N. 89 - Maggio 2015
(CXX)
GLI ULTIMI HOHENSTAUFEN
LA TRISTE SORTE DI CORRADINO DI SVEVIA
di Federica Campanelli
Nel
1250,
alla
morte
del
primo
re
svevo
di
Sicilia
Federico
II
Hohenstaufen, i
titoli
regali
furono
ereditati
dal
secondogenito
Corrado
IV,
nato
dal
secondo
matrimonio
dello
stesso
Federico
con
Jolanda
di
Brienne
nel
1228.
Il
ventiduenne
Corrado,
già
Rex
Romanorum
a
seguito
della
deposizione
dell’eversivo
e
tormentato
fratellastro
Enrico
VII,
risiedeva
in
quegli
anni
in
una
Germania
ormai
vacillante
e
indebolita
dalle
frequenti
lotte
tra
Hohenstaufen
e
oppositori
dell’imperialismo.
Nel
1251
il
giovane
decise
di
lasciare
la
corte
per
raggiungere
l’Italia
meridionale
e
rivendicarne
il
dominio.
La
reggenza
dell’Italia
e
del
Regno
di
Sicilia,
per
volontà
dello
stesso
Federico,
era
stata
però
affidata
temporaneamente
a
Manfredi
(avuto
dall’unione
con
Bianca
Lancia
nel
1232),
il
quale
ottenne
anche
il
Principato
di
Taranto,
le
contee
di
Tricarico
e
Montescaglioso
in
Basilicata
e
numerosi
feudi.
Ambizioni
ben
più
alte
della
semplice
luogotenenza,
nonché
la
politica
avversa
di
Corrado
nei
confronti
dei
Lancia
e di
Manfredi
(a
cui
venne,
tra
l’altro,
negato
il
dominio
su
molti
dei
suoi
feudi
in
Puglia
e
Basilicata),
mutarono
in
breve
tempo
il
rapporto
dei
fratellastri
in
una
tacita
ostilità;
non
a
caso,
alla
morte
di
Corrado,
sopraggiunta
il
21
maggio
1254
all’età
di
26
anni,
iniziò
a
prender
piede
l’ipotesi
che
fosse
stato
Manfredi,
e
non
la
malaria,
a
causarne
il
decesso.
L’unico
figlio
ed
erede
di
Corrado,
il
piccolo
Corradino,
nato
due
anni
prima
dal
matrimonio
del
padre
con
la
bavarese
Elisabetta
di
Wittelsbach,
non
avrebbe
potuto,
data
la
tenerissima
età,
espletare
il
proprio
potere.
La
reggenza
del
Regno
di
Sicilia
fu
quindi
data,
come
era
stato
già
previsto
da
Corrado,
a
Bertoldo
Hohenburg,
e il
giovane
rampollo
venne
affidato
alla
custodia
di
papa
Innocenzo
IV.
Questo
evento
darà
il
via
a
un’incessante
contesa
per
la
sovranità
tra
il
papato
e la
casata
sveva
retta,
de
facto,
da
Manfredi
(che
nel
1255
subì
la
scomunica).
Forte
della
crescente
autorità
nei
territori
del
Meridione,
l’11
agosto
1258
Manfredi
fu
finalmente
incoronato
nella
cattedrale
di
Palermo
Re
di
Sicilia,
per
la
gioia
dei
suoi
sostenitori
e
l’ira
della
fazione
pontificia.
Tutti
i
patrocinatori
e i
prelati
che
quel
giorno
consacrarono
l’incoronazione
vennero
scomunicati,
l’anno
seguente,
da
papa
Alessandro IV.
.
Incoronazione
di
Manfredi
(dalla
Nova
Cronica
di
Giovanni
Villani)
Manfredi
è
stato
l’ultimo
esponente
della
casata Hohenstaufen
a
indossare
la
corona
del
Regno
di
Sicilia.
Egli
perse
infatti
la
vita
con
molto
onore
il
26
febbraio
1266
nella
Battaglia
di
Benevento,
combattuta
contro
la
fazione
guelfa
di
Carlo
I
d’Angiò,
insediato
da
papa
Clemente
IV
al
fine
di
usurpare
l’ambito
trono
e
cancellare
una
volta
per
tutte
gli
Svevi
dalla
mappa
politica
italiana.
Cosa
accadde...
Promosso
dal
pontefice,
Carlo
era
sceso
in
Italia
–
senza
alcuna
difficoltà
–
già
nel
1265.
