N. 121 - Gennaio 2018
(CLII)
UOMO, ANIMALI E PIANTE
REGNO ANIMALE E REGNO VEGETALE: L'UNITà DELLA NATURA VIVENTE
di Marco Demurtas
L'uniformità della
natura
e
degli
esseri
viventi
è
oggi
un
tema
molto
ricorrente.
Secondo
questa
visione,
l'uomo
non
sarebbe
una
creatura
tanto
speciale
da
essere
considerata
separatamente
dagli
altri
esseri
viventi,
quanto
piuttosto
la
parte
di
una
più
grande
famiglia
naturale
che
racchiude
al
proprio
interno
tutti
gli
organismi
facenti
parte
del
mondo
animale
e
vegetale.
L'idea alla base di questo
modo
di
pensare
il
mondo
dei
viventi
è il
rifiuto
di
quelle
qualità
che
sono
considerate
patrimonio
esclusivo
dell'uomo
in
favore
di
una
apertura
verso
il
resto
delle
creature
che
ci
porta
a
osservare
una
continuità
tra
alcune
caratteristiche
considerate
prettamente
umane
e le
capacità
evolutive
e
adattative
che
ritroviamo
non
soltanto
nel
resto
degli
animali
ma,
anche,
nelle
specie
vegetali.
Cosa lega un uomo che
impara
a
usare
un
martello
a
una
lontra
marina
che
ha
appreso
a
usare
le
pietre
per
rompere
i
gusci
dei
molluschi
o a
una
Cuscuta
che,
per
sopravvivere,
si
attacca
a
una
pianta
ospite
infilando
un'appendice
nel
sistema
vascolare
risucchiandone
le
sostanze
nutrienti?
Possiamo domandarci,
attraverso
le
analogie
che
incontriamo
tra
le
funzioni
animali
e
vegetali,
se
questi
due
regni
non
siano
poi
così
distanti?
Nel 1848, Gustav Theodor
Fechner
critica
la
visione
gerarchizzata
del
mondo
degli
esseri
viventi
secondo
la
quale
gli
uomini
e il
resto
degli
animali
sarebbero
superiori
alle
specie
vegetali
nella
composizione
della
scala
naturale.
Secondo lo studioso tedesco
la
ragione
di
questa
subordinazione
delle
piante
verso
il
resto
delle
creature
risiederebbe
in
una
erronea
concezione
dell'uomo,
il
quale
assocerebbe
la
diversità
strutturale
del
regno
vegetale
rispetto
a
quello
animale
a
una
mancanza
di
impulsi
animati
che
renderebbero
le
piante
prive
di
anima.
La principale differenza
tra
il
mondo
animale
e
quello
vegetale
sarebbe
allora
la
presenza
di
un'anima
che
alle
piante
mancherebbe
in
ragione
della
loro
dissimilarità
con
le
altre
specie
viventi.
Questo
filo
conduttore,
per
Fechner,
è
un'assurdità.
Semplicemente, spiega il
filosofo
tedesco,
siamo
abituati
a
considerare
l'esistenza
di
un
solo
tipo
di
anima,
che
ci
porta
a
escludere
dal
sistema
animato
tutto
ciò
che
non
ha
somiglianza
con
quella
dell'uomo
(e
solo
con
esso
nei
casi
più
conservatori)
e
degli
animali,
tesi
che
verrebbe
smentita
dall'analisi
della
reciproca
collaborazione
naturale
tra
un
regno
e
l'altro.
Il tentativo di Fechner
non
è
quello
di
sovvertire
l'ordine
gerarchico,
ma
di
condurlo
a
unità,
cercando
di
mostrare,
partendo
dall'analisi
della
struttura
organica
delle
piante,
come
i
due
regni
siano
più
simili
di
quanto
comunemente
si
pensi.
Daniel
Chamovitz
ha
inoltre
mostrato
come
le
specie
vegetali,
al
contrario
di
quanto
si
possa
pensare,
non
svolgano
un'attività
passiva
nel
loro
processo
di
sviluppo,
ma
compiano
piuttosto
operazioni
attive
per
le
quali
si
potrebbe
affermare
che
la
differenza
genetica
fra
le
piante
e
gli
animali
non
è
così
rilevante.
Quello che Fechner e
Chamovitz
tentano
di
concludere
non
è
l'affermazione
che
le
piante
sono
fatte
esattamente
come
gli
esseri
umani
e
neanche
l'uguaglianza
dell'uomo
con
le
piante
dal
punto
di
vista
fisico,
quanto
puntare
l'attenzione
verso
quello
operativo.
Esattamente come noi, le
piante
catalogano
e
immagazzinano
informazioni
dall'ambiente
circostanze
per
trarne
proprio
beneficio.
Le
piante
«monitorano
continuamente
il
loro
ambiente
visibile.
Vedono
se
vi
avvicinate
e
sanno
quando
vi
curate
di
loro.
Sanno
persino
se
indossate
una
maglietta
blu
oppure
rossa
(…)
vedono
la
luce
in
una
varietà
di
modi
e
colori
che
noi
possiamo
solo
congetturare
(…)
sono
in
grado
di
dire
quando
c'è
pochissima
luce,
per
esempio
quella
che
proviene
da
una
candela,
oppure
quando
è
pieno
giorno».
