N. 37 - Gennaio 2011
(LXVIII)
ASIA, BUDDHA E un reporter senza lavoro
PARTE XXI - Ripassi di Dharma
di Gianrigo Marletta
Dedico
questo
lavoro
interamente
a
Krishna,
mio
amico
e
maestro
morto
nell’inverno
del
2005
a
Rishikesh,
in
India.
Offro
un
pensiero
particolare
anche
a
Sua
Santità
il
Dalai
Lama,
con
la
preghiera
che
egli
possa
condurre
una
vita
ancora
molto
lunga,
rivedere
il
suo
paese
il
Tibet
e
continuare
ad
ispirare
milioni
di
persone
con
la
sua
ineguagliabile
personalità
e
profondità.
Con
le
parole
che
ho
scritto
in
questo
mio
riassunto
non
vorrei
sembrare
presuntuoso.
Scrivere
mi è
servito
solo
per
fare
più
chiarezza
tra
i
mille
concetti
che
ho
imparato
e
quindi
elaborato.
Ho
solo
scritto
quello
che
penso
e
quello
che
credo
di
aver
imparato
fino
ad
ora
dal
Buddhismo
e
dall’Induismo,
nell’intento
di
offrire
un
rimedio
a
tutta
quella
insoddisfazione,
ingordigia
e
sofferenza
di
cui
ho
fin’ora
parlato.
Ho
fatto
degli
esempi
e,
non
volendo
offendere
nessuno,
mi
sono
preso
la
libertà
di
comparare
filosofie
secondo
i
miei
canoni
(anche
se
del
tutto
illusori)
di
bene
e
male,
giusto
e
sbagliato,
utile
ed
inutile.
Le
mie
scuole
sono
state
posti
come
l'India,
il
Giappone
e la
Thailandia;
insegnanti
come
Krishna,
Swami
Dharmananda,
Prah
Noa,
il
Tushita
Meditation
Center;
libri
come
“Autobiografia
di
uno
Yogi”,
“Gesù,
memorie
di
un
Esseno”,
“Bardo
Todhol,
il
libro
tibetano
dei
morti”,”I
Vangeli”,
“Il
Quinto
Vangelo”,
“Buddha”
(di
Karen
Armstrong),
“Il
Grande
Libro
dello
Zen”,
“Lo
Zen”.
Se
l’unico
risultato
di
questo
mio
lavoro
fosse
quello
di
ispirare
anche
un
solo
lettore
a
leggere
uno
di
questi
testi,
soprattutto
“Autobiografia
di
uno
Yogi”
di
Paramahansa
Yogananda,
per
me
sarebbe
la
più
grande
soddisfazione.
Indirizzo
quello
che
ho
scritto
a
tutti
coloro
che,
nonostante
tutte
le
fatiche,
non
trovano
soddisfazione
nella
loro
vita
quotidiana.
Io
come
loro
mi
sono
ritrovato
stufo
delle
piccole
gioie
momentanee
e
delle
grandi
noie
e
dolori.
Per
fortuna
c’è
una
parte
del
mondo
molto
vasta
che
da
sempre
ha
sostenuto
di
conoscere
il
rimedio
a
tale
insoddisfazione.
L’Asia,
nella
sua
caotica
confusione,
offre
uno
spirito
che
nessun
altro
continente
può
eguagliare,
ma
soprattutto
che
un
ricercatore
sincero
può
cogliere
e
portare
con
sé
fino
a
raggiungere
l’immensa
gioia
ed
eterna
pace.
Fondamentale
è
sapere
che
il
percorso
spirituale
serve
ad
alleggerire
il
proprio
carico
e
non
ad
appesantirlo,
cosa
che
molti
non
comprendono.
Non
bisogna
ingerire
concetti
nuovi
ma
vomitare
quelli
vecchi,
questa
è
filosofia
orientale.
Riassunto
dei
paragrafi
che
seguono,
per
capire
il
vacuo
e l’impermanenza.
I
cinque
aggregati
(1.
Forma
fisica,
2.Mente
o
Coscienza,
3.Proiezioni
della
mente
(pensieri),
4.
Sensazioni,
5.Percezioni)
e
quindi
i
miliardi
di
atomi
(separati
l’uno
dall’altro)
che
compongono
le
centinaia
di
ossa,
organi,
liquidi
e
tessuti,
non
sono
altro
di
ciò
che
chiamiamo
Io.
Quale
di
tutte
queste
parti
su
indicate
compongono
ciò
che
viene
identificato
come
Io?
L’insieme?
E
allora
senza
una
mano,
o
senza
un
rene
o se
perdessi
la
facoltà
di
percepire
non
sarei
più
io? Io
continua
ad
essere
anche
senza
l’insieme?
O
forse
Io
non
esiste?
Forse
è
l’idea
che
ci
viene
in
mente
quando
consideriamo
la
somma
delle
parti
che
ci
compongono,
ed
Io
lo
collochiamo
più
o
meno
lì,
al
centro
del
nostro
corpo.
“L’idea
che
ci
viene
in
mente”.
E
mente
cos’è?
È
astratto,
è
cervello,
sono
i
pensieri?
Il
Buddha
insegnò
che
la
Mente
è
ben
separata,
anche
se
mischiata,
dai
cinque
aggregati
e
soprattutto
dai
pensieri.
Quest’ultimi
vengono
generati
dal
cervello
ed
influenzati
dal
nostro
Karma;
la
Mente
invece
è
quella
parte
in
noi,
senza
inizio
ne
fine,
pura,
che
vedrebbe
chiara
la
Verità,
la
totalità
delle
cose
ed
il
perché
di
tutto
se
non
fosse
inquinata,
appunto,
dai
cinque
aggregati
e
dai
pensieri.
Questi
cinque
componenti
insieme
a
passioni
e
desideri
creano
il
Karma
ed
il
Karma
è
ciò
che
ci
lega
ai
Sei
Regni
Impuri
(alla
“vita”).
Finché
tale
“inquinamento”
non
verrà
purificato
la
Mente
non
potrà
tornare
al
suo
stato
naturale
ed
insieme
alla
coscienza
verrà
sbattuta
più
e
più
volte
nei
Regni
Impuri. Lo
stesso
errore
del
percepire
l’Io
lo
commettiamo,
secondo
gli
insegnamenti
del
Buddha
Shakyamuni,
quando
tendiamo
a
considerare
tutto
come
una
certezza,
come
consolidato,
come
immortale. I
primi
a
considerare
invincibili,
immortali
siamo
noi
stessi.
Sicuri
che
nulla
ci
accadrà,
posticipiamo
qualsiasi
pensiero
o
idea
di
morte
e
sofferenza
e
quando
questa
accade
ci
disperiamo.
Ovviamente
sappiamo
che
tutto
è
impermanente,
tutto
muore
si
deteriora,
il
tempo
non
lascia
scampo
a
nulla
e a
nessuno,
ma
saperlo
non
sembra
appartenerci
quando
abbiamo
a
che
fare
con
le
Nostre
cose,
con
i
Nostri
cari,
con
Noi
stessi.
Se
la
macchina
si
rompe,
la
casa
va a
fuoco,
il
nonno
muore
noi
ci
disperiamo. Beh,
macchina
e
casa
sono
discorsi
separati
dal
nonno.
L’auto
e
l’abitazione
sono
cose
che
molto
probabilmente
abbiamo
pagato
molti
soldi,
e i
soldi
li
abbiamo
sudati,
li
abbiamo
Sofferti.
