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N. 93 - Settembre 2015 (CXXIV)

la tuscia farnese
i giardini di bagnaia, bomarzo, caprarola e vignanello

di Antonio Rocca

 

Le ville e i giardini di Bagnaia, Bomarzo, Caprarola e Vignanello si prestano alla comprensione di quel sistema variegato, ma unitario, che fu la Tuscia Farnese. Ogni singolo castello o giardino sembra infatti declinare da una prospettiva differente il medesimo paradigma.

 

La parabola dello Stato Farnesiano, compresa tra il XVI e la prima metà del XVII secolo, si inscrive tra la rifondazione della rocca di Vignanello – avviata nel 1531 da Beatrice Farnese – e il compimento dei giardini del castello, realizzati da Ottavia, figlia di Giulia Farnese (sposa di Vicino Orsini e appartenente al ramo dei Farnese di Latera) tra il 1611 e il 1636.

 

Si è detto parabola perché la vicenda di cui parliamo conobbe tre fasi: un avvio fulmineo, un culmine e una decadenza altrettanto rapida. In una prima fase i Farnese occupano il territorio dei Monti Cimini; in seguito all’elezione al soglio pontificio di Paolo III, si apre invece l’età dei Fasti Farnesiani.

 

Il Palazzo di Caprarola è figura emblematica di questo secondo periodo e definisce il perno attorno cui si costruisce un sistema ai cui estremi si collocano i giardini di Bagnaia e quelli di Bomarzo.

 

Nell’agosto 1543 i più autorevoli membri del casato Farnese si riunirono a Viterbo per decidere il destino del Patrimonio di San Pietro in Tuscia, uno dei quattro dipartimenti in cui era ripartito lo Stato Pontificio. I Farnese si incontrarono nella Rocca Albornoz a Viterbo, sede del Legato – o Rettore – al Patrimonio, ossia il funzionario di nomina papale che rappresentava, nelle sedi periferiche, il potere centrale.

 

Più di mezzo secolo era trascorso da quando Paolo III (nato Alessandro Farnese), allora cardinale, aveva ricoperto quel ruolo, consolidando il prestigio del casato in tutto l’Alto Lazio. Sebbene infatti i Farnese fossero un’antica famiglia, non avevano ricoperto – fino alla nomina cardinalizia dello stesso Alessandro – ruoli di particolare rilievo: erano fortemente radicati solo nell’area compresa tra il lago di Bolsena e il Tirreno.

 

La morte di Paolo III non indebolirà del tutto la posizione dei Farnese nella Tuscia, in quanto è immediatamente bilanciata dalla nomina del cardinal Ranuccio Farnese a Legato del Patrimonio di San Pietro, carica che fu poi ricoperta da suo fratello, il cardinal Alessandro il Giovane, per ben ventiquattro anni, dal 1565 sino alla sua morte. Sarà la scomparsa di quest’ultimo (1589) a segnare l’inizio del lento declino della dinastia Farnese nell’Alto Lazio.

 

Il ruolo di rilievo ricoperto dai Farnese nella Tuscia rinascimentale è indiscusso, ma risalta ancor più quando è “dichiarato” in fortezze appartenenti ad altri casati. Se è infatti naturale veder trionfare i gigli Farnese a Caprarola, luogo emblematico del potere del casato, è invece apparentemente anomalo (e particolarmente significativo) vederli fiorire nel timpano di Palazzo Orsini a Bomarzo, nel piano nobile del Castello Ruspoli a Vignanello o nella Palazzina Gambara di Villa Lante a Bagnaia.

 

L’inizio della fortunata ascesa del casato nei territori in questione, si deve al favore che Giulia la Bella, sorella di Alessandro Farnese, godeva presso il papa Alessandro VI.

 

L’ascendente che l'affascinante fanciulla possedeva su Rodrigo Borgia, aveva improvvisamente fornito ai Farnese l’occasione per assecondare le ambizioni di famiglia. Questi estesero infatti la loro area d’influenza nel retroterra viterbese, e funzionale a tale strategia fu proprio il matrimonio di Giulia con Orsino Orsini di Vasanello, grazie al quale ebbe la possibilità di insediarsi sia a Vasanello che, in seguito, nel feudo di Carbognano.

 

Contestualmente il cardinale Alessandro acquistò terre a Caprarola per erigervi un castello e si impegnò affinché alla cugina Beatrice, del ramo di Latera, fosse assegnato il feudo di Vignanello.

 

Alessandro Farnese, appena eletto papa col nome di Paolo III (1534), ritagliò nel corpo del Patrimonio due piccoli feudi che concesse al figlio Pier Luigi: il ducato di Gradoli e la contea di Ronciglione (1537), disposti l’uno a nord e l’altro a sud di Viterbo.

 

Il Patrimonio di San Pietro in Tuscia, corrispondente all’attuale provincia di Viterbo, era così preso a tenaglia, e non c’è dubbio che l’intenzione del papa fosse quella di costruire uno stato familiare nell’Alto Lazio.

