arte
UMBERTO BIGNARDI
LA RICERCA ARTISTICA COME DISSOCIAZIONE
DEGLI ELEMENTI
di Marta Montoni
Il 22 gennaio del 1966 Umberto
Bignardi ottiene la sua prima
personale alla Galleria L’Attico
presentato dall’esordiente Fabio
Sargentini. In questa occasione espone:
tre opere su tela intitolate Clairol
n. 2 (1964, olio su tela, 82 x 280),
Clairol n. 3 (1964, olio su tela,
101 x 300), Dal volo degli uccelli
(1964, olio su tela, 104 x 150) e
Spaccato dello scudo canadese (1964,
olio su tela, 110 x 150 cm ); tre lavori
su cristallo con tecnica mista,
Grande gaine (1965, 150 x 120 cm),
Sud-est Asia (1965, 110 x 140 cm)
e Silhouette (1965, 180 x 110
cm); i due media-trovati-modificati,
Prismobile e Fantavisore; tre
serie di tavole su carta,
Dell’impegno e del disimpegno,
Dei movimenti dell’uomo e degli animali
e Delle geologie.
Determinante per l’ingresso dell’artista
nella galleria fu l’incontro con Alberto
Boatto nel 1964; è infatti il critico a
presentare Bignardi a Fabio Sargentini
ed è sempre Boatto che, proprio in
occasione di questa prima personale
negli ambienti di Piazza di Spagna, cura
il testo di presentazione in catalogo.
Lo scritto si basa su una
conversazione-intervista tra Boatto e
Bignardi registrata nel novembre 1965 ed
è quindi il primo rilevante documento
che dà voce agli interessi artistici di
Bignardi cercando di chiarire le
caratteristiche della sua ricerca nel
contesto contemporaneo.
Concetto chiave nel rapporto tra
Bignardi e le fonti visive della
comunicazione è la dissociazione in
unità dei suoi elementi costitutivi
simbioticamente unito all’interesse per
il movimento. Premessa al suo lavoro è
la particolare relazione di conoscenza
che instaura con i materiali della
contemporaneità. A tal proposito
l’artista afferma: «Sono tutte
immagini visive costruite con intenti
precisi e con strumenti linguistici
destinati a dare a l’immagine stessa una
struttura stilistica significativa
particolare».
In Bignardi, dunque, vige un profondo
rispetto per il principio di non
deformazione dell’immagine in quanto
risultato di precisi meccanismi
linguistici che non devono essere
snaturati: «[Bignardi] Non ho mai
avuto l’intenzione di selezionare un
segno o una certa iconografia per
specializzarmi che è poi quello che
hanno fatto i pop americani».
Il confronto con la contemporaneità
tramite la ricerca delle immagini che lo
compongono ha assunto nell’artista le
caratteristiche, più che di un’azione
inevitabile data la pervasività delle
immagini nella vita dell’uomo, di una
ricerca scientifica tesa a studiare i
meccanismi di un fenomeno che come le
leggi fisiche entrano a regolare il
corso degli eventi. Non a caso Maurizio
Calvesi accosta l’operato artistico di
Umberto Bignardi a quello di Leonardo Da
Vinci: nel primo come nel secondo il
punto di partenza è l’esperienza
diretta, la comprensione e la conoscenza
critica di ciò che lo circonda.
Per comprendere a pieno i meccanismi che
regolano la ricerca artistica di Umberto
Bignardi è bene analizzare le opere
esposte in questa prima personale del
1966. Le tele Clairol n. 2 e
Clairol n. 3 sono ispirate alla
serie delle immagini pubblicitarie
realizzate per la ditta statunitense
Clairol Cosmetic da Jerry Schatzberg e
Bert Steinhauser. L’artista non è il
solo a confrontarsi con questa fonte
reclamistica.
Anche Giosetta Fioroni, esordiente
assieme a Bignardi nella Galleria di
Plinio de Marchis nel marzo del 1961,
realizza un’opera derivante dalle
medesime immagini intitolata Fascino
ed esposta nella personale della
Galleria del Cavallino nell’aprile 1965.
