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N. 149 - Maggio 2020 (CLXXX)

Non solo leoni al Colosseo

Gli animali nel mondo dei giochi dell’Antica Roma

di Mauro Poma

 

Una tipica giornata al Colosseo includeva diversi tipi di spettacoli. In linea generale, la mattina si assisteva alle cacce con animali selvaggi (venationes), all’ora di pranzo si approntavano le condanne a morte da eseguire pubblicamente e il pomeriggio si esibivano i gladiatori.

 

Quando si pensa agli animali del Colosseo la prima immagine che viene in mente è un leone che ruggisce o che si aggira nell’arena a caccia della sua preda o che sbrana il povero malcapitato di turno. Tuttavia i leoni non erano gli unici animali esotici a essere catturati, trasportati e usati nel Colosseo. Il pubblico di Roma nel corso dei secoli ebbe la “fortuna”, pur non disponendo degli odierni mezzi di comunicazione o della nostre possibilità di viaggiare, di vedere un numero e una grandissima varietà di animali. Da dove provenivano?

 

L’odierno Egitto forniva coccodrilli, rinoceronti, ippopotami e dal sud dell’Egitto provenivano le giraffe. Da diversi paesi dell’Africa settentrionale arrivavano gazzelle, antilopi, sciacalli, struzzi, iene, leoni, ghepardi, pantere, elefanti e dai monti dell’Atlante in Marocco gli orsi.

 

Anche i paesi del medio oriente che si affacciano sul Mediterraneo fornirono diverse specie di felini, ma solo fino al I secolo a.C. Ogni tigre prima di arrivare a Roma aveva viaggiato moltissimo: proveniva infatti addirittura dall’India e chissà che meraviglia suscitò fra i Romani del I secolo a.C. che la videro per la prima volta. L’Italia e diversi paesi europei fornivano invece tutti gli erbivori come le lepri, i caprioli, i cervi, i cinghiali, gli asini ma anche orsi, bisonti, tori e lupi.

 

I Romani vissuti al tempo di Nerone ebbero anche il privilegio di vedere un alce. I costi di cattura, trasporto, mantenimento delle fiere provenienti dall’Africa o dall’Asia erano comprensibilmente molto più alti di quelli degli animali che venivano dall’Italia o dall’Europa. E parliamo di costi elevatissimi… Non a caso infatti la maggioranza dei giochi nel Colosseo veniva sponsorizzata dall’imperatore: egli era infatti l’unico che poteva disporre di risorse finanziarie sufficienti a organizzare queste costosissime mattanze.

 

Ci sono giunti resoconti di grandiosi spettacoli di caccia sia prima che dopo la costruzione del Colosseo. Nel 104 a.C. gli edili Muzio Scevola e Licinio Crasso, per celebrare la loro vittoria contro Giugurta, re delle Numidia, allestirono nel Circo Massimo una venatio con cento leoni. Cinque anni dopo per la prima volta si scontrarono tra loro degli elefanti.

 

A metà di quel secolo, Marco Scauro allestì una caccia con cinque coccodrilli, un ippopotamo e centocinquanta leopardi. Alcuni anni dopo però tutte queste venationes vennero superate in grandiosità dall’incredibile spettacolo offerto dal ricchissimo Pompeo. Durante i giochi da lui organizzati vennero uccisi quattrocentodieci leopardi, seicento elefanti e moltissime scimmie. Gli special guests di questa carneficina furono un rinoceronte e una lince proveniente dal nord Europa.

 

Fu questa la venatio più grandiosa mai organizzata prima dell’edificazione del Colosseo: uno spettacolo con così tanti animali che rimase insuperato. Neanche Giulio Cesare qualche anno più tardi riuscì a far di meglio. Nemmeno il primo imperatore romano, Augusto che, stando ai resoconti antichi aveva fatto uccidere in totale tremilacinquecento animali, arrivò a superare in grandezza in un unico spettacolo quello organizzato da Pompeo.

