N. 90 - Giugno 2015
(CXXI)
Vincent van Gogh
Genio e verità dell’anima
di Claudio Tassini
Vincent
van
Gogh
è
morto
a
soli
trentasette
anni,
ancora
giovane
secondo
i
canoni
di
oggi.
Venne
dai
più
considerato
pazzo
già
quando
era
in
vita,
la
sua
“pazzia”
è
stata
poi
amplificata
dopo
la
sua
morte.
Nato
a
Zundert
nel
1853
Vincent
inizia
tardi
a
dipingere,
solo
verso
i
trent’anni
intraprende
seriamente
quella
strada
che
lo
farà
diventare
uno
dei
più
grandi
artisti
di
sempre.
Poca
fortuna
ha
la
sua
esperienza
giovanile
come
predicatore,
sulle
orme
del
padre:
dapprima
non
riesce
a
superare
gli
esami
di
ammissione
e
solo
nel
1879
la
Scuola
di
Evangelizzazione
di
Bruxelles
gli
affida
l’incarico
temporaneo
di
diffondere
la
dottrina
là
dove
nessuno
sarebbe
mai
voluto
andare,
nel
centro
minerario
di
Wasmes.
Prende
a
cuore
le
tristi
vite
degli
abitanti
tanto
da
vivere
come
loro
in
totale
povertà,
immedesimandosi
a
tal
punto
che
poi
viene
sollevato
dall’incarico.
Questa
esperienza
gli
fa
capire
che
da
lì
in
poi
si
dedicherà
a
dipingere
la
realtà
privi
di
filtri.
Emblematica
di
questa
concezione
è
l’opera
I
mangiatori
di
patate,
povera
gente
che
si
nutre
visceralmente
di
ciò
che
è
nato
dal
pesante
lavoro.
Van
Gogh
venne
criticato
da
molti
contemporanei
anche
per
la
sua
tecnica
non
scevra
di
difetti,
anche
se
egli
non
se
ne
curava
molto,
pur
consapevole
di
non
avere
una
tecnica
sopraffina,
sapeva
però
che
i
suoi
quadri
sarebbero
stati
destinati
a
rimanere
come
occhi
dell’anima:
“So
benissimo
che
la
tela
ha
dei
difetti
ma,
rendendomi
conto
che
le
teste
che
dipingo
adesso
sono
sempre
più
vigorose,
oso
affermare
che
I
mangiatori
di
patate,
insieme
con
le
tele
che
dipingerò
in
avvenire,
resteranno”.
Nel
1888
si
trasferisce
ad
Arles
in
Provenza,
nella
famosa
casa
gialla,
dove
produce
tantissimo,
mosso
dalla
paura
che
venisse
meno
l’ispirazione
nutrita
dal
sole
e
dai
colori
di
quel
luogo;
di
quest’anno
sono
La
casa
gialla,
Albicocchi
in
fiore,
La
camera
di
Vincent
ad
Arles
e
Girasoli.
Qui
si
sente
sereno,
adrenalinico,
e
chiede
a
suo
fratello
e
mercante
d’arte
Theo
di
esortare
Gauguin
a
raggiungerlo.
Anche
in
questo
frangente,
il
fratello
lo
vuole
assecondare
non
solo
nell’intercedere
con
Gauguin,
ma
anche
sobbarcandosi
un
ulteriore
esborso
di
denaro
sostenendo
entrambi.
L’intento
di
Gauguin
è
probabilmente
solo
quello
di
mettere
insieme
i
soldi
sufficienti
per
andare
in
Martinica,
mentre
per
Vincent
l’arrivo
dello
stimatissimo
pittore
rappresenta
un
nuovo
inizio,
poiché
ammira
visceralmente
il
collega
e lo
considera
un
artista
nettamente
superiore.
Dipinge
appositamente
un
quadro
del
ciclo
Girasoli
appendendolo
nella
stanza
a
lui
destinata.
Van
Gogh
pensava
che
la
casa
gialla
possa
diventare
un
rifugio
stabile
dove
i
pittori
potessero
vivere
e
lavorare,
ma
Gauguin
non
è
interessato
a
tutto
questo,
rimane
deluso
dal
disordine
e da
come
vive
il
pittore
olandese,
tanto
da
definirla
“il
luogo
più
sporco
del
Mezzogiorno”,
mentre
in
merito
alla
Provenza
scrive:
“Trovo
tutto
piccolo,
meschino,
i
paesaggi
e le
persone”.
Inoltre
van
Gogh
è
totalmente
immerso
nel
lavoro,
dipingendo
continuamente
e in
modo
ossessivo,
al
contrario
Gauguin
lavora
con
tempi
totalmente
differenti:
i
contasti
frequenti
e
chiassosi
portano
a un
episodio
passato
alla
storia.
