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ATTUALITà


N. 37 - Gennaio 2011 (LXVIII)

ASIA, BUDDHA E un reporter senza lavoro
PARTE XXI - Ripassi di Dharma

di Gianrigo Marletta

 

Dedico questo lavoro interamente a Krishna, mio amico e maestro morto nell’inverno del 2005 a Rishikesh, in India. Offro un pensiero particolare anche a Sua Santità il Dalai Lama, con la preghiera che egli possa condurre una vita ancora molto lunga, rivedere il suo paese il Tibet e continuare ad ispirare milioni di persone con la sua ineguagliabile personalità e profondità.

Con le parole che ho scritto in questo mio riassunto non vorrei sembrare presuntuoso. Scrivere mi è servito solo per fare più chiarezza tra i mille concetti che ho imparato e quindi elaborato. Ho solo scritto quello che penso e quello che credo di aver imparato fino ad ora dal Buddhismo e dall’Induismo, nell’intento di offrire un rimedio a tutta quella insoddisfazione, ingordigia e sofferenza di cui ho fin’ora parlato. Ho fatto degli esempi e, non volendo offendere nessuno, mi sono preso la libertà di comparare filosofie secondo i miei canoni (anche se del tutto illusori) di bene e male, giusto e sbagliato, utile ed inutile. Le mie scuole sono state posti come l'India, il Giappone e la Thailandia; insegnanti come Krishna, Swami Dharmananda, Prah Noa, il Tushita Meditation Center; libri come “Autobiografia di uno Yogi”, “Gesù, memorie di un Esseno”, “Bardo Todhol, il libro tibetano dei morti”,”I Vangeli”, “Il Quinto Vangelo”, “Buddha” (di Karen Armstrong), “Il Grande Libro dello Zen”, “Lo Zen”. Se l’unico risultato di questo mio lavoro fosse quello di ispirare anche un solo lettore a leggere uno di questi testi, soprattutto “Autobiografia di uno Yogi” di Paramahansa Yogananda, per me sarebbe la più grande soddisfazione.

Indirizzo quello che ho scritto a tutti coloro che, nonostante tutte le fatiche, non trovano soddisfazione nella loro vita quotidiana. Io come loro mi sono ritrovato stufo delle piccole gioie momentanee e delle grandi noie e dolori. Per fortuna c’è una parte del mondo molto vasta che da sempre ha sostenuto di conoscere il rimedio a tale insoddisfazione. L’Asia, nella sua caotica confusione, offre uno spirito che nessun altro continente può eguagliare, ma soprattutto che un ricercatore sincero può cogliere e portare con sé fino a raggiungere l’immensa gioia ed eterna pace. Fondamentale è sapere che il percorso spirituale serve ad alleggerire il proprio carico e non ad appesantirlo, cosa che molti non comprendono. Non bisogna ingerire concetti nuovi ma vomitare quelli vecchi, questa è filosofia orientale.

Riassunto dei paragrafi che seguono, per capire il vacuo e l’impermanenza.

I cinque aggregati (1. Forma fisica, 2.Mente o Coscienza, 3.Proiezioni della mente (pensieri), 4. Sensazioni, 5.Percezioni) e quindi i miliardi di atomi (separati l’uno dall’altro) che compongono le centinaia di ossa, organi, liquidi e tessuti, non sono altro di ciò che chiamiamo Io. Quale di tutte queste parti su indicate compongono ciò che viene identificato come Io? L’insieme? E allora senza una mano, o senza un rene o se perdessi la facoltà di percepire non sarei più io? Io continua ad essere anche senza l’insieme? O forse Io non esiste? Forse è l’idea che ci viene in mente quando consideriamo la somma delle parti che ci compongono, ed Io lo collochiamo più o meno lì, al centro del nostro corpo. “L’idea che ci viene in mente”. E mente cos’è? È astratto, è cervello, sono i pensieri? Il Buddha insegnò che la Mente è ben separata, anche se mischiata, dai cinque aggregati e soprattutto dai pensieri. Quest’ultimi vengono generati dal cervello ed influenzati dal nostro Karma; la Mente invece è quella parte in noi, senza inizio ne fine, pura, che vedrebbe chiara la Verità, la totalità delle cose ed il perché di tutto se non fosse inquinata, appunto, dai cinque aggregati e dai pensieri.

Questi cinque componenti insieme a passioni e desideri creano il Karma ed il Karma è ciò che ci lega ai Sei Regni Impuri (alla “vita”). Finché tale “inquinamento” non verrà purificato la Mente non potrà tornare al suo stato naturale ed insieme alla coscienza verrà sbattuta più e più volte nei Regni Impuri. Lo stesso errore del percepire l’Io lo commettiamo, secondo gli insegnamenti del Buddha Shakyamuni, quando tendiamo a considerare tutto come una certezza, come consolidato, come immortale. I primi a considerare invincibili, immortali siamo noi stessi. Sicuri che nulla ci accadrà, posticipiamo qualsiasi pensiero o idea di morte e sofferenza e quando questa accade ci disperiamo. Ovviamente sappiamo che tutto è impermanente, tutto muore si deteriora, il tempo non lascia scampo a nulla e a nessuno, ma saperlo non sembra appartenerci quando abbiamo a che fare con le Nostre cose, con i Nostri cari, con Noi stessi.