Le
auto
con
il
tempo
si
rompono?
Si!
I
soldi
li
abbiamo
Sofferti?
Si!
Quindi
abbiamo
sofferto
per
una
cosa
che
sappiamo
durerà
un
tot
di
tempo
e
poi
si
romperà.
Masochisti?
No,
l’auto
ci
serve
per
sopravvivere. E
gli
antichi?
Senza
auto
morivano
ancor
prima
di
nascere?
No. Allora
a
che
serve
l’auto?
Ad
andare
in
giro
più
velocemente
e
fare
più
cose.
Ma
se
tutto
ciò
che
abbiamo
fatto
fino
ad
oggi
ci
ha
portati
fin
qui,
ora,
e
non
siamo
ancora
soddisfatti,
a
che
diavolo
serve
l’auto?
Il
nonno,
come
dicevo
prima,
è un
discorso
diverso.
Lui
è un
simpatico
vecchietto
che
ci è
sempre
stato
vicino,
fin
dal
nostro
primo
giorno
di
vita,
ci
accompagnava
a
scuola
e ci
regalava
i
soldi
per
il
weekend.
Siamo
sempre
stati
abituati
ad
averlo
intorno,
a
rivolgerci
a
lui
in
caso
di
bisogno.
La
sua
morte
provocherà
un
buco
nella
nostra
vita.
Durerà
per
sempre?
Non
necessariamente.
L’amore
per
qualcuno
è
quando
desideri
per
lui
o
lei
il
massimo
bene
e
non
vuoi
niente
in
cambio.
L’attaccamento
è
invece
quando
estrai
da
quella
persona
qualche
sua
qualità
che
serve
a
Te.
Il
pianto
per
la
morte
di
qualcuno
quale
sarà
dei
due?
La
mente
pura,
come
dicevo,
è
“inquinata”
dai
pensieri
e
dal
Karma.
I
primi
creano
l’altro.
Il
segreto
quindi
sta
nel
bloccare
il
flusso
di
questi.
Bloccare
i
pensieri,
credo,
sia
l’impresa
più
difficile
per
l’essere
umano,
ma
estremamente
possibile,
possibile
tramite
una
pratica
ben
precisa:
la
Meditazione.
Meditazione:
allenamento
mentale
in
cui,
tramite
la
pratica
di
concentrazione,
si
mira
a
ridurre
i
pensieri
fino
a
farli
diventare
Uno
solo,
per
un
certo
lasso
di
tempo,
e
poi
Nulla
(Assenza
di
Pensiero).
Estinto
finalmente
il
flusso
dei
pensieri,
automaticamente
non
compaiono
più
desideri.
Non
avendo
più
desideri
muore
l’affannato
intento
di
proteggere
e
viziare
Se
Stessi,
l’egoismo
scompare
e
nasce
spontaneamente
un
amore
incondizionato
verso
il
prossimo.
Nasce
la
Compassione.
Con
questo
cambiamento
il
praticante
sentirà
una
profonda
pace
interiore
mai
sentita
ed
una
sensazione
estatica
che
lo
accompagnerà
per
sempre.
Gli
alti
e
bassi
vengono
sostituiti
dalla
Calma
Dimorante
pacifica,
saggia,
intelligente,
pura
e
piena
di
belle
sensazioni.
Infelicità
Sarebbe
da
pessimisti
dire
che
la
vita
è,
tutto
sommato,
ricca
d’infelicità?
Sarebbe
da
persone
tristi
e
depresse
ammettere
che
l’infelicità
occupa
gran
parte
della
nostra
vita?
Infelicità
non
vuol
dire
solo
piangere
disperati
per
la
morte
di
qualcuno
o la
scomparsa
di
un
oggetto
amato.
Questa
è
infelicità
ovvia.
Molte
persone
soffrono
e
non
lo
sanno
neanche,
forse
perché
l’infelicità
ha
migliaia
di
sfaccettature
nascoste,
più
o
meno
ovvie.
Gli
esempi
di
infelicità
sono
tantissimi,
ma
cercherò
di
darne
uno
tra
i
meno
ovvi:
il
desiderio.
1)Desideriamo
tanto
comprare
una
macchina
nuova.
2)Lavoriamo
sodo
per
guadagnarci
i
soldi
per
poterla
comprare.
3)Finalmente
la
compriamo,
siamo
felici.
4)
Abbiamo
la
macchina
che
desideravamo.
1)
Desideriamo
tanto
conquistare
la
donna
dei
nostri
sogni.
2)
Facciamo
di
tutto
per
conquistarla
3)
Finalmente
la
conquistiamo,
siamo
felici.
4)
Conviviamo
con
la
donna
de
nostri
sogni.
In
effetti
questi
sembrerebbero
esempi
di
estrema
felicità,
cosa
c’è
di
infelice
in
tutto
ciò?
Beh,
analizziamo
il
primo
punto.
Quel
desiderare
così
tanto
una
cosa
o
una
persona,
non
regala
necessariamente
benessere.
Quando
ci
troviamo
in
quella
situazione
tendiamo
ad
essere
nervosi,
ossessionati.
Il
cuore
non
batte
al
suo
solito
ritmo
tranquillo
ma è
quasi
sempre
accelerato,
siamo
ansiosi:
“e
se
non
potessi
ottenerla?
Dove
sarà
la
mia
felicità?!”.
Tendiamo
a
mettere
la
Nostra
felicità
su
un
Altro
oggetto
o
persona.
Quindi
ammettiamo
di
non
essere
felici
in
quel
momento
ma
che,
al
contrario,
in
futuro,
con
il
possesso
di
quell’oggetto
o
persona
lo
saremmo
per
sempre.
Poi
viene
il
punto
due.
Lavoriamo
sodo
per
ottenere.
Magari
intraprendiamo
un
lavoro
che
non
ci
piace
oppure
lavoriamo
più
ore
per
guadagnare
più
soldi,
trascurando
noi
stessi,
la
famiglia,
gli
hobby
e
tutte
le
cose
che
magari
ci
regalano
tranquillità.
Tutto
al
prezzo
di
fare
qualcosa
che
non
ci
piace
per
poi
ottenere
una
cosa
che
ci
piace.
Quando,
invece,
cerchiamo
di
conquistare
una
donna
spesso
cambiamo,
cerchiamo
di
essere
diversi,
vogliamo
piacere
a
lei,
trascuriamo
noi
stessi
e le
persone
a
noi
vicine.
Quando
trascuriamo
noi
stessi
non
possiamo
dire
di
essere
felici,
possiamo
ammettere
di
essere
distratti
e
quindi
non
pensare
alla
nostra
situazione
interiore,
ma
non
possiamo
dire
di
essere
felici.
Finalmente
abbiamo
conquistato
o
comprato
il
nostro
oggetto
del
desiderio.
Finalmente
appare
la
Felicità!
Tutto
è
bello,
colorato,
la
vita
viene
coperta
da
un
velo
di
straordinaria
allegria,
nulla
ci
tange
più.
Questa
è
felicità!
Ora,
però,
ci
vorrebbe
uno
di
quei
telecomandi
che
congela
la
scena
e
che
imprime
sullo
schermo
per
sempre
il
momento
in
cui
si è
schiacciato
il
pulsante.
Il
terzo
punto
è
finalmente
il
momento
che
con
tanta
ansia
attendevamo.
Ah!
Se
non
fosse
per
il
punto
quattro
che
segue,
tutto
sarebbe
rimasto
così
magnificamente
bello
alla
realizzazione
del
desiderio!
l
tempo
purtroppo
continua
a
scorrere.
