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N. 62 - Febbraio 2013 (XCIII)

Ulysses Grant, chiesa e tasse
Una grande lezione di modernità

di Giovanni De Notaris

 

Come tutti gli italiani ormai sapranno, avendolo già sperimentato sui loro conti, dal 2012 si paga l’IMU, la tassa sugli immobili.

 

Al dibattito relativo alla legittimità o meno di questa tassa, necessaria per far quadrare i bilanci di stato e regioni, se n’è aggiunto un altro, relativo agli immobili di proprietà della chiesa cattolica.

 

Per quanto il governo abbia stabilito che la tassa compete anche alla chiesa, il dibattito, come si può intuire, è stato vivace, e lo è tuttora.

 

Tralasciando queste polemiche, proviamo tuttavia a spiegare perché il governo abbia preso la decisone giusta, spostandoci però al di là dell’Atlantico, e di più di un secolo addietro, verso l’ultimo trentennio dell’Ottocento, negli Stati Uniti d’America, durante la presidenza di Ulysses Grant, e ampliando inoltre il discorso a altri aspetti del rapporto stato/chiesa.

 

Grant è stato il 18° presidente degli Stati Uniti, eletto nel 1869. Eroe di guerra, comandante in capo dell’armata del Potomac che condusse alla vittoria il nord unionista contro il sud confederato.

 

Grant si trovò a dover di fatto ricostruire un intero paese ancora prostrato dai drammi della guerra civile. I soldi mancavano, bisognava aiutare il sud, in particolare, con una grande opera di ricostruzione e ammodernamento. Anche lì, in quel momento storico, come oggi in Italia, lo Stato si trovò costretto a far cassa, e quindi a affrontare anche il rapporto con le diverse correnti religiose e le loro proprietà.

 

La polemica sorse quando i due gruppi religiosi principali, protestanti e cattolici, premevano per ottenere finanziamenti dallo stato federale per le loro scuole, oltre a insistere per l’obbligo di insegnare la religione nelle scuole pubbliche.

 

Fermo sostenitore dell’assoluta separazione, di jeffersoniana memoria, tra stato e chiesa -ma anche dell’assoluta libertà di culto, proprio a tutela delle diverse religioni, e della loro integrità ideologica e morale-, per Grant l’istruzione pubblica rappresentava il fondamento stesso dell’ideologia repubblicana americana. Era importante quindi preservare l’istruzione pubblica e non deviare finanziamenti verso scuole private, proprio perché questo avrebbe danneggiato il diritto all’uguaglianza sancito nella costituzione americana, dove ognuno è uguale agli altri e tutti hanno stessi diritti e opportunità, nessuno escluso.

 

Cosicché non solo non bisognava insegnare alcuna religione nelle scuole pubbliche, ma anche nessun aiuto economico, sostenuto dalle tasse, doveva essere concesso alle istituzioni religiose, a fini educativi. Tutti dovevano avere diritto alla stessa istruzione, senza distinzione di classe e censo. Se infatti le scuole religiose avessero ottenuto fondi dal governo si sarebbe creata un’istruzione di serie A e una di serie B, dividendo conseguentemente la popolazione tra ricchi e poveri.

 

La religione per Grant rientrava nella sfera privata, e il relativo insegnamento andava impartito dalle famiglie, non dallo stato.

 

Nel dicembre del 1875 dunque, il presidente chiese al Congresso di creare un emendamento in cui si obbligava ogni stato a istituire, e tutelare, le scuole pubbliche, concedendo a tutti il libero accesso, senza alcuna differenza di sesso, razza o religione.

 

L’insegnamento della religione nelle scuole doveva inoltre essere vietato, e proibito il finanziamento pubblico a scuole private. Ma non solo.

 

Il presidente andò oltre, raccomandando al Congresso che le proprietà della chiesa venissero tassate, proprio in virtù di quella separazione assoluta tra stato e chiesa; la tassazione difatti era la garanzia che lo stato non concedeva privilegi a nessuno. Ma ovviamente Grant ne valutava pure il vantaggio economico.

 

Il valore del patrimonio immobiliare della chiesa, cattolica e protestante, valeva circa un miliardo di dollari, che se non tassato sarebbe triplicato entro la fine del secolo. La sua proposta era di tralasciare solo i cimiteri e gli edifici di culto.

 

Giornali come il New York Times o riviste come Harper’s Weekly salutarono positivamente la proposta del presidente, come un atto di grande coraggio. Ma la sua idea servì anche per creare finalmente un dibattito più moderno sull’argomento.

 

La sua proposta si concretizzò dopo qualche giorno nell’emendamento Blaine, seppur parzialmente. Se difatti l’emendamento proibiva l’uso di fondi pubblici, provenienti dalle tasse dei contribuenti, per finanziare le scuole private, non imponeva però, come Grant invece auspicava, che tutti gli stati creassero un sistema di istruzione soltanto pubblico, né vietava, inoltre, l’insegnamento della religione nella scuola pubblica, per non acuire la tensione con le due principali religioni.

 

Per l’epoca, tuttavia, questo fu indubbiamente un valido compromesso, oltre che un segno di grande modernità e civiltà nell’apparato statale americano, dimostrando come fosse possibile tutelare una qualunque religione, pur ribadendo che se tutti i cittadini sono uguali, tutti devono pagare le tasse.

 

Volere è potere quindi. Ulysses Grant ci lascia una grande lezione, che ogni paese che si definisca davvero moderno non può dimenticare.



 

 

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