Il 6
gennaio
del
’66
venne
formalmente
incoronato
Re
di
Sicilia
a
San
Giovanni
in
Laterano
a
Roma
e di
lì a
pochi
giorni
procedette
con
la
discesa
attraverso
l’antica
via
Latina.
Manfredi
doveva
essere
scovato
ed
eliminato.
La
prima
sconfitta
dell’esercito
di
Manfredi,
riparatosi
intanto
a
Capua,
si
consumò
il
10
febbraio
presso
San
Germano
(Cassino).
Le
truppe
angioine
avanzavano
agevolmente,
valicando
qualsiasi
ostacolo
si
presentasse
loro,
grazie
anche
ai
numerosi
tradimenti
a
danno
di
Manfredi,
che
vide
così
inaridire
le
sue
difese.
Lo
svevo
tentò,
allora,
di
anticipare
le
milizie
avversarie
spostandosi
a
Benevento,
al
di
là
del
fiume
Calore
(affluente
del
Volturno),
in
attesa
di
rinforzi.
Ma
già
il
25
febbraio
Carlo
e i
suoi
uomini
raggiunsero
la
città
campana
e
Manfredi,
sfiduciato
dal
generale
decorso
del
conflitto,
decise
di
non
indugiare
ulteriormente:
la
mattina
di
venerdì
26
febbraio
attraversò
il
Calore
e
diede
battaglia.
Sulle
prime
gli
abili
arcieri
di
Manfredi
riuscirono
a
sferrare
l’attacco
con
successo,
ma
l’esito
del
conflitto
mutò
in
breve
tempo
in
una
violenta
sconfitta.
.
Battaglia
di
Benevento
(dalla
Nova
Cronica
di
Giovanni
Villani)
Carlo
inaugurava
il
dominio
angioino
della
Sicilia
da
usurpatore,
e
presto
avrebbe
goduto
di
una
pessima
fama
rivelandosi
tra
i
sovrani
più
detestabili
della
storia
dell’isola.
Morto
Manfredi,
rimaneva
l’ultimo
Hohenstaufen:
Corradino
di
Svevia,
all’epoca
dei
fatti
quattordicenne.
Questi
aveva
ereditato,
all’età
di
due
anni,
i
titoli
paterni
di
Re
di
Sicilia
(che
perderà
nel
’58),
Duca
di
Svevia
e Re
di
Gerusalemme,
mantenendo
quest’ultimi
fino
alla
morte.
Teatro
di
scontri,
il
territorio
italiano
poco
si
conveniva
al
giovane
rampollo
degli
Hohenstaufen,
così
la
madre
Elisabetta
volle
tenerlo
in
Baviera,
dove
crebbe
tra
gli
echi
della
grandezza
dei
suoi
avi
e un
ambiente
culturalmente
raffinato,
lontano
dall’agone
politico
e
militare.
.
Copia
del
Monumento
a
Corradino
di
Svevia
di
Bertel
Thorvaldsen,
Chiesa
del
Carmine
(Napoli)
Dopo
la
disfatta
di
Benevento,
i
sostenitori
ghibellini
di
Manfredi
videro
in
Corradino
l’ultima
disperata
speranza
di
rovesciare
l’odiato
e
austero
Carlo
D’Angiò,
che
in
Sicilia
non
perse
tempo
a
imporre
una
sfiancante
politica
fiscale.
I
fedeli
di
Manfredi
raggiunsero
la
Germania
per
richiamare
all’ordine
quel
piccolo
aquilotto
ancora
implume
(parafrasando
la
definizione
data
dal
cronista
Saba
Malaspina
nel
Rerum
Sicularum
Historia)
e
preparare
il
suo
arrivo
in
Italia.
Corradino,
quindici
anni,
con
lo
stesso
piglio
da
gran
conquistatore
appartenuto
al
nonno
Federico,
partì
per
l’Italia
dove
fu
ricevuto
con
grande
favore
nel
settembre
1267.
Dopo
aver
sostato
qualche
mese
al
Nord,
nell’aprile
dell'anno
seguente
riprese
la
discesa,
raggiungendo
Roma
il
24
luglio.
L’accoglienza
fu
sontuosa.
Qualche
settimana
più
tardi,
l’esercito
svevo
si
mosse
da
Roma
imboccando
l’antica
via
Tiburtina
Valeria
per
dirigersi
in
Abruzzo;
la
manovra
di
riconquista
del
suo
Regno
doveva
iniziare
da
lì.