Se la macchina si rompe, la casa va a fuoco, il nonno muore noi ci disperiamo. Beh, macchina e casa sono discorsi separati dal nonno. L’auto e l’abitazione sono cose che molto probabilmente abbiamo pagato molti soldi, e i soldi li abbiamo sudati, li abbiamo Sofferti. Le auto con il tempo si rompono? Si! I soldi li abbiamo Sofferti? Si! Quindi abbiamo sofferto per una cosa che sappiamo durerà un tot di tempo e poi si romperà. Masochisti? No, l’auto ci serve per sopravvivere. E gli antichi? Senza auto morivano ancor prima di nascere? No. Allora a che serve l’auto? Ad andare in giro più velocemente e fare più cose. Ma se tutto ciò che abbiamo fatto fino ad oggi ci ha portati fin qui, ora, e non siamo ancora soddisfatti, a che diavolo serve l’auto?

Il nonno, come dicevo prima, è un discorso diverso. Lui è un simpatico vecchietto che ci è sempre stato vicino, fin dal nostro primo giorno di vita, ci accompagnava a scuola e ci regalava i soldi per il weekend. Siamo sempre stati abituati ad averlo intorno, a rivolgerci a lui in caso di bisogno. La sua morte provocherà un buco nella nostra vita. Durerà per sempre? Non necessariamente. L’amore per qualcuno è quando desideri per lui o lei il massimo bene e non vuoi niente in cambio. L’attaccamento è invece quando estrai da quella persona qualche sua qualità che serve a Te. Il pianto per la morte di qualcuno quale sarà dei due?

La mente pura, come dicevo, è “inquinata” dai pensieri e dal Karma. I primi creano l’altro. Il segreto quindi sta nel bloccare il flusso di questi. Bloccare i pensieri, credo, sia l’impresa più difficile per l’essere umano, ma estremamente possibile, possibile tramite una pratica ben precisa: la Meditazione.

Meditazione: allenamento mentale in cui, tramite la pratica di concentrazione, si mira a ridurre i pensieri fino a farli diventare Uno solo, per un certo lasso di tempo, e poi Nulla (Assenza di Pensiero). Estinto finalmente il flusso dei pensieri, automaticamente non compaiono più desideri. Non avendo più desideri muore l’affannato intento di proteggere e viziare Se Stessi, l’egoismo scompare e nasce spontaneamente un amore incondizionato verso il prossimo. Nasce la Compassione. Con questo cambiamento il praticante sentirà una profonda pace interiore mai sentita ed una sensazione estatica che lo accompagnerà per sempre. Gli alti e bassi vengono sostituiti dalla Calma Dimorante pacifica, saggia, intelligente, pura e piena di belle sensazioni.

Infelicità

Sarebbe da pessimisti dire che la vita è, tutto sommato, ricca d’infelicità? Sarebbe da persone tristi e depresse ammettere che l’infelicità occupa gran parte della nostra vita? Infelicità non vuol dire solo piangere disperati per la morte di qualcuno o la scomparsa di un oggetto amato. Questa è infelicità ovvia. Molte persone soffrono e non lo sanno neanche, forse perché l’infelicità ha migliaia di sfaccettature nascoste, più o meno ovvie. Gli esempi di infelicità sono tantissimi, ma cercherò di darne uno tra i meno ovvi: il desiderio.

1)Desideriamo tanto comprare una macchina nuova.

2)Lavoriamo sodo per guadagnarci i soldi per poterla comprare.

3)Finalmente la compriamo, siamo felici.

4) Abbiamo la macchina che desideravamo.

1) Desideriamo tanto conquistare la donna dei nostri sogni.

2) Facciamo di tutto per conquistarla

3) Finalmente la conquistiamo, siamo felici.

4) Conviviamo con la donna de nostri sogni.

In effetti questi sembrerebbero esempi di estrema felicità, cosa c’è di infelice in tutto ciò?

Beh, analizziamo il primo punto. Quel desiderare così tanto una cosa o una persona, non regala necessariamente benessere. Quando ci troviamo in quella situazione tendiamo ad essere nervosi, ossessionati. Il cuore non batte al suo solito ritmo tranquillo ma è quasi sempre accelerato, siamo ansiosi: “e se non potessi ottenerla? Dove sarà la mia felicità?!”. Tendiamo a mettere la Nostra felicità su un Altro oggetto o persona. Quindi ammettiamo di non essere felici in quel momento ma che, al contrario, in futuro, con il possesso di quell’oggetto o persona lo saremmo per sempre. Poi viene il punto due. Lavoriamo sodo per ottenere. Magari intraprendiamo un lavoro che non ci piace oppure lavoriamo più ore per guadagnare più soldi, trascurando noi stessi, la famiglia, gli hobby e tutte le cose che magari ci regalano tranquillità. Tutto al prezzo di fare qualcosa che non ci piace per poi ottenere una cosa che ci piace. Quando, invece, cerchiamo di conquistare una donna spesso cambiamo, cerchiamo di essere diversi, vogliamo piacere a lei, trascuriamo noi stessi e le persone a noi vicine. Quando trascuriamo noi stessi non possiamo dire di essere felici, possiamo ammettere di essere distratti e quindi non pensare alla nostra situazione interiore, ma non possiamo dire di essere felici. Finalmente abbiamo conquistato o comprato il nostro oggetto del desiderio. Finalmente appare la Felicità! Tutto è bello, colorato, la vita viene coperta da un velo di straordinaria allegria, nulla ci tange più. Questa è felicità! Ora, però, ci vorrebbe uno di quei telecomandi che congela la scena e che imprime sullo schermo per sempre il momento in cui si è schiacciato il pulsante. Il terzo punto è finalmente il momento che con tanta ansia attendevamo. Ah! Se non fosse per il punto quattro che segue, tutto sarebbe rimasto così magnificamente bello alla realizzazione del desiderio!

