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N. 79 - Luglio 2014 (CX)

l’universo femminile di Alessandro

Parte II - DA BARSINE A TAIDE
di Paola Scollo

 

Olimpiade è stata indubbiamente la figura femminile che ha influito sull’indole di Alessandro Magno in modo preminente. Occorre tuttavia ricordare che non è stata l’unica. Nel corso della sua breve ma intensa esistenza Alessandro ha incontrato donne altrettanto affascinanti e carismatiche, talvolta ciniche e spietate.

 

Nei loro confronti il giovane sovrano ha rivelato quella stessa natura indomita ed energica che ne ha decretato la fama sul campo di battaglia. Anche nella sfera privata e nelle relazioni più intime Alessandro è stato dunque illuminato da forti desideri e da ardenti passioni che, giorno per giorno, lo hanno guidato a vivere in modo estremo. Oltre ogni limite.

 

Merita anzitutto di essere menzionata Taide, l’etera ateniese dall’indole fredda e malvagia che, stando alle fonti, sfruttò le sue indiscutibili doti oratorie per indurre Alessandro a distruggere la reggia di Persepoli. All’origine di tale estremo gesto è da porre, con ogni probabilità, il desiderio di vendetta nei confronti del persiano Serse che, all’epoca della seconda guerra persiana, aveva incendiato e distrutto il tempio di Atena sull’acropoli di Atene.

 

La notizia viene riportata da Plutarco che, infatti, scrive: “In seguito, quando stava (Alessandro, ndr) per marciare contro Dario, acconsentì a partecipare a un gioioso banchetto con gli amici. Erano venute anche delle donne presso i loro amanti a far festa e a bere. Fra queste era specialmente famosa Taide, Ateniese, amante di quel Tolomeo che fu poi re.

 

Ella, un poco lodando abilmente Alessandro, un poco scherzando, riscaldata dal vino, si indusse a pronunciare un discorso che si armonizzava al costume della sua patria, ma era troppo elevato per una come lei. Disse che di tutti i travagli, patiti errando per l’Asia, si riteneva ripagata in quel giorno nel quale faceva festa nella magnifica reggia dei Persiani; ma con maggior piacere avrebbe bruciato la dimora di Serse, che aveva dato alle fiamme Atene, appiccando ella stessa il fuoco sotto gli occhi del re perché si diffondesse tra la gente la voce che le donne venute con Alessandro avevano inflitto ai Persiani, per vendicare la Grecia, un colpo più grave di quanti ne avevano inferti strateghi di terra e di mare”.

 

Stando a Plutarco, tali parole vennero accolte entusiasticamente dai commensali. Motivato dall’euforia dilagante, con la corona sul capo e una torcia in mano per primo Alessandro si diresse fuori dalla reggia. Gli altri lo seguirono e in breve tempo si radunarono, tra grida sfrenate, attorno all’edificio.

 

Accorsero lieti anche i Macedoni, reputando che distruggere la reggia fosse un atto proprio di chi “pensa alla sua casa e non ha intenzione di fermarsi tra i barbari” (Alex., XXXVIII 1 – 8). Anche secondo la testimonianza di Diodoro Siculo Taide ebbe un ruolo di indiscutibile valore nella distruzione della dimora di Serse: fu proprio lei a indurre, attraverso lusinghe e parole, Alessandro a ordinare l’incendio (Bibliotheca historica XVII 72).

 

Occorre comunque ricordare che ben presto Alessandro si rese conto della gravità del gesto, per cui ordinò di spegnere l’incendio. Un’attenta analisi delle testimonianze rivela svariate divergenze. Stando a Clitarco, fu proprio Taide ad appiccare l’incendio, laddove Arriano considera Alessandro sia l’ideatore sia l’esecutore dell’atto.

 

La critica oggi tende a prestare fede ad Arriano, storico più autorevole e affidabile rispetto a Clitarco, con conseguente ridimensionamento del ruolo di Taide. Secondo Ateneo di Naucrati, dopo la morte del sovrano Taide andò in sposa a Tolomeo Sotere, a cui dette tre figli, Leontisco, Lago e Irene (Deipn. XIII 576 e). Ma anche in questo caso non vi è assoluta concordanza fra i testimoni.

 

Un’altra donna che, con il suo carattere, ha animato e dominato l’universo di Alessandro è stata Candace, regina di Kush, regno africano che poteva vantare una storia secolare ricca di fascino.

 

In questo territorio era infatti fiorita una delle prime civiltà del Nilo. Denominato in epoca romana anche Nubia ed Etiopia, corrisponde all’area dell’attuale Sudan, nella fascia settentrionale, e dell’attuale Egitto, a meridione. Nella tradizione cusita alle regine venivano riservati onori speciali, in quanto si riteneva che fossero mogli di un dio. In particolare alla morte del sovrano il trono veniva ereditato dalla madre, che pertanto era destinata a governare da sola con il titolo di regina madre.

 

La storia di questo regno è poi segnata da un nutrito numero di donne guerriere qualificate come “regine nere Kandàke di Nubia”. Ne consegue che il nome “Candace” venisse percepito, ancor prima che come nome proprio, come un vero e proprio titolo.

 

A conferma di ciò la testimonianza di Plinio il Vecchio che scrive: “La città (Meroe, ndr) ha pochi edifici. Dicevano che vi regnava una donna nominata Candace, nome che si era tramandato per molti anni a quelle regine” (Naturalis Historia VI 25. 186).