Entrambi gli artisti utilizzano immagini
tratte dai media e dalla fotografia
senza abbandonare una tecnica personale
ed evidentemente manuale, ma il rapporto
che questi instaurano con l’immagine
pubblicitaria è di diversa natura.
In Giosetta Fioroni la scelta di questa
pubblicità va posta all’interno di un
lavoro prettamente incentrato su una
iconografia femminile personale e
distante da quella stereotipata dalla
serialità consumistica. In Bignardi
l’acquisizione della stessa immagine
implica essenzialmente un processo di
assimilazione linguistica. Difatti, dopo
l’esperienza formativa del collage con
la quale esperisce la struttura
dell’immagine, egli reinventa la stessa
immagine tramite l’associazione di
differenti mezzi grafici e pittorici.
L’elemento peculiare delle immagini per
la campagna Clairol, cioè la scansione
in bande verticale della figura come
spettro dimostrativo delle diverse
tonalità di biondo ottenibili
dall’utilizzo del prodotto
pubblicizzato, si mostra quindi
estremamente funzionale perché permette
a Bignardi di sperimentare una grande
varietà di soluzioni tecniche e quindi
linguistiche. L’idea che lo affascina è
quella di un’immagine composta da
sezioni prefabbricate e modulari e poi
montate in sequenza.
.
Immagine proveniente dalla campagna
pubblicitaria Clairol, anni
Sessanta
.
Giosetta Fioroni con l’opera Fascino,
Galleria del Cavallino, Venezia 1965
In Bignardi l’interesse per le immagini
prelevate dal repertorio della
comunicazione si palesa non solo con
l’uso di figurazioni legate al consumo
(prettamente pubblicità francesi e
americane), ma anche con illustrazioni
di ambito scientifico e appartenenti
alla tradizione artistica precedente. È
questo il caso delle due opere
intitolate Dal volo degli uccelli
e Spaccato dello scudo canadese,
entrambe derivanti dalle illustrazioni
pubblicate nella rivista Scientific
American del 1962.
Delle tre opere su cristallo solamente
Grand Gaine è riprodotta
parzialmente in catalogo assieme alla
presenza di sua moglie Silvia. Non si
conoscono altre riproduzioni dell’opera,
ma potrebbe forse derivare dalla
pubblicità realizzata per l’azienda
francese Barbara, specializzata nella
realizzazione di guaine. Medesimo è
infatti il gesto della mano compiuto
dalla modella e dalla silhouette
riprodotta.
.
.
Immagine pubblicitaria della azienda
francese Barbara, anni Sessanta
Nell’opera Grand Gaine il
movimento è declinato secondo una
‘‘vibrazione percettiva’’ o meglio
‘‘effetto visuale astratto’’ che
costruisce l’immagine tramite segni
lineari come ‘‘le immagini (della tv)
appaiono costituite da frequenze…e si
potrebbe dire che è il vero contenuto di
quelle immagini, mentre invece sul video
si stanno svolgendo delle narrazioni
anacronistiche alla stessa struttura del
fenomeno’’.
In questa affermazione pronunciata da
Umberto Bignardi sembra riecheggiare il
concetto espresso nello lo scritto di
Marshall Mcluhan, pubblicato nel 1964 e
intitolato Gli strumenti del
comunicare, in cui “è il mezzo il
messaggio”: anche per Bignardi il
contenuto dell’immagine coincide con
la sua struttura formale anziché con il
messaggio che contiene, ovvero la sua
utilizzazione.