l tempo purtroppo continua a scorrere. Questo passaggio comporta due fenomeni maggiori: la nostra mente si stufa ed il tempo deteriora ogni cosa. Ecco che torna l’ansia, la paura di perdere ciò che abbiamo ottenuto, la paranoia che qualcuno ce la tolga, che si rompa che si ammali e muoia. Poi succede che ci stufiamo, che la soddisfazione svanisce, ci appare davanti un oggetto più bello o una persona più interessante, ed ecco che dobbiamo ricominciare tutto da capo. Non che la vita sia fatta solo di macchine e donne ma, questo fenomeno, avviene per ogni cosa che noi desideriamo, piccola o grande che sia. La felicità svanisce ogni qual volta noi la poniamo in qualcosa o qualcun altro. Le cose si deteriorano, si rompono, le persone si ammalano, ci tradiscono, se ne vanno, muoiono e la nostra felicità con loro. È semplice a dirsi e duro a farsi ma dobbiamo riportare il soggetto della nostra felicità dentro noi stessi.

La rinuncia: 

“La Rinuncia” come suona nelle nostre orecchie potrebbe generare dei semplici brividi alla schiena, del ribrezzo o brutti ricordi (soprattutto nelle persone che hanno frequentato le scuole gestite da suore o preti). La nostra comunità spirituale, intendo quella cattolico/occidentale, ha sempre sostenuto questo valido concetto ma spesso è mancato nella spiegazione del perché. 

Se un bambino desiderasse con tremendo ardore un pesciolino rosso ed immaginate che ben presto vi ci si affezionerà, sapendo bene che la vita di quel povero pesce non supererà la settimana, glielo comprereste o cerchereste di distrarlo con una cosa magari... più duratura? Rincorrere le cose di cui ovviamente conosciamo l’impermanenza, la fragilità e quindi vita breve ci porta quasi sempre a soffrire:

- L’ansia e l’agitazione con cui cerchiamo di ottenere le cose è senza dubbio una sensazione poco piacevole.

- L’ottenimento, di solito, è il momento in cui la sofferenza data dalla speranza cessa. 

- Subentra però, poco dopo, la sofferenza dell’ansia di perdere, l’ansia del proteggere e l’ansia del mantenere ciò che abbiamo finalmente ottenuto.

- Meno felice è invece l’inevitabile sofferenza derivata dalla perdita, rottura, morte o malattia dell’amato soggetto.

La rinuncia è quindi la rottura del primo anello di questa catena di sofferenza. Rinunciare ad attaccarsi alle cose che inevitabilmente sono destinate a morire, a distruggersi. Proprio come la madre distrarrebbe il bimbo dal pesciolino rosso che, morendo, lo porterebbe ad una grande tristezza, l’allenamento a questo difficile scopo sta nel portare la mente ad un livello superiore di saggezza e distacco, dove la comprensione prende il posto dell’attaccamento.

Morte

Ho sempre trovato estremamente inutile e masochista la fatica, il tempo e l’impegno impiegato ad ottenere cose, meriti, reputazioni, brevi eccitazioni e felicità lampo quando tutti sanno benissimo che in qualsiasi momento, all’attimo della morte, tutto ciò a cui abbiamo dedicato la nostra intera vita possa svanire in un soffio.

Ed al contrario trovo strano che molte persone non abbiano mai provato a cercar di capire cosa sia il Vero senso ed il perché di Tutto; a volte le persone sembrano degli zombi ciechi che rincorrono cose, con la più sfrenata passione, consapevoli del fatto che ciò che inseguono darà loro una felicità talmente breve che sarà subito un ricordo.

Capire l’impermanenza non è solo un credo dogmatico in cui un individuo debba privarsi del godere delle cose belle perché consapevole della loro inevitabile fine. Capire l’impermanenza serve solo a non farsi cogliere alla sprovvista il giorno in cui la morte arriva. Se noi rimanessimo attaccati a tutte le cose belle e a tutti i nostri possedimenti, inevitabilmente, prima o poi, ci ritroveremo a soffrire. Se noi cercassimo ininterrottamente di respingere le cose "brutte", come fanno purtroppo la maggior parte delle persone, diventeremmo pazzi e paranoici. In entrambi i casi possiamo, però, aggrapparci al continuo scorrere del tempo e quindi alla speranza che le cose migliorino. Così non è, purtroppo, in un solo ed irremovibile caso: al momento della morte. 

I Buddha insegnano che il momento della morte è, ironicamente, il momento più importante nella vita di una persona. Il processo mentale che il morente attraversa stabilirà l’inizio della prossima esistenza. Bisogna per questo essere “leggeri” in quel momento. Ogni attaccamento sarà quel giorno pesante come un palazzo di piombo. La paura, data dall’attaccamento al proprio sé, è talmente forte al momento della morte che, se ci si aggiungono gli attaccamenti agli amici, familiari e cose guadagnate, l’individuo sperimenterà un terrore atroce. Tali sensazioni negative potranno soltanto portare la mente di una persona a rinascere in un luogo di sofferenza. Una vera e propria mappa del luogo in cui si va dopo la morte, secondo le conoscenze buddiste tibetane, è descritta nell’antichissimo documento “ Bardo Todhol” conosciuto meglio come “ Il Libro Tibetano dei Morti”.

Vorrei ora citare una preghiera fatta dal nobile Bodhisattva Shantideva a tutti i Buddha e Bodhisattva ne “Il Bodisattvacharyavatara”: 

“(…) Supplico con mani giunte

 i Buddha e Bodhisattva,

che dimorano in tutte le direzioni

che possiedono la grande compassione, pregando così:

 

Per tutta l’esistenza ciclica senza inizio,

 in questa vita e in tutte le altre,

 inconsapevolmente ho commesso azioni negative

spingendo altri a fare lo stesso.

