N. 51 - Marzo 2012
(LXXXII)
la "grande distensione" tra usa e urss
accettazione e accordi
di Beatrice Carta
Il periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta fu caratterizzato dalla sensazione che le superpotenze, una volta create le condizioni per una coesistenza competitiva, intendessero trovare le regole della collaborazione o addirittura di un “governo” comune del sistema internazionale. Kissinger, uno dei protagonisti di quell’epoca, affermò che quel periodo si distingueva per il trionfo della diplomazia intesa come strumento per governare la politica internazionale.
Durante
la
seconda
metà
degli
anni
Sessanta
iniziò
un
periodo
in
cui
gli
Stati
Uniti
si
mostrarono
disponibili
a
riconoscere
l’Unione
Sovietica
come
un
soggetto
eguale.
In
particolare
gli
americani
furono
costretti
a
riconoscere
a
poco
a
poco
l’eguaglianza
sul
piano
degli
armamenti,
mentre
lo
stesso
non
si
può
dire
certamente
del
piano
economico
e
finanziario.
La
situazione
economica
dell’Unione
Sovietica
di
quegli
anni
non
era
minimamente
equiparabile
a
quella
statunitense.
Questa
nuova
era
delle
relazioni
internazionali
era
dovuta
ad
un
ripensamento
sui
rischi
che
si
sarebbero
corsi
con
un
conflitto
nucleare.
A
tal
proposito
è
utile
ricordare
la
firma
nel
luglio
1968
del
Trattato
di
non
proliferazione
degli
armamenti
nucleari.
L’accordo
era
il
frutto
di
un
negoziato
promosso
dalle
Nazioni
Unite
che
in
sostanza
prevedeva
l’impegno
per
gli
Stati
nucleari
di
non
trasferire
armi
atomiche
a
chi
non
ne
possedeva
e la
rinuncia
di
questi
a
non
possederne.
Il
Trattato
era
evidentemente
diseguale
in
quanto
sanciva
l’egemonia
permanente
delle
potenze
nucleari.
La
distensione
può
essere
vista,
secondo
il
punto
di
vista
americano,
come
un
modo
per
contenere
le
spese
della
gara
nucleare
e
spaziale
che
aveva
raggiunto
livelli
insostenibili.
Questa
motivazione
non
venne
appresa
subito
dai
sovietici
i
quali
interpretarono
ciò
come
una
manifestazione
degli
Stati
Uniti
a
riconoscere
il
duopolio
globale.
Tuttavia
fu
solo
con
l’elezione
di
Nixon
che
si
ebbe
l’avvio
del
processo
di
distensione
inteso
come
uso
della
diplomazia
per
frenare
i
costi
economici
della
gara
spaziale
e
temporale.
Potrebbe
dirsi
che
il
periodo
compreso
tra
il
1969
e il
1974
fu
una
vera
svolta
per
la
diplomazia
statunitense
in
quanto
venne
data
una
spinta
risoluta
verso
il
dialogo
bipolare,
anche
in
virtù
del
fatto
che
apparentemente
l’adozione
di
una
tale
politica
avrebbe
contribuito
a
far
emergere
motivi
di
collaborazione
e di
interscambio.
Il
dialogo
parve
quindi
assumere
il
carattere
di
una
convergenza
nel
governo
della
politica
mondiale,
anche
se è
altrettanto
probabile
che
esso
nascondesse
la
mutua
volontà
di
usare
il
peso
politico
di
uno
o
dell’altro
per
risolvere
i
problemi
propri.
Questa
seconda
ipotesi
potrebbe
essere
confermata
dal
fatto
che
i
numerosi
accordi
stipulati
in
quegli
anni
erano
delle
forme
di
stabilizzazione
provvisoria.
A
conferma
di
questa
ipotesi
può
essere
presa
in
considerazione
la
normalizzazione
dei
rapporti
tra
gli
Stati
Uniti
e la
Cina
popolare
proprio
nel
momento
in
cui
quest’ultima
era
considerata
dall’Urss
come
un
nemico
da
combattere.
