N. 88 - Aprile 2015
(CXIX)
Tra le vette del Val Demone
Il paesaggio della Sicilia Nord-Orientale
di Federica Campanelli
Pensando
alla
Sicilia
e al
suo
territorio,
può
facilmente
prender
forma
nella
mente
un
paesaggio
azzurro
venato
di
ocra
e
terra
bruciata.
La
prima
tonalità
è
naturalmente
connessa
all'elemento
marino,
mentre
le
altre
sono
legate
alle
distese
aride
e
semi-aride
dell’entroterra
siciliano
e di
parte
dei
suoli
costieri
jonici
e
tirrenici. In
effetti,
la
desertificazione
dell’isola
è un
fenomeno
ben
noto
da
anni
(le
peculiarità
climatiche
non
sarebbero
affatto
l’unico
fattore
responsabile),
anche
per
la
rapidità
con
cui
si
sviluppa
il
processo,
che
pare
non
lasci
scampo
e
che
va
seminando
giustificato
allarmismo
specialmente
tra
i
produttori
agricoli.
Ma
l’isola
è
tanto
altro.
Pur
essendo
circondata
dal
mare,
le
meraviglie
naturali
non
si
limitano
alle
lucenti
rive
scampate
dall’abusivismo
costiero.
Tantomeno
le
sue
ampie
distese
riarse
rappresentano
l’unica,
e un
po’
esotica,
“altra
faccia”
paesaggistica
della
Sicilia.
A
molti
sembrerà
strano,
infatti,
immaginare
la
Sicilia
come
un
luogo
in
grado
di
regalare
alla
vista
maestosi
scenari
montani.
Tantomeno
è
consueto
pensare
che
fino
a
una
trentina
d’anni
fa
la
Regione
contava
numerose
Comunità
Montane,
soppresse
nel
1986
quali
enti
territoriali,
ma
fisicamente
sopravvissute
laddove
lo
spopolamento
(che,
di
contro,
ha
determinato
la
crescita
delle
comunità
costiere)
non
ha
ancora
avuto
la
meglio.
La
montagna
in
Sicilia
occupa
circa
il
24,5%
del
territorio
(le
aree
pianeggianti
rappresentano,
invece,
solo
il
14%,
mentre
il
resto
del
suolo
è
collinare),
condensandosi
particolarmente
nel
Val
Demone.
Il
Vallo,
sorto
formalmente
nel
XII
secolo,
ha
come
confini
naturali
esterni:
la
costa
tirrenica
orientale,
che
dallo
Stretto
giunge
sino
al
fiume
Imera
Settentrionale
(Fiume
Grande),
e la
costa
jonica
settentrionale,
dove
Catania
rappresenta
il
limite
tra
il
Demone
e il Val
di
Noto;
per
quanto
riguarda
l’entroterra,
il
Val
Demone
comprende
l’areale
etneo
e la
provincia
di
Messina.
È
qui
che
sorge
il
cosiddetto
Appennino
Siculo,
propaggine
“oltre-stretto”
dell’Appennino
Calabro.
Il
complesso
montuoso
comprende,
partendo
da
Nord-Ovest:
le
catene
dei
Monti
Peloritani
e
Nebrodi,
appartenenti
alla
provincia
di
Messina;
le
Madonie,
territorialmente
della
provincia
di
Palermo.
I
Peloritani
si
estendono
per
oltre
60
chilometri
dal
mons
Pelorus,
oggi
Capo
Peloro
o
Punta
del
Faro,
fino
al
passo
Portella
Mandrazzi,
ufficialmente
linea
di
confine
con
i
Nebrodi.
Il
rilievo
principale
è la
Montagna
Grande
che
con
i
suoi
1374
metri
sul
livello
del
mare
è
probabilmente
tra
le
aree
più
incontaminate
dell’intera
catena,
grazie
anche
alla
minore
attività
antropica
degradante
(per
via del
territorio
particolarmente
aspro
e
poco
praticabile).
La
catena
dei
Nebrodi
rappresenta
il
cuore
dell’omonima
riserva
naturale
protetta
nota
come
Parco
dei
Nebrodi.
L’area,
comprendente
23
comuni
delle
tre
province
limitrofe
(Messina,
Catania,
Enna),
vanta
un’estensione
di
ben
86000
ettari
e
tra
le
sue
meraviglie
spicca
la
vetta
del
Monte
Soro,
1847
metri
s.l.m.,
la
più
alta
dei
Nebrodi.
