
riguarda
il
pescaggio,
la
stabilità,
le
appendici
e la
sicurezza,
lasciando
il
resto
alle
preferenze
del
marinaio;
non
si
può
avere
assistenza
esterna
durante
la
regata,
né
per
quanto
riguarda
le
informazioni
meteo
né
per
la
rotta,
pena
la
squalifica;
si
può
sostare
all’ancora,
ma
non
accostarsi
a
banchina
o ad
altre
imbarcazioni;
per
problemi
in
partenza
si
può
tornare
a
Les
Sables
a
patto
di
salpare
nuovamente
entro
dieci
giorni
dalla
data
in
cui
è
partito
il
primo
concorrente.
I
requisiti
per
l’iscrizione
sono
semplici:
aver
partecipato
ad
un’altra
gara
simile
avendola
portata
a
termine,
sottoponendosi
in
alternativa
ad
un
passaggio
transoceanico
di
osservazione
di
almeno
2.500
miglia
e
con
una
media
superiore
ai 7
nodi
all’ora.
Tali
norme
vennero
inasprite
a
seguito
ad
alcuni
eventi
tragici.
Nel
1992
Mike
Plant
fu
dato
per
disperso
nei
pressi
delle
Azzorre
mentre
si
recava
alla
partenza
e
Nigel
Burgess
fu
ritrovato
annegato
dopo
appena
quattro
giorni
di
navigazione.
Nel
1996-97
ci
fu
poi
la
scomparsa
nei
mari
del
sud
del
canadese
Gerry
Roufs.
In
competizioni
così
estreme
patenti
e
brevetti
sono
requisiti
indispensabili
ma
c’è
sempre
una
piccola
percentuale
di
incertezza
legata
alla
fortuna
che
contro
gli
imprevisti
che
possono
capitare
in
mare
aperto
deve
necessariamente
essere
valida
alleata.
Per
ridurre
al
minimo
i
rischi
in
alcuni
casi
è
stato
deciso,
come
avvenuto
nel
2004,
di
inserire
punti
di
navigazione
obbligatori
per
spostare
le
rotte
della
flotta
più
a
nord
in
acque
meno
burrascose
e
fredde.
Inoltre
la
traversata
parte
sempre
a
novembre
per
poter
affrontare
i
mari
antartici
durante
l’estate
australe,
con
l’inevitabile
conseguenza
di
trovare
spesso
situazioni
impervie
proprio
in
partenza.
Il
fatto
di
partire
con
l’inverno
boreale
ha
creato
disagi
in
quasi
tutte
le
edizioni,
come
nel
1992
e
nel
1996
quando
molte
imbarcazioni
furono
costrette
a
rientrare
al
porto
poco
dopo
il
via.
I
media,
soprattutto
quelli
francesi,
si
interessano
all’evento
nei
primi
anni
’90,
con
la
competizione
che
rimane
sempre
appannaggio
degli
esperti
marinai
transalpini.
Dopo
Lamazou
su
Ecureuil
d’Aquitaine
II,
iscrivono
il
loro
nome
nell’albo
d’oro
anche
Alain
Gautier
su
Bagages
Superior,
che
termina
in
110
giorni
nel
1992-93
e
Christophe
Auguin
su
Geodis,
già
vincitore
di
due
Around
Alone,
che
con
105
giorni
di
navigazione
riporta
il
successo
davanti
a
Marc
Thiercelin.
Nel
1992
la
gara
fu
molto
tirata
tra
Gautier
e lo
sfortunato
Poupon,
costretto
ancora
a
ritirarsi
per
un
disalberamento
quando
navigava
a
poche
miglia
dal
leader;
mentre
nel
1996,
edizione
tragica
e
avvincente
ben
descritta
dal
libro
di
Derek
Lundy,
il
mare
dimenticato,
è da
registrare
anche
l’arrivo
al
sesto
posto
di
Catherine
Chabaud,
prima
donna
a
concludere
il
giro
del
mondo
in
solitaria.
Meglio
di
lei
farà
la
giovanissima
Ellen
MacArthur
nell’edizione
del
2000-2001,
la
prima
dopo
l’inasprimento
delle
regole
per
la
sicurezza.
I
provvedimenti
intrapresi
funzioneranno
bene,
visto
che
da
questa
edizione
in
poi
verrà
invertita
la
tendenza
che
vedeva
sempre
più
imbarcazioni
ritirate
rispetto
a
quelle
arrivate
al
traguardo.
