contemporanea
a proposito dEGLI uiguri
valore e identità dI un popolo che gioca
un ruolo
DELICATO
negli equilibri
cina-occidente
di Francesco Antinolfi
La politica di Pechino nei confronti del
gruppo etnico uigura è cambiata
dall’incoraggiare una graduale
assimilazione economica e culturale –
supportata da misure energiche – a un
uso più immediato e indiscriminato della
forza fisica e ideologica a seguito dei
rapporti internazionali di un gran
numero di Uiguri inviati a campi di
detenzione. Questo è l’esempio più
lampante dell’intensificazione diffusa
della persecuzione religiosa in tutta la
Cina.
Fino a poco tempo fa gli Uiguri dello
Xinjiang, regione della Cina
occidentale, erano poco conosciuti fuori
dalla cerchia degli esperti. Oggi questa
minoranza musulmana e turcofona è
diventata il simbolo della repressione
messa in atto dal regime di Pechino, e
di conseguenza un tema cruciale della
politica internazionale. Il governo
cinese non è riuscito a “spegnere”
questo incendio e si trova ormai alle
prese con accuse gravi di violazione dei
diritti umani, con oltre un milione di
persone internate in campi di
rieducazione, cioè di lavori forzati. La
Cina è stata addirittura tacciata di
genocidio a causa delle sterilizzazioni
forzate, che rientrano nella definizione
di questo crimine.
Prima di entrare nel vivo della
tematica, facciamo solo un piccolo passo
indietro per capire chi sono gli Uiguri.
Storicamente, il termine “uiguri” (che
significa “alleati”, “uniti”) venne
applicato a un gruppo di tribù di lingua
turca che viveva nell’odierna Mongolia,
Insieme ai turchi Gok (celesti), gli
Uiguri furono dunque uno dei maggiori e
più importanti gruppi di lingua turca ad
abitare l’Asia centrale. Essi formarono
una federazione tribale retta dal Juan
Juan dal 460 al 545 e dagli Eftaliti dal
541 al 565; per poi essere sottomessi
dal khanato dei turchi Gok.
Gli Uiguri di oggi derivano dalla
commistione genetica tra gli antichi
abitanti indoeuropei stanziali delle
varie città-oasi della regione, cioè
Saci nella parte meridionale del bacino
del Tarim e Tocari nella parte
settentrionale, e le popolazioni turche
che sono quivi migrate nell’XI secolo, e
poi i musulmani Karakhanidi nel XI
secolo.
Il morfotipo degli Uiguri attuali è
rappresentativo della mescolanza
genetica tra indoeuropei e turchi, con
caratteristiche presenti negli attuali
popoli slavi, sia occhi scuri con plica
mongolica e capelli neri lisci, sia con
caratteristiche tipiche dei popoli
eurasiatici orientali, (come erano i
popoli turchi prima di intraprendere la
loro migrazione).
Etnia turco fona di religione islamica
che vive nel nord-ovest della Cina, sono
attualmente presenti soprattutto nella
regione autonoma dello Xinjiang, insieme
ai cinesi Han, costituendo la
maggioranza relativa della popolazione
della regione (46%). Altri gruppi vivono
nella contea di Taoyuan della provincia
dell Hunan (Cina centro-meridionale)
dove formano uno dei 57 gruppi etnici
ufficialmente riconosciuti in Cina, e
altre comunità uigure – diaspori – che
sono attestate nei paesi dell’Asia
centrale del Kazakistan, Kirghizistan e
Uzbekistan, e in Turchia. Comunità
uigure più piccole si attestate in
Afghanistan, Pakistan, Germania, Belgio,
PaesiBassi, Norvegia, Svezia, Russia,
Arabia Saudita, Australia, Canada e
Stati Uniti.
L’attività indipendentista uigura nei
confronti del governo cinese è possibile
attestarla già dalla prima metà del
Novecento e si proponeva come
alternativa all’egemonia dei signori
della guerra dello Xinjiang. Durante la
guerra civile cinese, si tentò per due
volte di istituire uno stato
indipendente: dapprima nel 1934, con la
creazione della Prima Repubblica del
Turkestan orientale, poi con la Seconda
Repubblica del Turkestan orientale,
istituita dieci anni dopo. La Seconda
Repubblica venne tuttavia annessa alla
Repubblica Popolare Cinese nel 1949.
Attualmente a livello nazionale la lotta
politica per l’indipendenza uiguri è
supportata sia dai gruppi panturchi, tra
cui il Partito del Turkestan Orientale,
sia da altri movimenti estremisti
musulmani, quali il Movimento Islamico
del Turkestan Orientale e
l’Organizzazione di Liberazione del
Turkestan Orientale; questi ultimi sono
attualmente presenti nella lista nera
statunitense dei gruppi terroristici
internazionali e sono responsabili di
attacchi alla popolazione Han,
all’esercito cinese e alle strutture
governative presenti nello Xinjiang.
Dal 2001, la lotta su scala mondiale al
terrorismo islamico ha coinvolto anche
alcuni dei gruppi politici d’ispirazione
islamica più vicini agli Uiguri; a
seguito di ciò, si è intensificata la
repressione da parte cinese dei
movimenti indipendentisti. Molti Uiguri
in esilio denunciano la sistematica
violazione dei diritti umani da parte
delle autorità cinesi che reprimono ogni
forma di espressione culturale del
popolo uiguro.