 

Sopraffatto dagli inganni della mia ignoranza

 mi sono compiaciuto del male fatto;

ma ora, comprendendo questi errori,

 dal profondo del mio cuore li confesso ai Buddha.(…)

 

(….) Tuttavia, potrò anche morire

prima di aver purificato tutte le mie azioni negative;

per cui vi prego di proteggermi, affinché mi possa

sicuramente e velocemente liberare da esse.

 

L’inaffidabile sovrano della morte

Non attende che le cose siano compiute o incompiute,

che io sia ammalato o in salute, e inoltre

non posso confidare nella incerta durata della mia vita.

 

Abbandonando tutto, dovrò andarmene da solo;

 tuttavia, privo di comprensione,

ho compiuto innumerevoli azioni negative,

a causa di amici e nemici.

 

I miei nemici alla fine cesseranno di esistere;

i miei amici e io stesso cesseremo di esistere;

allo stesso modo, anche

tutto il resto svanirà nel nulla.

 

Tutto ciò che possiedo e che utilizzo

È proprio come la fugace visione di un sogno.

Qualsiasi cosa di cui ora godo

diventerà un ricordo.

 

Persino in questa breve esistenza

Molti amici e nemici si sono succeduti,

ma tutte le insopportabili negatività,

che ho compiuto,

rimangono davanti a me.

 

Perciò, non avendo compreso

che dovrò svanire all’improvviso,

ho commesso grandi negatività

a causa di ignoranza, attaccamento e odio.

 

Questa mia vita scorre via costantemente,

non si ferma ne di giorno ne di notte,

e nulla del passato si potrà riottenere.

Perché la morte non dovrebbe arrivare per uno come me?

 

Quando, disteso nel letto,

sarò circondato da tutti gli amici e parenti,

io solo sperimenterò la fine della mia vita.

 

Quando sarò afferrato dai messaggeri della morte,

quale aiuto potranno offrirmi amici e familiari?

In quel momento solo la bontà

compiuta in vita mi proteggerà, (…)

 

(…) Rimane impietrito colui che

viene condotto al patibolo:

ha la gola secca e gli occhi scavati e colmi di terrore;

il suo aspetto è totalmente trasfigurato.

 

Che dire allora della tremenda disperazione

 che mi colpirà, quando, fuori di me dal terrore,

sarò afferrato dai terribili messaggeri della morte?

 

“Chi mi può offrire ora una reale protezione

da un simile grande orrore?”

E allora, con occhi terrorizzati,

cercherò aiuto nelle quattro direzioni. (…) “

Mi ricordo tutte le volte che mi veniva (e che mi viene tutt’ora) istintivo toccare ferro quando si parlava di morte. Con quel gesto cercavo di allontanare quel pensiero dalla mente ed allo stesso tempo mi rassicuravo che a me non sarebbe successo, per lo meno non a tempo breve. Se c’è un motivo per la vita ce n’è anche uno per la morte, ed è per questo che è molto importante conoscerle entrambe.

Karma

“Se vuoi sapere chi eri nelle tue vite passate, guarda le condizioni della tua vita presente. Se vuoi sapere chi sarai nella prossima vita, guarda il tuo stato mentale di questo momento”. (Lama Yeshi)

Il perno centrale della filosofia Buddista ruota attorno al concetto di Karma quindi reincarnazione. Purtroppo tali concetti non sono facilmente provabili e la spiegazione di tutto il resto potrebbe risultare inutile se una persona dai credo materiali non metta, almeno all’inizio, una fiducia in questa teoria/verità.

Come quando sentiamo parlare dell’esistenza della Nuova Zelanda e, non essendoci mai stati, affidiamo la nostra credulità alle testimonianze altrui, ai libri, alle foto e ai video, similmente dovremmo cercare di capire concetti a noi sconosciuti, soprattutto quando portati avanti da popolazioni millenarie che per ere infinite hanno impegnato corpo e mente nella ricerca del perché delle cose. Esattamente come si sorprende l’europeo quando sente parlare di telepatia, si stupisce il Santo indiano quando sente parlare di comunicazione satellitare.

Karma, in sanscrito, significa “azione”. Azione fisica o mentale. Karma può anche essere tradotto come “seme”. Nella frase “tutto torna” troviamo l’azione. Nella frase “raccoglierai ciò che hai seminato” troviamo il seme. Non bisogna avere una spropositata fede in Buddha, Dio o in Allah per capire che quando facciamo del male agli altri entro un certo lasso di tempo gli altri torneranno a fare del male a noi. Spesso non lo capiamo semplicemente perché non colleghiamo i due fatti.

Quindi, Karma: azioni fisiche o pensieri da noi compiuti, nel bene o nel male, che lasciano impresse nella nostra mente le proprie tracce. Inconsciamente quando compiamo delle azioni queste ci rimangono “stampate” nella mente. Queste impronte mentali rifioriscono poi in azioni subite.