La
normalizzazione
di
tali
rapporti
consentì
agli
Stati
Uniti
di
trasformare
la
sconfitta
disastrosa
nel
Vietnam
in
un
episodio
periferico.
Sul
piano
territoriale
respingeva
inoltre
il
confine
politico-ideologico
sovietico
dalle
acque
del
Pacifico.
Infine
i
nuovi
rapporti
cino-americani
consentivano
agli
Stati
Uniti
di
vantare
una
collaborazione
che
li
sottraeva
alla
“solitudine
imperialistica”.
Il
processo
della
distensione
si
svolse
su
diversi
piani.
Il
primo,
e
forse
il
più
importante
riguardò
i
rapporti
tra
Urss
e
USA
in
materia
nucleare.
Già
nel
1969
il
Presidente
degli
Stati
Uniti
Johnson
aveva
lanciato
l’idea
di
un
negoziato
che
portasse
alla
definizione
di
una
limitazione
degli
armamenti
strategici.
Per
definire
questa
proposta
venne
successivamente
utilizzata
la
sigla
SALT
(Strategic
Armaments
Limitation
Talks
cioè
negoziati
per
la
limitazione
degli
Armamenti
strategici).
Inizialmente
i
sovietici
mostrarono
esitazione
per
questa
idea
a
causa
dell’ostilità
degli
ambienti
militari
al
negoziato
prima
che
l’Urss
avesse
colmato
il
divario
in
materia
di
testate
atomiche
multiple
e
prima
che
risultassero
chiare
le
intenzioni
americane
in
relazione
ai
progetti
di
costruire
un
complesso
di
vettori
anti
missile,
cioè
ad
un
sistema
di
ABM.
La
situazione
mutò
all’indomani
dalla
firma
del
Trattato
di
non
proliferazione
quando
i
Sovietici
annunciarono
la
loro
disponibilità
ad
avviare
i
colloqui
SALT.
Il
26
maggio
1972
venne
firmato
l’accordo
SALT
I.
L’intesa
si
componeva
di
due
parti
e di
una
serie
di
protocolli
concernenti
problemi
collaterali.
Nella
prima
parte
si
stabilivano
i
livelli
entro
cui
ciascuna
delle
due
potenze
avrebbero
dovuto
mantenere
i
loro
armamenti,
per
cui
più
che
di
disarmo
sarebbe
più
corretto
parlare
di
regolamentazione
delle
forze.
Nella
seconda
parte
veniva
affrontata
la
questione
dei
sistemi
antimissile
(ABM)
e in
questo
ambito
si
stabiliva
che
le
due
superpotenze
avrebbero
potuto
costruire
due
sistemi
ABM
ciascuna.
Altrettanto
importanti
furono
i
protocolli
siglati
in
quell’occasione:
in
una
dichiarazione
si
affermava
che
nell’età
nucleare
i
rapporti
tra
le
superpotenze
potevano
seguire
solamente
la
regola
della
“coesistenza
pacifica”.
A
tal
fine,
le
due
parti
si
impegnavano
a
consultarsi
onde
evitare
una
guerra
nucleare.
L’accordo
ebbe
una
ricaduta
su
una
serie
importante
di
altri
progetti
di
collaborazione
che
dovevano
costituire
il
vero
terreno
di
prova
del
clima
politico
della
distensione.
Infatti
vennero
sottoscritti
importanti
accordi
commerciali,
intese
nel
campo
della
ricerca
scientifica,
dell’esplorazione
spaziale
e
della
protezione
dell’ambiente.
Come
prova
del
nuovo
clima
politico
di
distensione
occorre
ricordare
che
in
quel
periodo
ci
furono
numerosi
incontri
tra
i
leader
sovietici
e
americani.
Il
22
maggio
1972
Nixon
fu
il
primo
Presidente
americano
a
recarsi
in
visita
nella
capitale
sovietica.
In
seguito
alla
visita
di
Nixon
a
Mosca
i
leader
si
incontrarono
in
pochi
mesi
altre
tre
volta
a
conferma
del
clima
di
disgelo.