Intanto
in
Sicilia
insorgevano
gli
anti-angioini
e la
rivolta
presto
si
diffuse
nei
territori
al
di
là
dello
Stretto.
Guelfi
e
ghibellini
si
scontrarono
in
un
luogo
della
Marsica
nei
pressi
di
Tagliacozzo.
L’esercito
di
Corradino
superava
di
qualche
migliaio
di
uomini
quello
dell’avversario
francese;
lo
svevo
poteva
contare
su
circa
9000
unità
tra
italiani,
tedeschi,
spagnoli
e
arabi
guidati
dai
comandanti
Federico
I di
Baden-Baden
(con
cui
lo
stesso
Corradino
guidò
un
corpo
di
riserva
della
cavalleria
tedesca),
Enrico
di
Castiglia,
Galvano
ed
Enrico
Lancia.
Il
conflitto,
noto
come
Battaglia
di
Tagliacozzo,
iniziò
il
23
agosto
1268.
Se
in
un
primo
momento
lo
scontro
pare
potesse
risolversi
a
favore
delle
truppe
sveve,
il
seguito
della
battaglia
spense
qualsiasi
barlume
di
speranza.
Tratta
in
inganno,
la
schiera
guidata
da
Enrico
di
Castiglia
si
scagliò
con
successo
contro
la
prima
linea
francese
condotta
dal
maresciallo
regio
Enrico
di Cousances,
che
in
quel
frangente
indossava
le
insegne
reali
di
Carlo.
Convinti
che
si
trattasse
del
Re,
e
non
di
un
suo
subalterno,
gli
svevi
si
rallegrarono
dell’evento
e
abbassarono
la
guardia.
Carlo
approfittò
del
momento
di
distrazione
e
diede
ordine
di
attaccare.
Dopo
un
vano
tentativo
di
contrattacco,
Corradino,
Federico
e
circa
cinquanta
dei
loro
seguaci
scelsero
la
via
della
fuga
verso
Roma.
Chi
rimase
trovò
il
massacro.
..
Battaglia
di
Tagliacozzo
Il
28
agosto
Corradino
e i
suoi,
stavolta
nelle
vesti
di
fuggiaschi,
entrarono
a
Roma,
ma
stavolta
nessun
trionfo
li
accolse;
Carlo
aveva
infatti
sparso
il
terrore
tra
i
romani,
punendo
atrocemente
i
ghibellini
e i
favorevoli
agli Hohenstaufen.
Non
rimaneva
che
lasciare
l’Urbe
e
cercare
riparo
altrove;
gli
svevi
si
diressero
dunque
verso
la
costa,
dove
raggiunsero
il
porto
di
Torre
Astura
(Nettuno).
Da
lì
salparono
alla
volta
di
Pisa,
ma a
largo
del
porto
laziale
furono
fermati
e
catturati
dagli
uomini
del
Signore
d’Asturia,
Giovanni
Frangipane,
che
tra
cupidigia
e
infamia
tradì
miseramente
il
giovane
Corradino
consegnandolo,
insieme
ai
suoi
fedeli,
nelle
mani
degli
angioini.
I
fuggiaschi
furono
condotti
dapprima
a
Palestrina.
Qui
trovarono
la
morte
molti
ghibellini
seguaci
dello
svevo
e
tra
loro
Galvano
Lancia.
Questi
fu
giustiziato
per
decapitazione,
ma
non
prima
di
assistere
all’esecuzione
del
figlio
Galeotto
Lancia.
In
seguito
furono
condotti
a
Napoli
e
rinchiusi
presso
il
Castel
dell’Ovo.
In
questa
dimora
ben
fortificata
dal
nonno
Federico II,
Corradino
e il
diciannovenne
Federico
di Baden,
praticamente
due
adolescenti,
attesero
quello
che
passerà
alla
Storia
come
un
processo
corrotto
e
pretestuoso.
La
sentenza
fu,
ovviamente,
la
condanna
a
morte.
Il
luogo
previsto
per
l’esecuzione
fu
Campo
del
Moricino,
oggi
piazza
del
Mercato
a
Napoli.
Corradino
implorò
l’assoluzione
per
i
suoi
fedeli
compagni;
in
ogni
caso
volle
essere
condannato
per
primo.
.
Decapitazione
di
Corradino
Il
29
ottobre
1268
Corrado Hohenstaufen,
noto
come
Corradino,
illuso
di
poter
far
valere
i
suoi
diritti
di
erede,
fu
giustiziato
per
decapitazione
innanzi
a un
pubblico
particolarmente
costernato.
Aveva
16
anni.