Anche i desideri creano Karma: il motivo della rinascita infatti è anche spiegato da questo fenomeno. Le impronte mentali lasciate dal desiderio inesaudito riportano l’individuo a tornare nel ciclo samsarico (il ciclo della vita) per cercar di colmarlo. Si può dire quindi che sia azioni positive che negative creano Karma e di conseguenza risultati che ritornano. Da questo si intuisce che è meglio far del bene dato che questo poi ci ritorna come cosa buona. Non è proprio così, però, per colui che cerca il Risveglio, l’Illuminazione, la liberazione dal ciclo di esistenze. Dato che il Karma, anche quello positivo, crea delle radici, colui che cerca la liberazione deve staccarsi completamente da tali trattenimenti. Il modo per non rimanere intrappolati nella rete karmica delle azioni, quindi, è quello dell’agire senza attaccamento. Ogni azione che noi compiamo è intrisa di attaccamento: attaccamento a noi stessi o attaccamento agli altri. Una madre che si sacrifica per un figlio fa una bella azione, ma lo fa solo in nome dell’attaccamento all’amore per il figlio. Stessa cosa quando tra amici ci si aiuta o si perdona, sono azioni buone ma fatte con attaccamento all’amore di un’altra persona. Anche il volontariato ha una piccola forma di attaccamento: il piacere che ci si ricava, anche se estremamente nobile, ha delle radici egoistiche. Quando una persona raggiunge un livello di distacco totale dall’egoismo, allora ogni sua azione sarà priva di radici, priva di Karma. Egoismo, viene definito dagli insegnamenti del Buddha come una visione errata di un Io, o Ego, come se fosse un’entità solida, permanente e reale da difendere e viziare ad ogni momento ed a qualsiasi prezzo.

I cinque aggregati 

Materia, mente, creazioni della mente (pensieri), sensazioni e percezioni sono le cinque parti che compongono ciò che noi chiamiamo esseri viventi, nel nostro caso, esseri umani, nello specifico ciò che chiamiamo Io. Il Buddha insegnò che Io non esiste (Io inteso come essere permanente d’un pezzo). Egli spiegò che questo “individuo” che noi crediamo così reale, è in realtà solo una proiezione della mente. Possiamo spiegarlo meglio così:

La materia non ha vita; ci vuole qualcosa che gliela dia: la mente. Materia e mente, dunque, creano un essere vivente. Ogni essere vivente ha degli “ingressi” per le percezioni, nel nostro caso i 5 sensi. Ciò che entra da queste “porte” viene riportato immediatamente alla mente, la quale crea i pensieri che, a loro volta, si trasformano in sensazioni. Spero che questa spiegazione sia abbastanza chiara, cercherò comunque di fare degli esempi. Abbiamo detto che le percezioni attraversano la mente, divengono pensieri, i quali creano sensazioni. Quindi la mente traduce, se possiamo dire così, le percezioni in sensazioni.

Se ci dicessero di restare seduti su una sedia senza muoverci per quarantacinque minuti davanti ad un muro bianco, noi impazziremmo. Subito ci sentiremmo scomodi, inizieremmo a muoverci, le gambe si addormentano, la schiena comincia a far male, insopportabile! Ma se su quel muro proiettassero un film, uno di quei thriller intrisi di suspense, allora su quella sedia senza muovere un dito ci resteremmo anche per due ore.

Un martello pneumatico emette delle onde sonore, l’orecchio trasforma le onde in vibrazioni. Fin qui non vi è nulla di male. Il problema nasce quando la Mente trasforma semplici vibrazioni in insopportabile rumore!

Ora tiriamo da parte un po’ la Mente. Restano: forma fisica (materia), pensieri, sensazioni e percezioni. Se ci fermiamo un attimo a pensare, in effetti non manca niente. Se ci guardassimo allo specchio vedremmo un bell’ammasso di cellule, muscoli, ossa, capelli, pelle ecc. Se ci accarezzassimo il braccio sentiremmo un bel solletichino, una sensazione di piacere, se battessimo le mani percepiremmo un suono, e i pensieri, beh quelli ci sono. Dunque, quando diciamo “Io” oppure “a me”, a chi ci riferiamo? A quale di questi composti ci riferiamo? Alla forma fisica? Un cadavere non dice “Io”. Ai pensieri? Impossibile, noi non siamo ciò che pensiamo, mi sarei già chiamato superman da molto tempo. Noi consideriamo un tutt’uno la somma di questi aggregati. Erroneamente siamo convinti, fin dai tempi, che cinque composti, uno ben distinto dall’altro, creano una sola cosa. Che genio quel Gautama! Si è fermato a questa spiegazione il Buddha? Ha detto al mondo che così stavano le cose e che bisognava crederci? Assolutamente no. È andato avanti a spiegare e poi lo ha provato.

Meditazione Viapassana

Il termine Vipassana vuol dire, in lingua Pali, " vedere chiaro", cosa? La realtà. 

Questa tecnica venne riscoperta dal Buddha Gautama più di 2500 anni fa. Con lo scopo di "purificare" la mente dai pensieri derivati dalle sensazioni e percezioni, la Meditazione Vipassana mira a far vivere il presente al praticante. Vivere il presente è inteso non come periodo e luogo in cui uno si trova, ma vivere ogni azione nell'istante in cui l'individuo la sta compiendo. Le azioni possono essere fisiche (materia) con l'alzare ed il cadere dell'addome durante la respirazione, mentali con i pensieri, percezioni con il sentire, vedere, ascoltare, ecc e sensazioni con dolori, pruriti, caldo, freddo, ecc.

L'allenamento a riconoscere, al momento della loro manifestazione, ognuno di questi stadi che sbocciano nella mente è chiamato Meditazione Vipassana. Nel fare questo, col passare del tempo, il praticante impara due verità fondamentali. La prima, che ogni sorgere di un pensiero o sensazione o quel che sia, corrisponde al morire di questi, e che dunque nulla è permanente: non esiste un pensiero che dura all'infinito, questo si trasforma in un altro pensiero e poi in un altro e così via, creando un continuo mentale di pensieri. Stessa cosa per le percezioni, sensazioni, e cellule del corpo fisico.

