N. 100 - Aprile 2016
(CXXXI)
Unitas et economia
L’unità d’Italia spiegata con la storia economica
di Cristian Usai
Il
termine
Risorgimento
indica,
dal
punto
di
vista
storiografico,
il
momento
storico
in
cui
la
penisola
italiana
raggiunse
la
sua
unità
nel
1861.
Tale
momento
storico
è
conosciuto
financo
come
Unità
d’Italia.
In
pillole
l’unificazione
italiana
avvenne
annettendo
al
Regno
di
Sardegna,
tutti
gli
stati
preunitari,
con
la
particolare
eccezione
del
territorio
che
successivamente
avrebbe
costituito
lo
Stato
della
Città
del
Vaticano
dopo
il
1870.
Le
ragioni
che
spingevano
verso
l’unificazione
nazionale,
affondavano
le
loro
radici
nei
tempi
di
Roma
antica;
siffatta
unificazione
fu
però
impedita
dalle
conquiste
longobarde
della
penisola.
Con
il
presente
contributo
sarà
spiegata
la
ragione
per
cui,
solo
annettendo
gli
stati
italiani
al
Regno
di
Sardegna
e a
nessun
altro,
poteva
avvenire
l’unificazione,
attraverso
un’analisi
della
situazione
economica
del
piccolo
ma
efficiente
regno
piemontese.
Dopo
le
guerre
napoleoniche,
il
Congresso
di
Vienna
aveva
riorganizzato
l’Italia
in
sette
stati:
Regno
di
Sardegna,
Regno
Lombardo-Veneto,
Ducato
di
Parma,
Ducato
di
Modena,
Granducato
di
Toscana,
Stato
Pontificio,
Regno
delle
Due
Sicilie.
Di
questi
sette
stati,
uno
era
sotto
diretta
dominazione
austriaca,
precisamente
il
Regno
Lombardo-
Veneto.
A
parer
nostro
l’unità
d’Italia
non
poteva
che
avvenire
com’è
avvenuta,
assumendo
come
base
del
nuovo
stato,
il
Regno
di
Sardegna,
“piemontesizzando”
de
facto,
tutti
gli
stati
italiani
annettendoli
ad
esso.
Il
Regno
di
Sardegna
era,
infatti,
lo
stato
italiano
più
efficiente
e
dinamico,
sia
dal
punto
di
vista
istituzionale
che
economico.
Divenne
una
monarchia
costituzionale
nel
1848,
nello
stesso
periodo
costruì
ferrovie,
industrie
manifatturiere
e
aprì
banche
tra
cui
la
Banca
Nazionale
degli
Stati
Sardi.
Inoltre,
grazie
alla
lungimiranza
di
un
politico
come
Camillo
Benso
di
Cavour,
il
Regno
di
Sardegna
riuscì
a
tessere
importanti
relazioni
internazionali
e
far
propria
la
causa
irredentista
dei
popoli
che
desideravano
liberarsi
dal
giogo
austriaco
e di
altri
imperi
assolutistici.
Fu
in
tal
modo
che
si
creò
l’humus
per
perseguire
la
strada
dell’unificazione
nazionale.
Creato
il
nuovo
stato
unitario,
ci
si
trovò
dinanzi
ad
un
grande
paese
assai
eterogeneo,
non
solo
in
termini
di
tradizioni,
ma
soprattutto
di
arretratezza
economica
e
analfabetismo,
escluso
il
Piemonte,
le
altre
zone
d’Italia
registravano
un
alto
tasso
di
analfabetismo
e
un’economia
prevalentemente
agricola
arretratissima.
L’Italia
fu
modernizzata
dai
primi
governi
unitari,
attraverso
una
legislazione
commerciale
liberista
e un
sistema
fiscale
allineato
agli
standard
europei
dell’epoca
[Zamagni
1999].
Nel
1859
fu
varata
una
delle
leggi
sull’istruzione
più
all’avanguardia
dell’intero
continente,
la
Legge
Casati
e la
moneta
italiana
venne
legata
al
gold
stadard.
Fu
difficoltoso
creare
un’unica
banca
centrale,
giacché
le
banche
di
alcuni
stati
preunitari,
riuscirono
a
mantenersi
in
vita,
sebbene
il
ruolo
di
leader
del
sistema
bancario
italiano,
rimanesse
in
mano
alla
Banca
Nazionale
degli
Stati
Sardi
che
frattanto
fu
ribattezzata
Banca
Nazionale
del
Regno
d’Italia
[Zamagni
1999].
Nonostante
queste
premesse,
l’economia
italiana
non
riuscì
a
decollare
a
causa
dell’enorme
debito
pubblico,
della
scarsità
di
ferrovie
e di
opere
pubbliche
e
alla
difficoltà
di
passare
da
un’economia
prevalentemente
agricola
a
una
industriale.
L’unificazione
nazionale
era
comunque,
oramai,
avvenuta.
I
dati
brevemente
esposti
esplicano
la
ragione
per
cui
essa
non
potesse
avvenire
che
con
l’annessione
degli
stati
preunitari
al
Regno
di
Sardegna.
Il
problema
successivo,
quella
della
disomogeneizzazione
sociale
della
nazione,
a
parer
nostro
non
dipende
certo
da
questo
fatto,
piuttosto
dall’autoreferenzialità
e
chiusura
dei
popoli
degli
ex
stati
del
sud,
che
non
hanno
saputo
sfruttare
a
loro
vantaggio
le
opportunità
offerte
dall’unificazione.
Il
retaggio
di
siffatta
autoreferenzialità
possiede
una
eco
che
risuona
ancora
oggi,
in
un’Italia
che
è
ancora
decenni
indietro
in
termini
di
sviluppo
economico-sociale,
rispetto
ai
paesi
dell’Europa
settentrionale.
L’Italia
sembra
essere
a
tratti,
ancora
la
nazione
di
contadini
di
metà
XIX
secolo
che
focalizzavano
la
loro
esistenza
sul
“tozzo
di
pane
da
portare
a
casa”
per
paura
di
perdere
il
quale,
chiude
le
porte
alla
modernità
e
ahinoi,
spesso
alla
felicità!
Riferimenti
bibliografici:
Zamagni,
Vera. Dalla
rivoluzione
industriale
all'integrazione
europea:
breve
storia
economica
dell'Europa
contemporanea.
Il
mulino,
Bologna
1999.