N. 137 - Maggio 2019
(CLXVIII)
bASTA SPARARE
VOLODYMYR ZELENS'KYJ, IL DONBASS E UNA PACE A OGNI COSTO
di
Mariia
Boiko
L’Ucraina
si
trova
oggi
a
far
fronte,
per
il
quinto
anno
consecutivo,
all’invasione
russa.
Il
neo
presidente
eletto
ucraino
Volodymyr
Zelens’kyj
ha
recentemente
dichiarato,
che
per
far
cessare
le
ostilità
nel
Donbass
è
disposto
a
prendere
decisioni
difficili
e a
rischiare
di
perdere
consensi
tra
i
suoi
elettori.
Dall’altra
parte,
il
governo
russo
ha
dichiarato,
invece,
sin
dall’inizio
del
conflitto,
che
nel
Donbass
è in
atto
una
guerra
civile,
dove
la
Russia
non
è
direttamente
coinvolta.
Però
questo
“essere
estranea
ai
fatti”
non
impedisce
alla
Russia
di
distribuire
passaporti
nella
zona
contesa,
com’è
già
successo
nella
penisola
della
Crimea
nel
2014
prima
dell’annessione.
Lo
scenario
che
abbiamo
visto
svolgersi
in
Crimea
si
ripeterà
anche
nel
Donbass?
La
situazione
richiede
un’azione
forte
del
presidente
ucraino,
se
non
vuole
cedere
altre
zone
del
territorio
del
suo
Paese
alla
Russia.
Volodymyr
Zelens’kyj
ha
sciolto
la
Verkhovna
Rada,
il
Parlamento
unicamerale
ucraino,
e ha
annunciato
un
referendum
consultivo,
per
chiamare
tutti
i
cittadini
a
esprimersi
sulla
trattativa
con
la
Russia.
Il
mondo
sta
vivendo
un
periodo
di
conflitti
politici,
di
cui
le
vittime
principali
sono
i
popoli
e in
cui
gli
interessi
economici,
purtroppo,
vincono
gli
interessi
di
ogni
singolo
"essere
umano".
Possiamo
fare
molti
esempi
di
terre
e di
nazioni
macchiate
dal
sangue,
che,
se
fosse
acqua,
sgorgherebbe
copioso
sul
mondo
intero.
C’è
un
popolo,
a
cui
appartengo,
che
soffre
della
stessa
malattia,
di
un
conflitto
che
non
è
mai
iniziato
sulla
carta,
ma
che
fa
vittime
da
oltre
cinque
anni.
Sto
parlando
del
popolo
ucraino
e
della
sua
tragedia,
la
guerra
del
Donbass
e la
conquista
russa
della
penisola
di
Crimea.
Un
outsider
del
sistema
politico,
con
nessuna
esperienza
nel
settore,
ha
ottenuto
un
enorme
successo:
il
73,22%
dei
voti
durante
le
ultime
elezioni
presidenziali
del
2019
in
Ucraina.
È un
fatto
unico
nella
storia
politica
del
Paese.
Sostenendo
Volodymyr
Zelens’kyj,
il
popolo
ucraino
ha
votato
soprattutto
contro
il
vecchio
sistema
politico,
contro
la
corruzione,
contro
l’egemonia
degli
oligarchi,
contro
le
tasse
troppo
elevate,
contro
la
pessima
qualità
dei
servizi
sociali
e
contro
tutte
le
promesse
non
mantenute.
L’ex
presidente
ucraino
Petro
Porošenko,
che
è
stato
criticato
anche
per
aver
gestito
in
modo
clientelare
il
settore
della
difesa
militare,
aveva
fatto
la
plateale
promessa
di
far
cessare
la
guerra
nel
Donbass
in
due
settimane,
ma
ciò
non
è
mai
avvenuto.
Volodymyr
Zelens’kyj,
dopo
aver
giurato
sulla
costituzione,
si è
insediato
e
sta
muovendo
i
primi
passi
contro
l’entourage
di
Porošenko.
Recentemente
Zelens’kyj
ha
dichiarato:
«Non
capisco
perché
tutto
quello
che
sta
facendo
il
nostro
governo
è
fare
spallucce
e
dire
che
non
può
fare
nulla.
