N. 35 - Novembre 2010
(LXVI)
TUTTI A CASA
Il sit-it dell’audiovisivo sul red carpet dell’Auditorium
di Leila Tavi
“La
cultura
non
si
mangia”
sostiene
il
ministro
dell'Economia
e
delle
Finanze
Giulio
Tremonti;
“Ma,
forse
lui
non
lo
sa,
nutre
lo
stesso
permettendo
a
centinaio
di
migliaia
di
persone
che
la
producono
di
mangiare”,
controbatte
il
comunicato
stampa
del
28
ottobre
dei
manifestanti
che
hanno
partecipato
ieri
alla
grande
manifestazione
organizzata
da
tutte
le
associazioni
e le
maestranze
del
settore.
Registi,
attori,
sceneggiatori,
produttori,
costumisti,
truccatori,
elettricisti,…
sono
scesi
in
piazza
tutti
uniti
ieri
sera
per
occupare
simbolicamente
la
passerella
del
Festival
internazionale
del
film
di
Roma
in
occasione
dell’inaugurazione
della
V
edizione.
Il
movimento
è
stato
chiamato
Tutti
a
casa,
dal
significato
ambivalente:
da
una
parte
è
rivolto
ai
governanti
con
l’invito
a
ritirarsi,
dall’altra
rimarca
come
il
settore
sia
in
forte
crisi.
La
scelta
d’ispirarsi
all’omonimo
film
di
Comencini
del
1960
è
data
dal
fatto
che
il
grande
cinema
italiano
ha
sempre
trovato
un
modo
ironico
e
comprensibile
alla
gente
comune
per
parlare
dei
mali
dell’Italia.
A
leggere
il
documento
sottoscritto
da
trentadue
associazioni
è
stato
il
presidente
della
giuria
internazionale
del
Festival
di
Roma,
Sergio
Castellitto,
che
ha
espresso,
insieme
ai
suoi
colleghi
stranieri,
la
piena
solidarietà
all’iniziativa,
così
come
l’organizzazione
del
Festival,
che
ha
permesso
il
regolare
e
pacifico
svolgimento
della
manifestazione,
senza
l’intervento
della
forza
pubblica
per
sgombrare
il
red
carpet.
Solidarietà
è
stata
inoltre
espressa
dal
cast
del
film
d’apertura
del
Festival
Last
Night,
che
ha
rinunciato
alla
consueta
passerella
glamour
per
la
causa.
Dopo
l’occupazione
della
Casa
del
Cinema
il
sit-in
è la
seconda
di
una
serie
di
manifestazioni,
che
il
mondo
dell’audiovisivo
italiano
ha
messo
in
atto
per
dimostrare
all’opinione
pubblica
di
non
volere
subire
passivamente
i
pesanti
tagli
e le
privazioni
che,
attraverso
la
finanziaria,
il
governo
ha
deciso
di
infliggere
al
cinema
italiano
a
scopo
punitivo.
La
finanziaria
ha
ridotto
infatti
ai
minimi
storici
i
soldi
stanziati
per
il
Fondo
Unico
dello
Spettacolo,
così
che
anche
altri
settori
della
cultura,
come
la
musica
e il
teatro,
rischiano
il
collasso.
Il
comunicato
stampa
è
stato
sottoscritto
da
tutte
le
associazioni,
riunite
venerdì
scorso
alla
Casa
del
Cinema,
insieme
a
una
serie
d’iniziative
congiunte
volte
a
contestare
apertamente
la
linea
dura
governativa.
Il
cinema
italiano
aveva
iniziato
a
risalire
la
china
lentamente
dopo
il
fenomeno
Garrone
e
Sorrentino
due
anni
fa,
dimostrando
che
i
soldi
investiti
nel
cinema,
soprattutto
dalle
imprese
private
attraverso
il
sistema
del
tax
credit,
non
sono
a
fondo
perduto,
ma
risorse
che
possono
rientrare
nelle
casse
dello
Stato
triplicate
sotto
forma
di
tasse.
Ebbene
il
governo
ha
tolto
al
cinema
anche
questa
risorsa,
che
nulla
ha a
che
vedere
con
il
finanziamento
pubblico.
La
mia
famiglia
ha
vissuto
di
cinema
per
tre
generazioni:
la
mia
bisnonna
paterna,
suo
figlio
e
mio
padre
hanno
lavorato
sempre
e
solo
in
case
di
produzione;
ho
cercato
d’immaginare
come
sarebbe
stato
per
me
se
un
giorno
mio
padre
fosse
tornato
a
casa
senza
lavoro
e ci
fosse
rimasto
per
lungo
tempo,
come
sta
succedendo
adesso
a
tanti
amici
e
conoscenti,
gente
brava
e
competente,
con
anni
d’esperienza
alle
spalle;
persone
che
sarebbero
arrivate
al
punto
di
dover
elemosinare
un
lavoro
e
non
lo
fanno
per
dignità.
Oltre
a
qualche
nome
e
volto
noto
ai
più
il
cinema
è
fatto
di
tante
persone,
che
magari
rimangono
nell’ombra,
ma
senza
le
quali
non
sarebbe
possibile
realizzare
film;
quelle
persone
insieme
formano
una
comunità
di
duecentocinquantamila
persone,
un’industria
in
crisi
come
altri
settori
in
Italia
e in
Europa,
non
una
categoria
di
parassiti
o
assistiti,
come
il
governo
la
definisce.
Le
famiglie
dei
lavoratori
del
cinema
hanno
diritto
di
avere
garanzie
per
il
futuro,
così
come
quelle
degli
operai.
La
cultura,
come
dice
il
documento
firmato
il
28
ottobre,
“fornisce
a
quei
cittadini
che
si
fanno
pubblico
un
alimento
immateriale
e
decisivo,
fatto
di
emozioni
e
sogni,
consapevolezza
e
senso
dell’identità
nazionale,
per
guardare
la
realtà
con
occhi
nuovi
e
immaginare
un
paese
migliore”.