 

Successivamente Nerone in un solo spettacolo farà uccidere trecento leoni e quattrocento orsi. Durante i cento giorni di feste e giochi indetti da Tito per l’inaugurazione del Colosseo nell’80 d.C., stando a quanto ci raccontano le fonti antiche, furono uccisi novemila animali; numero che diventa crudelmente piccolo se paragonato agli undicimila massacrati da Traiano una trentina di anni più tardi per celebrare le sue vittorie sui Daci.

 

Questi numeri inizieranno però a decrescere sensibilmente con il passare degli anni e nel III secolo si assistette a un fenomeno molto interessante. Con ogni probabilità non cambia il numero di animali procurati per l’imperatore per i suoi giochi al Colosseo, che rimane sempre molto alto, ma cambia invece il tipo di animali forniti.

 

Con il sopraggiungere della crisi economica si verificherà uno slittamento nella fornitura di animali: si cominceranno infatti a usare maggiormente gli erbivori rispetto ai carnivori. Nei resoconti degli spettacoli organizzati a partire dal III secolo, sempre minori sono gli accenni ai grandi predatori e maggiori invece risultano essere le presenze degli erbivori.

 

Questo cambiamento dipese anche da precisi fattori ambientali. Per secoli i Romani avevano cacciato i grandi felini come i leoni da determinati territori del nord Africa o del medio oriente. Molte di queste aree, riconvertite a uliveti, vigneti o campi di grano, videro la graduale scomparsa di questi grandi felini non soltanto a causa del cambiamento d’uso delle terre ma anche perché dopo secoli di caccia alcune specie semplicemente si erano estinte in molte zone.

 

Nel nord Africa molti animali iniziarono a poco a poco a trasferirsi verso sud e questa è anche una delle spiegazioni del perché oggi non si trovino più leoni o elefanti nei paesi nordafricani. Cacciati per secoli, scomparvero da quella parte dell’impero romano trovando rifugio solo a sud del deserto del Sahara, dove ancora possono essere ammirati nei grandi parchi nazionali di vari paesi.

 

Anticamente la caccia di grandi felini come i leoni non era mal vista come potrebbe esserlo oggi soprattutto per un motivo non legato all’organizzazione dei giochi nel Colosseo: i grandi predatori erano un pericolo per chi viveva in quelle zone e la caccia a questi animali veniva considerata come provvidenziale per vivere in modo sicuro. Gli abitanti autoctoni di quelle aree erano estremamente grati ai Romani per questo loro servizio di “liberazione” e “disinfestazione” dai grandi predatori… fino appunto alla loro estinzione in tutto il nord Africa.

 

Inizialmente la rarefazione di animali da alcuni territori non preoccupò gli imperatori. Essi infatti credevano che, se le belve feroci scomparivano da alcune aree, bisognava semplicemente andarle a cacciare spingendosi oltre e avventurandosi in territori dove se ne potevano ancora trovare. Tuttavia la difficoltà di reperimento di animali, unita ai costi sempre più alti di trasporto e mantenimento, obbligò gli organizzatori degli spettacoli a cambiare gradualmente i programmi offerti. Per ogni animale che arrivava a Roma, bisognava contarne molti altri che nel frattempo erano morti durante il trasporto per la penuria o per le differenti condizioni climatiche.

 

Roma, rispetto all’Africa o al medio oriente aveva temperature più rigide e non tutti gli animali riuscivano a sopravvivere al lungo viaggio che li attendeva prima di essere massacrati nel Colosseo. Anche se Roma oggi può sembrare una città molto calda (e d’estate sicuramente lo è!) ai tempi dei Romani le temperature medie, secondo alcuni studi, erano più basse di alcuni gradi, cosa questa che senz’altro non facilitava la permanenza di grandi predatori o di diversi altri tipi di animali abituati invece a temperature molto più elevate.