Tornando
alla
gara,
oltre
ad
un
notevole
abbassamento
dei
tempi
di
percorrenza
si
registra
un
avvincente
scontro
a
tre
tra
i
francesi
Michel
Desjoyeaux,
Roland
Jourdain
e la
ventiquattrenne
britannica
da
Whatstandwell,
MacArthur.
Il
primo
a
scappare
fu
il
quarto
incomodo
Yves
Parlier,
che
però
abbandonerà
la
prova
rompendo
l’albero
e
perdendo
la
bussola.
La
MacArthur
deviò
per
portargli
assistenza
ma
fu
invitata
dalla
giuria
a
riprendere
la
rotta
una
volta
ristabiliti
i
contatti
con
lo
skipper
francese.
Scesa
in
quarta
posizione
la
giovanissima
inglese
non
si
perse
d’animo
recuperando
fino
addirittura
a
superare
Desjoyeaux.
Sfortuna
volle
che
un
container
semisommerso
danneggiò
la
sua
chiglia
e,
costretta
a
fermarsi
per
le
riparazioni,
perse
tempo
prezioso.
Arriverà
seconda
con
un
giorno
di
ritardo
sul
vincitore
e
due
di
vantaggio
su
Jourdain
ma
sarà
accolta
a
Les
Sables
con
un
clamore
ancora
superiore.
Bella
ed
esemplare
è
anche
la
conclusione
della
vicenda
di
Parlier.
Fermatosi
all’ancora
a
largo
della
Nuova
Zelanda,
stette
giorni
fermo
per
fabbricare
un
nuovo
timone
in
fibra
di
carbonio
con
i
pezzi
di
quello
rotto
precedentemente.
Ripartì
arrivando
ufficialmente
tredicesimo.
Il
successo
eccezionale
ormai
raggiunto
da
questa
avvincente
ed
estenuante
competizione
verrà
testimoniato
dai
trecentomila
spettatori
che
nel
2004
assisteranno
assiepati
sulle
spiagge
della
baia
di
Biscay
alla
partenza
della
quinta
edizione.
Dopo
10
giorni
di
gara,
cosa
mai
successa
prima,
tutti
i
concorrenti
sono
ancora
in
gara
e
dopo
87
giorni
e 10
ore
sarà
il
francese
Vincent
Riou
ad
entrare
per
primo
nel
porto
di
Les
Sables,
sole
sette
ore
davanti
al
connazionale
Jean
Le
Cam
e
ventinove
sul
britannico
Mike
Golding.
La
Vendée
Globe
ha
raggiunto
in
pochissimi
anni
lo
status
di
regata
mitica,
destando
interesse
e
passione
intorno
ad
una
disciplina
come
la
vela,
da
sempre
ancorata
nell’immaginario
collettivo
alla
sola
Coppa
America.
Non
solo:
per
i
nuovi
sconvolgimenti
con
cui
la
secolare
America’s
Cup
si
vedrà
alle
prese
dal
2013
(Catamarani
al
posto
della
barche
di
classe
YACC
col
rischio
di
un
divario
ampio
tra
i
contendenti
e di
regate
già
decise
dopo
la
prima
bolina)
non
è da
escludere
che
una
competizione
così
semplice
e
genuina
nella
formula
quanto
difficile
ed
eroica
nella
sostanza,
possa
riscuotere
ancora
più
successo.
In
una
ideale
panoramica
di
competizioni
veliche
così
avventurose
non
si
possono
non
menzionare
altre
due
prove
estremamente
significative:
la
Route
du
Rhum
e la
Ocean
Race.
La
Rotta
del
Rhum
è
una
traversata
dell’oceano
Atlantico
in
solitaria
che
si
svolge
con
cadenza
quadriennale
dall’autunno
del
1978.
Nasce,
grazie
a
Bernard
Hass,
segretario
generale
del
CODERUM
(il
sindacato
dei
produttori
di
zucchero
e
rhum
nelle
Antille)
ed a
Florent
de
Kersauson,
uomo
d’affari
francese,
che
inventano
la
regata
per
pubblicizzare
i
prodotti
locali
e la
filiera
del
Rhum.
Da
Saint-Malo
in
Francia
fino
a
Pointe-à-Pitre
nelle
Guadalupe,
lungo
circa
3.510
miglia
di
navigazione,
attualmente
in
meno
di
una
decina
di
giorni
(7
giorni
e 17
ore
il
record
di
Lionel
Lemonchois).
Il
successo
è
immediato,
grazie
anche
all’avvincente
arrivo
della
prima
edizione
che
vede
il
canadese
Mike
Birch
trionfare
con
meno
di
due
minuti
di
scarto
dopo
oltre
23
giorni
di
gara
sul
francese
Michel
Malinovsky.
