.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

contemporanea


N. 75 - Marzo 2014 (CVI)

DAL DENARIUS ALL’EURO
LA LUNGA STORIA DELLE UNIONI MONETARIE

di Richard Caly

 

Il primo gennaio 2002 l’euro faceva il suo ingresso nella nostra vita, sostituendo le valute di ben dodici stati dell’Unione europea. Da quel momento la storia della moneta unica si è intrecciata con la crescente crisi economica e politica dell’Europa, tanto da metterne in dubbio la sopravvivenza.

 

Ma quello dell’euro è solo l’ultimo caso di unione monetaria nella storia, e nemmeno il più fortunato. Dall’Impero romano a quello britannico, passando per la Cina, nel corso dei secoli dalle unioni politiche e territoriali sono quasi sempre scaturite delle unioni monetarie. Alcune hanno avuto successo, altre si sono rivelate fallimentari.

 

Il mondo antico

La comparsa della moneta, che dall’Asia minore si diffuse in Grecia intorno al VII secolo a.C., fu una vera e propria rivoluzione nel mondo occidentale. Sostituendo il baratto con un mezzo di pagamento veloce e dinamico, gli scambi aumentarono a dismisura, garantendo l’apertura di nuovi mercati nel Mediterraneo. D’altronde era molto più facile comprare le merci pagandole con monete, il cui valore intrinseco era garantito dal metallo col quale erano coniate, piuttosto che scambiarle con altre merci.

 

Uno dei primi esempi di unione monetaria fu quella che coinvolse l’impero persiano. In particolare, il Gran Re Dario I (550-486 a.C.) considerò il potere di coniare monete come una prerogativa regia, vietando ai satrapi (governatori locali) di fare altrettanto. Durante il suo regno venne ideato il darico, una splendida moneta d’oro, che insieme al siglo d’argento (equivalente a venti darici) costituiva l’ossatura della sua politica monetaria unificatrice. Il darico, con la sua altissima concentrazione aurea, pari al 98%fu una moneta ambitissima anche nelle transazioni con altri stati. Non a caso i mercenari pretendevano di essere pagati in darici.

 

Da esperti mercanti, i greci furono anch’essi protagonisti della “rivoluzione monetaria” e le loro dracme d’argento, alcune delle quali, per la loro bellezza, ancora oggi hanno l’aspetto di opere d’arte, erano conosciute dalla Spagna alla Persia. Ogni città-stato era gelosa della sua moneta, sulla quale era impresso l’emblema della propria polis, come la civetta ad Atene (simbolo della dea Atena protettrice della città), il pegaso a Corinto o ancora il granchio ad Agrigento.

 

Oltre a costituire un semplice mezzo di scambio, la moneta divenne anche simbolo di potenza politica e di autonomia per gli elleni. Ne derivò una frammentazione eccessiva, dato che ognuna era diversa dall’altra per qualità, peso e concentrazione di metallo prezioso. Rissosi e incapaci di unirsi politicamente, i greci non riuscirono mai a coniare una “moneta unica” valida per tutti, al punto che i trapezisti, veri e propri banchieri dell’antichità, svolgevano soprattutto la funzione di cambiavalute.

 

Quando Roma impose il suo dominio sul mondo la situazione cambiò. Il sistema monetario imperiale, più volte riformato nei secoli, si basava sulla distinzione fra tipi di monete di diverso valore, con i relativi sottomultipli: l’aureo d’oro, il denario d’argento, l’asse di rame o bronzo e il sesterzio fatto con una lega simile all’ottone. Quattro sesterzi equivalevano a un denario, venticinque denari ad un aureo, mentre per avere un sesterzio ci volevano quattro assi.

 

Per intenderci, se in epoca imperiale avessimo voluto comprare un chilo di pane o un litro di vino avremmo speso più o meno due assi, mentre con dieci sesterzi avremmo comprato una tunica e con cinquecento denarii uno schiavo.

 

Le monete romane, utilizzate dalle isole britanniche fino all’attuale Turchia, erano un efficace strumento di propaganda e ritraevano di solito l’imperatore, celebrando i fasti dell’Urbe. Nonostante le zecche imperiali fossero sparse anche in territori remoti, alcune province, soprattutto in oriente, mantennero una loro autonomia nei meccanismi di valutazione del valore monetario.

 

Pur essendoci una sostanziale unificazione secondo i canoni romani, spesso in oriente ci si doveva adeguare a diversi sistemi di calcolo del valore, come ci informa lo storico Cassio Dione. Chi si recava in Egitto o in alcuni regni mediorientali, pur trovandosi spesso a maneggiare monete in cui campeggiava l’effige dell’imperatore, doveva comunque effettuare il cambio. In sintesi, a seconda del grado di autonomia politica dei popoli soggetti, i romani decidevano se consentire una monetazione locale, o se invece imporre la propria.

 

Dall’altra parte del mondo, anche l’impero cinese avviò una unificazione della moneta. Con le conquiste della dinastia Qin (a partire dal III secolo), di pari passo con le annessioni territoriali, si uniformarono anche  unità di misura e la monetazione. Esautorando le aristocrazie locali dalla gestione del potere, l’immenso impero poté così contare su un’amministrazione centralizzata. Il simbolo di questa unificazione è una moneta rotonda, con al centro un foro quadrato, sulla quale campeggia la scritta “baliang” (ovvero mezzo liang), che divenne la principale unità di misura per gli scambi commerciali, durata secoli.

