N. 77 - Maggio 2014
(CVIII)
UOMINI SUL FONDO
Il primo lungometraggio della Regia Marina
di Vincenzo Grienti
All’inizio
della
Seconda
guerra
mondiale
il
Comitato
per
il
cinema
politico
e di
guerra
presieduto
da
Alessandro Pavolini,
giornalista
e
politico,
ma
soprattutto
ministro
per
la
cultura
popolare
dal
1939
al
1943,
approvò
un
piano
di
realizzazione
di
sette
documentari
spettacolari
aventi
come
soggetto
la
guerra.
Nel
piano
rientravano
pellicole
cinematografiche
girate
nei
diversi
fronti
di
guerra
come
la
Russia
e
l’Africa
settentrionale.
I
protagonisti
erano
il
Regio
Esercito,
la
Regia
Marina
e la
Regia
Aeronautica
impiegati
nei
diversi
scenari
strategici.
I
film
navali
vennero
presi
in
carico
dal
Ministero
della
Marina
che
li
affidò
a
Francesco
De Robertis.
A
lui
fu
affidato
il
coordinamento
del
Centro
cinematografico
della
Regia
Marina
appositamente
istituito.
Il
suo
primo
film
d’esordio
fu
Uomini
sul
fondo
del
1941
in
cui
egli
curava
non
solo
la
regia,
ma
anche
la
sceneggiatura
e il
montaggio.
L’idea
che
ruota
attorno
al
soggetto
della
pellicola
nacque
da
un
fatto
realmente
accaduto:alla
vigilia
della
Seconda
guerra
mondiale,
durante
le
manovre
di
esercitazione
il
sommergibile
A103,
in
fase
di
emersione,
entra
in
collisione
con
il
piroscafo
Ariel,
costretto
a
cambiare
rotta
per
evitare
un
banco
di
nebbia.
L’impatto
produce
uno
squarcio
nella
fiancata
del
sottomarino
che
affonda.
Fallisce
il
tentativo
di
far
ripartire
il
sommergibile
in
quanto
incagliato
sul
fondale.
Utilizzando
il
cilindro
di
salvataggio
alcuni
uomini
riescono
a
risalire
in
superficie
e a
segnalare
la
posizione
esatta.
Accorrono
le
navi
di
salvataggio
Titano
e
Ciclope,
il
pontone
di
sollevamento
Anteo
e
due
idrovolanti.
Dopo
alcune
ore
gran
parte
dell’equipaggio
è
stata
tratta
in
salvo.
Il
comando
militare
prepara
un
piano
per
pompare
aria
nella
parte
allagata
del
sommergibile
in
modo
da
far
uscire
l’acqua
che
lo
appesantisce
e
provare
a
disincagliarlo.
Il
comandante
e i
sette
marinai
Lanciani,
Vennarini,
Nelli,
Ciacci,
Leandri,
Villosio
e
Giuma,
nonostante
la
pressione
atmosferica
e il
livello
di
anidride
carbonica
abbiano
raggiunto
livelli
quasi
insopportabili,
decidono
di
rimanere
a
bordo
per
cercare
di
salvare
l’imbarcazione.
I
palombari
riescono
a
saldare
lo
squarcio,
ma
non
riescono
ad
aprire
la
valvola
per
pompare
aria
all’interno.
Si
potrebbe
tentare
di
aprirla
dall’interno,
ma
il
locale
idrovore
è
completamente
invaso
dal
cloro
e
l’impresa
sembra
impossibile.
Il
marinaio
Leandri
decide
di
sua
iniziativa
di
tentare.
Riesce
ad
aprire
la
valvola
e a
far
passare
l’aria,
ma
la
sua
mano
rimane
bloccata
sotto
la
leva
e
l’uomo
muore
intossicato
dai
fumi.
Il
suo
sacrificio
consente
però
al
sommergibile
di
disincagliarsi
e
ripartire.
Una
volta
emerso
il
sommergibile
viene
salutato
festosamente,
ma
subito
cala
il
silenzio
quando
la
bandiera
viene
issata
a
mezz’asta
per
onorare
lo
spontaneo
atto
di
eroismo
del
marinaio
Leandri.