Questo
passaggio
comporta
due
fenomeni
maggiori:
la
nostra
mente
si
stufa
ed
il
tempo
deteriora
ogni
cosa.
Ecco
che
torna
l’ansia,
la
paura
di
perdere
ciò
che
abbiamo
ottenuto,
la
paranoia
che
qualcuno
ce
la
tolga,
che
si
rompa
che
si
ammali
e
muoia.
Poi
succede
che
ci
stufiamo,
che
la
soddisfazione
svanisce,
ci
appare
davanti
un
oggetto
più
bello
o
una
persona
più
interessante,
ed
ecco
che
dobbiamo
ricominciare
tutto
da
capo.
Non
che
la
vita
sia
fatta
solo
di
macchine
e
donne
ma,
questo
fenomeno,
avviene
per
ogni
cosa
che
noi
desideriamo,
piccola
o
grande
che
sia.
La
felicità
svanisce
ogni
qual
volta
noi
la
poniamo
in
qualcosa
o
qualcun
altro.
Le
cose
si
deteriorano,
si
rompono,
le
persone
si
ammalano,
ci
tradiscono,
se
ne
vanno,
muoiono
e la
nostra
felicità
con
loro.
È
semplice
a
dirsi
e
duro
a
farsi
ma
dobbiamo
riportare
il
soggetto
della
nostra
felicità
dentro
noi
stessi.
La
rinuncia:
“La
Rinuncia”
come
suona
nelle
nostre
orecchie
potrebbe
generare
dei
semplici
brividi
alla
schiena,
del
ribrezzo
o
brutti
ricordi
(soprattutto
nelle
persone
che
hanno
frequentato
le
scuole
gestite
da
suore
o
preti).
La
nostra
comunità
spirituale,
intendo
quella
cattolico/occidentale,
ha
sempre
sostenuto
questo
valido
concetto
ma
spesso
è
mancato
nella
spiegazione
del
perché.
Se
un
bambino
desiderasse
con
tremendo
ardore
un
pesciolino
rosso
ed
immaginate
che
ben
presto
vi
ci
si
affezionerà,
sapendo
bene
che
la
vita
di
quel
povero
pesce
non
supererà
la
settimana,
glielo
comprereste
o
cerchereste
di
distrarlo
con
una
cosa
magari...
più
duratura?
Rincorrere
le
cose
di
cui
ovviamente
conosciamo
l’impermanenza,
la
fragilità
e
quindi
vita
breve
ci
porta
quasi
sempre
a
soffrire:
-
L’ansia
e
l’agitazione
con
cui
cerchiamo
di
ottenere
le
cose
è
senza
dubbio
una
sensazione
poco
piacevole.
-
L’ottenimento,
di
solito,
è il
momento
in
cui
la
sofferenza
data
dalla
speranza
cessa.
-
Subentra
però,
poco
dopo,
la
sofferenza
dell’ansia
di
perdere,
l’ansia
del
proteggere
e
l’ansia
del
mantenere
ciò
che
abbiamo
finalmente
ottenuto.
-
Meno
felice
è
invece
l’inevitabile
sofferenza
derivata
dalla
perdita,
rottura,
morte
o
malattia
dell’amato
soggetto.
La
rinuncia
è
quindi
la
rottura
del
primo
anello
di
questa
catena
di
sofferenza.
Rinunciare
ad
attaccarsi
alle
cose
che
inevitabilmente
sono
destinate
a
morire,
a
distruggersi.
Proprio
come
la
madre
distrarrebbe
il
bimbo
dal
pesciolino
rosso
che,
morendo,
lo
porterebbe
ad
una
grande
tristezza,
l’allenamento
a
questo
difficile
scopo
sta
nel
portare
la
mente
ad
un
livello
superiore
di
saggezza
e
distacco,
dove
la
comprensione
prende
il
posto
dell’attaccamento.
Morte
Ho
sempre
trovato
estremamente
inutile
e
masochista
la
fatica, il
tempo
e
l’impegno
impiegato
ad
ottenere
cose,
meriti,
reputazioni,
brevi
eccitazioni
e
felicità
lampo
quando
tutti
sanno
benissimo
che
in
qualsiasi
momento,
all’attimo
della
morte,
tutto
ciò
a
cui
abbiamo
dedicato
la
nostra
intera
vita
possa
svanire
in
un
soffio.
Ed
al
contrario
trovo
strano
che
molte
persone
non abbiano
mai
provato
a
cercar
di
capire
cosa
sia
il
Vero
senso
ed
il
perché
di
Tutto;
a
volte
le
persone
sembrano
degli
zombi
ciechi
che
rincorrono
cose,
con
la
più
sfrenata
passione,
consapevoli
del
fatto
che
ciò
che
inseguono
darà
loro
una
felicità
talmente
breve
che
sarà
subito
un
ricordo.
Capire
l’impermanenza
non
è
solo
un
credo
dogmatico
in
cui
un
individuo
debba
privarsi
del
godere
delle
cose
belle
perché
consapevole
della
loro
inevitabile
fine.
Capire
l’impermanenza
serve
solo
a
non
farsi
cogliere
alla
sprovvista
il
giorno
in
cui
la
morte
arriva.
Se
noi
rimanessimo
attaccati
a
tutte
le
cose
belle
e a
tutti
i
nostri
possedimenti,
inevitabilmente,
prima
o
poi,
ci
ritroveremo
a
soffrire.
Se
noi
cercassimo
ininterrottamente
di
respingere
le
cose
"brutte",
come
fanno
purtroppo
la
maggior
parte
delle
persone,
diventeremmo
pazzi
e
paranoici.
In
entrambi
i
casi
possiamo,
però,
aggrapparci
al
continuo
scorrere
del
tempo
e
quindi
alla
speranza
che
le
cose
migliorino.
Così
non
è,
purtroppo,
in
un
solo
ed
irremovibile
caso:
al
momento
della
morte.
I
Buddha
insegnano
che
il
momento
della
morte
è,
ironicamente,
il
momento
più
importante
nella
vita
di
una
persona.
Il
processo
mentale
che
il
morente
attraversa
stabilirà
l’inizio
della
prossima
esistenza.
Bisogna
per
questo
essere
“leggeri”
in
quel
momento.
Ogni
attaccamento
sarà
quel
giorno
pesante
come
un
palazzo
di
piombo.
La
paura,
data
dall’attaccamento
al
proprio
sé,
è
talmente
forte
al
momento
della
morte
che,
se
ci
si
aggiungono
gli
attaccamenti
agli
amici,
familiari
e
cose
guadagnate,
l’individuo
sperimenterà
un
terrore
atroce.
Tali
sensazioni
negative
potranno
soltanto
portare
la
mente
di
una
persona
a
rinascere
in
un
luogo
di
sofferenza.
Una
vera
e
propria
mappa
del
luogo
in
cui
si
va
dopo
la
morte,
secondo
le
conoscenze
buddiste
tibetane,
è
descritta
nell’antichissimo
documento
“
Bardo
Todhol”
conosciuto
meglio
come
“ Il
Libro
Tibetano
dei
Morti”.
Vorrei
ora
citare
una
preghiera
fatta
dal
nobile
Bodhisattva
Shantideva
a
tutti
i
Buddha
e
Bodhisattva
ne
“Il
Bodisattvacharyavatara”:
“(…)
Supplico
con
mani
giunte
i
Buddha
e
Bodhisattva,
che
dimorano
in
tutte
le
direzioni
che
possiedono
la
grande
compassione,
pregando
così:
Per
tutta
l’esistenza
ciclica
senza
inizio,
in
questa
vita
e in
tutte
le
altre,
inconsapevolmente
ho
commesso
azioni
negative
spingendo
altri
a
fare
lo
stesso.