La serie di tavole su carta esposte nel
1966 possono intendersi il frutto di
quella esperienza del disegno inaugurata
tra il 1959 e il 1960 dall’artista
attraverso la conoscenza diretta di Cy
Twombly, Gastone Novelli e i combine
drawings di Robert Rauschenberg. È
in quegli anni che Umberto Bignardi
avvia il ciclo di tecniche miste su
carta che viene descritto dall’artista
nei seguenti termini: «In quella
serie di carte avevo verificato cosa
significasse il peso oggettivo della
superficie bianca, un campo che
conteneva una quantità di differenti
segni per origine e per tempi e ritmi di
esecuzione. Fare quelle carte mi fece
capire per la prima volta l’importanza
delle tavole di Leonardo, un flusso
continuo di annotazioni, studi,
suggestioni». In tal senso le tavole
di Bignardi somigliano a quelle
leonardesche.
Umberto Bignardi, tra il 1964 e il 1965,
si interessa ai fenomeni
pre-cinematografici del fotografo
britannico Eadweard Muybridge e nella
mostra del 1966 propone la serie
Movimenti dell’uomo e degli animali
derivanti proprio dagli studi condotti
da Muybridge sul movimento dell’uomo e
degli animali con la tecnica della
cronofotografia. Ciò che affascina
l’artista è l’indagine compiuta sui
fenomeni dell’immagine e della
percezione, ovvero l’immagine diacronica
che si articola come montaggio e
successione di fotogrammi.
L’attenzione di Bignardi per il
movimento non va però intesa in senso
futurista, come ha chiarito il critico
Maurizio Fagiolo in occasione della
recensione della mostra all’Attico
apparsa su L’Avanti: l’artista non è
interessato al dinamismo effettivo, ma
piuttosto a quello mentale. In questa
serie dedicata a Muybridge il movimento
è graficamente e coloristicamente
suggerito.
Per la serie Dell’Impegno e del
disimpegno ragiona sulla
indifferenza borghese nei confronti
della guerra in Vietnam mentre per
quella Delle geologie propone
analisi di sezioni geologiche e
orografiche: ritorna ancora questa
scomposizione in parti dell’immagine
unita all’informazioni testuali, quasi
delle tavole leonardesche.
Con le due opere intitolate
Prismobile e Fantavisore il
movimento diventa effettivo. Così come
indicato nel catalogo, sono apparati a
funzionamento elettrico, concepiti come
oggetti-sistemi da alimentare con
immagini rinnovabili. Entrambe le opere,
che Bignardi tiene a precisare non sono
installazioni ma ‘‘media-trovati’’, sono
andate distrutte ed è quindi complicato
descriverne esaustivamente il
funzionamento e la struttura.
Il Prismobile è una derivazione
delle macchine della pubblicità usate in
genere per i manifesti cinematografici,
caratterizzato da prismi ruotanti a base
triangolare di plastica trasparente
sulle cui facce sono incollate bande di
immagini. All’interno di ogni prisma
l’artista ha inserito un tubo al neon e
alcuni fotogrammi del film Amore
Amore di Alfredo Leonardi,
presentato alla III Mostra del Nuovo
Cinema di Pesaro nel 1967, con la
partecipazione tra gli altri di Umberto
Bignardi e di sua moglie Silvia.
.
.
Umberto Bignardi, Prismobile,
apparato a funzionamento elettrico,
neon, elementi prismatici in plastica,
230 x 140 cm, 1965
Il Fantavisore è un dispositivo
ottico basato sul principio dello
specchio-schermo sul quale lo spettatore
è riflesso assieme alle matrici
d’immagini luminose proiettate e che
appaiono e scompaiono in sequenza. Le
immagini realizzate da Bignardi sono in
gran parte derivanti dalle
cronofotografie di Muybridge.
Nel Fantavisore Bignardi è
interessato al principio di fondere un
processo dinamico di comunicazione e
percezione unito alle caratteristiche
spaziali dello specchio. Secondo Alberto
Boatto l’opera visualizza le dinamiche
percettive delle esperienze moderne,
quindi il flusso di immagini
riproporrebbe l’esperienza percettiva
dell’uomo nel mondo contemporaneo:
un’esperienza che non va intesa come una
critica al continuo attacco
all’inconscio operato dai persuasori
occulti, parafrasando lo scritto di
Vance Packard pubblicato nel 1958, dal
momento che la percezione del fruitore è
stimolata attivamente con il
Fantavisore.