Sulla
sceneggiatura
non
mancò
lo
scetticismo
e il
controllo
della
casa
di
produzione
e di
distribuzione
Scalera
Film,
attiva
dal
1938
al
1950,
che
nel
periodo
1940-1943
divenne
la
casa
cinematografica
nazionale
con
il
maggior
numero
di
pellicole
prodotte. Quest’ultima
mandò
il
regista
e
sceneggiatore
Ivo
Perilli
a
verificare
quel
che
stava
bollendo
dietro
la
macchina
da
presa
di
De
Robertis.
In
realtà
il
regista
esordiente
dimostrò
di
conoscere
bene
i
meccanismi
di
scrittura
e le
tecniche
di
racconto.
Ad
esempio
De
Robertis,
nel
film
Uomini
sul
fondo
inserisce
degli
elementi
narrativi
all’inizio
della
storia
per
poi
riprenderli
a
metà
racconto
o,
addirittura,
alla
fine,
ossia
quello
che
viene
definito
set-up
e
pay-off
o
molto
semplicemente
“semina”
e
“raccolta”
come
ad
esempio
l’indizio
della
mano
del
marinaio
posto
all’inizio
e
ripreso
alla
fine
dà
il
senso
e il
significato
della
storia,
ma
mette
in
evidenza
la
sensibilità
di
De
Robertis
nella
cura
dei
particolari.
A
Uomini
sul
fondo
collaborò
anche
il
regista
Giorgio
Bianchi,
indicato
nei
titoli
di
coda
come
direttore
artistico,
che
senza
dubbio
diede
un
contributo
non
indifferente
a De
Robertis,
così
come
il
giovane
Mario
Bava,
allora
operatore,
ma
in
futuro
destinato
ad
essere
annoverato
tra
i
più
grandi
registi
di
cinema
horror.
Quando
il
film
uscì
fu
considerata
un’opera
di
grande
fattura
e di
consistenza
artistica.
Sia
sul
piano
del
ritmo
che
su
quello
della
fotografia
venne
accolta
con
pareri
favorevoli
dalla
critica
cinematografica
del
tempo
che
riconobbero
al
regista
De
Robertis
di
essere
stato
capace
di
tenere
alto
il
livello
di
drammaticità
della
pellicola
dall’inizio
alla
fine
del
lungometraggio.
Il
film
trovò
però
maggiore
appeal
per
la
sua
caratteristica
di
essere
anticipatore
del
neorealismo,
non
solo
per
il
taglio
documentaristico-romanzato
della
narrazione,
ma
anche
e
soprattutto
per
l’impiego
di
attori
non
professionisti.
Basta
guardare
l’inizio
del
film
in
cui
il
regista
apre
con
una
carrellata
sui
marinai
dell’equipaggio
impegnati
nella
vita
ordinaria
che
solitamente
viene
condotta
a
bordo
di
una
unità
navale:il
cuoco
che
cuoce
la
pasta,
chi
si
spazzola
la
divisa
per
la
franchigia,
chi
gioca
a
dama
aspettando
di
montare
di
guardia
in
porto
o
chi
addirittura
fa
la
“settimana
enigmistica”.
Questo
per
far
aderire
ancora
di
più
il
pubblico
alla
narrazione,
per
farlo
sentire
vicino
ai
protagonisti
del
film
che
potrebbero
essere
i
propri
figli,
nipoti
o
amici.
La
pellicola,
a
parere
di
molti
critici
cinematografici,
prima
di
essere
una
storia
di
guerra
è
una
storia
umana,
di
persone
impegnate
a
rendere
un
servizio
allo
Stato,
all’Italia.
Gli
interpreti
recitano
in
maniera
spontanea,
naturale,
sono
insomma
gli
ufficiali,
i
sottufficiali
e
l’equipaggio
di
un
sommergibile
italiano
che
ha
già
partecipato
a
vari
episodi
della
Seconda
guerra
mondiale.
Il
primo
lungometraggio
d’ambiente
marinaro
appave
subito
come
un’autentica
rivelazione
non
solo
per
il
già
citato
taglio
documentaristico
del
racconto,
ma
anche
per
le
tecniche,
considerate
ai
tempi
molto
avanzate.