La seconda cosa che il praticante sperimenta e coltiva è la concentrazione. Portando l'attenzione e la consapevolezza sull'azione che l'individuo sta compiendo in quel momento, egli sviluppa concentrazione. Lentamente i pensieri diminuiscono e la persona riesce a focalizzarsi solo sull'azione. Così facendo diminuiscono i desideri e quindi le azioni (Karma) per cercare di avverarli. Non creando più Karma il praticante si avvicina sempre di più al punto di non ritorno, cioè di non reincarnarsi più nel ciclo Samsarico (Scopo principale degl'insegnamenti dei Buddha). L'apparente durezza ed intensità data dagli orari estremi dei corsi di Vipassana (sveglia alle 4:00), il fatto che si mediti (o ci si provi) per dodici ore al giorno e che tra le 11 del mattino fino alle 6 del mattino seguente non si mangi è motivata dal fatto che la Mente, pigra ed ingannevole, va spronata.

Se si lavora sulla concentrazione del momento presente è importante non distogliere la Mente da tale lavoro. Dormire purtroppo fa proprio questo, la proietta, tramite i sogni, in altri luoghi e tempi; bisogna dunque ridurre al minimo il tempo di tale "distrazione". Ci si muore? No! E non si muore neanche se non si consuma la cena. Grazie a questa regola “crudele” il praticante si rende conto di quanto la fame, in realtà, sia un prodotto della mente e non una vera e propria necessità fisica. Vi è mai successo di trovarvi immersi in un lavoro?

Quando la mente è occupata e focalizzata in una attività, questa non "pensa" ad altro. Il pompiere intento a spegnere un fuoco all'ora di cena, non pensa che ha fame e che vorrebbe interrompere ciò che sta facendo. Il crampo della fame, di sicuro, neanche gli balena lontanamente nell'angolo del cervello.

Quando invece la mente non viene occupata, ecco che da sola va a cercare appigli, ed ecco... la fame.

L'India offre moltissimi tipi e tecniche diverse di meditazione, gran parte di queste necessitano di un Guru e poi di un'iniziazione. Esistono tecniche molto "potenti", che portano gli individui in bellissimi viaggi astrali ed extra corporei. È anche molto difficile trovare autentici Guru che insegnino tali pratiche. Il Vipassana, invece, si trova alla portata di tutti. È uno dei metodi più efficaci ed utili allo scopo della ricerca del Nirvana o Illuminazione.

Studiare sui libri donerà alle persone sempre una conoscenza parziale, logica ma mai l'esperienza diretta.

Solo con la Meditazione si può conoscere veramente cosa sia la Realtà, solo assaggiando il mango si può sapere che sapore abbia, non leggendolo sui libri.

Religione 

La parola religione mi ha sempre fatto un effetto negativo di rigetto, con un senso di fastidio mi veniva in mente quel prete che, nei giorni che precedevano la mia cresima, mi elencava tutte le cose belle che non avrei mai più potuto fare a meno che era l’eterno inferno a cui aspiravo.

Tutt’ora è una parola che preferisco evitare, soprattutto se si parla di Buddhismo. Metodo o, al massimo, filosofia è ciò che io considero terminologia adatta. Il fatto che vi sia un Ordine monastico e dunque anche scritture e luoghi sacri non fa degli insegnamenti del Buddha una religione. I monaci (da lui chiamati Bikkhu) e le monache (Bikkhuni) in origine erano persone che, stufe della loro vita quotidiana, decidevano di seguire in pellegrinaggio il Risvegliato Siddharta Gautama, apprendendo da lui, fino a diventare loro stessi dei Buddha. Talmente era crescente il numero di Bikkhu e Bikkhuni che egli stesso dovette mettere ordine, o per dirla meglio, dovette creare un Ordine. Quindi definire buddhisti i monaci non lo trovo molto corretto. Io li chiamerei più Studenti di Dharma oppure “Illuminandi”.

Il termine “monaco”, detto nella nostra lingua, potrebbe far pensare a un prete o a un sacerdote, ma le due figure sono assai distinte. Il monaco (seguace di Dharma) è uno studente, una persona che tramite pratiche ben precise cerca il Risveglio, concentra la sua intera esistenza sull’ottenimento dello scopo ultimo, in questa vita. Il prete, invece, è colui che cerca di compiere il massimo bene in vita nell’incerta speranza di guadagnarsi, dopo la morte, un posto in paradiso. Segue dei dogmi e, tranne in rari casi, non pratica alcun metodo per raggiungere, in vita, lo scopo ultimo.

Ma con tutte le religioni che ci sono, chi è che dice la verità?

Tutte: Cristianesimo, Induismo, Islam, Buddhismo, Taoismo, Ebraismo dicono tutte la stessa cosa, stesso messaggio, tutte porte alla stessa stanza. Parole diverse, stesso concetto. Unione con Dio, congiungersi a Bhrama, Illuminazione, realizzare l’universo, anima, mente, pregare, meditare, ecc.

La differenza? Il metodo. A Parigi ci si può arrivare in treno, in auto o in aereo. Uno non nega l’altro, sono mezzi diversi ma con lo stesso scopo; tutti portano a Parigi! Uno può essere più lento ma più spettacolare, l’altro veloce ma stancante ma tutti portano a Parigi! Bisogna ora però analizzare questo “metodo”.