Sopraffatto
dagli
inganni
della
mia
ignoranza
mi
sono
compiaciuto
del
male
fatto;
ma
ora,
comprendendo
questi
errori,
dal
profondo
del
mio
cuore
li
confesso
ai
Buddha.(…)
(….)
Tuttavia,
potrò
anche
morire
prima
di
aver
purificato
tutte
le
mie
azioni
negative;
per
cui
vi
prego
di
proteggermi,
affinché
mi
possa
sicuramente
e
velocemente
liberare
da
esse.
L’inaffidabile
sovrano
della
morte
Non
attende
che
le
cose
siano
compiute
o
incompiute,
che
io
sia
ammalato
o in
salute,
e
inoltre
non
posso
confidare
nella
incerta
durata
della
mia
vita.
Abbandonando
tutto,
dovrò
andarmene
da
solo;
tuttavia,
privo
di
comprensione,
ho
compiuto
innumerevoli
azioni
negative,
a
causa
di
amici
e
nemici.
I
miei
nemici
alla
fine
cesseranno
di
esistere;
i
miei
amici
e io
stesso
cesseremo
di
esistere;
allo
stesso
modo,
anche
tutto
il
resto
svanirà
nel
nulla.
Tutto
ciò
che
possiedo
e
che
utilizzo
È
proprio
come
la
fugace
visione
di
un
sogno.
Qualsiasi
cosa
di
cui
ora
godo
diventerà
un
ricordo.
Persino
in
questa
breve
esistenza
Molti
amici
e
nemici
si
sono
succeduti,
ma
tutte
le
insopportabili
negatività,
che
ho
compiuto,
rimangono
davanti
a
me.
Perciò,
non
avendo
compreso
che
dovrò
svanire
all’improvviso,
ho
commesso
grandi
negatività
a
causa
di
ignoranza,
attaccamento
e
odio.
Questa
mia
vita
scorre
via
costantemente,
non
si
ferma
ne
di
giorno
ne
di
notte,
e
nulla
del
passato
si
potrà
riottenere.
Perché
la
morte
non
dovrebbe
arrivare
per
uno
come
me?
Quando,
disteso
nel
letto,
sarò
circondato
da
tutti
gli
amici
e
parenti,
io
solo
sperimenterò
la
fine
della
mia
vita.
Quando
sarò
afferrato
dai
messaggeri
della
morte,
quale
aiuto
potranno
offrirmi
amici
e
familiari?
In
quel
momento
solo
la
bontà
compiuta
in
vita
mi
proteggerà,
(…)
(…)
Rimane
impietrito
colui
che
viene
condotto
al
patibolo:
ha
la
gola
secca
e
gli
occhi
scavati
e
colmi
di
terrore;
il
suo
aspetto
è
totalmente
trasfigurato.
Che
dire
allora
della
tremenda
disperazione
che
mi
colpirà,
quando,
fuori
di
me
dal
terrore,
sarò
afferrato
dai
terribili
messaggeri
della
morte?
“Chi
mi
può
offrire
ora
una
reale
protezione
da
un
simile
grande
orrore?”
E
allora,
con
occhi
terrorizzati,
cercherò
aiuto
nelle
quattro
direzioni.
(…)
“
Mi
ricordo
tutte
le
volte
che
mi
veniva
(e
che
mi
viene
tutt’ora)
istintivo
toccare
ferro
quando
si
parlava
di
morte.
Con
quel
gesto
cercavo
di
allontanare
quel
pensiero
dalla
mente
ed
allo
stesso
tempo
mi
rassicuravo
che
a me
non
sarebbe
successo,
per
lo
meno
non
a
tempo
breve.
Se
c’è
un
motivo
per
la
vita
ce
n’è
anche
uno
per
la
morte,
ed è
per
questo
che
è
molto
importante
conoscerle
entrambe.
Karma
“Se
vuoi
sapere
chi
eri
nelle
tue
vite
passate,
guarda
le
condizioni
della
tua
vita
presente.
Se
vuoi
sapere
chi
sarai
nella
prossima
vita,
guarda
il
tuo
stato
mentale
di
questo
momento”.
(Lama
Yeshi)
Il
perno
centrale
della
filosofia
Buddista
ruota
attorno
al
concetto
di
Karma
quindi
reincarnazione.
Purtroppo
tali
concetti
non
sono
facilmente
provabili
e la
spiegazione
di
tutto
il
resto
potrebbe
risultare
inutile
se
una
persona
dai
credo
materiali
non
metta,
almeno
all’inizio,
una
fiducia
in
questa
teoria/verità.
Come
quando
sentiamo
parlare
dell’esistenza
della
Nuova
Zelanda
e,
non
essendoci
mai
stati,
affidiamo
la
nostra
credulità
alle
testimonianze
altrui,
ai
libri,
alle
foto
e ai
video,
similmente
dovremmo
cercare
di
capire
concetti
a
noi
sconosciuti,
soprattutto
quando
portati
avanti
da
popolazioni
millenarie
che
per
ere
infinite
hanno
impegnato
corpo
e
mente
nella
ricerca
del
perché
delle
cose.
Esattamente
come
si
sorprende
l’europeo
quando
sente
parlare
di telepatia,
si
stupisce
il
Santo
indiano
quando
sente
parlare
di
comunicazione
satellitare.
Karma,
in
sanscrito,
significa
“azione”.
Azione
fisica
o
mentale.
Karma
può
anche
essere
tradotto
come
“seme”.
Nella
frase
“tutto
torna”
troviamo
l’azione.
Nella
frase
“raccoglierai
ciò
che
hai
seminato”
troviamo
il
seme. Non
bisogna
avere
una
spropositata
fede
in
Buddha,
Dio
o in
Allah
per
capire
che
quando
facciamo
del
male
agli
altri
entro
un
certo
lasso
di
tempo
gli
altri
torneranno
a
fare
del
male
a
noi.
Spesso
non
lo
capiamo
semplicemente
perché
non
colleghiamo
i
due
fatti.
Quindi,
Karma:
azioni
fisiche
o
pensieri
da
noi
compiuti,
nel
bene
o
nel
male,
che
lasciano
impresse
nella
nostra
mente
le
proprie
tracce.
Inconsciamente
quando
compiamo
delle
azioni
queste
ci
rimangono
“stampate”
nella
mente.
Queste
impronte
mentali
rifioriscono
poi
in
azioni
subite.
Anche
i
desideri
creano
Karma:
il
motivo
della
rinascita
infatti
è
anche
spiegato
da
questo
fenomeno.
Le
impronte
mentali
lasciate
dal
desiderio
inesaudito
riportano
l’individuo
a
tornare
nel
ciclo
samsarico
(il
ciclo
della
vita) per
cercar
di
colmarlo. Si
può
dire
quindi
che
sia
azioni
positive
che
negative
creano
Karma
e di
conseguenza
risultati
che
ritornano.
Da
questo
si
intuisce
che
è
meglio
far
del
bene
dato
che
questo
poi
ci
ritorna
come
cosa
buona.
Non
è
proprio
così,
però,
per
colui
che
cerca
il
Risveglio,
l’Illuminazione,
la
liberazione
dal
ciclo
di
esistenze.