Molti
i
velisti
che
si
sono
fatti
le
ossa
in
questa
gara
prima
di
approdare
con
successo
alle
grandi
corse
planetarie
in
solitario,
tra
cui
i
già
citati
Ellen
MacArthur,
Michel
Desjoyeaux,
Philippe
Poupon,
Alain
Gautier
e
Roland
Jourdain.
La
Ocean
Race,
da
non
confondere
con
la
5
Oceans
Race,
nome
odierno
dell’Around
Alone,
è
invece
una
prova
con
equipaggio
a
tappe
intorno
al
mondo
riservata
perlopiù
a
yacht
di
60
piedi.
Inizialmente
si
chiamava
Whitbred
-
Round
The
World
Race
ed
era
organizzata
dalla
Royal
Naval
Sailing
Association.
Nella
prova
si
cimentano
dal
1973
nomi
noti
della
vela
olimpica
e
della
Coppa
America,
tra
cui
spiccano
la
leggenda
neozelandese
Sir
Peter
Blake,
il
connazionale
e
skipper
di
lungo
corso
Grant
Dalton,
il
“baffo”
indimenticato
timoniere
del
Moro
di
Venezia
Paul
Cayard,
e il
brasiliano,
tattico
di
Luna
Rossa
e
pluricampione
olimpico,
Torben
Grael.
L’unico
a
bissare
il
successo
è
però
ad
oggi
l’olandese
Conny
van
Rietschoten,
vincitore
nelle
edizioni
del
1977-78
e
del
1981-82.
Giunta
alla
settima
edizione,
la
Volvo
-
Ocean
Race
(dal
nome
dello
sponsor,
come
Velux
- 5
Oceans
Race
è il
nome
ufficiale
della
Around
Alone
n.d.r.)
la
formula
prevede
10
tappe
oltre
ad
alcune
regate
di
flotta
altamente
spettacolari.
In
calce
merita
un
piccolo
approfondimento
l’esemplare
vicenda
Soldini
-
Autissier
accennata
precedentemente.
Durante
la
terza
tappa
della
Around
Alone
1998-99
da
Auckland
a
Punta
del
Este,
l’imbarcazione
della
francese
Isabelle
Autissier
ha
un
incidente
dovuto
ad
un’errata
manovra
del
pilota
automatico
e si
ribalta
in
pieno
pacifico
del
sud
proprio
nelle
acque
in
cui
pochi
anni
prima
era
scomparso
Gerry
Roufs
impegnato
nella
Vendée
Globe.
Per
la
Autissier,
irraggiungibile
a
qualsiasi
mezzo
di
soccorso
da
terra,
le
uniche
speranze
sono
riposte
in
altri
due
concorrenti:
Marc
Thiercelin
su
Somewhere,
distante
70
miglia
e
Giovanni
Soldini,
su
Fila,
a
150.
C’è
anche
la
flotta
dei
“50
piedi”
in
arrivo,
ma
sono
distanti
giorni
di
navigazione
e
senza
sistemi
di
posizionamento
Gps
il
suo
scafo,
PRB,
potrebbe
andare
alla
deriva
e la
sua
chiglia
rovesciata
diventare
un
minuscolo
ago
in
un
gigantesco
pagliaio
ghiacciato.
Conscio
di
questo
Soldini
devia
prontamente
la
rotta
e,
con
l’aiuto
delle
carte
nautiche
e di
quelle
meteorologiche,
ipotizza
il
posizionamento
della
barca
rovesciata
scorgendone
qualche
ora
dopo
l’estremità
galleggiante.
La
storia
troverà
ampia
eco
sulla
stampa
di
tutto
il
mondo,
scatenando
ancora
una
volta
il
dibattito
sul
senso
di
queste
imprese.
Citando
un
mirabile
editoriale
dell’epoca
dello
storico
sportivo
Elio
Trifari
sulla
Gazzetta
dello
Sport
–
Magazine
che
si
interrogava
in
proposito:
“Va
detto
che
dall’epoca
delle
colonne
d’Ercole
in
avanti,
l’uomo
ha
sentito
e
subìto
il
fascino
dell’esplorazione
del
pianeta
come
un
modo
per
esserne
sempre
più
compiutamente
coinvolto.
In
questo
quadro
anche
le
imprese
in
solitario
conservano
un
significato
e
uno
scopo:
e il
clamore
che
suscitano
ha
il
sapore
di
una
partecipazione
collettiva
a
una
sfida
che,
in
definitiva,
investe
tutti
noi”.