N. 138 - Giugno 2019
(CLXIX)
Ulisse Etrusco
IL
NOME
ERRANTE
DELL’EROE
GRECO
NELLE
VARIANTI
DEL
MITO
di
Paolo
Fundarò
Numerose
sono
le
varianti
mitiche
che
portano
Ulisse
con
altri
reduci
greci
e
alcuni
superstiti
troiani,
tra
cui
Enea,
in
avventurose
peripezie
in
Italia
dopo
la
caduta
di
Ilio,
sino
a
trovare
riparo
e
nuova
vita
in
Etruria.
A
partire
dall’VIII
secolo
a.C.
racconti
di
eroi
greci
e
troiani
quali
Ercole,
Enea
e la
saga
di
Odisseo
appaiono
in
ambiente
etrusco
e
nell’Italia
tirrenica
grazie
ai
contatti
e
alla
mediazione
del
mondo
greco-coloniale
e ai
commerci
tra
Oriente
e
Occidente.
Ulisse,
secondo
alcune
varianti
che
si
discostano
dal
mito
omerico,
narrate
da
Esiodo
e
Apollonio
Rodio,
durante
il
viaggio
di
ritorno
a
Itaca,
fu
travolto
da
una
tempesta
e
portato
sull’isola
etrusca
di
Eea
abitata
dalla
maga
Circe
trasferitasi
sulla
costa
tirrenica,
in
Etruria,
sul
carro
paterno
del
Sole
dalla
lontana
Colchide
sul
mar
nero.
L’eroe
l’amò
e
dalla
loro
unione
nacquero
Agrio
(Fauno
secondo
Nonno
di
Panopoli),
Latino
e
Telegono
“che
in
mezzo
a
isole
divine
regnarono
su
tutti
gli
illustri
Etruschi”
canta
Esiodo.
Il
nome
greco
di
Odisseo,
uno
degli
eroi
più
celebri
dei
poemi
omerici,
figlio
di
Laerte
e di
Anticlea
re
di
Itaca,
gli
fu
assegnato
dal
nonno
Autolico
e
corrisponderebbe
a
irato
o
odioso.
La
forma
del
nome
di
Ulisse
(Ulixes)
apparso
nella
traduzione
latina
di
Livio
Andronico
dell’Odissea,
di
cui
ci
restano
pochi
frammenti
(la
prima
delle
belle
e
infedeli),
sarebbe
la
forma
dialettale
osco-etrusca-italica
del
nome
greco,
nel
significato
di
zoppo,
riferendosi
a
una
ferita
dell’eroe
riportata
nella
coscia
da
una
battuta
di
caccia.
Ulisse.
Encausto
su
tavola
di
Paolo
Fundarò
(2018)
Durante
il
soggiorno
presso
la
maga
Circe,
Ulisse
si
recò
nell’Oltretomba
dove
incontrò
l’anima
di
Tiresia
(Omero,
Odissea,
XI,
134-137).
L’ombra
dell’indovino
gli
predisse
che
dopo
il
suo
ritorno
a
Itaca
sarebbe
ripartito
verso
nuove
terre,
e
che
un
giorno
la
morte
sarebbe
venuta
dal
mare
a
coglierlo
vinto
da
una
serena
vecchiaia.
La
discesa
di
Ulisse
nell’Ade
e
l’incontro
con
Tiresia
è
rievocato
nella
Tomba
dell’Orco
(IV
secolo
a.C.)
a
Tarquinia.
Sono
presenti
Agamennone
e
Aiace;
le
anime
intorno
l’indovino
aleggiano
tra
alti
canneti
in
attesa
di
ritornare
in
vita.
Dopo
il
suo
rientro
in
patria
un’altra
delle
varianti
mitiche
riportata
da
Duride
di
Samio
e da
Elio
Donato
vede
Penelope,
infedele
dopo
la
sua
lunga
assenza,
tradirlo
con
tutti
i
Proci
generando
l’orrido
Pan
nato
cioè
da
“tutti”.
Sconvolto,
Ulisse
tornò
a
vagare
sino
a
giungere
in
un’isola
chiamata
Gortina
in
Etruria.
Qui
incontrò
Enea,
che
dopo
averlo
perdonato
per
l’inganno
del
cavallo,
gli
concesse
un
lembo
di
terra
sulla
costa
del
mare
per
una
serena
dimora
dopo
le
sue
avventurose
vicende.