 

La pressione dei Farnese si faceva sentire con forza crescente e in tale quadro vanno letti sia la nomina a governatore di Civita Castellana e Vetralla (1540) di Alessandro Farnese detto il Giovane – nipote di Paolo III e passato alla storia col nome di “Gran Cardinale” – che il matrimonio (1543) tra Pierfrancesco Orsini di Bomarzo – più conosciuto col nome di Vicino – e Giulia Farnese di Latera, nonché il parallelo controllo sulle principali sedi vescovili del Patrimonio di San Pietro in Tuscia.

 

Si giunge così alla vigilia dell’incontro di Viterbo sopra menzionato, momento in cui i Farnese esercitano una signoria indiscussa su tutta la Tuscia: in città si vocifera addirittura della nascita di un unico Stato da affidare a Orazio Farnese, figlio di Pier Luigi.

 

Il progetto esiste e viene coltivato per decenni, tuttavia il papa deve fare i conti con l’ostilità dell’imperatore. Carlo V è insoddisfatto per l’ambiguità della politica di Paolo III e vorrebbe una presa di posizione contro i francesi, ma il pontefice non può cedere su questo punto perché metterebbe a repentaglio gli interessi che il suo casato sta coltivando nell’area lombarda ed emiliana. La costituzione dello Stato della Tuscia Farnese viene dunque procrastinata per poi svanire per sempre.

 

Nel 1547 Pier Luigi, figlio del papa, ottiene il ducato di Parma e Piacenza: per il casato non era lecito chiedere di più. La morte di Paolo III nel 1549 contribuirà a rendere definitivamente irrealizzabile la costruzione di uno Stato unitario nell’Alto Lazio. Tuttavia, ancora per cento anni, almeno sino alla Seconda Guerra di Castro (1649), l’egemonia Farnese nella zona s’imporrà ai contemporanei come un dato di fatto incontrovertibile.

 

 

Castello Ruspoli di Vignanello

 

Il caso del Castello Ruspoli di Vignanello testimonia l’influenza che i Farnese esercitarono in tutta la Tuscia, anche nei territori in cui non avrebbero potuto formalmente svolgere un ruolo di dominio diretto.

 

Il feudo fu assegnato nel 1531 da papa Clemente VII Medici a Beatrice dei Farnese di Latera. Alla morte del papa, nel 1536 il possesso del feudo fu confermato a Beatrice dal suo successore, Paolo III. Nel relativo documento il pontefice fa esplicito riferimento anche a suo marito Sforza Vicino Marescotti e alla figlia Ortensia Farnese, che in modo eccezionale e significativo viene menzionata con il cognome della madre.

 

Il primato dei Farnese su Vignanello sarà garantito dalla stessa Ortensia, organizzatrice delle nozze tra suo nipote Marcantonio Marescotti e Ottavia, figlia di Giulia Farnese. Il matrimonio sarà celebrato nel 1574, ma già nel 1579 i Marescotti verranno imprigionati a Roma, nel carcere di Tor di Nona, e la gestione del castello di Vignanello sarà affidata alle cure di Ortensia e Ottavia.

 

È a quest’ultima che dobbiamo la costruzione del celebre giardino in cui volle lasciare il segno del casato paterno: le siepi sono infatti composte in modo tale da disegnare, in sigle ed emblemi, la rosa simbolo degli Orsini e le iniziali dei suoi due figli maschi: Sforza Vicino e Galeazzo. Ancora oggi possiamo apprezzare il contrasto, potente e suggestivo, tra la dimensione intima del giardino di Ottavia e i possenti bastioni angolari circondati da un fossato dal sapore medievale.

 

Tra la rosa orsiniana del giardino e i gigli Farnese, presenti nel piano nobile, si sarebbero mosse ancora due donne, decisive per la storia del castello. La prima è Clarice Marescotti, figlia di Ottavia e destinata a diventare santa col nome di Giacinta; la seconda è Vittoria Ruspoli, cognata di Clarice in quanto moglie di Sforza Vicino Marescotti.

 

Fu proprio Vittoria a imporre, forte del patrimonio di famiglia, l’interruzione nella patrilinearità del nome del casato. Il castello assunse da allora il nome di Ruspoli, famiglia a cui appartengono anche le attuali proprietarie del complesso di Vignanello.

 

 

Vignanello, Castello Ruspoli, veduta del giardino (foto di Daria Addabbo).

 

Palazzo Farnese a Caprarola

 

Beatrice di Latera aveva ottenuto il feudo di Vignanello in un periodo in cui i Farnese si muovevano con una certa circospezione in un territorio, quello dei Monti Cimini, che non era il loro. Giulia la Bella, in virtù di un’accorta politica matrimoniale, aveva ottenuto il controllo dei territori di Vasanello e Carbognano, ma il casato avrebbe dovuto fare ancora molteplici sforzi per difendere le acquisizioni più recenti.

 

In principio il castello di Caprarola era stato pensato come una rocca militare, capace di sostenere i possibili rovesci delle fortune che sempre incombevano all’ombra di ogni conclave.