Questo
è
sbagliato:
potete
prendere
un
pezzo
di
carta
e
una
penna
e
liberare
il
vostro
posto
a
chi
penserà
alle
prossime
generazioni,
invece
che
alle
prossime
elezioni».
Zelens’kyj
ha
chiesto,
inoltre,
le
dimissioni
del
direttore
dei
servizi
di
sicurezza,
Vasyl
Hrytsak,
del
procuratore
generale,
Yuriy
Lutsenko,
e
del
ministro
della
difesa
Stepan
Poltorak.
Il
presidente
si è
spinto
oltre
e ha
sciolto
il
parlamento
con
la
motivazione
che
la
fiducia
che
la
società
civile
ripone
nell’istituzione
attualmente
è
del
2-3%,
traghettando
così
l’Ucraina
a
elezioni
parlamentari
anticipate,
che
si
svolgeranno
il
21
luglio.
La
legittimità
della
sua
richiesta
è in
discussione
tra
i
deputati,
che
ovviamente
non
vogliono
perdere
il
loro
posto
nella
Rada,
infatti
62
deputati
hanno
fatto
un
appello
alla
corte
costituzionale
per
impedire
lo
scioglimento
del
Parlamento.
Zelens’kyj
ha
dato
due
mesi
di
tempo
ai
deputati
per
approvare
una
serie
di
leggi
straordinarie,
tra
cui
l’abolizione
dell’immunità
parlamentare,
approvare
un
nuovo
codice
elettorale
e
una
legge
contro
l’arricchimento
illecito.
Al
momento
i
parlamentari
della
Rada
hanno
rifiutato
di
modificare
la
normativa
elettorale,
rifiutandosi
di
includere
le
proposte
di
legge
del
presidente
all’ordine
del
giorno
dell’ultima
riunione
straordinaria.
Zelens’kyj
ha
proposto
allora
di
abbassare
la
soglia
di
sbarramento
per
la
Rada
dal
5%
al
3%,
per
il
principio
di
democrazia
diffusa,
per
permettere
anche
a
forze
politiche
minoritarie
di
accedere
al
Parlamento.
Attualmente,
i
450
membri
della
Rada
sono
eletti
ogni
cinque
anni
con
un
sistema
misto.
La
metà
invece
è
eletta
con
sistema
maggioritario
uninominale
a un
turno
e
l’altra
metà
con
sistema
proporzionale
a
collegio
unico
nazionale
con
lo
sbarramento
al
5%,
quello
che
Zelens’kyj
vuole
portare
al
3%.
Il
nuovo
presidente
ucraino
ha
intenzione
di
abolire
il
sistema
misto
e
trasformarlo
in
un
sistema
proporzionale
puro.
L’Ucraina
è
una
repubblica
premier-presidenziale,
dove
il
primo
ministro
e il
suo
gabinetto
sono
esclusivamente
responsabili
davanti
al
Parlamento.
Il
presidente
sceglie
il
primo
ministro
e il
gabinetto,
ma
solo
il
Parlamento
può
rimuoverli
dal
loro
incarico
con
un
voto
di
sfiducia.
Il
presidente
non
ha
il
diritto,
infatti,
di
revocare
il
primo
ministro
o il
gabinetto.
Il
presidente
può
però
esercitare
il
diritto
di
sciogliere
il
Parlamento,
come
è de
facto
accaduto
subito
dopo
l’insediamento
di
Zelens’kyj.
Tutto
ciò
premesso,
si
deduce
che
solo
avendo
una
maggioranza
parlamentare
solida
il
presidente
ucraino
ha
un
sufficiente
margine
di
manovra
per
poter
attuare
le
riforme
politiche
ed
economiche
previste
dal
suo
programma.
La
questione
più
importante
che
dovrà
affrontare
il
neo
presidente
durante
il
suo
mandato
resta
comunque
quella
di
risolvere
il
conflitto
nel
Donbass.
Infatti,
durante
la
cerimonia
del
suo
insediamento,
Zelens’kyj
ha
dichiarato
che
farà
tutto
il
possibile
affinché
gli
“eroi”
della
Patria
smettano
di
morire
e,
se
necessario,
è
disposto
a
mettere
a
rischio
la
sua
carica
per
portare
la
pace.
