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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 156 / DICEMBRE 2020 (CLXXXVII)


arte

UMBERTO BIGNARDI

LA RICERCA ARTISTICA COME DISSOCIAZIONE DEGLI ELEMENTI

di Marta Montoni

 

Il 22 gennaio del 1966 Umberto Bignardi ottiene la sua prima personale alla Galleria L’Attico presentato dall’esordiente Fabio Sargentini. In questa occasione espone: tre opere su tela intitolate Clairol n. 2 (1964, olio su tela, 82 x 280), Clairol n. 3 (1964, olio su tela, 101 x 300), Dal volo degli uccelli (1964, olio su tela, 104 x 150) e Spaccato dello scudo canadese (1964, olio su tela, 110 x 150 cm ); tre lavori su cristallo con tecnica mista, Grande gaine (1965, 150 x 120 cm), Sud-est Asia (1965, 110 x 140 cm) e Silhouette (1965, 180 x 110 cm); i due media-trovati-modificati, Prismobile e Fantavisore; tre serie di tavole su carta, Dell’impegno e del disimpegno, Dei movimenti dell’uomo e degli animali e Delle geologie.

 

Determinante per l’ingresso dell’artista nella galleria fu l’incontro con Alberto Boatto nel 1964; è infatti il critico a presentare Bignardi a Fabio Sargentini ed è sempre Boatto che, proprio in occasione di questa prima personale negli ambienti di Piazza di Spagna, cura il testo di presentazione in catalogo. Lo scritto si basa su una conversazione-intervista tra Boatto e Bignardi registrata nel novembre 1965 ed è quindi il primo rilevante documento che dà voce agli interessi artistici di Bignardi cercando di chiarire le caratteristiche della sua ricerca nel contesto contemporaneo.

 

Concetto chiave nel rapporto tra Bignardi e le fonti visive della comunicazione è la dissociazione in unità dei suoi elementi costitutivi simbioticamente unito all’interesse per il movimento. Premessa al suo lavoro è la particolare relazione di conoscenza che instaura con i materiali della contemporaneità. A tal proposito l’artista afferma: «Sono tutte immagini visive costruite con intenti precisi e con strumenti linguistici destinati a dare a l’immagine stessa una struttura stilistica significativa particolare».

 

In Bignardi, dunque, vige un profondo rispetto per il principio di non deformazione dell’immagine in quanto risultato di precisi meccanismi linguistici che non devono essere snaturati: «[Bignardi] Non ho mai avuto l’intenzione di selezionare un segno o una certa iconografia per specializzarmi che è poi quello che hanno fatto i pop americani».

 

Il confronto con la contemporaneità tramite la ricerca delle immagini che lo compongono ha assunto nell’artista le caratteristiche, più che di un’azione inevitabile data la pervasività delle immagini nella vita dell’uomo, di una ricerca scientifica tesa a studiare i meccanismi di un fenomeno che come le leggi fisiche entrano a regolare il corso degli eventi. Non a caso Maurizio Calvesi accosta l’operato artistico di Umberto Bignardi a quello di Leonardo Da Vinci: nel primo come nel secondo il punto di partenza è l’esperienza diretta, la comprensione e la conoscenza critica di ciò che lo circonda.

 

Per comprendere a pieno i meccanismi che regolano la ricerca artistica di Umberto Bignardi è bene analizzare le opere esposte in questa prima personale del 1966. Le tele Clairol n. 2 e Clairol n. 3 sono ispirate alla serie delle immagini pubblicitarie realizzate per la ditta statunitense Clairol Cosmetic da Jerry Schatzberg e Bert Steinhauser. L’artista non è il solo a confrontarsi con questa fonte reclamistica.

 

Anche Giosetta Fioroni, esordiente assieme a Bignardi nella Galleria di Plinio de Marchis nel marzo del 1961, realizza un’opera derivante dalle medesime immagini intitolata Fascino ed esposta nella personale della Galleria del Cavallino nell’aprile 1965. Entrambi gli artisti utilizzano immagini tratte dai media e dalla fotografia senza abbandonare una tecnica personale ed evidentemente manuale, ma il rapporto che questi instaurano con l’immagine pubblicitaria è di diversa natura.