 

La cattura e il trasporto degli animali, che dovevano rimanere in buone condizioni e viaggiare per migliaia di chilometri, era una grandissima impresa. Le fiere venivano catturate in tutto il territorio dell’impero e la caccia, inizialmente non popolare nella cultura romana, giudicando dai mosaici e dai dipinti tardo imperiali di catture, spedizioni e trasporti, divenne un’attività tradizionale.

 

Ciò che rendeva la caccia ancora più pericolosa era il fatto che gli animali dovevano ovviamente essere catturati vivi. Le bestie dovevano essere intrappolate, messe dentro gabbie e molte volte imbarcate su navi. Va da sé che durante il tragitto e i giorni del trasporto dovevano essere nutrite e tenute in buone condizioni. I rischi che una buona parte degli animali arrivassero morti a destinazione erano molto alti. Le fiere potevano morire per infezioni causate da cibi diversi a quelli cui erano abituate, maltrattamenti di custodi poco pazienti, ferite auto-procuratesi in gabbia, differenze di clima.

 

Ma come avveniva la cattura degli animali, specialmente quelli più pericolosi? Quali erano le tecniche usate dai Romani?

 

Innanzitutto l’organizzatore dei giochi operava una stima di quanti animali servissero. Successivamente venivano contattati i governatori delle province dove tali animali potevano essere catturati che si attivavano per verificare se la loro regione di competenza potesse soddisfare le richieste e, una volta appurato questo aspetto, iniziavano le spedizioni per catturare le fiere richieste.

 

Gli animali venivano catturati da speciali reparti dell’esercito addestrati appositamente. I membri dell’esercito che avevano questo incarico apprezzavano particolarmente quest’attività che veniva vissuta come un gradevole diversivo rispetto alla routine quotidiana della vita ai confini dell’impero. Gli strumenti principali utilizzati comprendevano gabbie, reti e lacci (gli antenati del più moderno lazo) da tirare al collo delle bestie.

 

Gli erbivori venivano catturati senza particolari rischi anche se occorreva particolare destrezza; per catturare cinghiali, antilopi o cervi si usava una sorta di tagliola innocua senza punte che potessero ferire l’animale. Nel caso di bisonti o tori si costruivano recinti chiusi verso cui indirizzare gli animali con l’aiuto di cani oppure si scavavano fosse nel terreno. Per stanare invece lepri e conigli bisognava avere molta pazienza, ottimi riflessi e cani affidabili.

 

Per quanto riguarda la cattura dei felini essa avveniva secondo procedimenti leggermente diversi. Una volta individuata l’area in cui catturare i predatori, i cacciatori iniziavano a scavare diverse fosse da usare come trappole. Al centro della fossa si sistemava un capretto o un agnello che veniva legato stretto in modo che emettesse belati tali da attirare l’attenzione della fiera. La preda veniva legata in cima a un pilastrino di legno, terra o pietra e si nascondeva la fossa intorno con rami e frasche. Appena il felino saltava sulla preda cadeva giù nella fossa senza possibilità alcuna di poter riuscire. Una volta intrappolato si calava una gabbia con un po’ di carne all’interno e, appena il felino spinto dalla fame entrava nella gabbia, la si richiudeva e la si portava su.

 

Un altro sistema era quello di spingere i predatori con l’aiuto di cavalli e di torce verso un recinto al cui centro era sistemata una gabbia aperta. All’interno veniva sistemata un po’ di carne e non appena il felino, attratto dalla preda, entrava nella gabbia la si chiudeva e il gioco era fatto. Altre volte gli animali spinti all’interno del recinto venivano catturati con l’impiego di robuste reti e trascinati dentro la gabbia. Molto spesso il recinto in questione terminava con uno spazio angusto al termine del quale vi era un carro con una gabbia aperta e la solita carne usata come esca all’interno.

