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N. 51 - Marzo 2012 (LXXXII)

caos ucraina
contraddizioni e isolamento

di Marco Siddi

 

In un tiepido pomeriggio di settembre, mi dirigo verso il confine polacco-ucraino attraverso le colline della Polonia sud-orientale. La distanza tra Lublino, il mio punto di partenza in Polonia, e Lviv, la mia destinazione, è di poco superiore ai 200 chilometri. Spero dunque di arrivare nell'antica città austroungarica e polacca prima del tramonto. Raggiunta la frontiera nei pressi di Tomaszov, mancano poco più di 70 chilometri fino a Lviv. Ma qui cominciano gli intoppi. Mi ritrovo in una lunga fila di macchine che avanza con lentezza esasperante. Prima il controllo di frontiera polacco, poi quello ucraino. Si riparte dopo tre ore, arrivo a Lviv a notte fonda.

Due giorni dopo, lo scenario si ripete nella direzione opposta. Stavolta parto da Lviv più tardi, sperando ingenuamente che l'attraversamento della frontiera sia meno complicato che all'andata. In realtà, il tempo di attesa al confine raddoppia al ritorno: sei ore, di cui più di cinque ai controlli di frontiera ucraini.

Dal lato ucraino della frontiera si capisce molto meglio la natura dei problemi di questa porta d'ingresso all'area Schengen.

 

Il confine è letteralmente intasato da contrabbandieri, in prevalenza ucraini, ma anche polacchi. Molti viaggiano in vecchie automobili, accompagnati da donne, per dare al loro viaggio una parvenza di normalità. Corrompere le guardie di confine ucraine non è difficile, bastano 150-200 grivnie (15-20 euro) o una buona bottiglia. Del resto, le guardie ucraine amano fare lunghe pause non autorizzate durante le quali bevono alcol in grosse quantità; lo fanno in modo poco discreto, andando a comprare l'alcol al duty-free shop della frontiera. Poco importa se c'è una fila di macchine che attende da ore di attraversare il confine. Alcuni automobilisti perdono la pazienza e decidono di tagliare la fila corrompendo un poliziotto.

Le guardie di confine polacche fanno quello che possono. Controllano le automobili e arrestano sotto i miei occhi una famiglia di contrabbandieri ucraini. Ma c'è chi dice che, anche dal lato polacco del confine, alcune guardie non si mettano troppi problemi a collaborare coi contrabbandieri. E, a giudicare dalle molte facce soddisfatte appena varcata la frontiera, appare evidente che molta della “merce” sfugge ai controlli.

La strada che ho percorso è il principale collegamento tra Varsavia e Lviv. Entrambe ospiteranno partite dell'europeo di calcio fra quattro mesi, difficile immaginare come tifosi e turisti possano viaggiare da un Paese all'altro attraverso una simile frontiera. Ma il confine non è che uno dei problemi che si troverebbero davanti se decidessero di intraprendere un viaggio nell'Ucraina occidentale.

 

Poco oltre la frontiera, l'asfalto scompare per una ventina di chilometri, si viaggia sul fondo stradale. Arrivati a Lviv, si rimane colpiti dallo stato di degrado in cui versano ampie zone del centro città, dalla povertà e dall'odore nauseabondo che inonda le strade la mattina – a detta dei miei accompagnatori polacchi, il sistema fognario risale al periodo austroungarico e ha avuto poca manutenzione.

Corruzione, degrado e la povertà delle masse accanto all'opulenza di pochi: questa è l'Ucraina venti anni dopo il crollo dell'URSS. Due generazioni di politici post-sovietici, alcuni dei quali calorosamente sostenuti da Stati Uniti e Unione Europea, non hanno fatto altro che acuire i problemi del Paese.

Innanzitutto, l'Ucraina è un paese spaccato in due tra la popolazione filorussa, stanziata soprattutto in Crimea e nelle grandi città orientali di Donetsk, Dnipropetrovsk e Kharkiv, e gli ucraini occidentali, che parlano una lingua diversa (più simile al polacco, anche se scritta con caratteri cirillici) e sono in genere avversi all'influenza russa.