Dato
che
il
Karma,
anche
quello
positivo,
crea
delle
radici,
colui
che
cerca
la
liberazione
deve
staccarsi
completamente
da
tali
trattenimenti.
Il
modo
per
non
rimanere
intrappolati
nella
rete
karmica
delle
azioni,
quindi,
è
quello
dell’agire
senza
attaccamento.
Ogni
azione
che
noi
compiamo
è
intrisa
di
attaccamento:
attaccamento
a
noi
stessi
o
attaccamento
agli
altri.
Una
madre
che
si
sacrifica
per
un
figlio
fa
una
bella
azione,
ma
lo
fa
solo
in
nome
dell’attaccamento
all’amore
per
il
figlio.
Stessa
cosa
quando
tra
amici
ci
si
aiuta
o si
perdona,
sono
azioni
buone
ma
fatte
con
attaccamento
all’amore
di
un’altra
persona.
Anche
il
volontariato
ha
una
piccola
forma
di
attaccamento:
il
piacere
che
ci
si
ricava,
anche
se
estremamente
nobile,
ha
delle
radici
egoistiche.
Quando
una
persona
raggiunge
un
livello
di
distacco
totale
dall’egoismo,
allora
ogni
sua
azione
sarà
priva
di
radici,
priva
di
Karma.
Egoismo,
viene
definito
dagli
insegnamenti
del
Buddha
come
una
visione
errata
di
un
Io,
o
Ego,
come
se
fosse
un’entità
solida,
permanente
e
reale
da
difendere
e
viziare
ad
ogni
momento
ed a
qualsiasi
prezzo.
I
cinque
aggregati
Materia,
mente,
creazioni
della
mente
(pensieri),
sensazioni
e
percezioni
sono
le
cinque
parti
che
compongono
ciò
che
noi
chiamiamo
esseri
viventi,
nel
nostro
caso,
esseri
umani,
nello
specifico
ciò
che
chiamiamo
Io.
Il
Buddha
insegnò
che
Io
non
esiste
(Io
inteso
come
essere
permanente
d’un
pezzo).
Egli
spiegò
che
questo
“individuo”
che
noi
crediamo
così
reale,
è in
realtà solo
una
proiezione
della
mente.
Possiamo
spiegarlo
meglio
così:
La
materia
non
ha
vita;
ci
vuole
qualcosa
che
gliela
dia:
la
mente.
Materia
e
mente,
dunque,
creano
un
essere
vivente.
Ogni
essere
vivente
ha
degli
“ingressi”
per
le
percezioni,
nel
nostro
caso
i 5
sensi.
Ciò
che
entra
da
queste
“porte”
viene
riportato
immediatamente
alla
mente,
la
quale
crea
i
pensieri
che,
a
loro
volta,
si
trasformano
in
sensazioni.
Spero
che
questa
spiegazione
sia
abbastanza
chiara,
cercherò
comunque
di
fare
degli
esempi.
Abbiamo
detto
che
le
percezioni
attraversano
la
mente,
divengono
pensieri,
i
quali
creano
sensazioni.
Quindi
la
mente
traduce,
se
possiamo
dire
così,
le
percezioni
in
sensazioni.
Se
ci
dicessero
di
restare
seduti
su
una
sedia
senza
muoverci
per
quarantacinque
minuti
davanti
ad
un
muro
bianco,
noi
impazziremmo.
Subito
ci
sentiremmo
scomodi,
inizieremmo
a
muoverci,
le
gambe
si
addormentano,
la
schiena
comincia
a
far
male,
insopportabile!
Ma
se
su
quel
muro
proiettassero
un
film,
uno
di
quei
thriller
intrisi
di
suspense,
allora
su
quella
sedia
senza
muovere
un
dito
ci
resteremmo
anche
per
due
ore.
Un
martello
pneumatico
emette
delle
onde
sonore,
l’orecchio
trasforma
le
onde
in
vibrazioni.
Fin
qui
non
vi è
nulla
di
male.
Il
problema
nasce
quando
la
Mente
trasforma
semplici
vibrazioni
in
insopportabile
rumore!
Ora
tiriamo
da
parte
un
po’
la
Mente.
Restano:
forma
fisica
(materia),
pensieri,
sensazioni
e
percezioni.
Se
ci
fermiamo
un
attimo
a
pensare,
in
effetti
non
manca
niente.
Se
ci
guardassimo
allo
specchio
vedremmo
un
bell’ammasso
di
cellule,
muscoli,
ossa,
capelli,
pelle
ecc.
Se
ci
accarezzassimo
il
braccio
sentiremmo
un
bel
solletichino,
una
sensazione
di
piacere,
se
battessimo
le
mani
percepiremmo
un
suono,
e i
pensieri,
beh
quelli
ci
sono.
Dunque,
quando
diciamo
“Io”
oppure
“a
me”,
a
chi
ci
riferiamo?
A
quale
di
questi
composti
ci
riferiamo?
Alla
forma
fisica?
Un
cadavere
non
dice
“Io”.
Ai
pensieri?
Impossibile,
noi
non
siamo
ciò
che
pensiamo,
mi
sarei
già
chiamato
superman
da
molto
tempo.
Noi
consideriamo
un
tutt’uno
la
somma
di
questi
aggregati.
Erroneamente
siamo
convinti,
fin
dai
tempi,
che
cinque
composti,
uno
ben
distinto
dall’altro,
creano
una
sola
cosa.
Che
genio
quel
Gautama!
Si è
fermato
a
questa
spiegazione
il
Buddha?
Ha
detto
al
mondo
che
così
stavano
le
cose
e
che
bisognava
crederci?
Assolutamente
no.
È
andato
avanti
a
spiegare
e
poi
lo
ha
provato.
Meditazione
Viapassana
Il
termine
Vipassana
vuol
dire,
in
lingua
Pali,
"
vedere
chiaro",
cosa?
La
realtà.
Questa
tecnica
venne
riscoperta
dal
Buddha
Gautama
più
di
2500
anni
fa.
Con
lo
scopo
di
"purificare"
la
mente
dai
pensieri
derivati
dalle
sensazioni
e
percezioni,
la
Meditazione
Vipassana
mira
a
far
vivere
il
presente
al
praticante.
Vivere
il
presente
è
inteso
non
come
periodo
e
luogo
in
cui
uno
si
trova,
ma
vivere
ogni
azione
nell'istante
in
cui l'individuo
la
sta
compiendo.
Le
azioni
possono
essere
fisiche
(materia)
con
l'alzare
ed
il
cadere
dell'addome durante
la
respirazione,
mentali
con
i
pensieri,
percezioni
con
il
sentire,
vedere,
ascoltare,
ecc
e
sensazioni
con
dolori,
pruriti,
caldo,
freddo,
ecc.
L'allenamento
a
riconoscere,
al
momento
della
loro
manifestazione, ognuno
di
questi
stadi
che sbocciano
nella
mente
è
chiamato
Meditazione
Vipassana.
Nel
fare
questo,
col
passare
del
tempo,
il
praticante
impara
due
verità
fondamentali.
La
prima,
che
ogni
sorgere
di
un
pensiero
o
sensazione
o
quel
che
sia,
corrisponde
al
morire
di
questi,
e
che
dunque
nulla
è
permanente:
non
esiste
un
pensiero
che
dura
all'infinito,
questo
si
trasforma
in
un
altro
pensiero
e
poi
in
un
altro
e
così
via,
creando
un
continuo
mentale
di
pensieri.
Stessa
cosa
per
le
percezioni,
sensazioni,
e
cellule
del
corpo
fisico.