Ellanico
di
Lesbo
(V
secolo
a.C.),
riporta
in
un
frammento
arrivato
attraverso
Dionigi
Alicarnasso
che
Enea
e
Ulisse
giunti
sulle
coste
del
Lazio
via
mare
dalla
terra
dei
molossi,
fondarono
Roma
dandole
il
nome
di
una
prigioniera
troiana
presente
sulla
nave:
Rhome.
Stanca
infatti
delle
lunghe
peregrinazioni,
la
donna
incendiò
le
navi
obbligando
i
due
eroi
a
non
partire
per
nuovi
lidi
e
favorendo
l’inizio
di
una
nuova
civiltà.
Secondo
una
versione
che
va
da
Eugammone
(V
secolo
a.C.)
autore
della
Telegonia,
a
Igino
(I
secolo
a.C.
– I
secolo
d.C.),
Ulisse
restò
in
patria.
Ma
Telegono,
il
figlio
avuto
da
Circe
dopo
aver
lasciato
l’isola
di
Eea,
organizzò
una
spedizione
a
Itaca
per
incontrarlo:
durante
lo
sbarco
burrascoso
sull’isola,
scontrandosi
con
Ulisse
senza
riconoscerlo
lo
uccise
accidentalmente
con
una
lancia
intinta
nel
veleno.
Telegono,
sollecitato
dalla
dea
Minerva,
insieme
a
Penelope
e a
Telemaco
(figlio
di
Ulisse
e
Penelope),
portò
il
cadavere
del
padre
in
Etruria
presso
la
madre
Circe
che,
con
l’aiuto
della
sua
potente
magia,
lo
fece
rivivere;
poi
invaghitasi
di
Telemaco
lo
sposò.
A
sua
volta
Penelope
sposò
Telegono.
Infine
a
causa
di
accesi
conflitti
familiari
quest’ultimi
si
uccisero
l’uno
con
l’altro.
Ulisse
sovrastato
dal
dolore,
si
spense
a
Gortina
(nei
pressi
di
Tarquinia)
e fu
sepolto
in
un
luogo
definito
Perge
(cioè
Rocca
o
Monte).
A
tali
tradizioni
attingerà
probabilmente
Teopompo
che
scrisse
una
perduta
opera
su
Odisseo
(V
secolo
a.C.)
descrivendo
l’ultimo
viaggio
di
Ulisse
nella
valle
del
Tevere.
L’eroe
sarebbe
giunto
fino
a
Cortona
dove
morì
e fu
sepolto.
Un’altra
tradizione,
raccontata
da
Tolomeo
Efesto
(I-II
secoli
d.C.),
narra
che
Ulisse,
in
Etruria,
vinse
una
gara
musicale
con
il
flauto;
celebrando
la
presa
di
Troia
e
l’opera
di
Demodoco.
Più
tardi
fu
mutato
e
morì
nelle
sembianze
d’un
cavallo
–
metafora
forse
del
suo
eterno
vagare
–
per
i
potenti
incantesimi
e le
droghe
d’un’ancella
di
Circe,
detta
“Alo”,
in
un
punto
dell’Etruria
chiamato
Alo
Pirgo,
vale
a
dir:
Torre
di
Mare,
lungo
la
costa
tra
Tarquinia
e
Cere.
Si
sarebbe
così
realizzata
la
profezia
di
Tiresia
che
aveva
predetto
a
Ulisse
una
dolce
morte
venuta
dal
mare.
Gli
Etruschi,
secondo
lo
pseudo
Aristotele
dopo
la
sua
scomparsa
avrebbero
scritto
sulla
sua
tomba
queste
parole:
«Qui
giace
l’uomo
assennato,
morto
in
questa
terra,
il
più
celebre
dei
mortali”
o
secondo
un’altra
versione
“Questa
è la
tomba
di
Odisseo
a
causa
del
quale
i
Greci
vinsero
la
guerra
di
Troia».
Persino
Omero
secondo
uno
storico
greco
del
secondo
secolo
prima
di
Cristo,
Eraclide
di
Lembo,
sarebbe
nato
o,
comunque
vissuto
in
Etruria
prima
di
recarsi
a
Itaca.
Temi
come
il
naufragio
o
l’accecamento
di
Ulisse
o
l’incontro
con
le
sirene
sono
proposti
nella
ceramica
etrusca,
a
imitazione
di
originali
greci,
sin
dall’inizio
del
VII
secolo.