Il
primo
passo
per
l’avvio
di
un
dialogo
costruttivo
dovrebbe
essere,
secondo
il
neo
presidente,
l’immediata
scarcerazione
dei
prigionieri
che
sono
attualmente
detenuti
nella
Federazione
Russa.
Si
tratta
di
problemi
politico-diplomatici
molto
complessi
da
risolvere,
perché
richiedono
decisioni
difficili
e a
volte
impopolari.
Se
il
neo
presidente
sarà
in
grado
di
mantenere
le
promesse,
passando
dalle
parole
ai
fatti,
senza
utilizzare
dichiarazioni
populiste
al
fine
di
manipolare
l’opinione
pubblica,
sarà
dimostrato
nel
tempo,
ci
asteniamo
ora
da
fare
previsioni.
Zelens’kyj
ha
promesso
di
voler
mantenere
in
piedi
l’accordo
di
Minsk
e il
"formato
normanno".
Ricordiamo
che
l’11
e il
12
febbraio,
al
vertice
di
Minsk
nel
2015,
i
leader
di
Germania,
Francia,
Ucraina
e
Russia,
con
il
“Formato
di
Normandia”,
hanno
coordinato
una
serie
di
misure
per
de-localizzare
il
conflitto
armato
nell’est
dell’Ucraina.
Tuttavia,
il
neo
presidente
propone
di
fare
un
referendum
consultivo,
senza
perciò
nessun
valore
legislativo,
per
chiamare
tutti
i
cittadini
ucraini
a
esprimersi
sulla
trattativa
diplomatica
con
la
Russia,
prima
di
affrontare
la
questione
a
livello
internazionale.
In
Ucraina
era
in
vigore
fino
al
2018
una
legge
sul
referendum,
approvata
durante
la
presidenza
di
Viktor
Yanukovych,
ma
dichiarata
incostituzionale
nel
mese
di
aprile
2018
dalla
Corte
costituzionale
ucraina.
Attualmente,
quindi,
l’Ucraina
non
dispone
di
nessuna
legge
sul
referendum.
Secondo
un
sondaggio
condotto
dal
Centro
per
il
monitoraggio
sociale
dell’Istituto
ucraino
di
ricerca
sociologica
intitolato
a
Oleksandr
Yaremenko,
svolto
insieme
al
gruppo
sociologico
Reitung
e
che
ha
coinvolto
ventiquattro
regioni
dell’Ucraina
e la
capitale
Kiev,
il
75%
degli
Ucraini
è
favorevole
alla
trattativa
diretta
tra
Zelens’kyj
e
Putin,
mentre
il
55%
si è
espresso
per
i
colloqui
personali
tra
il
neo
presidente
ucraino
e i
leader
DNR
e
LNR
(le
repubbliche
autoproclamate
nella
zona
del
conflitto),
infine
il
39,9%
degli
intervistati
ritiene
che
sia
necessario
concedere
ai
territori
contesi
uno
statuto
speciale
che
preveda
l’autonomia.
E
proprio
su
questo
punto
delicato
Zelens’kyj
dovrà
dimostrare
la
sua
abilità
politica.
Secondo
il
vicedirettore
dell’Istituto
di
politica
internazionale
(Інститут
світової
політики
–
ІСП),
Mukola
Beleskov,
è
ora
un
momento
decisivo
per
il
presidente,
perchè
il
vero
leader
è
colui
che
guida
le
masse
e
non
colui
che
è
guidato
dalle
masse.
Certamente,
dare
largo
spazio
all’opinione
pubblica
è
fondamentale
e
rappresenta
un
esercizio
di
democrazia,
ma
discutere
con
i
leader
del
DNR
e
del
LNR
di
autonomia
significherebbe
fare
il
gioco
del
governo
russo.
Per
esempio,
un
esperto
di
politica
russa,
Sergei
Stankevich,
offre
una
soluzione
razionale
e
pacifica
del
conflitto
russo-ucraino,
che
punta
tutto
nella
trasformazione
dei
separatisti
(DNR
e
LNR)
in
autonomisti.