A seguito della morte di due Uiguri in
uno scontro fra Han e Uiguri
verificatosi il 26 giugno 2009 a
Shaoguan, una manifestazione uiguri
presso Ürümqi, nello Stato dello
Xinjiang, organizzata in onore delle due
vittime di Shaoguan è degenerata in una
serie di scontri etnici; gli scontri
hanno coinvolto sia le due etnie, sia
gli Uiguri stessi e la polizia cinese,
con un numero finale di 184 vittime, di
cui 137 di etnia Han e 46 Uiguri , oltre
che l’arresto di 1.434 persone, delle
quali 200 sono sotto processo e
rischiano la pena di morte. Si sono
verificate ripercussioni anche a livello
internazionale: parallelamente agli
scontri nello Xinjiang, proteste si sono
verificate nei Paesi Bassi e in Germania
presso le sedi diplomatiche cinesi.
Fra i responsabili degli scontri etnici,
il governo cinese ha indicato Rebiya
Kadeer, imprenditrice e attivista uigura
esule negli Stati Uniti, la quale ha
tuttavia negato ogni responsabilità
circa quanto accaduto. I ribelli uiguri
sono accusati del massacro (33 morti e
135 feriti) compiuto da un gruppo non
identificato nella stazione ferroviaria
di Kunming, capoluogo della provincia
cinese dello Yunnan (1º marzo 2014).
Inizialmente Pechino aveva saputo
contenere le denunce presentando le sue
azioni nello Xinjiang come un’operazione
antiterrorismo, anche perché si sono
effettivamente verificati atti violenti
attribuiti agli Uiguri. Inizialmente la
Cina, inoltre è riuscita a neutralizzare
qualsiasi critica proveniente dai paesi
musulmani, ottenendone addirittura
l’appoggio alle Nazioni Unite grazie al
suo peso politico. Ma la diga, alla
fine, non ha retto.
Per comprendere la situazione bisogna
tenere presente la logica dei leader
cinesi rispetto a questa minoranza
nazionale e religiosa. Dietro i discorsi
di armonia tra i 56 popoli che
costituiscono la nazione cinese,
infatti, si cela un rullo compressore
che vuole cancellare le identità
minoritarie, soprattutto nella
dimensione religiosa.
Solo nel corso del 2018 si sono
intensificate le polemiche sulla
detenzione di un gran numero di Uiguri
in campi di “trasformazione attraverso
l’educazione” e sull’esatta natura di
questi campi. Il governo cinese
sosteneva che si trattasse di
istituzioni educative. Nel 2018 il
magazine quotidiano online Bitter
Winter ha pubblicato video che
afferma essere stati filmati all’interno
dei campi e che mostrano strutture
simili a prigioni.
Anche sulle ragioni ultime di questa
politica non mancano le controversie. La
Cina affermava che tali misure di
“rieducazione” sono necessarie per
prevenire la radicalizzazione e il
terrorismo, mentre studiosi occidentali
pensano che quella che preoccupa il
governo del presidente Xi Jinping sia
una rinascita religiosa nella regione
che ha colto le autorità di sorpresa.
La campagna di “sinizzazione” del
governo di Xi Jinping, mirata non solo
contro l’islam ma anche contro il
cristianesimo e il buddismo tibetano.
Tra le azioni portate avanti dal governo
cinese ad esempio, nelle aree popolate
dagli uiguri – ma anche dagli hui, altra
minoranza musulmana del paese – le
moschee sono state rase al suolo perché
considerate l’espressione di
un’architettura troppo mediorientale,
oppure si segnalano casi di caratteri
arabi recentemente coperti nelle insegne
dei ristoranti halal.
Ma nello Xinjiang, oltre a una
“battaglia contro le religioni” è
presente anche una guerra legata a un
fattore strategico ed economico. Questa
immensa provincia occidentale non solo
racchiude risorse petrolifere, ma
costituisce la frontiera esterna della
Cina, con gli stati dell’Asia centrale,
quei territori che una volta
costituivano l’Unione Sovietica. Si
tratta di un’area fondamentale nelle
nuove vie della seta promesse da Pechino
e di conseguenza dei rapporti con
l’occidente.
La partita è tanto più squilibrata se
teniamo conto che la Cina sfrutta l’arma
demografica. Un tempo i circa dodici
milioni di Uiguri rappresentavano la
maggioranza nella regione, ma sono ormai
diventati minoritari a causa
dell’afflusso (incoraggiato) di
contadini poveri dal resto della Cina,
con un'attività che ebbe inizio in
maniera minore già negli anni 60/70,
esponenti della popolazione dominante
nel paese, gli han. I leader cinesi non
amano la parola “colonizzazione”, ma è
sostanzialmente ciò che sta accadendo.
Stando a quanto dichiarato da alcune
ONG, le autorità cinesi sono
responsabili della repressione delle
tradizioni culturali uigure e di
violazione dei diritti umani nei
confronti degli appartenenti a
quest’etnia. Le proteste contro il
trattamento riservato agli uiguri sono
rimaste a lungo isolate, ma il clima di
tensione tra l’occidente e la Cina ha
dato alla vicenda una nuova dimensione.
Pechino ha ragione quando accusa
l’amministrazione Trump di sfruttare gli
Uiguri nell’ambito della sua guerra
fredda contro la Cina, ma questo non
toglie nulla alla tragicità di ciò che
accade nello Xinjiang. La Cina non
permette alcuna inchiesta indipendente
sul posto, ma questo sarebbe l’unico
modo di dare un peso alle sue smentite.
Il governo di Pechino farebbe meglio a
lasciare entrare gli investigatori
dell’Onu, se davvero non ha niente da
nascondere. |