E
poi
per
l’illustrazione,
fotogramma
per
fotogramma,
di
uomini,
ambienti
e
situazioni
che
nel
Dopoguerra
aiutarono
il
film
a
guadagnarsi
l’appellativo
di
“pellicola
verista”
che
rinunciava
alla
retorica
militare.
In
più,
molti
critici
paragonarono
il
film
di
De
Robertis,
per
l’uso
espressivo
del
montaggio,
a
quelli
del
cinema
sovietico
muto
e
del
documentarismo
inglese
degli
anni
Trenta.
Il
film,
oggi,
occorre
inquadrarlo
in
un
genere
di
guerra
molto
particolare:esso
ha
un
impianto
sobrio
e
allo
stesso
tempo
rigoroso
nei
dettagli
quando
descrive
l’ambiente
circostante
e
anche
per
questo
fu
accolto
con
calore
dalla
critica
ufficiale
che
lo
definì
“capolavoro
di
arte
cinematografica”
e lo
pose
insieme
a
L’assedio
dell’Alcázar
di
Augusto
Genina
tra
i
principali
film
della
produzione
italiana
del
1940.
Si
tratta
infatti
di
una
storia
di
guerra,
ma
la
guerra
non
è
rappresentata,
resta
insomma
sullo
sfondo.
Non
c’è
l’esaltazione
delle
imprese
militari
–
forse
perché
non
si
volevano
innestare
ulteriori
ansie
e
preoccupazioni
nell’opinione
pubblica
– e
questa
chiave
porterà
il
film
di
De
Robertis
ad
avvicinarsi
al
pubblico,
alle
vicende
umane
di
tutti
i
giorni.
Sono
i
personaggi
che
attirano
la
curiosità
e
l’interesse
dello
spettatore
nei
ruoli
che
il
regista
gli
fa
interpretare:
c’è
il
marinaio
che
mangia
sempre,
quello
impavido
che
non
ha
paura,
il
cinico,
c’è
chi
soffre
di
solitudine
e si
isola
dall’equipaggio
e
c’è
poi
la
figura
punto
di
riferimento
del
comandante
dello
scafo
che
rappresenta
quasi
“il
buon
padre
di
famiglia”,
amorevole
e
autorevole
allo
stesso
tempo;
da
un
lato
preoccupato
per
i
propri
uomini
e
preso
dal
senso
di
responsabilità,
dall’altro
freddo
e
autoritario
ogni
qualvolta
debbono
essere
prese
delle
decisioni
attinenti
al
comando
del
sommergibile.
Uomini
sul
fondo
è
una
pellicola
che
mette
bene
in
evidenza,
senza
dubbio
influenzata
dalla
politica
del
tempo,
l’importanza
dello
spirito
di
corpo
e
del
grande
ruolo
che
la
componente
maschile,
su
cui
facevano
leva
le
nostre
forze
armate,
Regia
Marina
compresa,
si
faceva
carico
della
communitas,
dunque
dell’Italia
intera,
nel
tentativo
di
difendere
la
patria
e
nel
frattempo
di
vincere
la
guerra.
Tutti
elementi
legati
alla
propaganda
fascista
che
pian
piano
vennero
a
decadere
per
le
condizioni
socio-economiche
e
per
l’evolversi
del
secondo
conflitto
mondiale,
come
ben
sappiamo,
non
a
favore
dell’Italia
fascista.
Nel
Dopoguerra
questo
modello
“maschile”
e
virile,
ben
rappresentato
da
De
Robertis
nel
film,
sarà
superato.
Le
sceneggiature
e i
film
degli
anni
Cinquanta
e
Sessanta
rappresenteranno
sempre
più
soggetti
e
protagonisti
femminili
non
in
attesa
come
le
madri,
le
mogli
e le
fidanzate
tenute
sullo
sfondo,
a
casa,
dagli
sceneggiatori
delle
pellicole
prodotte
nel
periodo
fascista,
ma
le
donne
avranno
un
ruolo
più
attivo,
quasi
da
affiancamento,
se
non
addirittura
da
traino,
in
molti
film
anche
di
guerra.