Ma
si
tratta
dell’autonomia
del
Donbass
in
Ucraina
o in
Russia?
L’Ucraina
non
può
accettare
una
tale
posizione.
Il
presidente
ucraino
dovrà
prendere
una
decisione
e
fare
la
sua
scelta.
Per
il
Cremlino
l’idea
di
fare
un
referendum
sulle
relazioni
con
la
Russia
è
«un
affare
interno
ucraino»,
ha
commentato
il
portavoce
del
presidente
della
Russia,
Dmitry
Peskov.
Sulla
questione
di
un
possibile
referendum
sulla
pace
tra
l’Ucraina
e la
Russia,
Peskov
ha
ribadito:
«Non
ci
sono
conflitti
armati
tra
i
nostri
due
Paesi,
in
Ucraina
c’è
una
guerra
civile».
Il
24
aprile
Putin
ha
emesso
un
decreto
che
riguarda
la
procedura
semplificata
per
poter
ottenere
la
cittadinanza
russa,
che
è
destinato
ai
residenti
delle
regioni
ucraine
temporaneamente
occupate,
Donetsk
e
Luhansk,
con
un
obiettivo
ben
preciso
e
giustificato
con
la
necessità
di
«tutelare
i
diritti
umani
e
civili
e le
libertà
dei
residenti
russofoni
del
Donbass»,
manifestata
con
una
solida
narrativa
del
Cremlino
che
si
appella
ai
fondamenti
del
diritto
internazionale.
Allora
è
abbastanza
chiaro
che
tra
poco
ci
sarà
un
certo
aumento
di
cittadini
russi,
appena
riconosciuti,
in
territorio
ucraino.
È
impossibile
escludere
la
possibilità
di
un
nuovo
pseudo
referendum,
come
nel
2014
in
Crimea,
ora
nel
Donbass.
Perchè
l’esperienza
della
Crimea
ha
già
dimostrato
quanto
Mosca
è in
grado
di
fare
pressione
su
coloro
che
si
trovano
sotto
il
suo
controllo,
costringendo
la
gente
a
rinunciare
alla
cittadinanza
ucraina
a
favore
della
Russia
e
aumentando
il
potere
del
Cremlino
sul
territorio.
A
questa
guerra
d’informazione
bisogna
reagire
con
gli
ordini
del
presidente,
sostengono
gli
esperti
ucraini,
con
azioni
militari,
altrimenti
l’Ucraina
rischia
di
perdere
non
solo
la
stabilità
economica
e
politica,
ma
in
primis
l’integrità
territoriale.
Secondo
il
giornalista
ucraino
Vitalij
Portnikov,
solo
un
forte
ed
effettivo
legame
con
l’Occidente
lascia
la
speranza
di
preservare
l’integrità
territoriale
dell’Ucraina
in
futuro.
Il
rifiuto
di
una
tale
alleanza,
ignorando
la
possibile
cooperazione
con
gli
Stati
Uniti
e
l’UE,
non
lascia
all’Ucraina
nessuna
chance,
aumentando
la
possibilità
da
parte
dei
Paesi
occidentali,
in
primis
quelli
appartenenti
all’UE,
di
non
prendere
in
futuro
in
considerazione
il
rinnovo
delle
sanzioni
alla
Russia
e di
non
fare
più
pressione
su
di
essa,
legittimando
de
facto,
ancora
una
volta,
le
sue
pretese
territoriali.
Questo
potrebbe
accadere
se
la
politica
del
presidente
ucraino
non
si
dimosterà
abbastanza
efficace,
perché
il
passaggio
verso
l’indebolimento
della
pressione
sul
Cremlino
è
già
iniziato
a
livello
internazionale.
Va
sottolineato
che
il
17
maggio
scorso
il
Consiglio
d’Europa
ha
adottato
una
dichiarazione
che
permette
alla
Russia
di
restare
membro
del
CdE,
dopo
un’aspra
controversia
tra
i
quarantasette
Stati
membri
a
seguito
dell’annessione
della
Crimea.
