N. 90 - Giugno 2015
(CXXI)
La storia degli US Open - parte II
Grandi battaglie in punta di fioretto
di Francesco Agostini
Il
1974
per
gli
US
Open
fu
un
anno
fondamentale:
alla
ribalta
salì
per
la
prima
volta
un
giovane
tennista
dalla
fame
sconfinata
di
vittorie
e
contemporaneamente
fu
l’ultima
edizione
in
cui
i
tennisti
giocarono
sull’erba.
A
partire
dall’anno
seguente,
infatti,
e
per
un
periodo
brevissimo,
gli
Us
Open
si
giocarono
su
terra
battuta;
una
terra
però
completamente
differente
da
quella
europea.
Gli
americani
chiamarono
questa
particolare
superficie
col
nome
di
Har
–
Tru,
caratterizzata
da
una
notevole
velocità
di
rimbalzo
che
la
faceva
assomigliare
molto
di
più
al
cemento
che
alla
terra
rossa.
Da
quell’anno
fino
alla
fine
del
decennio
degli
Ottanta,
il
torneo
statunitense
sarà
caratterizzato
da
epiche
battaglie
fra
maestri
della
racchetta:
Jimmy
Connors,
Björn
Borg,
John
McEnroe
e
Ivan
Lendl.
Di
questi
quattro,
quello
più
appassionato,
agguerrito
e
pieno
d’affetto
per
il
pubblico
fu
sicuramente
Connors,
anche
perché
di
nazionalità
statunitense.
Epiche
le
sue
battaglie
soprattutto
con
Björn
Borg,
suo
omologo
in
quanto
a
timing
sulla
palla
e a
tipologia
di
gioco:
entrambi
stazionavano
a
fondocampo
e
facevano
della
regolarità
il
loro
punto
di
forza.
Spesso
a
Connors
capitava
di
perdere
su
altri
campi,
come
ad
esempio
a
Wimbledon,
e di
rifarsi
poi
allo
Us
Open,
sostenuto
dal
pubblico
amico
di
casa.
I
risultati
furono
eccezionali.
Jimmy
Connors
vinse
questo
torneo
per
ben
cinque
volte:
1974,
1976,
1978,
1982
e
1983.
Incredibile
a
dirsi
ma
nel
torneo
americano
Björn
Borg
uscì
nettamente
perdente
e
non
riuscì
mai
a
vincerlo,
nonostante
le
numerose
finali.
Lui,
dominatore
del
Roland
Garros
e di
Wimbledon,
fu
sconfitto
due
volte
da
Jimmy
Connors,
suo
eterno
rivale,
cosa
che
incise
moltissimo
sulla
sua
psiche
non
proprio
d’acciaio.
Il
fatto
che
a
Connors
poi
succedette
un
altro
incredibile
campione
come
John
McEnroe,
che
lo
sconfisse
più
e
più
volte,
diede
a
Borg
il
colpo
finale.
Compreso
ormai
il
fatto
che
non
avrebbe
potuto
più
dominare
la
scena
come
prima
si
ritirò
a
soli
venticinque
anni,
nel
pieno
del
vigore
e
dell’attività
agonistica.
Per
un
campione
che
si
allontanava
sul
viale
del
tramonto
dunque,
un
altro
nasceva.
McEnroe,
col
suo
gioco
di
volo
rapidissimo
e
spettacolare
s’impose
in
ben
quattro
edizioni:
1979,
1980,
1981
e
1984.
Ma
anche
lui,
iracondo
e
allo
stesso
tempo
simpaticissimo
in
campo,
era
destinato
a
vedersi
scalzato
via
dalla
vetta
del
ranking.
Un
alto
giocatore
cecoslovacco,
Ivan
Lendl
(altro
attaccante
da
fondo)
avrebbe
dominato
lo
Us
Open
per
tre
anni
consecutivi:
la
vittoria,
infatti,
fu
sua
nel
1985,
nel
1986
e
nel
1987.
Memorabile
la
finale
del
1986,
quando
s’impose
con
un
terrificante
6-4,
6-2,
6-0
contro
Miloslav
Mečíř,
chiamato
dal
giornalista
Gianni
Clerici
“Gattone”
per
i
suoi
movimenti
fluidi
in
campo.
In
campo
femminile,
invece,
il
cerchio
si
poté
restringere
a un
giro
molto
più
stretto.
Durante
gli
anni
settanta
e
ottanta,
infatti,
il
torneo
fu
praticamente
diviso
in
due,
fra
le
eterne
rivali
Chris
Evert
(fra
l’altro,
anche
fidanzata
con
Connors
per
un
periodo)
e la
statunitense
di
adozione
Martina
Navrátilová.
A
scorrere
l’albo
d’oro
i
numeri
sono
a
dir
poco
impressionanti.
Le
edizioni
del
1983,
1984,
1986
e
1987
andarono
a
beneficio
della
Navrátilová,
mentre
la
Evert
si
aggiudicò
quelle
del
1975,
1976,
1977,
1978,
1980
e
1982;
è
chiaro,
dunque
che
le
due
tenniste
chiusero
ogni
spazio
a
delle
possibili
outsider.
Questi
scontri,
comunque,
segnarono
la
storia
del
tennis
in
una
fase
cruciale
della
sua
storia
e
aprirono
la
strada
alle
esaltanti
sfide
degli
anni
novanta,
che
videro
soprattutto
protagonisti
gli
atleti
statunitensi.