Il
fascino
dei
Nebrodi,
oltre
che
nell’intricata
rete
di
fiumare,
nella
lussureggiante
flora
e
nella
ricca
fauna
(il
territorio
annovera,
tra
l’altro,
specie
endemiche
come
il
maiale
nero),
risiede
nella
particolare
morfologia
orografica
caratterizzata
da
profili
tondeggianti
e
ampi
declivi
dovuti
alla
natura
prevalentemente
arenacea
e
argillosa
del
massiccio
montuoso.
.
Nebrodi
.
Maiale
nero
dei
Nebrodi
Degno
di
nota
è
l’altopiano
dell’Argimusco,
che
si
estende
tra
i
1165
e i
1230
metri
s.l.m.
nei
pressi
di
Montalbano
Elicona
(Messina)
al
confine
con
i Peloritani.
Il
pianoro
è un
incredibile
complesso
megalitico
naturale
le
cui
formazioni
sono
senz’altro
le
più
bizzarre,
misteriose
e
suggestive
dell’Appennino
Siculo. Trattasi
di
rocce
arenacee
dall’originale
morfologia
antropomorfa
e
zoomorfa;
creature
di
pietra
che
si
stagliano
solitarie
nell’orizzonte
di
un
paesaggio
quasi
nudo
e
lontano
da
tutto.
Tali
formazioni
hanno
subito
un
lunghissimo
processo
di
erosione
prevalentemente
meccanica
a
opera
di
agenti
naturali
fino
a
conferire
le
attuali,
eccentriche
forme.
Pare
che
l’uomo,
in
tempi
remotissimi,
dopo
aver scoperto
questo
luogo
(oggi
definito,
giustamente,
la
Stonehenge
di
Sicilia),
lo
abbia
praticato
per
fini
astronomici.
Meno
certa
è
invece
una
fase
di
vero
e
proprio
insediamento
abitativo.
Oggi
esiste
persino
un
gruppo
di
ricercatori
specializzati
in
archeoastronomia
impegnati
nello
studio
approfondito
del
sito
siciliano
quale
possibile
antico
osservatorio
astronomico,
analogamente
a
quanto
avvenuto
in
numerosi
siti
protostorici,
o
successivi,
in
diverse
parti
del
Globo.
Le
Madonie
(da
Maroneum),
comprese
tra
la
Fiumara
di
Pollina
a
Est
e l’Imera
Settentrionale
a
Ovest,
annoverano
la
vetta
più
alta
dell’Appennino
Siculo
(e
dell’intera
isola,
dopo
l’Etna):
Pizzo
Carbonara,
alto
1979
metri
s.l.m..
Tipico
delle
Madonie
è la
presenza
di
considerevoli
strutture
idrogeologiche
ed
elevato
tasso
di
precipitazioni
che
ne
hanno
fatto
la
principale
riserva
idrica
del
Val
Demone.
Il
suolo
è
prevalentemente
calcareo
e
calcareo-dolomitico.
Sono
stati
riscontrati
importanti
fenomeni
di
carsismo
che
nell’area
centrale
del
massiccio
madonite
(comprendente
Pizzo
Carbonara,
Monte
Ferro
e
Pizzo
Antenna)
si
svolgono
a
quote
superiori
i
1600
metri,
mentre
le
alture
minori
contano
formazioni
arenacee
e
argillose
che
conferiscono
al
paesaggio
lineamenti
dolci
e
tondeggianti.
.
Catena
della
Madonie
Alcune
tra
le
formazioni
carsiche
ipogee
madonite
di
maggiore
interesse
e
bellezza,
sono
le
celebri
grotte
chiamate
Abisso
del
Vento
e
Abisso
del
Gatto.
L’Abisso
del
Vento,
situato
nel
territorio
del
comune
di
Isnello
(alle
pendici
di
Pizzo
Carbonara),
è un
antro
che
si
sviluppa
per
circa
tre
chilometri
a
una
profondità
che
supera
abbondantemente
i
200
metri.
Presenta
un
complesso
sistema
di
gallerie
e
cavità
ricche
di
depositi
di
terre
rosse
e
affascinanti
concrezioni
colonnari,
stalattiti
e
stalagmiti.