Nel
frattempo
vennero
avviati
i
primi
scambi
di
opinione
per
il
SALT
II.
Tuttavia
i
negoziati
non
erano
ancora
sufficientemente
avanzati
e il
vertice
dovette
limitarsi
a
sanzionare
un’intesa
in
base
alla
quale
il
nuovo
trattato
sarebbe
stato
stipulato
nel
momento
in
cui
fosse
stato
raggiunto
un
accordo
sulla
limitazione
“permanente”
delle
armi
strategiche.
Il
successivo
vertice
tra
i
due
leader
ebbe
luogo
a
Mosca
e in
Crimea
dal
27
giugno
al 3
luglio
1974
e
Nixon
si
trovava
in
una
posizione
scomoda
per
lo
scoppio
dello
scandalo
Watergate.
Sicuramente
fu
questo
il
motivo
che
spinse
Breznev
ad
assumere
una
posizione
cauta
riguardo
l’andamento
del
negoziato.
L’ultimo
vertice
degli
anni
della
distensione
ebbe
luogo
fra
Breznev
e il
successore
di
Nixon
Ford
a
Vladivostok
il
23-24
novembre
1974.
In
quell’occasione
fu
raggiunto
un
accordo
interinale
(l’accordo
definitivo
fu
firmato
solo
nel
1979)
sul
testo
del
trattato
SALT
II.
Secondo
quest’accordo
veniva
affermato
il
principio
della
parità,
consistente
nella
decisione
che
entrambi
i
contraenti
avrebbero
potuto
disporre
di
un
numero
uguale
di
vettori,
ma
che
solo
un
numero
di
essi
potevano
essere
dotati
di
testate
multiple.
Oltre
alla
riduzione
sulle
armi
strategiche
un
altro
evento
nella
storia
della
distensione
occupa
un’importanza
fondamentale:
la
CSCE
(la
Conferenza
sulla
sicurezza
e la
cooperazione
in
Europa)
che
porto
il
1°
luglio
1975
alla
firma
dell’
“Atto
finale”
di
Helsinki.
Il
documento
era
una
dichiarazione
di
principi
ai
quali
le
parti
si
impegnavano
ad
attenersi.
Esso
era
costituito
da
quattro
parti.
Nella
prima
erano
enunciati
i
principi
politici
della
sicurezza
europea,
fra
cui
l’inviolabilità
dei
confini,
salvo
le
variazioni
concordate
pacificamente.
I
firmatari
si
impegnavano
inoltre
a
non
interferire
negli
affari
interni
di
altri
stati,
a
non
utilizzare
la
forza
nelle
relazioni
internazionali,
a
rispettare
i
diritti
delle
minoranze.
La
seconda
parte
riguardava
la
cooperazione
nel
campo
dell’economia
della
scienza,
della
tecnica
e
dell’ambiente.
Il
terzo
“cesto”,
accettato
solo
dopo
lunghe
pressioni
nei
confronti
dei
sovietici,
riguardava
la
cooperazione
nel
campo
culturale
e
umanitario
e
faceva
riferimento
al
rispetto
dei
diritti
umani.
Il
quarto
“cesto”
infine
prevedeva
una
nuova
conferenza
da
tenersi
a
Belgrado
il
cui
obbiettivo
sarebbe
dovuto
essere
quello
di
fare
il
punto
sull’attuazione
dei
principi
comunemente
accettati
ad
Helsinki.
Gli
accordi
di
Helsinki
furono
accolti
con
un
certo
scetticismo
ed
anzi
si
può
affermare
che
il
clima
di
distensione
e
dialogo
che
si
era
instaurato
fra
sovietici
ed
americani
di
lì a
poco
sarebbe
nuovamente
piombato
in
un
clima
di
tensione.
Con
ciò
non
si
vuole
sminuire
l’importanza
dell’evoluzione
delle
relazioni
internazionali
di
quegli
anni
che,
seppur
fra
alti
e
bassi,
si
erano
sviluppate
intorno
al
dialogo
e
all’accettazione
reciproca.