E' questa differenza di orientamento strategico che, nello scorso decennio, ha spinto l'amministrazione di George W. Bush a sostenere la rivoluzione arancione antirussa di Viktor Juscenko e Julija Timoscenko nel 2004. Una rivoluzione che di democratico o di nuovo aveva ben poco, data l'appartenenza dei suoi leaders alla vecchia nomenklatura, e che si è conclusa in farsa, con un violento conflitto tra Juscenko e Timoscenko. Ricandidatosi come presidente uscente alle elezioni del 2010, Juscenko ha preso poco più del 5% dei voti. Uno dei suoi ultimi atti è stato quello di elevare Stepan Bandera, nazionalista ucraino che tentò di collaborare coi nazisti durante il secondo conflitto mondiale, al rango di eroe dell'Ucraina.

Pur mantenendo un certo livello di sostegno elettorale, la Timoscenko è stata sconfitta alle elezioni del 2010 dal filorusso Janukovic, che era già stato costretto ad abbandonare la presidenza nel 2004 sotto l'accusa di essere stato eletto grazie a brogli. Nel 2010 l'elezione di Janukovic è stata tutto sommato regolare. Com'era prevedibile, il nuovo presidente ha riavvicinato il Paese alla Russia, estendendo l'affitto della base navale di Sebastopoli alla flotta russa fino al 2042. L'opposizione di Timoscenko si è scagliata in modo veemente contro questa decisione, senza però ottenere risultati.

Una volta terminato lo scontro sulla base navale, era lecito attendersi un periodo di maggiore calma nella politica ucraina. Invece, la situazione è precipitata nuovamente con l'arresto della Timoscenko, accusata di abuso d'ufficio per aver concluso un accordo energetico con Mosca che sarebbe disastroso per l'Ucraina. L'arresto ha riportato la Timoscenko alla ribalta, in particolare grazie all'ottimo lavoro di pubbliche relazioni fatto dal suo staff. I mass media e i capi di governo occidentali si sono subito affrettati a criticare Kiev per le presunte motivazioni politiche dell'arresto, senza però analizzare a fondo la situazione. Al coro occidentale stavolta si è aggiunta anche la Russia, che dall'accordo energetico con l'Ucraina trarrebbe notevoli vantaggi.

Se si vanno a guardare i dettagli dell'accordo ucraino-russo, si scopre tuttavia che la Timoscenko è andata ben oltre i suoi poteri, sia nelle trattative con la Russia, sia per ottenere l'approvazione dell'accordo in Ucraina. Le pressioni internazionali su Kiev restano la sua unica speranza in sede legale. Janukovic, apparendo come mandante politico dell'arresto, rischia di inimicarsi ulteriormente l'occidente e di riaprire un contenzioso energetico con la Russia, che considera la condanna della Timoscenko come un primo passo verso l'annullamento dell'accordo vigente.

L'affare Timoscenko rischia dunque di condurre il Paese verso l'isolamento internazionale. Kiev si trova dinanzi al dilemma: andare fino in fondo con la condanna della Tymoscenko e subirne le conseguenze internazionali, oppure fare marcia indietro e concedere una grande vittoria mediatica al leader dell'opposizione? Mentre ci si interroga su quale decisione prendere, l'Ucraina continua ad essere dilaniata dalle sue contraddizioni politiche interne, immersa in un grave degrado sociale ed economico e abbandonata ad una classe dirigente irrimediabilmente corrotta.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Dakli, Astrit, ‘Tutti difendono Yulija’, Il Manifesto, 8 agosto 2011, <http://blog.ilmanifesto.it/estestest/2011/08/08/tutti-difendono-yulija/ >
Grazioli, Stefano, ‘Ucraina, gli errori di Victor’, Limes, 25 gennaio 2012, <http://temi.repubblica.it/limes/ucraina-gli-errori-di-victor/31608>
Iarmoliuk, Ilona: ‘Tymoshenko trial: gas, lies and stereotypes’, EUObserver, 12 settembre 2011, <http://euobserver.com/24/113571>
‘Report paints black picture of Ukraine’, EurActiv, 20 gennaio 2012, <http://www.euractiv.com/europes-east/report-paints-bleak-picture-ukraine-news-510265>
‘Yushchenko grants hero status to controversial Ukrainian nationalist’, Radio Free Europe, 22 gennaio 2010, <http://www.rferl.org/content/Yushchenko_Grants_Hero_Status_To_Controversial _Ukrainian_Nationalist/1937123.html>



 

 

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