A proposito di Ungaretti
UNA comparazione
con L'opera di Dante
di
Riccardo Renzi
L’8 febbraio 2024 sono ricorsi i 136
anni dalla nascita di Giuseppe
Ungaretti. In questa sede voglio
celebrarlo comparandolo con un altro
“Sommo” della poesia italiana: Dante
Alighieri.
Nella vasta produzione critica
ungarettiana Dante e la sua Commedia
occupano un ruolo di primissimo piano.
In Ungaretti troviamo mescolati assieme
metodi critici diversi, si va da quello
storico al filologico, per passare
attraverso quello formalista e
semiotico, ma tutti sono sempre
accompagnati da un tono personale,
intimo, proprio solo dello scrivente (Cortellessa
2000, p. 34).
Nel corso della sua esperienza critica e
di docenza universitaria, egli dedicò
moltissimo spazio all’analisi della
Commedia. Ungaretti, dal 1° novembre
1942 era stato chiamato «per chiara
fama» a insegnare Storia della
Letteratura Italiana moderna e
contemporanea all’Università di Roma. Il
poeta aveva insegnato abbastanza
regolarmente nell’anno accademico
1942/1943, concludendo un po’ in
anticipo (l’11 maggio 1943) il suo corso
su Leopardi a causa dei bombardamenti
Alleati sulla città.
Nell’anno accademico successivo
(1943/1944) nella Facoltà di Lettere e
Filosofia le lezioni non ebbero inizio a
causa delle proteste studentesche; il 29
gennaio 1944, poi vennero sospese tutte
le attività didattiche in tutte le
Facoltà dell’Università di Roma.
Egli iniziò l’esperienza universitaria
già dal 1936 presso l’università di San
Paolo in Brasile. L’opera dantesca, sia
nelle lezioni universitarie che nei
cicli seminaristici, venne analizzata
dal Poeta sotto vari punti di vista. In
primo luogo Ungaretti cercò di
comprendere il reale rapporto che lega
Dante a Virgilio; poi cercò di
ritagliare alcuni elementi dell’opera
dantesca andandoli a sottoporre a più
analisi testuali; infine si interroga
sugli elementi distintivi dell’opera
petrarchesca rispetto a quella dantesca.
In questa sede ci occuperemo solo del
primo punto. Ungaretti questo ci dice
del rapporto intercorso tra Dante e
Virgilio: «Virgilio ha scritto
l’Eneide, a glorificazione d’una stirpe
imperiale, mostrandocene la continuità,
e in questa sua continuità, l’unità.
Dante ha scritto la Commedia per
mostrarci che il fine dell’uomo è la
giustizia, e che l’uomo vi tende come
persona, e che vi tende come società
umana, e che vi tende come genere umano
in tutto il suo percorso storico» (Ungaretti
1984, p. 153).
Nell’interpretazione ungarettiana la
giustizia dantesca si compie dopo la
morte, mentre per Virgilio (6° libro
dell’Eneide) l’immortalità si ottiene
nel corso del tempo, con continuità, ove
il passato è sempre legato al presente e
al futuro. Attraverso la narrazione
degli atti eroici dell’Eneide che per la
gente della stirpe di Augusto e Roma
diventa fattibile rendere e mantenere
l’immortalità della continuità degli
stessi atti eroici, in quanto questo è
l’unico modo per conservare e accrescere
la virtù di una sola stirpe.
Proprio su tale punto emergono alcune
divergenze tra Dante e Virgilio secondo
la lettura ungarettiana. Per Dante il
corpo umano incarna un’anima singolare,
unica e immortale, e quest’ultima non si
ottiene nella storia, ma nell’eterno,
per il Poeta latino invece lo stesso
corpo umano incarna un’anima che rende
immortale il tempo, attraverso una
continuità storica.
Secondo Ungaretti in Dante il tempo è
sempre legato al dolore della pena,
dunque non ha mai un’accezione positiva
come in Virgilio. Tali ipotesi sul
concetto di tempo in Virgilio e Dante
vengono definite da Ungaretti a più
riprese nelle sue lezioni universitarie.
La concezione temporale dei due
letterati viene messa in luce da
Ungaretti anche andando a evidenziare la
diversa strutturazione dell’oltretomba.
L’Ade virgiliano, secondo Ungaretti,
altro non è che una enumerazione di nomi
e delitti, l’aldilà per il poeta latino
è semplice culto dei morti. Mentre per
Dante ogni defunto, a prescindere da
dove stia, ha una sua storia, un suo
vissuto da raccontare. Questa differente
concezione deriva naturalmente dal fatto
che uno è un poeta latino e l’altro
medioevale, ed essi stessi sono il
frutto di una concezione completamente
differente della terra e del cielo.
In Virgilio la morte fisica dei singoli
individui «è la condizione
dell’immortalità della stirpe»,
mentre nell’opera dantesca
nell’ordinamento dell’oltretomba non è
la stirpe ad avere valore, ma il
raggiungimento del fine, cioè la
giustizia. Tutta l’oltretomba dantesca è
organizzata secondo un sistema
logico-teologico strettissimo. Ungaretti
dimostra come tale sistema sia ben
strutturato in tutti e tre gli ordini.
Nell’Inferno non a caso i primi dannati
sono gli ignavi, poiché non hanno agito,
rifiutando in tal modo di essere
giudicati dalla giustizia stessa.
L’analisi ungarettiana è assai attenta
alle minuzie di tale rapporto, andando a
mettere in evidenza dei punti del tutto
nuovi.
Riferimenti bibliografici:
A. Cortellessa, Ungaretti,
Einaudi, Torino2000, p. 34
G. Ungaretti, Dante e Virgilio,
in Invenzione della poesia moderna.
Lezioni brasiliane di letteratura,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
1984, p. 153