Riunito
a
Helsinki,
il
CdE
ha
votato
a
stragrande
maggioranza
a
favore
di
una
dichiarazione
in
cui
si
afferma
che
«tutti
gli
Stati
membri
dovrebbero
avere
il
diritto
di
partecipare
su
base
paritaria»
alla
commissione
dei
ministri
e
all’assemblea
parlamentare
del
Consiglio.
Durante
la
discussione
Francia
e
Germania
avevano
richiesto
limitazioni
al
voto
della
Russia,
ma
la
loro
posizione
è
rimasta
minoritaria.
Naturalmente
l’Ucraina
ha
reagito
con
disappunto
alla
decisione
del
CdE,
che
mette
fine
a un
quinquennio
di
discussioni
in
seno
al
CdE.
«Questa
non
è
diplomazia,
questa
è
una
resa»,
ha
dichiarato
all’AFP
l’inviato
dell’Ucraina
al
Consiglio
d’Europa,
Dmytro
Kuleba.
Con
l’Ucraina
hanno
votato
solo
altri
cinque
Paesi
contro
il
pieno
rinserimento
della
Russia
nel
CdE.
«Dopo
l’annessione
della
Russia
con
un
referendum
che
sappiamo
bene
com’è
andato,
si é
creata
una
spaccatura
ancora
più
forte.
La
questione
ucraina
è,
ovviamente,
molto
complessa»,
ha
sottolineato
Antonella
Napoli,
giornalista
professionista
italiana
che
si
occupa
dei
diritti
umani
e
direttrice
di
Focus
on
Africa,
partecipando
alla
terza
edizione
del
workshop
sul
giornalismo
al
Dipartimento
di
Scienze
Politiche
dell’Università
degli
studi
Roma
Tre.
«Oltre
a
essere
un
problema
per
l’enorme
costo
di
vite
umane
è
anche
un
problema
economico,
perché
si
tratta
di
una
realtà
in
cui
c’è
un
conflitto
permanente,
è
chiaro
che
un
Paese
in
una
situazione
simile
non
ha
possibilità
di
sviluppo.
Il
business
e i
rapporti
geo-politici
hanno
un
peso
che
schiaccia
inevitabilmente
sia
i
diritti
umani
che
gli
interessi
del
popolo
sovrano
e
delle
persone
che
poi
subiscono
le
decisioni
istituzionali.
È
assoluta
la
necessità
di
risolvere
questa
crisi
politico-conflittuale.
Lo
puoi
fare
soltanto
andando
al
tavolo
delle
trattative
includendo
tutti
i
protagonisti
del
conflitto».
Anche
se
non
è
molto
entusiasta
del
nuovo
presidente
Volodymyr
Zelens’kyj,
perchè
le
sembra
filorusso
e
populista,
Antonella
Napoli
ritiene
che
il
neo
presidente
eletto
abbia
quantomeno
dimostrato
l’intenzione
di
voler
provare
a
risolvere
il
problema,
di
voler
fare
qualche
passo
in
avanti
sul
conflitto
e
cercare
una
chiave
che
possa
aprire
una
nuova
porta
al
popolo
ucraino.
Da
parte
mia
spero
molto
che
i
principi
umanitari
vincano
sui
principi
dello
sfruttamento
economico
e
che
ogni
singolo
essere
umano
sia
apprezzato
come
un
valore
inestimabile.
Quando
parliamo
della
perdita
dell’integrità
territoriale
e di
guerra,
dobbiamo
parlare
di
quanto
la
gente
sia
coinvolta
e
soffra,
delle
vite
distrutte,
dei
reati
contro
l’umanità.
Nel
caso
dell’Ucraina
bisogna
combattere
con
la
forza
della
parola,
con
la
politica
della
pace
basata
sulla
dignità
e
sui
diritti
umani
contro
l’agressore
russo,
che
col
tempo
non
riesce
a
scrollarsi
di
dosso
le
pretese
imperialistiche
centenarie,
affetto
dal
virus
che
lo
spinge
a
conquistare
terre
che
non
gli
appartengono,
nascondendosi
dietro
al
principio
della
tutela
dei
diritti
umani
e
della
"pace
russa".
Che
menzogna.
Non
si
protegge
con
l’arma,
si
distrugge
solo.