A
Ceri
nel
vaso
di
Aristonothos
(670-650
a.C.)
troviamo
Ulisse
e
compagni
che
accecano
Polifemo
e,
nella
Pisside
della
Pania
di
Chiusi,
prodotta
probabilmente
a
Vulci,
la
fuga
dal
mostruoso
Scilla
e
dall’antro
di
Polifemo.
Vari
reperti
epigrafici,
documentano
che
il
nome
di
Ulisse
(Odisseo),
in
lingua
etrusca
fu
reso
in
varie
forme,
che
oscillano
in
una
serie
di
varianti;
da
Utuzte
derivata
probabilmente
dal
termine
greco
Odusteus,
proveniente
da
un
aryballos
datato
alla
fine
del
VII
secolo
a.C.
da
una
necropoli
di
Veio;
a
Uthste
a
Tarquinia,
Tuscania,
Cere,
Populonia;
Uthuste
a
Tarquinia,
Uthuze
ancora
a
Tarquinia,
Tuscania,
Vulci,
Chiusi;
Ustzte
a
Perugia;
Utuze
a
Bolsena
e
Chiusi
e
Cipro;
Utuse
a
partire
dal
V
secolo
a.C.
in
luogo
incerto,
poi
a
Perugia
e
Castiglione
della
Teverina;
Utzte
nuovamente
a
Perugia;
Utuste
a
Tarquinia
nel
IV
secolo
a.C.
Il
filologo
bizantino
Giovanni
Teztez
(XII
secolo
d.C.)
in
un
commento
al
dramma
sibillino
dell’Alessandra
(o
Cassandra),
del
poeta
ed
erudito
Licofrone
di
Calcide
(IV
o
III
secolo
a.C.),
scrive
che
in
occasione
del
suo
incontro
con
Enea
in
Etruria,
Ulisse
viene
definito
con
l’appellativo
di
nànos,
“colui
che
vagando
ha
esplorato
ogni
angolo
del
mare
e
della
terra”.
Termine
forse
che
vorrebbe
indicare
affinità
tra
l’indole
dell’eroe
e
l’anima
dei
Tirreni,
dediti
ai
viaggi
e
alla
navigazione
avventurosa.
Il
curatore
antico
spiega
l’oscuro
termine
come
un
vocabolo
di
origine
etrusca
dal
significato
di
colui
che
erra,
e lo
interpreta
liricamente
nel
senso
di
chi
si
muove
come
un
pianeta
vagante
nel
mezzo
del
firmamento.
Qualche
studioso
ha
trovato
una
corrispondenza
di
questo
nome
misterioso
anellenico
con
due
forme
indeclinabili
riconducibili
all’iranico
nana
ovvero
“in
molti
luoghi
diversi”
e al
sanscrito
nana
“in
diverse
maniere”,
con
l’inevitabile
analogia
al
“multiforme
ingegno”
e
all’insaziabile
sete
di
avventura
e
conoscenza
dell’eroe
greco.
Le
varianti
del
mito
di
Ulisse
in
Etruria
sembrerebbero
nascere
dal
desiderio
di
nobilitare
da
parte
dei
principi
Etruschi
la
propria
stirpe,
attraverso
una
discendenza
diretta
coll’eroe.
La
diffusione
e il
consolidamento
del
mito
avveniva
probabilmente
durante
il
convivio,
attraverso
il
canto
accompagnato
dalla
musica
in
cui
venivano
narrate
le
gesta
degli
eroi.
La
maggioranza
dei
reperti
riguardano
infatti
vasi
per
libagioni.
Nell’incertezza
della
tomba
dell’eroe,
se
eretta
sulla
costa
Tirrenica
nei
pressi
di
Alo
Pirgo
o su
un
colle
sfuggente
dell’Etruria,
intravediamo
in
una
felice
sospensione
del
tempo
la
lunga
ombra
di
Ulisse
vagare
nella
notte
etrusca,
tra
le
suggestive
necropoli
rupestri
della
Tuscia,
e
prima
dell’alba,
muoversi
dentro
divine
coppe
di
vino
scintillante
insieme
ai
compagni,
tra
arcani
canti,
aromatiche
spezie
e
gli
incantesimi
di
Circe,
mentre
insiste
il
tintinnio
lieve
delle
canne,
non
lontano
dalla
sonora
riva
del
mare.