 

In Giosetta Fioroni la scelta di questa pubblicità va posta all’interno di un lavoro prettamente incentrato su una iconografia femminile personale e distante da quella stereotipata dalla serialità consumistica. In Bignardi l’acquisizione della stessa immagine implica essenzialmente un processo di assimilazione linguistica. Difatti, dopo l’esperienza formativa del collage con la quale esperisce la struttura dell’immagine, egli reinventa la stessa immagine tramite l’associazione di differenti mezzi grafici e pittorici.

 

L’elemento peculiare delle immagini per la campagna Clairol, cioè la scansione in bande verticale della figura come spettro dimostrativo delle diverse tonalità di biondo ottenibili dall’utilizzo del prodotto pubblicizzato, si mostra quindi estremamente funzionale perché permette a Bignardi di sperimentare una grande varietà di soluzioni tecniche e quindi linguistiche. L’idea che lo affascina è quella di un’immagine composta da sezioni prefabbricate e modulari e poi montate in sequenza.

 

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Immagine proveniente dalla campagna pubblicitaria Clairol, anni Sessanta

 

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 Giosetta Fioroni con l’opera Fascino, Galleria del Cavallino, Venezia 1965

 

In Bignardi l’interesse per le immagini prelevate dal repertorio della comunicazione si palesa non solo con l’uso di figurazioni legate al consumo (prettamente pubblicità francesi e americane), ma anche con illustrazioni di ambito scientifico e appartenenti alla tradizione artistica precedente. È questo il caso delle due opere intitolate Dal volo degli uccelli e Spaccato dello scudo canadese, entrambe derivanti dalle illustrazioni pubblicate nella rivista Scientific American del 1962.

 

Delle tre opere su cristallo solamente Grand Gaine è riprodotta parzialmente in catalogo assieme alla presenza di sua moglie Silvia. Non si conoscono altre riproduzioni dell’opera, ma potrebbe forse derivare dalla pubblicità realizzata per l’azienda francese Barbara, specializzata nella realizzazione di guaine. Medesimo è infatti il gesto della mano compiuto dalla modella e dalla silhouette riprodotta.

 

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Immagine pubblicitaria della azienda francese Barbara, anni Sessanta

 

Nell’opera Grand Gaine il movimento è declinato secondo una ‘‘vibrazione percettiva’’ o meglio ‘‘effetto visuale astratto’’ che costruisce l’immagine tramite segni lineari come ‘‘le immagini (della tv) appaiono costituite da frequenze…e si potrebbe dire che è il vero contenuto di quelle immagini, mentre invece sul video si stanno svolgendo delle narrazioni anacronistiche alla stessa struttura del fenomeno’’.

 

In questa affermazione pronunciata da Umberto Bignardi sembra riecheggiare il concetto espresso nello lo scritto di Marshall Mcluhan, pubblicato nel 1964 e intitolato Gli strumenti del comunicare, in cui “è il mezzo il messaggio”: anche per Bignardi il contenuto dell’immagine coincide con la sua struttura formale anziché con il messaggio che contiene, ovvero la sua utilizzazione.

 

La serie di tavole su carta esposte nel 1966 possono intendersi il frutto di quella esperienza del disegno inaugurata tra il 1959 e il 1960 dall’artista attraverso la conoscenza diretta di Cy Twombly, Gastone Novelli e i combine drawings di Robert Rauschenberg. È in quegli anni che Umberto Bignardi avvia il ciclo di tecniche miste su carta che viene descritto dall’artista nei seguenti termini: «In quella serie di carte avevo verificato cosa significasse il peso oggettivo della superficie bianca, un campo che conteneva una quantità di differenti segni per origine e per tempi e ritmi di esecuzione. Fare quelle carte mi fece capire per la prima volta l’importanza delle tavole di Leonardo, un flusso continuo di annotazioni, studi, suggestioni». In tal senso le tavole di Bignardi somigliano a quelle leonardesche.

 

Umberto Bignardi, tra il 1964 e il 1965, si interessa ai fenomeni pre-cinematografici del fotografo britannico Eadweard Muybridge e nella mostra del 1966 propone la serie Movimenti dell’uomo e degli animali derivanti proprio dagli studi condotti da Muybridge sul movimento dell’uomo e degli animali con la tecnica della cronofotografia. Ciò che affascina l’artista è l’indagine compiuta sui fenomeni dell’immagine e della percezione, ovvero l’immagine diacronica che si articola come montaggio e successione di fotogrammi.