Ancora prima di Fechner,
nel
diciottesimo
secolo
era
stato
Julien
Offray
de
La
Mettrie
a
inserire
all'interno
della
sua
speculazione
materialista
l'accostamento
tra
regno
vegetale
e
animale:
esattamente
cento
anni
prima,
nel
1748,
pubblica
L'Homme
plante,
nel
quale
il
filosofo
francese
dichiara
esplicitamente
di
trovare,
a
livello
funzionale,
delle
forti
analogie
tra
i
due
principali
regni
della
natura,
che
gli
permettono
di
affermare
una
uniformità
della
natura
per
la
quale
la
distanza
tra
uomo
e
pianta
non
sarebbe
incolmabile.
Sebbene sia lo stesso
autore
ad
ammettere
che
le
piante
non
possono
possedere
un'anima
in
ragione
della
loro
poco
sviluppata
intelligenza
(che
secondo
La
Mettrie
si
sviluppa
in
massimo
grado
negli
esseri
non
autosufficienti),
le
osservazioni
riportate
nel
suo
testo,
talvolta
con
termini
tecnici
e
scientifici,
sono
la
testimonianza
di
una
visione
che
si
oppone
a
quella
che
aveva
ritenuto
gli
animali,
e di
conseguenza
ancora
meno
le
piante,
dissimili
dall'uomo
e
dal
suo
modo
di
vivere.
Lo sviluppo delle
discipline
biologiche,
antropologiche
e
zoologiche
insieme
ai
progressi
raggiunti
dalle
scienze
evoluzionistiche
negli
ultimi
due
secoli
ci
permettono
oggi
di
avere
un
quadro
più
dettagliato
di
questa
continuità
tra
i
due
grandi
regni
della
natura.
Frans
De
Wall,
che
non
si è
interrogato
sui
rapporti
tra
mondo
animale
e
mondo
vegetale,
ha
però
studiato
per
anni
il
comportamento
sociale
dei
primati,
in
particolare
scimpanzé
e
bonobo.
In uno studio del 2003,
che
prenderà
poi
forma
in
un
famoso
saggio
intitolato
The
bonobo
and
the
atheist,
l'etologo
osserva
come
la
morale
non
sia
soltanto
una
facoltà
esclusivamente
umana,
prerogativa
della
religione,
ma
abbia
delle
più
ampie
origini
che
risalgono
ad
ancora
prima
che
l'essere
umano
si
interrogasse
sull'esistenza
delle
divinità,
aggiungendo
così
alla
scala
sociale
degli
esseri
viventi
anche
il
resto
degli
animali.
John
T.
Bonner
in
The
Evolution
of
Culture
in
Animals
analizza
il
concetto
di
“cultura”
riferito
al
mondo
animale,
considerandola
come
la
«trasmissione
di
informazioni
per
mezzo
del
comportamento
e,
più
in
particolare,
tramite
processi
di
insegnamento
e di
apprendimento
(…)
Le
informazioni
trasmesse
per
via
culturale
si
accumulano
poi
sotto
forma
di
conoscenza
e di
tradizione».
In base alle sue premesse
sarebbe
così
possibile
ritrovare
anche
negli
animali
(in
modo
particolare
in
quei
gruppi
che
mostrano
forti
tendenze
alla
cooperazione,
come
i
primati)
dei
processi
di
insegnamento
e
apprendimento
che
non
deriverebbero
necessariamente
dal
patrimonio
genetico,
ma
dall'utilizzo
di
imitazioni,
gesti
e
linguaggi
che
vengono
con
il
passare
del
tempo
assimilati.
Non
è
impossibile,
in
questo
senso,
insegnare
una
lingua
a
una
scimmia,
come
pensava
La
Mettrie.
Gli spunti filosofici
per
la
discussione
intorno
all'uniformità
della
natura
vertono
pertanto
non
sull'evoluzione
genetica
degli
esseri
viventi
quanto
piuttosto
sull'evoluzione
culturale,
usando
questo
concetto
per
identificare
le
azioni,
i
gesti
e i
vari
linguaggi
che
le
creature
viventi
usano
per
trasmettersi
delle
informazioni
di
comportamento
sociale.
Nel caso delle specie
vegetali
«ciò
che
dobbiamo
capire
a un
livello
più
generale
è
che
noi
condividiamo
la
biologia
non
soltanto
con
le
scimmiette
e
con
i
cani,
ma
anche
con
le
begonie
e le
sequoie».
Riferimenti
bibliografici:
Bonner,
John
T.,
La
cultura
degli
animali,
Bollati
Boringhieri,
Torino
2016.
Chamovitz,
Daniel,
Quel
che
una
pianta
sa.
Guida
ai
sensi
nel
mondo
vegetale,
Raffaello
Cortina
Editore,
Milano
2013.
De
Waal,
Frans,
Le
bonobo,
Dieu
et
nous.
À la
recherche
de
l'humanisme
chez
les
primates, Babel, France 2015.
Fechner,
Gustav
Theodor,
Nanna
o
l'anima
delle
piante,
Adelphi,
Milano
2008.
La
Mettrie,
Julian
Offrey,
Opere
filosofiche,
a
cura
di
Sergio
Moravia,
Laterza,
Bari1978.