L’Abisso
del
Gatto,
nel
territorio
di
Cefalù,
si
presenta
come
la
grotta
più
profonda
dell’isola.
Essa,
infatti,
supera
i
300
metri
di
profondità
ed è
caratterizzata
da
grandi
sale
alternate
a
strette
gallerie
sviluppate
su
più
livelli.
Le
formazioni
concrezionali
più
importanti
si
riscontrano
principalmente
nelle
sue
cavità
più
profonde.
.
Abisso
del
Vento
Ma
il
vero
protagonista
del
Val
Demone,
il
più
alto,
complesso
e
irruento
dei
monti
siciliani,
è il
vulcano
Etna,
‘u
mungibeddu,
che
attualmente
raggiunge
la
quota
di
3323
metri.
Sorto
circa
500000
anni
fa,
nel
punto
d’accavallamento
delle
placche
Euro-Asiatica
e
Africana,
l’Etna
è un
vulcano
a
eruzione
prevalentemente
effusiva
molto
attivo,
nonché
il
maggiore edificio
vulcanico
terrestre
attivo in
Europa.
Offre
uno
scenario
unico,
dove
in
un
solo
colpo
d’occhio
si
possono
cogliere
mare,
terra
e
fuoco.
Il
profilo
del
vulcano
si
caratterizza
per
un
declivio
debolmente
scosceso
fino
a
metà
della
sua
altezza,
per
poi
impennare
fino
alla
vetta.
Le
numerose
eruzioni
avvengono
sia
in
cima
(eruzioni
terminali)
sia
lungo
i
fianchi
dell’edificio
vulcanico
(eruzioni
eccentriche
ed
eruzioni
laterali).
Molteplici
sono
i
suoi
crateri,
più
di
300,
tanto
da
conferirgli
il
tipico
aspetto
di
un
“paesaggio
lunare”.
I
crateri
attivi
sommitali
sono
la
Voragine
(cratere
centrale),
la
Bocca
Nuova,
il
Cratere
Nord-Est
e il
Cratere
Sud-Est,
quest’ultimo
tra
i
più
coinvolti
nei
fenomeni
eruttivi.
Dalle
più
remote
eruzioni
vulcaniche,
verificatesi
nel
bacino pre-etneo,
sono
sorti
alcuni
scorci
mozzafiato
grazie
a
formazioni
basaltiche
cosiddette
pillow
(cuscino)
tipiche
della
rupe
di
Aci
Castello
e
quelle
prismatico-colonnari
dell’Arcipelago
dei
Ciclopi
(Aci
Trezza)
i
cui
faraglioni
sono
le
leggendarie
pietre
che
il
ciclope Polifemo
tentò,
ormai
cieco,
di
scaraventare
contro
Ulisse.
Fanno
parte
di
questo
complesso:
il
Faraglione
Grande,
il
Faraglione
Piccolo,
l’Isola
Lachea
e un
sistema
di
quattro
promontori
disposti
a
semicerchio.
Tra
l’Etna,
i
monti Peloritani
e i
Nebrodi,
scorre
il
fiume
Alcantara
(Al-qantarah).
Esso
sorge
sui
Nebrodi,
nella
Serra
Baratta,
a
una
quota
di
1400
metri
circa
e
sfocia
nello
Jonio
dopo
aver
percorso
52
chilometri.
Le
sue gelide
acque
si
sono
insinuate
tra
le
profonde
fessurazioni
rocciose
causate
da
violenti
eventi
sismici,
contribuendo
a
forgiare
un
paesaggio
spettacolare
e
carico
d’attrattiva:
le
Gole
dell’Alcantara.
Queste
sono
collocate
nell'omonimo
parco
fluviale
istituito
nel
2001:
"[...]
strettissime,
profondissime,
serpeggianti
gole
formate
da
basalti
prismatici
che
sembrano
fasci
di
enormi
verghe
lapidee
violentemente
contorti
e
spezzati.
Fra
strette
e
scure
pareti
le
acque
scorrenti
tacite
e
lente
si
tingono
di
livide
tinte,
e
non
occorre
molto
sforzo
di
fantasia
allo
spettatore
per
credersi
trasportato
dinanzi
a
qualche
paesaggio
dell'inferno
dantesco"
(F.
De
Roberto,
Randazzo
e la
valle
dell'Alcantara,
1990).