La
seconda
cosa
che
il
praticante
sperimenta
e
coltiva è
la
concentrazione.
Portando
l'attenzione
e la
consapevolezza
sull'azione
che
l'individuo
sta
compiendo
in
quel
momento,
egli
sviluppa
concentrazione.
Lentamente
i
pensieri diminuiscono
e la
persona
riesce
a focalizzarsi
solo
sull'azione.
Così
facendo
diminuiscono
i
desideri
e
quindi
le
azioni
(Karma)
per
cercare
di
avverarli. Non
creando
più
Karma
il
praticante
si
avvicina
sempre
di
più
al
punto
di
non
ritorno,
cioè
di
non
reincarnarsi
più
nel
ciclo
Samsarico
(Scopo
principale
degl'insegnamenti
dei
Buddha).
L'apparente
durezza
ed
intensità
data
dagli
orari
estremi
dei
corsi
di
Vipassana
(sveglia
alle
4:00),
il
fatto
che
si
mediti
(o
ci
si
provi)
per
dodici
ore
al
giorno
e
che
tra
le
11
del
mattino
fino
alle
6
del
mattino
seguente
non
si
mangi
è
motivata
dal
fatto
che
la
Mente,
pigra
ed
ingannevole,
va
spronata.
Se
si
lavora
sulla
concentrazione
del
momento
presente
è
importante
non
distogliere
la
Mente
da
tale
lavoro.
Dormire
purtroppo
fa
proprio
questo,
la proietta, tramite
i
sogni,
in
altri
luoghi
e
tempi;
bisogna
dunque
ridurre
al
minimo
il
tempo
di
tale
"distrazione".
Ci
si
muore?
No!
E
non
si
muore
neanche
se
non
si consuma
la
cena.
Grazie
a
questa regola
“crudele”
il
praticante
si
rende
conto
di
quanto
la
fame,
in
realtà,
sia
un
prodotto
della
mente
e
non
una
vera
e
propria
necessità
fisica. Vi
è
mai
successo
di trovarvi
immersi
in
un
lavoro?
Quando
la
mente
è occupata
e
focalizzata in
una
attività,
questa
non
"pensa"
ad
altro.
Il
pompiere
intento
a
spegnere
un
fuoco
all'ora
di
cena,
non
pensa
che
ha
fame
e
che
vorrebbe
interrompere
ciò
che
sta
facendo.
Il
crampo
della
fame,
di
sicuro,
neanche
gli
balena
lontanamente
nell'angolo
del
cervello.
Quando
invece
la
mente
non
viene
occupata,
ecco
che
da
sola
va a
cercare
appigli,
ed
ecco...
la
fame.
L'India
offre
moltissimi
tipi
e
tecniche
diverse
di
meditazione,
gran
parte
di
queste
necessitano
di
un
Guru
e
poi
di
un'iniziazione.
Esistono
tecniche
molto
"potenti",
che
portano
gli
individui
in
bellissimi
viaggi
astrali
ed extra
corporei.
È
anche
molto
difficile
trovare
autentici
Guru
che
insegnino
tali
pratiche.
Il
Vipassana,
invece,
si
trova
alla
portata
di
tutti.
È
uno
dei
metodi
più
efficaci
ed
utili
allo
scopo
della
ricerca
del
Nirvana
o
Illuminazione.
Studiare
sui
libri
donerà
alle
persone
sempre
una
conoscenza
parziale,
logica
ma
mai
l'esperienza
diretta.
Solo
con
la
Meditazione
si
può
conoscere
veramente
cosa
sia
la
Realtà,
solo
assaggiando
il
mango
si
può
sapere
che
sapore
abbia,
non
leggendolo
sui
libri.
Religione
La
parola
religione
mi
ha
sempre
fatto
un
effetto
negativo
di
rigetto,
con
un
senso
di
fastidio
mi
veniva
in
mente
quel
prete
che,
nei
giorni
che
precedevano
la
mia
cresima,
mi
elencava
tutte
le
cose
belle
che
non
avrei
mai
più
potuto
fare
a
meno
che
era
l’eterno
inferno
a
cui
aspiravo.
Tutt’ora
è
una
parola
che
preferisco
evitare,
soprattutto
se
si
parla
di
Buddhismo.
Metodo
o,
al
massimo,
filosofia
è
ciò
che
io
considero
terminologia
adatta.
Il
fatto
che
vi
sia
un
Ordine
monastico
e
dunque
anche
scritture
e
luoghi
sacri
non
fa
degli
insegnamenti
del
Buddha
una
religione.
I
monaci
(da
lui
chiamati
Bikkhu)
e le
monache
(Bikkhuni)
in
origine
erano
persone
che,
stufe
della
loro
vita
quotidiana,
decidevano
di
seguire
in
pellegrinaggio
il
Risvegliato
Siddharta
Gautama,
apprendendo
da
lui,
fino
a
diventare
loro
stessi
dei
Buddha.
Talmente
era
crescente
il
numero
di
Bikkhu
e
Bikkhuni
che
egli
stesso
dovette
mettere
ordine,
o
per
dirla
meglio,
dovette
creare
un
Ordine.
Quindi
definire
buddhisti
i
monaci
non
lo
trovo
molto
corretto.
Io
li
chiamerei
più
Studenti
di
Dharma
oppure
“Illuminandi”.
Il
termine
“monaco”,
detto
nella
nostra
lingua,
potrebbe
far
pensare
a un
prete
o a
un
sacerdote,
ma
le
due
figure
sono
assai
distinte.
Il
monaco
(seguace
di
Dharma)
è
uno
studente,
una
persona
che
tramite
pratiche
ben
precise
cerca
il
Risveglio,
concentra
la
sua
intera
esistenza
sull’ottenimento
dello
scopo
ultimo,
in
questa
vita.
Il
prete,
invece,
è
colui
che
cerca
di
compiere
il
massimo
bene
in
vita
nell’incerta
speranza
di
guadagnarsi,
dopo
la
morte,
un
posto
in
paradiso.
Segue
dei
dogmi
e,
tranne
in
rari
casi,
non
pratica
alcun
metodo
per
raggiungere,
in
vita,
lo
scopo
ultimo.
Ma
con
tutte
le
religioni
che
ci
sono,
chi
è
che
dice
la
verità?
Tutte:
Cristianesimo,
Induismo,
Islam,
Buddhismo,
Taoismo,
Ebraismo
dicono
tutte
la
stessa
cosa,
stesso
messaggio,
tutte
porte
alla
stessa
stanza.
Parole
diverse,
stesso
concetto.
Unione
con
Dio,
congiungersi
a
Bhrama,
Illuminazione,
realizzare
l’universo,
anima,
mente,
pregare,
meditare,
ecc.
La
differenza?
Il
metodo.
A
Parigi
ci
si
può
arrivare
in
treno,
in
auto
o in
aereo.
Uno
non
nega
l’altro,
sono
mezzi
diversi
ma
con
lo
stesso
scopo;
tutti
portano
a
Parigi!
Uno
può
essere
più
lento
ma
più
spettacolare,
l’altro
veloce
ma
stancante
ma
tutti
portano
a
Parigi!
Bisogna
ora
però
analizzare
questo
“metodo”.
Le
origini
di
tutte
le
religioni
hanno
un
filo
comune:
un
messia.
Gesù,
Buddha,
Krishna,
Maometto,
Mosè,
ecc. Da
qui
però,
senza
giudizio,
bisogna
vedere
quali
di
queste
religioni
hanno
mantenuto
vivo,
fino
ad
oggi,
il
messaggio
originale
del
proprio
messia.