Le origini di tutte le religioni hanno un filo comune: un messia. Gesù, Buddha, Krishna, Maometto, Mosè, ecc. Da qui però, senza giudizio, bisogna vedere quali di queste religioni hanno mantenuto vivo, fino ad oggi, il messaggio originale del proprio messia. Non entrerò nel merito delle altre religioni, soprattutto di quelle che non conosco, ma mi permetterò di dire che il Dharma (insegnamenti del Buddha) ed il Sangha (Ordine monastico) creati dal Buddha stesso, dopo 2500 anni sono rimasti pressoché invariati.

Cosa ha a che fare questo con il metodo? Beh, ognuno dei messia qui su indicati hanno insegnato un metodo per arrivare allo scopo ultimo: Unione con Dio, congiungersi a Bhrama, Illuminazione, realizzare l’universo, ecc. E questo metodo ha diversi nomi di cui ne cito due: Preghiera e Meditazione. Due nomi per la stessa pratica in origine, due pratiche diverse oggi.

Quando Gesù comandava ai propri discepoli di pregare nell’intento di far raggiungere loro l’unione con il Supremo, non credo intendeva di recitare tre “Ave Maria” e quattro “Padre Nostro”. La mia idea è più quella che intendesse di isolarsi e chiudersi in se stessi, guardarsi dentro, aguzzare la concentrazione, separare materia e distrazioni mentali dalla pura e luminosa Anima, fino a riconoscerla e renderla leggera, a tal punto da farla volare e congiungersi con Dio.

Questo credo fosse l’insegnamento di Gesù in origine quando parlava di preghiera. Fare questo, in India, si è sempre chiamato Meditare. Perché in alcune parti del mondo si respira ancora spiritualità in ogni angolo della strada ed in altre no? Forse proprio perché il messaggio originale non è ovunque rimasto integro ed ahimè in alcuni posti si è talmente inaridito che, nonostante le mille strutture dedite, la parte invisibile è completamente scomparsa. Tornando ancora al metodo, e qui cercherò di essere diretto e conciso, mi chiedo: perché sempre più persone, specialmente Cristiani ed Ebrei, si rivolgono alle filosofie orientali in cerca di risposte?

Forse perché queste hanno mantenuto vivo e pratico il metodo (Yoga, Pranayama e Meditazione). Per arrivare allo scopo ultimo, loro insegnano, non serve la fede, ma la volontà. Bisogna solo credere inizialmente in ciò che si sta facendo finché, molto presto, arriva la prova che spinge ad andare avanti. La conferma che spinge il praticante a voler arrivare al massimo scopo dell’esistenza umana. Questo, credo, sia un metodo molto più efficace che basarsi sulla pura fede aspettando, tementi, di morire.

Ripassi di Dharma è il risultato di lunghe ore passate seduto a gambe incrociate, nel tentativo di concentrare la mente. Ore ad ascoltare le omelie dei Lama e dei Guru, gli insegnanti spirituali che l’Asia così generosamente ci regala.

Era un progetto per un libricino sul buddhismo, divenuto poi il capitolo finale di questo libro. Mi sembrava obbligatorio cercar di dare una soluzione ai tanti problemi da me presentati nelle pagine di questo volume. Sarebbe pessimistico ed ingiusto da parte mia denunciare e segnalare le ingiustizie del genere umano senza poi cercarne un rimedio, azzardare una soluzione.

Credo fermamente che l’aiuto più grande, la salvezza e la gioia vera possano solo venire da una direzione: la nostra. Solo noi possiamo aiutarci; da noi dipendono i nostri stati d’animo; noi siamo gli artefici dei nostri dolori, della nostra rabbia, del nostro odio ma anche del nostro amore, della nostra felicità, della compassione. Seppure sia di natura umana incolpare agenti esterni per i problemi che ci capitano, è importante capire che, al contrario, noi e solo noi siamo i responsabili per le cose che ci succedono. Ognuno è l’artefice del proprio “destino” e ognuno ha la capacità di cambiarlo e di migliorarlo: “sta a noi!”.

Finisco con il mio inizio...

Tutto è iniziato con una preghiera. Una preghiera a Tiziano Terzani. Una preghiera scritta nel periodo in cui mi trovavo ancora schiavo del mestiere, del lavoro fisso, mentre facevo l’assistente di volo.

Quella preghiera fu un inizio, un seme che velocemente si è schiuso nella mia mente e che è diventato vocazione.

Ricordo poi il primo e vero passo, la decisione presa a Dalat, al nord del Vietnam, di tornare in Cambogia per scrivere il mio primo articolo. Un pezzo su quel qualcosa che più rispetto e su cui più mi avrebbe dato soddisfazione scrivere, un articolo su uno degli ospedali di Emergency. Scattai una foto la sera prima dell’appuntamento preso con l’organizzazione per visitare l’ospedale. Nella foto avevo raggruppato in maniera cerimoniale i pochi oggetti che credevo indispensabili per un reporter. Una penna, un taccuino, un rosario tibetano, un orologio ed uno scialle khmer. Il rosario perché un reporter, specie nel Terzo Mondo, ha sempre bisogno dell’aiuto divino e la sciarpa khmer perché mi ricorda Terzani e lui in primis fu il mio ispiratore. Oggi a distanza di tre anni, che sembrano tre secoli, da quando scrissi questa lettera, moltissimo è cambiato. Speriamo continui tutto nella direzione giusta.