Forse Bignardi, più che alla modalità in
cui si organizza la percezione in senso
gestaltico, è interessato alle
differenti esperienze percettive che si
presentano all’uomo nel mondo
contemporaneo, senza naturalmente alcuna
critica di fondo.
.
Umberto Bignardi, Fantavisore,
apparato con motore elettrico,
programmatore per illuminazione,
superficie riflettente, 80 x 114 cm,
1965
Se la scelta di Bignardi di attingere a
una figurazione commerciale richiama
quella della pop-art americana, di
diversa natura è il rapporto che
instaura con questo materiale a cui
Boatto si riferisce in termini di
‘‘particolare angolazione’’.
Quest’ultima dipende sicuramente dal
contesto italiano in cui la pervasività
delle immagini è minore rispetto alle
grandi città d’oltreoceano: un panorama
urbano che Boatto ha avuto modo di
constatare in prima persona quando, dopo
la Biennale di Venezia del 1964, si reca
a New York.
La realtà italiana permette quindi un
rapporto tra uomo e contemporaneità di
differente natura, una relazione in cui
non abbiamo una netta prevaricazione
della seconda sulla prima ma un
dislivello fruitivo rispetto al contesto
americano che si mostra fortemente
produttivo. In Bignardi questa
particolare angolazione va intesa con la
scelta da parte dell’artista di immagini
lontane dalla sua esperienza immediata,
cioè distanti da lui sia geograficamente
che temporalmente: sono immagini con cui
instaura una particolare relazione nel
tempo.
Più volte Alberto Boatto sottolinea lo
sperimentalismo del lavoro di Bignardi,
notando nelle opere dell’artista la
partecipazione al clima artistico
contemporaneo nel quale è possibile
registrare una confluenza tra ricerca
artistica pop e op e
l’impiego di nuove tecniche e soluzioni
formali.
Nel primo quinquennio degli anni
Sessanta la critica ragiona sulle due
macro-tendenze artistiche venutesi a
configurare nel clima post-informale,
riunite nelle ricerche visuali e nella
‘‘novissima figurazione’’; si discute se
esse debbano o meno essere indicate come
due ipotesi di intervento dalle finalità
distinte, sottolineando però come
entrambe operino sul rapporto tra uomo e
realtà contemporanea.
È corretto nelle opere di Bignardi
chiamare in causa le due desinenze op e
pop: l’artista ragiona sulla varietà
delle esperienze percettive che si
offrono all’uomo nel mondo contemporaneo
(Grand Gaine-frequenze televisive,
Prismobile-cartellonistica
cinematografica, Fantavisore-dimensione
filmica) ed è attento allo studio dei
linguaggi della società dei consumi e
perciò alle moderne tecniche
pubblicitarie, ma più in generale ai
linguaggi delle immagini che fanno parte
del repertorio della comunicazione e che
Bignardi considera al pari delle arti
visive (iconografia scientifica e
Muybridge).
Non solamente le opere dell’artista
dimostrano che le due categorie
individuate dai critici hanno in realtà
dei confini labili, ma come rileva
Maurizio Fagiolo ‘‘il processo
programmato-ottico di molti artisti
rientra benissimo nella sfera pop di
comunicazione… d’altra parte alcune
ricerche sui mass-media (pensiamo a
Lichtenstein) possono convertirsi in
esperimenti sulla tecnica di
percezioni’’.
Fondamentale in ogni caso è tenere in
considerazione il punto di vista
dell’artista che più volte dichiara
l’assenza di ogni fondamento teorico
dietro la sua ricerca: sicuramente in
essa c’è sempre la volontà di indagare
la struttura interna del fenomeno, la
procedura che risiede alla
strutturazione dell’immagine, il
linguaggio del mondo figurativo della
contemporaneità.
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Gangemi Editore, 2005.
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