 

I Farnese si muovevano dunque con grande cautela e, a partire dal 1521, il cardinale Alessandro senior affidò il progetto della rocca ad Antonio da Sangallo il Giovane e a Baldassarre Peruzzi. I lavori, interrotti a seguito dell’elezione al soglio pontificio di Paolo III, furono ripresi venti anni dopo per stimolo del nipote, il cardinale Alessandro il Giovane, il quale incaricò Jacopo Barozzi da Vignola di trasformare la fortezza in uno splendido palazzo.

 

Il Gran Cardinale voleva eleganti dimore in grado di gareggiare con i palazzi dei più importanti casati europei e compito del Vignola fu quello di affinare, o “dare grazia”, alle costruzioni sangallesche.

 

L’architetto, non potendo stravolgere il progetto originale (la costruzione era già in stato avanzato), si limitò a stemperare la natura tetragona dell’edificio sfondando con un’ariosa loggia la robusta cortina muraria e ideando una regale scala che consentisse un’ascesa a cavallo tra mirabili affreschi, dagli ambienti delle guardie sino al piano nobile e oltre.

 

Siamo negli anni Sessanta e il Vignola sembra essere onnipresente: interviene nella ristrutturazione urbanistica di Viterbo ed è consultato sia da Vicino Orsini che dal cardinal Gambara.

 

 

Caprarola, Palazzo Farnese, veduta del giardino superiore (foto di Daria Addabbo).

 

Villa Lante a Bagnaia

 

L’elezione al soglio pontificio di Pio V ebbe una ricaduta immediata nella Tuscia: Antonio Ghislieri nominò infatti vescovo di Viterbo un altro inquisitore, il cardinal Giovanni Francesco Gambara.

 

La villa di Bagnaia, che in seguito prenderà il nome di Villa Lante, fu voluta dal Gambara ed è l’immagine del trionfo del potere romano e della gerarchia ecclesiastica. Il cardinale inquisitore non si contenta di legare il suo nome al rifacimento della cattedrale di San Lorenzo a Viterbo, ma progetta una gigantesca “graticola” nella villa di pertinenza vescovile: lo strumento del martirio di San Lorenzo è composto dal rettifilo delle fontane, che delineano un manico, e da un telaio di siepi nella platea inferiore.

 

 

Bagnaia, Villa lante, veduta dei giardini (foto di Daria Addabbo).

 

Il Sacro Bosco di Bomarzo

 

Bagnaia è espressione del potere romano, Bomarzo è un episodio di cultura veneta nel retroterra laziale. Vicino Orsini ha infatti dato vita a una summa del neoplatonismo di matrice veneziana realizzando una traduzione in pietra dell’Idea del Theatro dell’umanista veneto Giulio Camillo Delminio.

 

Il teatro descritto da quest’ultimo è un dispositivo generato dall’incrocio dei sette pianeti tolemaici e dei sei giorni della creazione. Le derivanti quarantadue caselle dell’Idea del Teatro accolgono creature sorprendenti, che saranno la fonte iconografica del Sacro Bosco.

 

La chiave di lettura del parco è costituita dal teatro, bizzarra architettura composta da sei gradini e sette scomparti. La scena teatrale, piccola e inclinata, non poteva pertanto ospitare spettacoli, ma si offriva all’ospite di Vicino come schema dell’Universo.

 

I mostri di Bomarzo, dovevano essere immagini anomale e misteriose, al fine di rimanere impresse nella fantasia, celando nel contempo il significato ermetico dell’opera.

 

 

Bomarzo, Parco dei Mostri, Dio barbuto (foto di Daria Addabbo).

 

Con la morte di Alessandro Farnese, Vicino Orsini e Giovanni Francesco Gambara – intorno agli anni Ottanta del Cinquecento – quella che abbiamo chiamato parabola Farnese intraprende il suo ramo discendente, nonostante il Palazzo di Caprarola manterrà per qualche tempo una sua centralità, per il fatto di essere dimora del nuovo Legato al Patrimonio, il cardinale Odoardo Farnese.

 

Il Sacro Bosco cadrà invece in un oblio secolare, in quanto troppo raffinata la cultura di Vicino Orsini per l’Italia della Riforma, fino alla sua “riscoperta” nei primi decenni del Novecento.

 

Intanto, a Vignanello, Ottavia Orsini, grazie anche alla protezione del Cardinal Legato che gli concede l’uso delle acque di Corchiano, coltiva il suo prezioso giardino, carico di memorie, ma già chiuso in una dimensione di affetti domestici.

 

La Villa di Bagnaia viene invece radicalmente rinnovata dal nuovo cardinale Alessandro Peretti di Montalto il quale, oltre a terminare la costruzione della seconda palazzina – che per questo prenderà il nome di Palazzina Montalto – sostituisce la peschiera del Gambara con la monumentale Fontana dei Mori che sorreggono l’emblema del nuovo pontefice, Sisto V Peretti.

 

 

Riferimenti bibliografici

 

A. Rocca, S. Varoli Piazza, Ville e giardini storici della Tuscia, GB EditoriA, Roma 2015.



 

 

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