 

L’attenzione di Bignardi per il movimento non va però intesa in senso futurista, come ha chiarito il critico Maurizio Fagiolo in occasione della recensione della mostra all’Attico apparsa su L’Avanti: l’artista non è interessato al dinamismo effettivo, ma piuttosto a quello mentale. In questa serie dedicata a Muybridge il movimento è graficamente e coloristicamente suggerito.

 

Per la serie Dell’Impegno e del disimpegno ragiona sulla indifferenza borghese nei confronti della guerra in Vietnam mentre per quella Delle geologie propone analisi di sezioni geologiche e orografiche: ritorna ancora questa scomposizione in parti dell’immagine unita all’informazioni testuali, quasi delle tavole leonardesche.

 

Con le due opere intitolate Prismobile e Fantavisore il movimento diventa effettivo. Così come indicato nel catalogo, sono apparati a funzionamento elettrico, concepiti come oggetti-sistemi da alimentare con immagini rinnovabili. Entrambe le opere, che Bignardi tiene a precisare non sono installazioni ma ‘‘media-trovati’’, sono andate distrutte ed è quindi complicato descriverne esaustivamente il funzionamento e la struttura.

 

Il Prismobile è una derivazione delle macchine della pubblicità usate in genere per i manifesti cinematografici, caratterizzato da prismi ruotanti a base triangolare di plastica trasparente sulle cui facce sono incollate bande di immagini. All’interno di ogni prisma l’artista ha inserito un tubo al neon e alcuni fotogrammi del film Amore Amore di Alfredo Leonardi, presentato alla III Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro nel 1967, con la partecipazione tra gli altri di Umberto Bignardi e di sua moglie Silvia.

 

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Umberto Bignardi, Prismobile, apparato a funzionamento elettrico,

neon, elementi prismatici in plastica, 230 x 140 cm, 1965

 

Il Fantavisore è un dispositivo ottico basato sul principio dello specchio-schermo sul quale lo spettatore è riflesso assieme alle matrici d’immagini luminose proiettate e che appaiono e scompaiono in sequenza. Le immagini realizzate da Bignardi sono in gran parte derivanti dalle cronofotografie di Muybridge.

 

Nel Fantavisore Bignardi è interessato al principio di fondere un processo dinamico di comunicazione e percezione unito alle caratteristiche spaziali dello specchio. Secondo Alberto Boatto l’opera visualizza le dinamiche percettive delle esperienze moderne, quindi il flusso di immagini riproporrebbe l’esperienza percettiva dell’uomo nel mondo contemporaneo: un’esperienza che non va intesa come una critica al continuo attacco all’inconscio operato dai persuasori occulti, parafrasando lo scritto di Vance Packard pubblicato nel 1958, dal momento che la percezione del fruitore è stimolata attivamente con il Fantavisore.

 

Forse Bignardi, più che alla modalità in cui si organizza la percezione in senso gestaltico, è interessato alle differenti esperienze percettive che si presentano all’uomo nel mondo contemporaneo, senza naturalmente alcuna critica di fondo.

 

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Umberto Bignardi, Fantavisore, apparato con motore elettrico,

programmatore per illuminazione, superficie riflettente, 80 x 114 cm, 1965

 

Se la scelta di Bignardi di attingere a una figurazione commerciale richiama quella della pop-art americana, di diversa natura è il rapporto che instaura con questo materiale a cui Boatto si riferisce in termini di ‘‘particolare angolazione’’. Quest’ultima dipende sicuramente dal contesto italiano in cui la pervasività delle immagini è minore rispetto alle grandi città d’oltreoceano: un panorama urbano che Boatto ha avuto modo di constatare in prima persona quando, dopo la Biennale di Venezia del 1964, si reca a New York.

 

La realtà italiana permette quindi un rapporto tra uomo e contemporaneità di differente natura, una relazione in cui non abbiamo una netta prevaricazione della seconda sulla prima ma un dislivello fruitivo rispetto al contesto americano che si mostra fortemente produttivo. In Bignardi questa particolare angolazione va intesa con la scelta da parte dell’artista di immagini lontane dalla sua esperienza immediata, cioè distanti da lui sia geograficamente che temporalmente: sono immagini con cui instaura una particolare relazione nel tempo.