Il
23
dicembre
dello
steso
anno,
dopo
una
lite,
van
Gogh
segue
Gauguin
per
la
strada
armato
di
rasoio
da
barba,
ma
poi
rinuncia
ad
affrontarlo;
tornato
in
casa
si
taglia
un
pezzo
dell’orecchio
sinistro
che
avvolge
in
un
fazzoletto
e
poi
porta
a
Rachele,
una
prostituta
di
un
locale
frequentato
dai
due.
Nei
giorni
successivi
all’episodio,
gli
stanno
vicino
il
pastore
protestante
dell’ospedale
dove
era
stato
ricoverato,
il
medico
tirocinante
Jean
Felix
Rey,
e il
suo
amico
impiegato
delle
poste,
mentre
il
fratello
sta
con
lui
la
vigilia
Natale.
Dopo
questo
fatto
Vincent,
in
preda
a
una
lucida
e
cosciente
consapevolezza
del
suo
stato
di
profonda
sofferenza,
chiederà
attraverso
una
lettera
scritta
all’amato
fratello
di
essere
internato
nella
Maison
de
Santé
di
Saint-Paul-de-Mausole,
un
vecchio
convento
adibito
a
ospedale
psichiatrico
a
Saint-Rémy-de-Provence,
a
una
ventina
di
chilometri
da
Arles.
Nel
maggio
1889,
accompagnato
dall’amico
pastore
Salles,
prende
i
sui
pennelli
e le
sue
tele
per
trasferirsi
nella
sua
nuova
“casa”.
Durante
la
permanenza
e
fino
alla
morte
la
mente
del
grande
artista
è
attraversata
da
profonde
crisi,
accompagnate
da
momenti
di
assoluto
torpore
mentale,
alternate
a
periodi
di
totale
lucidità,
in
cui
riesce
a
creare
tele
di
assoluta
verità
e
consapevolezza.
Quando
è in
grado
di
dedicarsi
alla
pittura,
Vincent
dipinge
fuori
dall’ospedale,
accompagnato
dal
sorvegliante
Jean-Francois
Poulet.
La
diagnosi
del
dottor
Théophine
Peyron,
direttore
dell’ospedale,
è
quella
di
mania
acuta
delirante,
anche
se
alla
luce
dei
moderni
metodi
di
diagnosi
–
accanto
all’epilessia,
disturbo
bipolare,
malnutrizione
–
uno
dei
fattori
importanti
fu
quello
del
consumo
sistematico
della
“bibita”
per
eccellenza
dell’800,
cioè
l’assenzio.
Il
17
maggio
1890
si
reca
a
Parigi
per
conoscere
il
nipotino
e la
cognata.
In
quei
tre
giorni,
ha
modo
di
rivedere
i
tantissimi
quadri
che
ha
mandato
al
fratello.
Successivamente
si
trasferisce
in
un
piccolo
paesino
a
circa
trenta
chilometri
da
Parigi,
presso
la
pensione
Ravoux
ad
Auvers-sur-Oise,
dove
risiede
il
medico
e
amico
del
fratello
Paul-Ferdinand-Gachet,
al
quale
fa
un
famosissimo
ritratto.
Il
medico
era
un
esperto
in
“melanconia”,
autore
anche
di
una
tesi
sull’argomento,
ma
non
è un
vero
specialista
in
malattie
mentali.
Anche
attraverso
l’intercessione
dell’amico
Pissarro,
van
Gogh
crede
nella
speranza
di
essere
curato
da
questo
medico
e
pittore
dilettante,
ma
ciò
non
accade.
Il
grande
artista
muore
martedì
29
luglio
1890
alle
una
e
trenta
in
seguito
alla
ferita
all’addome
che
si
era
auto
inflitto
sparandosi.
Il
fratello
Theo,
che
è
con
lui
al
momento
della
morte,
riporta
la
sua
ultima
frase:
“è
così
che
volevo
morire”.
Il
prete
di
Auvers
non
permette
l’accesso
alla
chiesa
a un
suicida
e la
salma
viene
esposta
in
una
sala,
allestita
dal
pittore
e
amico
Emile
Bernard.
Vincent
è
circondato
dalle
sue
tele,
sopra
la
bara
viene
messo
un
drappo
bianco
insieme
a
dalie
gialle,
fiori
gialli
di
ogni
tipo
e,
naturalmente,
i
suoi
splendenti
girasoli.
La
paura
più
grande
di
van
Gogh
fu
sempre
l’interrogativo
“sono
pazzo?”;
questa
domanda
lo
afflisse
per
tutta
la
vita
lacerandogli
il
cuore.
Essere
pazzo
avrebbe
significato
per
lui
non
riuscire
più
a
dipingere.
Al
turbolento
periodo
di
Arles
appartengono
capolavori
come
Davanti
al
manicomio
di
Saint-Rémy,
Cipressi,
Oliveto
con
nuvola
bianca,
Notte
stellata.
Van
Gogh
riposa
nel
cimitero
di
Auvers-sur-Oise
accanto
a
suo
fratello
Theo
che
morì
solo
sei
mesi
più
tardi.