N. 16 - Settembre 2006
I VATTIENTI
DI NOCERA TERINESE
Un rito
bagnato dal sangue che prosegue dal XVII
secolo
di
Tiziana
Bagnato
Ci sono luoghi in cui il sangue scorre a rivoli macchiando
i selciati, i portoni e le mani. Luoghi in cui per
alcune ore all’anno il Medioevo sembra irrompere, cupo
e imponente nel suo mescolarsi di religione e istinti
pagani.
Quel luogo è Nocera Terinese, piccolo borgo calabrese in
provincia di Catanzaro, in cui ogni anno durante la
settimana santa si ripete il rito dei “Vattienti”,
letteralmente i flagellanti.
Si tratta di un rito religioso cristiano ma in cui molti
ravvedono sfaccettature pagane e altri ancora i segni
della barbarie che contraddistinse l’epoca medievale.
Certo è che le prime testimonianze storiche risalgono
al 1618. Da allora il rito, che in molti altri paesi è
scomparso, resiste, sfidando persino la Chiesa, la
quale ne ha disposto più volte l’annullamento, anche
tramite le forze di polizia. L’ultimo intervento in
merito risale al 1958.
Il rito si svolge ogni anno durante il sabato che precede
la Pasqua ed avviene contemporaneamente alla
processione della Madonna Addolorata, un corteo a capo
di cui è posto il gruppo ligneo raffigurante la madre
di Cristo.
La tradizione vuole che la statua sia stata scolpita
utilizzando il legno di un albero di pero selvatico e
che lo scultore abbia perso immediatamente la vista
per non potere più ripetere un simile capolavoro.
I flagellanti, che negli ultimi anni sono aumentati, sono
coloro che hanno teoricamente qualcosa da espiare per
sé stessi o per altri o che intendono con il loro
sacrificio ottenere un voto.
Ai vattienti vengono fatti indossare dei pantaloncini
rigorosamente scuri e corti per lasciare nude le gambe
e le cosce, che saranno le parti flagellate, e viene
loro posta sul capo una corona di spine.
Intanto, viene fatto scaldare un infuso di rosmarino che
successivamente viene energicamente massaggiato sulle
gambe dei vattienti per facilitare il riassorbimento
del sangue.
Gli strumenti con cui il vattiente dà luogo al rito sono il
cardo e la rosa. Si tratta di dischi di sughero con i
quali il vattiente si percuote. Uno ha inseriti sulla
sua superficie tredici pezzi di vetro che
simboleggiano i dodici apostoli e Cristo, l’altro è,
invece, ben levigato e viene usato sia per preparare
prima con i colpi la pelle a ricevere le ferite
procurate dalle schegge di vetro sia, secondo alcuni,
per macchiare con il sangue le mura e le porte delle
case attraversate dalla processione.
Il vattiente esce dalla propria casa con le braccia
incrociate e impugnando il cardo e la rosa. Ma nella
processione non è solo. Legato a lui con una corda
c’è, infatti, l’ ecce homo. Si tratta in genere
di un ragazzino che indossa soltanto un panno rosso
che gli lascia scoperte le spalle e una corona di
spine.
L’ecce homo, nel dialetto locale acciomu,
trascina per tutta la processione una croce rivestita
di rosso e rappresenta la figura e il sacrificio di
Cristo.
I vattienti camminano per il paese battendosi prima davanti
alla propria casa e poi davanti alle case di amici e
parenti, i sagrati delle chiese e davanti alle icone
votive. Nel loro percorso di espiazione sono
accompagnati da parenti e amici che bagnano loro le
gambe con infusi di vino e aceto. In questo modo,
prevengono sia possibili infezioni che la formazione
di coaguli e croste che oltre a provocare dolore
renderebbero meno scenico il rito.
Così il sangue continua a sgorgare in forma liquida fino a
che, giunti alla statua della Madonna dell’Addolorata,
il vattiente, dopo aver pregato, ritorna nelle propria
casa. Dopo essersi rivestito si ricongiunge subito
alla folla e segue, a sua volta, il percorso degli
altri flagellanti
Non si è mai sentito parlare di alcun tipo di infezione e
il rito da oltre quattrocento anni continua a
compiersi regolarmente portando nel borgo curiosi e
turisti attirati dal sacrificio di sangue. Un
sacrificio di sangue ambito, perché ogni anno
aumentano i giovani che ne vogliono diventare
protagonisti. |