Non
entrerò
nel
merito
delle
altre
religioni,
soprattutto
di
quelle
che
non
conosco,
ma
mi
permetterò
di
dire
che
il
Dharma
(insegnamenti
del
Buddha)
ed
il
Sangha
(Ordine
monastico)
creati
dal
Buddha
stesso,
dopo
2500
anni
sono
rimasti
pressoché
invariati.
Cosa
ha a
che
fare
questo
con
il
metodo?
Beh,
ognuno
dei
messia
qui
su
indicati
hanno
insegnato
un
metodo
per
arrivare
allo
scopo
ultimo:
Unione
con
Dio,
congiungersi
a
Bhrama,
Illuminazione,
realizzare
l’universo,
ecc.
E
questo
metodo
ha
diversi
nomi
di
cui
ne
cito
due:
Preghiera
e
Meditazione.
Due
nomi
per
la
stessa
pratica
in
origine,
due
pratiche
diverse
oggi.
Quando
Gesù
comandava
ai
propri
discepoli
di
pregare
nell’intento
di
far
raggiungere
loro
l’unione
con
il
Supremo,
non
credo
intendeva
di
recitare
tre
“Ave
Maria”
e
quattro
“Padre
Nostro”.
La
mia
idea
è
più
quella
che
intendesse
di
isolarsi
e
chiudersi
in
se
stessi,
guardarsi
dentro,
aguzzare
la
concentrazione,
separare
materia
e
distrazioni
mentali
dalla
pura
e
luminosa
Anima,
fino
a
riconoscerla
e
renderla
leggera,
a
tal
punto
da
farla
volare
e
congiungersi
con
Dio.
Questo
credo
fosse
l’insegnamento
di
Gesù
in
origine
quando
parlava
di
preghiera.
Fare
questo,
in
India,
si è
sempre
chiamato
Meditare.
Perché
in
alcune
parti
del
mondo
si
respira
ancora
spiritualità
in
ogni
angolo
della
strada
ed
in
altre
no?
Forse
proprio
perché
il
messaggio
originale
non
è
ovunque
rimasto
integro
ed
ahimè
in
alcuni
posti
si è
talmente
inaridito
che,
nonostante
le
mille
strutture
dedite,
la
parte
invisibile
è
completamente
scomparsa.
Tornando
ancora
al
metodo,
e
qui
cercherò
di
essere
diretto
e
conciso,
mi
chiedo:
perché
sempre
più
persone,
specialmente
Cristiani
ed
Ebrei,
si
rivolgono
alle
filosofie
orientali
in
cerca
di
risposte?
Forse
perché
queste
hanno
mantenuto
vivo
e
pratico
il
metodo
(Yoga,
Pranayama
e
Meditazione).
Per
arrivare
allo
scopo
ultimo,
loro
insegnano,
non
serve
la
fede,
ma
la
volontà.
Bisogna
solo
credere
inizialmente
in
ciò
che
si
sta
facendo
finché,
molto
presto,
arriva
la
prova
che
spinge
ad
andare
avanti.
La
conferma
che
spinge
il
praticante
a
voler
arrivare
al
massimo
scopo
dell’esistenza
umana.
Questo,
credo,
sia
un
metodo
molto
più
efficace
che
basarsi
sulla
pura
fede
aspettando,
tementi,
di
morire.
Ripassi
di
Dharma
è il
risultato
di
lunghe
ore
passate
seduto
a
gambe
incrociate,
nel
tentativo
di
concentrare
la
mente.
Ore
ad
ascoltare
le
omelie
dei
Lama
e
dei
Guru,
gli
insegnanti
spirituali
che
l’Asia
così
generosamente
ci
regala.
Era
un
progetto
per
un
libricino
sul
buddhismo,
divenuto
poi
il
capitolo
finale
di
questo
libro.
Mi
sembrava
obbligatorio
cercar
di
dare
una
soluzione
ai
tanti
problemi
da
me
presentati
nelle
pagine
di
questo
volume.
Sarebbe
pessimistico
ed
ingiusto
da
parte
mia
denunciare
e
segnalare
le
ingiustizie
del
genere
umano
senza
poi
cercarne
un
rimedio,
azzardare
una
soluzione.
Credo
fermamente
che
l’aiuto
più
grande,
la
salvezza
e la
gioia
vera
possano
solo
venire
da
una
direzione:
la
nostra.
Solo
noi
possiamo
aiutarci;
da
noi
dipendono
i
nostri
stati
d’animo;
noi
siamo
gli
artefici
dei
nostri
dolori,
della
nostra
rabbia,
del
nostro
odio
ma
anche
del
nostro
amore,
della
nostra
felicità,
della
compassione.
Seppure
sia
di
natura
umana
incolpare
agenti
esterni
per
i
problemi
che
ci
capitano,
è
importante
capire
che,
al
contrario,
noi
e
solo
noi
siamo
i
responsabili
per
le
cose
che
ci
succedono.
Ognuno
è
l’artefice
del
proprio
“destino”
e
ognuno
ha
la
capacità
di
cambiarlo
e di
migliorarlo:
“sta
a
noi!”.
Finisco
con
il
mio
inizio...
Tutto
è
iniziato
con
una
preghiera.
Una
preghiera
a
Tiziano
Terzani.
Una
preghiera
scritta
nel
periodo
in
cui
mi
trovavo
ancora
schiavo
del
mestiere,
del
lavoro
fisso,
mentre
facevo
l’assistente
di
volo.
Quella
preghiera
fu
un
inizio,
un
seme
che
velocemente
si è
schiuso
nella
mia
mente
e
che
è
diventato
vocazione.
Ricordo
poi
il
primo
e
vero
passo,
la
decisione
presa
a
Dalat,
al
nord
del
Vietnam,
di
tornare
in
Cambogia
per
scrivere
il
mio
primo
articolo.
Un
pezzo
su
quel
qualcosa
che
più
rispetto
e su
cui
più
mi
avrebbe
dato
soddisfazione
scrivere,
un
articolo
su
uno
degli
ospedali
di
Emergency.
Scattai
una
foto
la
sera
prima
dell’appuntamento
preso
con
l’organizzazione
per
visitare
l’ospedale.
Nella
foto
avevo
raggruppato
in
maniera
cerimoniale
i
pochi
oggetti
che
credevo
indispensabili
per
un
reporter.
Una
penna,
un
taccuino,
un
rosario
tibetano,
un
orologio
ed
uno
scialle
khmer.
Il
rosario
perché
un
reporter,
specie
nel
Terzo
Mondo,
ha
sempre
bisogno
dell’aiuto
divino
e la
sciarpa
khmer
perché
mi
ricorda
Terzani
e
lui
in
primis
fu
il
mio
ispiratore.
Oggi
a
distanza
di
tre
anni,
che
sembrano
tre
secoli,
da
quando
scrissi
questa
lettera,
moltissimo
è
cambiato.
Speriamo
continui
tutto
nella
direzione
giusta.
Ciao
Tiziano,
o
forse
dovrei
dire
buona
sera
signor
Terzani,
sono
ormai
più
di
due
anni
che
non
sei
più
qui,
in
carne
ed
ossa,
ed è
appena
un
anno
che
io
ti
conosco.
L’unica
cosa
che
volevo
dirti
è
grazie.
Lo
stesso
grazie
che
ho
rivolto
a
tutti
i
maestri
che
in
questa
vita
mi
hanno
insegnato
o
semplicemente
dato
qualcosa.