Ciao Tiziano, o forse dovrei dire buona sera signor Terzani,

sono ormai più di due anni che non sei più qui, in carne ed ossa, ed è appena un anno che io ti conosco. L’unica cosa che volevo dirti è grazie. Lo stesso grazie che ho rivolto a tutti i maestri che in questa vita mi hanno insegnato o semplicemente dato qualcosa. Io come te sono appassionato di quel fantastico ed enorme continente che è l’Asia e viaggio in lungo e largo per tutto l’oriente.

Leggo i tuoi libri nei periodi in cui mi trovo in Italia a lavorare per guadagnare i soldi per il mio viaggio successivo. Le pagine che hai scritto però scorrono troppo velocemente ed io non vorrei mai che finissero.

I tuoi libri sono contati ed io ne vorrei di più. Con te mi ritrovo sempre in viaggio, parlo con i tassisti, mi siedo un attimo ad osservare il caotico trambusto di corpi umani rincorrersi e dividersi nelle stazioni, invaso dagli odori più spregevoli eppure così tipici, sorseggio una tazza di tè verde bollente seduto per terra ad una bassa tavola di monaci sorridenti, mi fermo ad osservare come uomini ed animali, specie in India, coesistono in una serena armonia di reciproco rispetto.

Insomma Tiziano tu mi fai rivivere i momenti magici che ogni viaggio, soprattutto se asiatico, regala. E grazie a te ho capito una cosa che solo inconsciamente sapevo: un viaggio non è solo un viaggio! Viaggiare non è solo spostarsi, fotografare, comprare ed immagazzinare ricordi. Viaggiare come dici tu, vuol dire tornare con Qualcosa nella valigia! Vuol dire crescere, aiutare, cambiare, migliorare e tutte le altre cose profonde e positive.

Tu hai conosciuto, hai rischiato, hai documentato, hai cercato, hai scoperto e tutto questo lo hai messo a disposizione del prossimo; anche io voglio fare questo, anche io voglio aiutare chi vuole essere aiutato, mostrandogli ed indicandogli una strada diversa, una via alternativa, offrendogli quello che io ho imparato sulla mia pelle lungo il mio percorso, vedendo la miseria e la morte nelle strade indiane, sedendo in meditazione sui parquet dei templi tailandesi o osservando l’alba da un monte cingalese. Aver avuto la fortuna di vedere solo di sfuggita Sua Santità il Dalai Lama, di aver studiato filosofia buddista in una delle sue scuole sull’Himalaya, di aver fatto silenziosi ritiri di meditazione in templi circondati da foresta, di aver dormito, mangiato e vissuto in posti dimenticati da Dio, sono tutte esperienze signor Terzani che vorrei condividere col mondo interessato, e non per mostrare loro quello che io ho fatto, ma per dimostrare loro che c’è un’alternativa all’arido mondo che, qui in Occidente, ci circonda, ci invade, ci soffoca.

Il mondo sta andando allo “scatafascio”, l’ovvia e patetica autodistruzione dell’uomo è sempre più incanalata nella strada del non ritorno. Tu nella maniera più semplice ed elementare hai messo in guardia tutti coloro che ti hanno ascoltato, ma una piccola voce come la tua, seppure grande e potente, non potrà mai cambiare la direzione ottusa del nuovo genere umano.

Mi verrà da ridere il giorno in cui, come disse un vecchio saggio, l’uomo dopo aver mangiato l’ultimo pesce, inquinato l’ultimo fiume e abbattuto l’ultimo albero si renderà conto di non potersi sfamare di sole banconote.

La ragione sembra essere impazzita, e tutto pare remare al contrario di come dovrebbe. Voglio solo farti un esempio, il primo che mi passa per la testa, forse questo tu non hai avuto il tempo di vederlo (e peccato perché ti saresti fatto davvero quattro risate): Michael Moore, il regista americano, ha fatto un film-documentario su Bush in cui, oltre ad aver provato il suo personale coinvolgimento in azioni e relazioni poco raccomandabili con persone altrettanto poco raccomandabili, ha semplicemente mostrato quantità inesauribili di immagini del Presidente degli Stati Uniti d’America in cui si manifesta nella sua più totale e ovvia bassa capacità intellettuale, idiozia e scarsa intelligenza.

Il semplice lavoro di Moore è stato quello di prendere spezzoni di immagini trasmesse dalla CNN in cui Bush si rende totalmente ridicolo tra gaffe, contraddizioni, scene mute e frasi del tutto fuori luogo.

Il film-documentario è uscito pochissimo tempo prima delle elezioni, e qui viene il bello: Gorge W. Bush a quelle elezioni, non ha vinto, ha stravinto candidandosi ad altri quattro anni di Re del mondo e della guerra! Questo è il nostro tempo, questa è la nostra direzione verso la grande fine. Per fortuna almeno tu negli ultimi giorni della tua vita nel corpo di Tiziano Terzani, come racconta tuo figlio Folco, hai vissuto, visto e sperimentato ciò di cui parlano tutti i più grandi Maestri, i più grandi mistici, hai vissuto il Tutto. Hai detto di aver capito che Tutto è Tutto e che nulla è distinto. Cose a cui io aspiro e che ho capito solo razionalmente ma su cui devo lavorare tanto per farne esperienza diretta.

Tu Tiziano hai fatto questa esperienza e credo che il tuo corpo lo hai lasciato con una mente risvegliata, come un Buddha, e per questo mi auguro che tu per sempre sia uscito dal ciclo di Samsara!

Grazie signor Terzani per quello che hai lasciato, grazie per quello che mi hai dato e per ciò che darai, mi auguro, ancora a tante persone a venire. Da la su, ti prego continua ad ispirarmi e aiutami a trovare il mezzo giusto per aiutare gli altri come tu hai trovato il tuo.



 

 

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