 

Il Medioevo

La caduta dell’impero romano d’occidente (476 d.C.) segnò un imbarbarimento dell’Europa, tanto che durante le invasioni barbariche in molti casi si tornò al baratto. Fattore non da poco, anche la quantità di metalli preziosi diminuì vertiginosamente, segno di una forte arretratezza economica e di una incapacità di sfruttare le risorse naturali.

 

Solo con Carlo Magno qualcosa sembrò cambiare. Con l’espansione del regno carolingio, infatti, si tentò di richiamare la grandezza di Roma attraverso l’introduzione di un'unica sottile moneta d’argento, di quasi due grammi, definita denaro. La rozzezza di questo sistema, che ebbe una vita travagliata, comportò solo il nascere di una serie di unità di conto, come il soldo, uguale a dodici denari, e la lira pari a 240 denari. Nulla di paragonabile all’elaborato sistema monetario romano, fatto di multipli, sottomultipli e complesse unità di misura a seconda dei metalli utilizzati.

 

Diversa era invece la situazione nell’impero bizantino, dove il nummo di bronzo, il solido d’oro e il miliarense d’argento, con le loro rispettive derivazioni, rimasero i mezzi principali degli scambi nel bacino del Mediterraneo orientale, anche se furono oggetto di varie riforme che ne variarono peso e consistenza a seconda dei cicli economici. In breve, la moneta unica di Costantinopoli continuò ad esistere per quasi mille anni.

In un periodo successivo al tentativo carolingio, a partire dal XIII secolo, gli scambi commerciali si intensificarono e nacque nelle città stato italiane un potente ceto mercantile. Venezia, Genova, Firenze, diventarono così per molto tempo furono il fulcro e il centro propulsore dell’economia europea.

 

Pur nella evidente frantumazione politica, le monete d’oro coniate da questi stati (il genovino, il fiorino e lo zecchino, con un analogo peso e uguale valore aureo di 24 carati) furono accettate in tutta Europa fino alle soglie dell’età moderna, tanto da essere praticamente “copiate” dagli stati europei nelle loro emissioni auree. Il fiorino, in particolare, ebbe un ruolo paragonabile a quello che secoli dopo assunse il dollaro. Venne elevato, cioè, a misura monetaria di riferimento nel commercio internazionale.

 

L’unione monetaria latina

Il più importante tentativo di unificazione monetaria europea prima dell’euro fu però quello dell’unione latina, avvenuto alla metà del XIX secolo. Sorta nel 1865 in seguito a degli accordi tra Francia, Italia, Belgio e Svizzera, essa aveva il fine di permettere la libera circolazione e lo scambio delle valute tra i  singoli stati aderenti al patto. Dato che le monete avevano un valore pari a quello della lega metallica di cui erano composte, si decise di adottare dei parametri comuni, in modo da renderle intercambiabili.

 

Negli anni l’unione si allargò anche ad altre nazioni, che vi parteciparono aderendo all’accordo o firmando trattati bilaterali, come Grecia, Austria-Ungheria, Svezia, Russia, Finlandia, Romania e Spagna.

 

Il sistema era incentrato sul cosiddetto bimetallismo, per cui era garantita la convertibilità della moneta in oro o in argento in base ad un tasso fisso di rapporto tra i due metalli. In altre parole ogni stato era tenuto a coniare monete secondo i rigidi principi previsti dall’accordo, anche se le unità di conto rimanevano quelle nazionali (ad esempio la lira in Italia o la dracma in Grecia).

 

Tuttavia l’estrema variabilità del valore dei metalli, dovuta sia alle scoperte di nuovi giacimenti d’oro in nord America che alle svalutazioni dell’argento interne ai singoli aderenti, rese precaria l’unione, che già negli anni ’70 manifestava tutte le sue debolezze.

 

Dopo la crisi del bimetallismo e l’adozione del gold standard (che invece legava la convertibilità solo al valore dell’oro), l’unione fallì miseramente alla vigilia della prima guerra mondiale, anche se fu sciolta formalmente solo nel 1926.

 

L’adozione dell’euro

Sulle ceneri ancora fumanti della seconda guerra mondiale, l’Europa avviò un importante processo di unificazione, avendo finalmente come obiettivo la costruzione di un futuro di pace per le nuove generazioni di europei. Con una serie di trattati nacquero così le Comunità europee e infine l’attuale Unione Europea, con cui si arrivò ad una vasta cooperazione economica e doganale, fino alla definizione di organismi e istituzioni sovranazionali comuni.

 

Parallelamente, nel 1979 si introdusse il Sistema Monetario Europeo (SME), con il quale i tassi di cambio  furono legati ad un meccanismo fisso e iniziò il processo di unificazione dei mercati nazionali fino all’adozione definitiva dell’euro, nel 2002. Una scelta, quest’ultima, che ha preceduto la completa unificazione politica, ancora molto lontana. Ad oggi, solo diciotto stati sui ventisette dell’Unione hanno deciso di aderire alla moneta unica.

 

E sono stati proprio i paesi della zona euro a soffrire maggiormente gli effetti della terribile crisi economica nata nel 2008 negli Stati Uniti. Non potendo più adottare politiche monetarie autonome per fronteggiarla, ad esempio variando il tasso di cambio o con espandendo gli investimenti pubblici, le loro economie sono crollate e stentano riprendersi.

 

Nei decenni a venire capiremo se la moneta unica è stata un grande successo o un totale disastro. La storia dell’euro è ancora tutta da scrivere.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.