 

Tale consuetudine riceve ulteriore forza dai racconti di Erodoto, Strabone e Diodoro. Donna dal carattere fiero e guerriero, Candace riuscì a prevalere su Alessandro: dapprima ne arrestò l’avanzata, poi non esitò a divenirne l’amante. E il sovrano, vinto sia dall’abilità strategica sia dall’astuzia e dal fascino femminile, depose le armi e diresse il suo esercito verso l’Egitto.

 

Nei confronti delle donne Alessandro ha manifestato una dote che Arriano non ha esitato a definire sophrosyne, temperanza. Un primo esplicito esempio in tal senso giunge dall’incontro con Ada, regina di Caria, a cui il Macedone restituì il trono.

 

Alessandro mostrò notevole rispetto anche nei riguardi di Barsine, principessa persiana che aveva scelto come concubina dopo la battaglia di Isso del 333 a.C. Con questa donna, che lo accompagnò durante tutta la spedizione in Asia, intrattenne uno dei rapporti amorosi più duraturi della sua vita, segnato peraltro dalla nascita di un figlio di nome Eracle.

 

Barsine non è stata l’unica donna devota ad Alessandro. Nel 327 a.C., nel corso della spedizione in Oriente, il sovrano fu folgorato dalla bellezza di Roxane, la più bella delle donne asiatiche dopo la moglie di Dario.

 

Osservandola danzare, il giovane se ne innamorò perdutamente. Pur avendo la facoltà di trarla prigioniera, scelse di sposarla. A ben vedere, le nozze potrebbero essere interpretate come frutto di una scelta politica, in quanto la giovane donna era figlia del satrapo della Battriana Oxiarte.

 

Con ogni probabilità Alessandro, attraverso il proprio matrimonio, può aver desiderato sottolineare il legame tra due popoli – quello greco e quello persiano – e due culture apparentemente distanti. Roxane rimase accanto ad Alessandro anche in punto di morte, cogliendo con un bacio l’estremo alito di vita. E in nome di tale amore non esitò a commissionare l’omicidio di Statira, la figlia di Dario III che Alessandro aveva sposato in seconde nozze nel 324.

 

Tuttavia nel 310 a.C. la sorte caina non si fece attendere. Roxane e Alessandro IV, il figlio che aveva dato al sovrano, vennero assassinati in Macedonia per ordine del generale Cassandro, che l’anno seguente ordinò inoltre l’uccisione di Barsine e del figlio Eracle.

 

Arriano nell’Anabasi loda il comportamento magnanimo e temperante di Alessandro nei confronti della madre, della bellissima moglie e dei figli di Dario. Nella notte in cui aveva ripreso l’inseguimento del sovrano persiano, Alessandro sentì provenire dalla tenda di Dario un pianto di donne. Volle subito sapere chi fossero.

 

Un tale rispose: “Sono, o re, la madre, la moglie e i figli di Dario. Quando fu annunciato loro che è in tuo possesso l’arco e il mantello del re e che anche lo scudo di Dario è stato riportato, innalzano lamenti credendo Dario morto” (Arr., Anab. II 12. 4). A tali parole Alessandro inviò Leonnato, uno degli eteri, a riferire che Dario era ancora in vita e che, fuggendo, aveva abbandonato sul carro armi e mantello. Leonnato disse poi che venivano loro garantiti i diritti della condizione regale e ogni altro onore.

 

Alessandro avrebbe dunque continuato a chiamarle regine, poiché muoveva guerra a Dario non per odio personale ma per l’affermazione della sovranità in Asia. Arriano ricorda infine che Alessandro insieme a Efestione si recò personalmente presso di loro.

 

Stando alle fonti, in seguito alla battaglia di Isso Dario desiderò sapere se le figlie, la moglie e la madre fossero ancora in vita. Venuto a sapere che erano vive, che continuavano a custodire il titolo di regine e gli onori cui erano abituati presso la corte persiana, volle indagare sulla fedeltà della moglie. L’eunuco giurò: “O re, tua moglie è come tu l’hai lasciata e Alessandro è il migliore e il più temperante tra tutti gli uomini”.

 

A tali parole Dario tese le mani al cielo e pregò così: “Zeus re, cui è affidata la cura di governare la sorte dei re fra gli uomini, conserva tu ora per me il comando sui Persiani e sui Medi, così come tu me lo hai dato. Ma se per te io non devo essere più re dell’Asia, non trasmettere a nessun altro il mio potere se non ad Alessandro” (Arr., Anab. IV 20. 2 – 3).

 

Dario aveva scorto in Alessandro il medesimo onore che vi aveva rintracciato il satrapo Oxiarte, quando aveva deciso di dargli in sposa la figlia Roxane.

 

È impossibile non scorgere dietro tale narrazione un tono quasi propagandistico volto sia ad alimentare un’immagine positiva, magnanima e rispettosa di Alessandro sia a ridimensionare la dimensione più fredda, cupa e intemperante del suo carattere.

 

Eppure, dietro ogni racconto si cela sempre un orizzonte di verità. Pur essendo giovane, potente e all’apice del successo, Alessandro non si lasciò travolgere da piaceri smodati e passioni eccessive.

 

Scelse di rispettare la sposa di Dario ed è proprio per tale misura, modus, che continua ad essere per noi Magnus. Anche in questo.



 

 

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