 

Le tecniche usate si differenziavano per i pachidermi, viste le loro dimensioni. Una modalità comune era quella di ferirli alle zampe con le frecce in modo da ridurne la possibilità di movimento e poterli così legare senza problemi. Altrimenti si facevano confluire gli elefanti verso un avvallamento scavato appositamente che veniva poi chiuso con delle reti in modo da evitare qualunque eventuale tentativo di fuga. Gli elefanti venivano lasciati lì per alcuni giorni per essere ammaestrati o per attendere che le loro forze finissero in modo così da poterli legare e portare successivamente fuori. Gli orsi invece venivano incalzati da cani e catturati usando delle reti o delle fosse nel terreno.

 

Come si vede le tecniche utilizzate erano diverse a seconda degli animali e non ci si poteva improvvisare cacciatori. Specialmente nel nord Africa dove questo tipo di business era molto fiorente addirittura nacquero delle agenzie specializzate nel fornire i migliori cacciatori.

 

Una volta catturati, gli animali dovevano essere trasportati a Roma: era questa la parte più complessa dell’intera operazione. In tempi antichi infatti viaggiare non era agevole e comportava sempre una serie di rischi, primo fra tutti, come già accennato, la morte degli animali. La percentuale di animali che arrivavano vivi era infatti molto bassa nonostante tutte le cautele e le attenzioni che si potevano predisporre.

 

Nella maggioranza dei casi i trasporti venivano effettuati via mare per ridurre i tempi. Gli animali venivano portati in un centro raccolta e da lì al porto più vicino dove li attendevano speciali imbarcazioni adattate appositamente al loro trasporto. Gli animali più feroci viaggiavano in gabbie resistenti e sicure, gli erbivori venivano lasciati generalmente più liberi. Prima di iniziare la traversata bisognava programmare anche il trasporto del cibo per sfamare le fiere durante il tragitto: si può parlare a volte anche di qualche tonnellata di cibo specialmente nel caso di grandi erbivori come gli elefanti.

 

Un ulteriore rischio legato al trasporto via mare era quello delle tempeste: in caso di tempesta infatti le possibilità di uscirne vivi non erano molto alte, ma questo riguardava ovviamente tutti i viaggi in mare, non soltanto quelli relativi al trasporto di animali. A Roma gli animali che giungevano vivi via mare arrivavano a Ostia e da lì venivano trasportati attraverso il Tevere in città. Si risaliva il fiume e si portavano gli animali in appositi vivaria, strutture dove venivano almeno in parte addestrati e tenuti nei giorni che precedevano gli spettacoli.

 

Gli elefanti, con ogni probabilità, coprivano via terra quest’ultima parte del tragitto per giungere a Roma. Differentemente da quanto si fa nei moderni zoo, i Romani non erano interessati a riprodurre fedelmente gli habitat degli animali cacciati. Sapevano infatti che la maggioranza di essi sarebbero morti comunque molto presto e non c’era ragione di allietare quel poco di vita che restava loro prima degli spettacoli di caccia.

 

I vivaria a Roma erano collocati in aree lontane dalle zone “sensibili”, come diremmo oggi, come il Senato, il Foro o la residenza dell’imperatore. Uno dei vivaria era collocato all’interno dell’Anfiteatro Castrense, nei pressi dell’attuale basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Da queste strutture, generalmente il giorno prima, gli animali venivano poi condotti al Colosseo dove per l’iniziale processione di presentazione venivano bardati e abbigliati e in questo modo sontuoso presentati agli spettatori prima dell’inizio dei giochi (pompa). Venivano poi ricondotti nei sotterranei e da lì aspettavano il loro momento per salire nuovamente nell’arena ed essere immolati davanti a migliaia di Romani urlanti e festanti.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Guidi F., Morte nell’arena. Storia e leggenda dei gladiatori, Milano, 2006.

Meijer F., Un giorno al Colosseo. Il mondo dei gladiatori, Amsterdam, 2003.

La Regina A., a cura di, Sangue e arena, catalogo della mostra, Roma, 2001. 



 

 

 

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