Io
come
te
sono
appassionato
di
quel
fantastico
ed
enorme
continente
che
è
l’Asia
e
viaggio
in
lungo
e
largo
per
tutto
l’oriente.
Leggo
i
tuoi
libri
nei
periodi
in
cui
mi
trovo
in
Italia
a
lavorare
per
guadagnare
i
soldi
per
il
mio
viaggio
successivo.
Le
pagine
che
hai
scritto
però
scorrono
troppo
velocemente
ed
io
non
vorrei
mai
che
finissero.
I
tuoi
libri
sono
contati
ed
io
ne
vorrei
di
più.
Con
te
mi
ritrovo
sempre
in
viaggio,
parlo
con
i
tassisti,
mi
siedo
un
attimo
ad
osservare
il
caotico
trambusto
di
corpi
umani
rincorrersi
e
dividersi
nelle
stazioni,
invaso
dagli
odori
più
spregevoli
eppure
così
tipici,
sorseggio
una
tazza
di
tè
verde
bollente
seduto
per
terra
ad
una
bassa
tavola
di
monaci
sorridenti,
mi
fermo
ad
osservare
come
uomini
ed
animali,
specie
in
India,
coesistono
in
una
serena
armonia
di
reciproco
rispetto.
Insomma
Tiziano
tu
mi
fai
rivivere
i
momenti
magici
che
ogni
viaggio,
soprattutto
se
asiatico,
regala.
E
grazie
a te
ho
capito
una
cosa
che
solo
inconsciamente
sapevo:
un
viaggio
non
è
solo
un
viaggio!
Viaggiare
non
è
solo
spostarsi,
fotografare,
comprare
ed
immagazzinare
ricordi.
Viaggiare
come
dici
tu,
vuol
dire
tornare
con
Qualcosa
nella
valigia!
Vuol
dire
crescere,
aiutare,
cambiare,
migliorare
e
tutte
le
altre
cose
profonde
e
positive.
Tu
hai
conosciuto,
hai
rischiato,
hai
documentato,
hai
cercato,
hai
scoperto
e
tutto
questo
lo
hai
messo
a
disposizione
del
prossimo;
anche
io
voglio
fare
questo,
anche
io
voglio
aiutare
chi
vuole
essere
aiutato,
mostrandogli
ed
indicandogli
una
strada
diversa,
una
via
alternativa,
offrendogli
quello
che
io
ho
imparato
sulla
mia
pelle
lungo
il
mio
percorso,
vedendo
la
miseria
e la
morte
nelle
strade
indiane,
sedendo
in
meditazione
sui
parquet
dei
templi
tailandesi
o
osservando
l’alba
da
un
monte
cingalese.
Aver
avuto
la
fortuna
di
vedere
solo
di
sfuggita
Sua
Santità
il
Dalai
Lama,
di
aver
studiato
filosofia
buddista
in
una
delle
sue
scuole
sull’Himalaya,
di
aver
fatto
silenziosi
ritiri
di
meditazione
in
templi
circondati
da
foresta,
di
aver
dormito,
mangiato
e
vissuto
in
posti
dimenticati
da
Dio,
sono
tutte
esperienze
signor
Terzani
che
vorrei
condividere
col
mondo
interessato,
e
non
per
mostrare
loro
quello
che
io
ho
fatto,
ma
per
dimostrare
loro
che
c’è
un’alternativa
all’arido
mondo
che,
qui
in
Occidente,
ci
circonda,
ci
invade,
ci
soffoca.
Il
mondo
sta
andando
allo
“scatafascio”,
l’ovvia
e
patetica
autodistruzione
dell’uomo
è
sempre
più
incanalata
nella
strada
del
non
ritorno.
Tu
nella
maniera
più
semplice
ed
elementare
hai
messo
in
guardia
tutti
coloro
che
ti
hanno
ascoltato,
ma
una
piccola
voce
come
la
tua,
seppure
grande
e
potente,
non
potrà
mai
cambiare
la
direzione
ottusa
del
nuovo
genere
umano.
Mi
verrà
da
ridere
il
giorno
in
cui,
come
disse
un
vecchio
saggio,
l’uomo
dopo
aver
mangiato
l’ultimo
pesce,
inquinato
l’ultimo
fiume
e
abbattuto
l’ultimo
albero
si
renderà
conto
di
non
potersi
sfamare
di
sole
banconote.
La
ragione
sembra
essere
impazzita,
e
tutto
pare
remare
al
contrario
di
come
dovrebbe.
Voglio
solo
farti
un
esempio,
il
primo
che
mi
passa
per
la
testa,
forse
questo
tu
non
hai
avuto
il
tempo
di
vederlo
(e
peccato
perché
ti
saresti
fatto
davvero
quattro
risate):
Michael
Moore,
il
regista
americano,
ha
fatto
un
film-documentario
su
Bush
in
cui,
oltre
ad
aver
provato
il
suo
personale
coinvolgimento
in
azioni
e
relazioni
poco
raccomandabili
con
persone
altrettanto
poco
raccomandabili,
ha
semplicemente
mostrato
quantità
inesauribili
di
immagini
del
Presidente
degli
Stati
Uniti
d’America
in
cui
si
manifesta
nella
sua
più
totale
e
ovvia
bassa
capacità
intellettuale,
idiozia
e
scarsa
intelligenza.
Il
semplice
lavoro
di
Moore
è
stato
quello
di
prendere
spezzoni
di
immagini
trasmesse
dalla
CNN
in
cui
Bush
si
rende
totalmente
ridicolo
tra
gaffe,
contraddizioni,
scene
mute
e
frasi
del
tutto
fuori
luogo.
Il
film-documentario
è
uscito
pochissimo
tempo
prima
delle
elezioni,
e
qui
viene
il
bello:
Gorge
W.
Bush
a
quelle
elezioni,
non
ha
vinto,
ha
stravinto
candidandosi
ad
altri
quattro
anni
di
Re
del
mondo
e
della
guerra!
Questo
è il
nostro
tempo,
questa
è la
nostra
direzione
verso
la
grande
fine.
Per
fortuna
almeno
tu
negli
ultimi
giorni
della
tua
vita
nel
corpo
di
Tiziano
Terzani,
come
racconta
tuo
figlio
Folco,
hai
vissuto,
visto
e
sperimentato
ciò
di
cui
parlano
tutti
i
più
grandi
Maestri,
i
più
grandi
mistici,
hai
vissuto
il
Tutto.
Hai
detto
di
aver
capito
che
Tutto
è
Tutto
e
che
nulla
è
distinto.
Cose
a
cui
io
aspiro
e
che
ho
capito
solo
razionalmente
ma
su
cui
devo
lavorare
tanto
per
farne
esperienza
diretta.
Tu
Tiziano
hai
fatto
questa
esperienza
e
credo
che
il
tuo
corpo
lo
hai
lasciato
con
una
mente
risvegliata,
come
un
Buddha,
e
per
questo
mi
auguro
che
tu
per
sempre
sia
uscito
dal
ciclo
di
Samsara!
Grazie
signor
Terzani
per
quello
che
hai
lasciato,
grazie
per
quello
che
mi
hai
dato
e
per
ciò
che
darai,
mi
auguro,
ancora
a
tante
persone
a
venire.
Da
la
su,
ti
prego
continua
ad
ispirarmi
e
aiutami
a
trovare
il
mezzo
giusto
per
aiutare
gli
altri
come
tu
hai
trovato
il
tuo.