 

Più volte Alberto Boatto sottolinea lo sperimentalismo del lavoro di Bignardi, notando nelle opere dell’artista la partecipazione al clima artistico contemporaneo nel quale è possibile registrare una confluenza tra ricerca artistica pop e op e l’impiego di nuove tecniche e soluzioni formali.

 

Nel primo quinquennio degli anni Sessanta la critica ragiona sulle due macro-tendenze artistiche venutesi a configurare nel clima post-informale, riunite nelle ricerche visuali e nella ‘‘novissima figurazione’’; si discute se esse debbano o meno essere indicate come due ipotesi di intervento dalle finalità distinte, sottolineando però come entrambe operino sul rapporto tra uomo e realtà contemporanea.

 

È corretto nelle opere di Bignardi chiamare in causa le due desinenze op e pop: l’artista ragiona sulla varietà delle esperienze percettive che si offrono all’uomo nel mondo contemporaneo (Grand Gaine-frequenze televisive, Prismobile-cartellonistica cinematografica, Fantavisore-dimensione filmica) ed è attento allo studio dei linguaggi della società dei consumi e perciò alle moderne tecniche pubblicitarie, ma più in generale ai linguaggi delle immagini che fanno parte del repertorio della comunicazione e che Bignardi considera al pari delle arti visive (iconografia scientifica e Muybridge).

 

Non solamente le opere dell’artista dimostrano che le due categorie individuate dai critici hanno in realtà dei confini labili, ma come rileva Maurizio Fagiolo ‘‘il processo programmato-ottico di molti artisti rientra benissimo nella sfera pop di comunicazione… d’altra parte alcune ricerche sui mass-media (pensiamo a Lichtenstein) possono convertirsi in esperimenti sulla tecnica di percezioni’’.

 

Fondamentale in ogni caso è tenere in considerazione il punto di vista dell’artista che più volte dichiara l’assenza di ogni fondamento teorico dietro la sua ricerca: sicuramente in essa c’è sempre la volontà di indagare la struttura interna del fenomeno, la procedura che risiede alla strutturazione dell’immagine, il linguaggio del mondo figurativo della contemporaneità.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

E. Muybridge, The Human figure in motion, Londra 1907.

E. Muybridge, Horses and other animal in motion, Dover Publications, New York 1985.

V. Packard, I Persuasori occulti, Einaudi, Torino 1960.

M. Calvesi, Giosetta intervistata da Maurizio Calvesi, in Marcatrè, nn. 8-9-10, luglio-agosto-settembre 1964.

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F. Menna, Constatazione della realtà, Marcatrè, serie 1, anno 3, n. 7, 1965, pp. 121-122.     

F. Menna, Discussione sulle due ipotesi. Tecnica e attualità, Marcatrè, serie 1, anno 3, n. 7, 1965, pp. 126-135.

G. Dorfles (a cura di), Giosetta Fioroni, 622a mostra del Cavallino dal 7 al 16 luglio 1965.

Bignardi, Catalogo mensile, Galleria L’Attico, n. 77, gennaio 1966.

M. Fagiolo, Rapporto 60: le arti oggi in Italia, Roma: Bulzoni, 1966.

M. Calvesi, G. Gatt (a cura di), Realtà dell’immagine e strutture della visione, Galleria Il Cerchio, Roma, gennaio 1967.

M. Mcluhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1976.

L. Cherubini, M. Calvesi, Umberto Bignardi: opere dal 1958 al 1993, catalogo della mostra a Roma, 16 febbraio-12 marzo 1994, MLAC, 1994.

F. Gualdoni, Umberto Bignardi: opere 1960-2003, catalogo mostra 9 aprile-28 maggio 2005, Bologna, Arte e Arte, Bologna 2005.

M. De Candida, P. Ferri, Idee, processi e progetti della ricerca artistica italiana degli anni ‘60 e ‘70, Gangemi Editore, 2005.

G. Celant, Giosetta Fioroni, Skira, Milano 2009. 

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