.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

arte


N. 90 - Giugno 2015 (CXXI)

Vincent van Gogh
Genio e verità dell’anima

di Claudio Tassini

 

Vincent van Gogh è morto a soli trentasette anni, ancora giovane secondo i canoni di oggi. Venne dai più considerato pazzo già quando era in vita, la sua “pazzia” è stata poi amplificata dopo la sua morte.

 

Nato a Zundert nel 1853 Vincent inizia tardi a dipingere, solo verso i trent’anni intraprende seriamente quella strada che lo farà diventare uno dei più grandi artisti di sempre. Poca fortuna ha la sua esperienza giovanile come predicatore, sulle orme del padre: dapprima non riesce a superare gli esami di ammissione e solo nel 1879 la Scuola di Evangelizzazione di Bruxelles gli affida l’incarico temporaneo di diffondere la dottrina là dove nessuno sarebbe mai voluto andare, nel centro minerario di Wasmes.

 

Prende a cuore le tristi vite degli abitanti tanto da vivere come loro in totale povertà, immedesimandosi a tal punto che poi viene sollevato dall’incarico. Questa esperienza gli fa capire che da lì in poi si dedicherà a dipingere la realtà privi di filtri. Emblematica di questa concezione è l’opera I mangiatori di patate, povera gente che si nutre visceralmente di ciò che è nato dal pesante lavoro.

 

Van Gogh venne criticato da molti contemporanei anche per la sua tecnica non scevra di difetti, anche se egli non se ne curava molto, pur consapevole di non avere una tecnica sopraffina, sapeva però che i suoi quadri sarebbero stati destinati a rimanere come occhi dell’anima: “So benissimo che la tela ha dei difetti ma, rendendomi conto che le teste che dipingo adesso sono sempre più vigorose, oso affermare che I mangiatori di patate, insieme con le tele che dipingerò in avvenire, resteranno”.

 

Nel 1888 si trasferisce ad Arles in Provenza, nella famosa casa gialla, dove produce tantissimo, mosso dalla paura che venisse meno l’ispirazione nutrita dal sole e dai colori di quel luogo; di quest’anno sono La casa gialla, Albicocchi in fiore, La camera di Vincent ad Arles e Girasoli. Qui si sente sereno, adrenalinico, e chiede a suo fratello e mercante d’arte Theo di esortare Gauguin a raggiungerlo. Anche in questo frangente, il fratello lo vuole assecondare non solo nell’intercedere con Gauguin, ma anche sobbarcandosi un ulteriore esborso di denaro sostenendo entrambi. L’intento di Gauguin è probabilmente solo quello di mettere insieme i soldi sufficienti per andare in Martinica, mentre per Vincent l’arrivo dello stimatissimo pittore rappresenta un nuovo inizio, poiché ammira visceralmente il collega e lo considera un artista nettamente superiore. Dipinge appositamente un quadro del ciclo Girasoli appendendolo nella stanza a lui destinata.

 

Van Gogh pensava che la casa gialla possa diventare un rifugio stabile dove i pittori potessero vivere e lavorare, ma Gauguin non è interessato a tutto questo, rimane deluso dal disordine e da come vive il pittore olandese, tanto da definirla “il luogo più sporco del Mezzogiorno”, mentre in merito alla Provenza scrive: “Trovo tutto piccolo, meschino, i paesaggi e le persone”.

Inoltre van Gogh è totalmente immerso nel lavoro, dipingendo continuamente e in modo ossessivo, al contrario Gauguin lavora con tempi totalmente differenti: i contasti frequenti e chiassosi portano a un episodio passato alla storia. Il 23 dicembre dello steso anno, dopo una lite, van Gogh segue Gauguin per la strada armato di rasoio da barba, ma poi rinuncia ad affrontarlo; tornato in casa si taglia un pezzo dell’orecchio sinistro che avvolge in un fazzoletto e poi porta a Rachele, una prostituta di un locale frequentato dai due.

Nei giorni successivi all’episodio, gli stanno vicino il pastore protestante dell’ospedale dove era stato ricoverato, il medico tirocinante Jean Felix Rey, e il suo amico impiegato delle poste, mentre il fratello sta con lui la vigilia Natale. Dopo questo fatto Vincent, in preda a una lucida e cosciente consapevolezza del suo stato di profonda sofferenza, chiederà attraverso una lettera scritta all’amato fratello di essere internato nella Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico a Saint-Rémy-de-Provence, a una ventina di chilometri da Arles.

 

Nel maggio 1889, accompagnato dall’amico pastore Salles, prende i sui pennelli e le sue tele per trasferirsi nella sua nuova “casa”. Durante la permanenza e fino alla morte la mente del grande artista è attraversata da profonde crisi, accompagnate da momenti di assoluto torpore mentale, alternate a periodi di totale lucidità, in cui riesce a creare tele di assoluta verità e consapevolezza.

 

Quando è in grado di dedicarsi alla pittura, Vincent dipinge fuori dall’ospedale, accompagnato dal sorvegliante Jean-Francois Poulet. La diagnosi del dottor Théophine Peyron, direttore dell’ospedale, è quella di mania acuta delirante, anche se alla luce dei moderni metodi di diagnosi – accanto all’epilessia, disturbo bipolare, malnutrizione – uno dei fattori importanti fu quello del consumo sistematico della “bibita” per eccellenza dell’800, cioè l’assenzio.

 

Il 17 maggio 1890 si reca a Parigi per conoscere il nipotino e la cognata. In quei tre giorni, ha modo di rivedere i tantissimi quadri che ha mandato al fratello. Successivamente si trasferisce in un piccolo paesino a circa trenta chilometri da Parigi, presso la pensione Ravoux ad Auvers-sur-Oise, dove risiede il medico e amico del fratello Paul-Ferdinand-Gachet, al quale fa un famosissimo ritratto. Il medico era un esperto in “melanconia”, autore anche di una tesi sull’argomento, ma non è un vero specialista in malattie mentali. Anche attraverso l’intercessione dell’amico Pissarro, van Gogh crede nella speranza di essere curato da questo medico e pittore dilettante, ma ciò non accade.

 

Il grande artista muore martedì 29 luglio 1890 alle una e trenta in seguito alla ferita all’addome che si era auto inflitto sparandosi. Il fratello Theo, che è con lui al momento della morte, riporta la sua ultima frase: “è così che volevo morire”. Il prete di Auvers non permette l’accesso alla chiesa a un suicida e la salma viene esposta in una sala, allestita dal pittore e amico Emile Bernard. Vincent è circondato dalle sue tele, sopra la bara viene messo un drappo bianco insieme a dalie gialle, fiori gialli di ogni tipo e, naturalmente, i suoi splendenti girasoli.

 

La paura più grande di van Gogh fu sempre l’interrogativo “sono pazzo?”; questa domanda lo afflisse per tutta la vita lacerandogli il cuore. Essere pazzo avrebbe significato per lui non riuscire più a dipingere. Al turbolento periodo di Arles appartengono capolavori come Davanti al manicomio di Saint-Rémy, Cipressi, Oliveto con nuvola bianca, Notte stellata.

 

Van Gogh riposa nel cimitero di Auvers-sur-Oise accanto a suo fratello Theo che morì solo sei mesi più tardi.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.